Come è potuto accadere? Comprendere per reagire

La domanda che ci tormenta incessantemente, e che tormenta tutti i cattolici rimasti fedeli al cattolicesimo, e non confusi o traviati dal modernismo strisciante che si è insediato nel cuore della Chiesa, sovvertendo dall’interno dottrina, pastorale e liturgia, è sempre la stessa: come è potuto accadere?

di Francesco Lamendola (14-11-2017)

La domanda che ci tormenta incessantemente, e che tormenta tutti i cattolici rimasti fedeli al cattolicesimo, e non confusi o traviati dal modernismo strisciante che si è insediato nel cuore della Chiesa, sovvertendo dall’interno dottrina, pastorale e liturgia, è sempre la stessa: come è potuto accadere? Come è potuto accadere che duemila anni di storia, duemila anni di Tradizione, duemila anni di Vangelo, si stiano squagliando come nebbia al sole, nel cuore e nella mente di tante persone che pure continuano a professarsi e a considerarsi cattoliche, senza rendersi conto che non lo sono più, e che stanno seguendo dei pastori del pari non cattolici, anche se tali si spacciano, ma sono, in realtà, eretici e apostati? Dobbiamo assolutamente arrivare a comprendere come una cosa del genere, un fenomeno così imponente, impressionante, globale, abbia potuto verificarsi, senza che quanti l’hanno vissuto e lo stanno vivendo, ne abbiano una chiara ed esatta percezione. La percezione, sì, ce l’hanno; anzi, sono addirittura fieri di essere al centro di questa stagione, che, secondo loro, è di rinnovamento, di rinascita, quasi una seconda giovinezza per la Chiesa ed il cattolicesimo: e come san Francesco d’Assisi è stato il segno di una seconda giovinezza per una Chiesa vecchia e stanca, gravata da scandali e abusi, così essi, gioiosamente intruppati dietro le bandiere di papa Francesco e dei suoi cardinali e vescovi “di strada”, tutti dialogo, solidarietà, accoglienza, inclusione e opzione preferenziale per i poveri, tutti diritti umani e civili, diritti politici e sindacali, diritti giuridici ed economici e sindacali e ambientali ed esistenziali, e chi più ne ha, più ne metta, si ritengono i protagonisti di una seconda giovinezza del Vangelo e sono lontanissimi dall’immaginare quanto, in realtà, se ne stanno allontanando. Hanno lo stesso ingenuo entusiasmo, la stessa rozza fiducia nel progresso, che avevano gli illuministi e, dopo di loro, i positivisti, facendo leva sulla ragione e sulla scienza; ora essi fanno leva sul vangelo, ma non il vero Vangelo di Cristo, bensì un vangelo molto umano, molto politico e sindacale, molto materiale e umanistico, poco spirituale, poco soprannaturale, poco divino; un vangelo che non è quello di Gesù Cristo, figlio di Dio, morto e risorto per i nostri peccati, e che ci chiama verso il Cielo per mezzo della vita buona; bensì il vangelo di un certo Gesù di Nazareth, figlio di un falegname, morto (questo è certo, dice Bergoglio) e forse, chissà, pure risorto (questo dipende dalla fede, dice sempre Bergoglio), che vuole il regno di Dio sulla terra, e vede nei “poveri” i suoi interlocutori assoluti, instillando in loro l’idea che, per solo fatto di essere poveri, hanno sempre ragione e hanno solo diritti da far valere, ma pochissimi o nessun dovere da rispettare; e, intanto, rafforzano in essi una prospettiva puramente immanentistica, materialista, economica, come se Dio fosse una opinione, un’ipotesi lontana, e tutto quel che si chiede a un cristiano è di stare dalla parte dei poveri e cercar la giustizia sociale quaggiù, nella vita terrena. Niente lotta al peccato, niente necessità della grazia, niente conversione e mutamento di vita; niente prospettiva del Giudizio finale, niente inferno o paradiso, forse nemmeno vita dopo la morte: tanto, di queste cose, i cardinali e i vescovi “di strada” non parlano mai, e i preti progressisti e immigrazionisti meno ancora. Tutto è dolce e all’acqua di rose: Dio non chiede praticamente niente all’uomo, se non di fare meglio che può; e se non ce la fa ad uscire dal peccato, ebbene, pazienza, Dio apprezza la sua sincerità e la sua onestà e gli dà una pacca sulla spalla, dicendo: Non preoccuparti, so che questo è il massimo che puoi fare e ti dico che va bene così (vedi il § 303 di Amoris laetitia). La  Madonna è solo una “buona mamma”, non è colei che ci esorta incessantemente alla conversione, al pentimento e alla penitenza; e il Rosario è una specie di anticaglia, tanto è vero che persino a Fatima, nel centenario delle apparizioni mariane, la neochiesa modernista ha deciso di sostituirlo con un concerto. Di Santi si parla poco, degli Angeli non si parla affatto: del resto, a che servono gli Angeli, visto che il diavolo, secondo padre Sosa Abascal,  non è mai esistito? Soprattutto, non si parla più del destino eterno dell’anima, della sua salvezza: si dà per scontato che la partita si gioca qui, che la vita “vera” è questa, e che l’essenziale è schierarsi dalla parte dei “poveri” (sempre in senso economico! — come se non esistesse una ancor più devastante povertà spirituale e morale).

Ma come si è arrivati a questo punto? E come va che la maggioranza dei cattolici non protesta davanti a questo stravolgimento della giusta prospettiva, a questa falsificazione della dottrina,  a questo vero e proprio ribaltamento del Vangelo? Come va che, anzi, la massa dei fedeli è entusiasta di questi nuovi indirizzi, di questi nuovi pastori, e soprattutto di questo nuovo papa? Come può accadere che a nessuno importi se egli dice cose eretiche, se loda Lutero, se afferma che Dio non è cattolico, o che Gesù si è fatto diavolo, “brutto che fa schifo”, e che qualche volta fa pure lo scemo; che le Persone della Santissima Trinità litigano in continuazione fra di loro; che la dottrina, se crea divisioni,  è solo ideologia, cioè una cosa negativa; e che a nessuno importa se chiama “teofania” la transustanziazione, e se s’immischia in modo pesantissimo nella politica italiana, e se vuol forzare il Parlamento e gli italiani ad acconsentire all’auto-invasione islamica in atto, agevolandola in tutte le maniere: quel che conta è che è simpatico, sorridente, amorevole, dalla parte degli ultimi, difende i diritti dei deboli, bacia i piedi ai musulmani e alle musulmane, li invita in chiesa durante la santa Messa, nega che si possa parlare di terrorismo islamico, e lui, infatti, non usa mai questa espressone, anche se i musulmani stanno ammazzando decine di migliaia di cristiani nel mondo, e questo sotto i nostri (e i suoi occhi), che, però, non si commuovono troppo, perché sono tutti presi dal magnifico spettacolo di una Chiesa che, “finalmente”, si apre alla misericordia (si vede che fino a ieri era egoista e crudele) e si commuove davanti all’amore, compreso l’amore di due omosessuali che vogliono convolare a “giuste” nozze e uno dei quali, per esempio, vuol continuare a fare il capo scout in una parrocchia del goriziano, e non dà retta al prete, ottuso e insensibile, il quale lo sollecita a dimettersi. Ma perché dovrebbe farlo, se il Vangelo è misericordia, amore, inclusione, rispetto, accoglienza? E a pensar ciò sono gli stessi cattolici che non fanno una piega se tutto questo amore si volatilizza e le famiglie si sfasciano, e gli sposi vanno a rifarsi una vita con un altro compagno o un’altra compagna: che problema c’è? Abbiamo tutti diritto alla felicità; e, se qualche guastafeste viene a ricordarci che Gesù si era espresso, con la massima chiarezza e severità, contro il divorzio, ecco che arriva prontamente il solito Sosa Abascal a dire che non è vero, che bisogna vedere, che si deve contestualizzare, che non c’erano i registratori e che, insomma, quel che abbia detto veramente Gesù non lo sa nessuno, neanche la Chiesa cattolica, la quale, guarda un po’, per duemila anni aveva creduto di saperlo.  E se non basta padre Sosa, arriva anche il papa in persona, questo papa, tanto simpatico e misericordioso (lo stesso che ha lasciato crepare due eminenti cardinali senza degnarli di una cristiana  risposta, né accordare loro l’udienza richiesta, dopo che, insieme ad altri due, gli avevano indirizzato una rispettosa richiesta di chiarimenti circa Amoris laetitia), a dire che Dio stesso non si permetterebbe mai di mettere in difficoltà degli onesti divorziati risposati, o comunque conviventi con dei nuovi compagni, perché Lui non ci chiede di non peccare, ma di fare quel che possiamo. E dunque, la domanda è sempre la stessa: come è potuto accadere? Perché un papa così non avrebbe mai dovuto essere eletto; dei cardinali o dei superiori di ordini religiosi come questi, non avrebbero mai dovuto essere nominati; e dei cattolici seri non avrebbero mai dovuto applaudire, osannare e idolatrare simili personaggi.

Se la ridono, si sentono nel giusto: questa non è forse superbia?

A nostro parere, l’attacco del diavolo – perché di questo si tratta; anche se il diavolo, è superfluo aggiungerlo, non scende da Marte, ma fa leva sulle nostre debolezze e sulla nostra concupiscenza – si è sviluppato, pressoché simultaneamente, su due direttrici: quella intellettuale e quella sensuale. I falsi pastori e i falsi fedeli, i primi desiderosi solo di battimani, i secondi solo di poter restare sprofondati nel peccato, sono stati conquistati ciascuno facendo leva sulla loro debolezza più caratteristica: la superbia i primi, la lussuria gli altri (il che non esclude che molti falsi pastori siano anche dei lussuriosi, e molti falsi credenti siano anche dei superbi). La superbia è il vizio dell’intellettuale moderno, e i cardinali, i vescovi, il papa stesso, sono, tecnicamente parlando, anche degli intellettuali: gente che ha studiato parecchio e che ha, o dovrebbe avere, un approccio intellettuale, oltre che spirituale e pratico, alle cose; gente  che l’eresia dovrebbe fiutarla al primo accenno; gente che dovrebbe ben vedere la differenza abissale che passa fra transustanziazione e teofania, e cogliere al volo le conseguenze potenzialmente disastrose generate dal nominare l’una come sinonimo dell’altra, specie se a farlo è il papa. Ma è proprio la superbia che li prende in trappola: perché per credere, per credere veramente in Gesù Cristo, il Figlio di Dio venuto in terra a sacrificarsi per i nostri peccati, ci vuole tanta, tanta umiltà intellettuale: ed essi non l’hanno, non l’hanno mai avuta, o, forse, l’hanno persa lungo la strada e non glie n’è rimasta neppure una briciola. Il cattolico-tipo, poi, di questi tempi, si è sempre più uniformato al modello di vita profano: e l’aspetto più vistoso e più tentatore della vita moderna è il pansessualismo esasperato. Così, in un mondo dove è divenuto assolutamente normale inseguire, sempre e comunque, il piacere sessuale, infischiandosene delle regole e dei valori, il cattolico si è lasciato tentare, si è lasciato sedurre, e si è uniformato a quel che si fa nella società profana, con in più la pretesa di essere scusato e “assolto” dalla Chiesa stessa, anzi, che la Chiesa proclami che il peccato non è più peccato, e che ciascuno può fare quel che vuole, perché deve render conto di quel che fa solamente alla propria coscienza. Dunque, il clero modernista e i cattolici gaudenti avevano bisogno l’uno degli altri: si sono incontrati, si sono piaciuti e si sono alleati, ciascuno per i suoi particolari fini.

A questo punto è entrato in campo un altro fattore: l’orgoglio. I membri del clero erano troppo orgogliosi per ammettere che la loro superbia intellettuale veniva dall’aver perso la fede, e, nello stesso tempo, erano a disagio all’idea di doverlo confessare: chi ha la fede, non insuperbisce; conserva sempre ben chiaro il senso del proprio limite. La fede scaturisce proprio da questo: dalla consapevolezza della propria piccolezza, e quindi dal bisogno di Dio per poter raggiungere la pienezza cui l’anima aspira. Ma l’anima che ha perso la fede, e che non vuole ammetterlo, può sempre cercare un compenso a livello intellettuale: sentendosi qualcosa di più, e non qualcosa di meno, di colui che ha “solo” il dono e la grazia della fede. Da parte loro, i cattolici che hanno perso la fede, sono sprofondati nei vizi carnali: è un meccanismo tipico, ben descritto da san Paolo nella Lettera ai Romani: quando l’uomo non rende a Dio il culto dovuto, impazzisce e cade in balia di passioni degradanti, ricevendo in se stesso la propria punizione. Da parte dei teologi, dei cardinali, dei vescovi senza più fede, c’è l’orgoglio di voler nascondere il loro vulnus e l’ipocrisia di predicare una fede in cui non credono più; da parte dei fedeli, l’orgoglio di non voler ammettere la loro condizione di peccatori, di lussuriosi, e la pretesa di far sì che la lussuria sia derubricata dai peccati mortali, che la Chiesa proclami la liceità del loro comportamento. Ed ecco la triade infernale, nel senso letterale del termine: superbia, lussuria, orgoglio, i segni distintivi della neochiesa; ne abbiamo già parlato in un recente articolo, per cui non vi insisteremo oltre. Forse siamo noi duri d’orecchi, ma non ci sembra di aver sentito spesso il papa predicare o mettere in guardia i cattolici contro la superbia, la lussuria e l’orgoglio; anzi, a dire il vero, non ci sembra di aver sentito nessuno di codesti pastori modernisti. Questo avviene perché i peccati non ci sono più, oppure perché qualcuno ha deciso che l’argomento è vecchio e obsoleto, nonché divisivo?

Proviamo a immaginare una possibile obiezione: stiamo giudicando troppo. Forse la situazione non è così tragica; e forse codesti membri del clero sono soltanto un po’ imprudenti, magari, ma sostanzialmente in buona fede. Davvero? E allora guardiamo i loro volti, i loro occhi, i loro sorrisi, specialmente quando ne hanno appena sparata una di particolarmente grossa: come Paglia quando ha fatto l’elogio di Pannella, o Galantino quando ha fatto quello di Lutero, o il papa stesso quando ha dichiarato che tutti, alla fine, andranno con Dio, cioè in paradiso (il che corrisponde al vangelo secondo Fabrizio De André e non al Vangelo secondo la Chiesa cattolica). Guardiamo i loro volti con attenzione, la loro espressione, la loro posa complessiva: sorridono, e sorridono con aria disinvolta e mondana; sorridono con aria soddisfatta e compiaciuta, come si fa quando si è al bar in mezzo agli amici. Non mostrano la benché minima consapevolezza di aver detto cose che creano disagio, sofferenza, smarrimento, in milioni di fedeli cattolici. Loro, che dovrebbero essere le guide, sono di scandalo ai fedeli, e se ne compiacciono. Si guardi la faccia di Paglia quando si faceva fotografare accanto al suo amico Marco Pannella; oppure quella di Galantino, quando invoca lo ius soli; o quella del papa, dopo che ha lanciato uno dei suoi abituali insulti o delle solite frecciate contro i “conservatori”. Ridono, ammiccano, hanno lo sguardo brillante: si sentono assai soddisfatti. Ma cos’hanno da sorridere? Anche se sono convinti di essere nel giusto, possono fregarsene così di quel che sentono tanti loro confratelli, specialmente sapendo di essere proprio loro la causa di ciò?

(fonte: accademianuovaitalia.it)

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