I “furbetti” del caso per caso c’erano già 50 anni fa

L’esame dei documenti che hanno preceduto la pubblicazione dell’enciclica Humaane Vitae, mostra come già nel 1968 c’era chi sosteneva fosse possibile ammettere la contraccezione in alcuni casi senza mettere in discussione la dottrina. Approccio condannato da Paolo VI, che ora torna d’attualità. E anche allora la Chiesa tedesca andava per la sua strada.

di Luisella Scrosati (29-07-2018)

Corsi e ricorsi storici. Lo studio della travagliata storia che ha preceduto la promulgazione dell’enciclica Humane Vitae non cessa di insegnare e di illuminare. Molto è stato scritto e molto resterà da scrivere, ma non si può non restare colpiti nel notare come certi sofismi respinti da Paolo VI in quell’occasione, siano tornati, vivi e vegeti. E vittoriosi (almeno per ora).

Già l’ottimo studio di Puccetti (I veleni della contraccezione) aveva messo in evidenza gli assalti persuasivi di molti teologi e vescovi nei confronti di Paolo VI, affinché aprisse alla contraccezione. La nuova pubblicazione di Marengo, La nascita di un’enciclica. Humanae vitae alla luce degli Archivi vaticani, da cui “esce” un Paolo VI tutt’altro che titubante sulla questione, aggiunge qualche elemento in più.

Essendo stato il suo “grande elettore” al conclave del 1963, Paolo VI concesse a Suenens un onore senza precedenti: lo face affacciare con sé al suo primo Angelus da papa.

Anzitutto, la logica di “in certi casi”. Il cardinal Léon-Joseph Suenens, primate belga, l’aveva messa sul tavolo, per rassicurare Paolo VI che non si trattava di rompere con l’insegnamento dei suoi predecessori: il principio morale sarebbe stato salvaguardato, ma si sarebbe guadagnata un’apertura nei confronti della ricchezza della realtà fattuale. Così scriveva il porporato belga: «Non si tratta dunque di modificare i principi morali ma di vedere come essi si applichino a dei fatti nuovi; ad una natura umana della quale abbiamo una conoscenza più approfondita… Rimarrebbe una continuità fondamentale riguardo al rifiuto di ogni contraccezione arbitraria, egoista, edonista, non motivata da ragioni gravi e proporzionate» (Suenens a Paolo VI, 9 ottobre 1967).

Suenens voleva chiaramente inserire un grimaldello, che poi col tempo – che, nel frattempo, abbiamo imparato essere superiore allo spazio – avrebbe aperto una breccia fatale; egli mirava a mettere in discussione un punto cardine dell’insegnamento magisteriale, e cioè il fatto che questa «dottrina, più volte esposta dal magistero della Chiesa, è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo» (HV 12). Non è l’intenzione soggettiva – arbitrarietà, edonismo, egoismo e quant’altro – a rendere inaccettabile la contraccezione, ma il fatto che l’uomo non può separare ciò che Dio ha unito, e se lo fa, oltre ad offendere Dio, falsifica con i suoi atti, la verità che quegli stessi atti personali portano in sé.

Questa logica della presunta pacifica coesistenza tra l’affermazione dell’intangibilità dei principi morali da un lato, e la possibilità di eccezioni dall’altro, evidentemente non trovava spazio nella mente di Paolo VI, il quale probabilmente ricordava molto bene il quadrato logico di Aristotele e sapeva che un’affermazione universale negativa (tutte le oche non sono nere), per essere contraddetta, non ha bisogno di una universale positiva (tutte le oche sono nere); è sufficiente una particolare positiva (un’oca è nera), il caso particolare, appunto. Se la contraccezione non è mai lecita, affermare che in alcuni casi lo sia è contraddizione diretta del principio, e non suo sviluppo.

Suenens, scrive Marengo, «cercava di mostrare come la decisione di Pio XII di giudicare lecito l’uso del metodo Ogino-Knaus, pur introducendo un elemento di novità rispetto alla Casti connubii, non poteva essere inteso come discordante dal magistero di Pio XI. Analogamente così sarebbe stato se si fosse accolta la tesi di quanti sostenevano che, a determinate condizioni, i coniugi potevano usare la pillola contraccettiva». Per far digerire a Paolo VI la morale dei casi speciali, Suenens aveva dunque preparato un buon amaro, che sperava avrebbe fatto gola al Papa: Pio XII aveva affermato una novità, facendo progredire il Magistero rispetto all’insegnamento del suo predecessore, aprendo ai metodi naturali; analogamente, l’apertura alla contraccezione in certi casi, avrebbe mantenuto fermo il principio e, nel contempo, lo avrebbe illuminato e arricchito della singolarità delle situazioni, che invece non erano presenti nell’insegnamento precedente.

Sembra di sentire pari pari il ragionamento che fece il cardinal Schönborn nella sua intervista con Spadaro per Civiltà Cattolica, nel 2016 (qui). Il presule austriaco richiamava il progresso operato da Familiaris Consortio, quando affermava la possibilità di accedere all’Eucaristia, per i divorziati-risposati, che, non potendo per gravi ragioni separarsi, avrebbero vissuto come fratello e sorella. La logica dei casi particolari, inaugurata con AL, si poneva, secondo Schönborn, sulla stessa linea di sviluppo e progresso.

In quell’intervista si può leggere anche un’affermazione che richiama da vicino la posizione di Suenens: «L’evoluzione presente nell’Esortazione è principalmente la presa di coscienza di un’evoluzione oggettiva, quella dei condizionamenti propri delle nostre società». Suenens rassicurava Paolo VI che la continuità dottrinale dell’apertura alla contraccezione “in certi casi”, sarebbe stata sufficientemente messa al sicuro dal fatto che allora si era raggiunta «una conoscenza più approfondita» dell’uomo; per Schönborn invece, la continuità di AL con Familiaris Consortio sarebbe assicurata dalla maggiore conoscenza odierna dei condizionamenti sociali sull’uomo.

Negli anni prossimi alla promulgazione di HV, c’è un altro aspetto che richiama alla situazione odierna: la pressione dei vescovi tedeschi e la loro rivendicazione di autonomia. Se Schönborn può essere considerato il Suenens redivivo, il cardinal Marx è l’avatar del cardinal Döpfner. Döpfner, anch’egli all’epoca arcivescovo di Monaco-Frisinga e presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, cercava di intimorire il Papa, sventolandogli davanti agli occhi l’autodeterminazione dei vescovi teutonici. Anzitutto Döpfner fece presente al Papa che la maggioranza dell’episcopato tedesco aveva chiesto che venisse accolto il parere della maggioranza della Commissione del 1966, che sappiamo essere stato favorevole alla contraccezione. Poi, prospettava la catastrofe: se il Papa non avesse avallato la posizione che egli riteneva essere della maggioranza dei fedeli, ne sarebbe derivato «un danno smisurato dell’autorità ecclesiastica, in primis del Sommo Pontefice»; si sarebbe verificato «un evento terrificante e funestissimo della storia della Chiesa contemporanea» (Döpfner a Paolo VI, In Audientia, 31 maggio 1968).

Paolo VI con i vescovi tedeschi. A sinistra si riconosce il card. Döpfner.

Anzi, Döpfner era già passato dalle parole ai fatti; aveva infatti provveduto a distribuire ai sacerdoti della propria diocesi una guida pastorale, nella quale si affermava che i fedeli che non potevano non ricorrere alla contraccezione (introducendo così l’idea che la grazia non sia sufficiente ad evitare il peccato), non essendo soggettivamente in stato di peccato grave, potevano ricevere la Santa Comunione. Anche il vescovo ausiliare di Magonza, Mons. Reuss, suggeriva al Papa un nuovo approccio pastorale della stessa tonalità di quello già reso operativo da Döpfner. Così Marengo riassume la sua posizione: «I possibili – e prevedibili – episodi di caduta rispetto alle norme morali della continenza e castità coniugali dovevano essere collocati nel più ampio cammino di crescita e maturazione della coppia. Questo voleva dire rimodulare in maniera meno rigida le indicazioni fissate da Casti connubii, evitando così di considerare sempre quelle cadute come peccati mortali».

Si può notare che Reuss già cercava di intorbidire le acque. L’insegnamento di Pio XI chiamava peccato grave ogni atto volto a rendere infecondo il rapporto coniugale, perché così è oggettivamente; allora come oggi, si era ben consapevoli dei condizionamenti soggettivi, più o meno forti, ma si era anche coscienti del fatto che non è possibile a nessuno, se non a Dio, misurare il grado di imputabilità di un’azione. Ergo, quando si commette un peccato grave, non resta che una cosa sola da fare: prostrarsi davanti a Dio e domandare perdono, proponendo con tutte le proprie deboli forze e soprattutto confidando nella grazia di Dio, di non commetterlo più.

È stata questa infatti la linea scelta da Paolo VI, il quale declinò la pericolosa impostazione di Reuss: “Affrontino quindi gli sposi i necessari sforzi, sorretti dalla fede e dalla speranza […]; implorino con perseverante preghiera l’aiuto divino; attingano soprattutto nell’eucaristia alla sorgente della grazia e della carità. E se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita con abbondanza nel sacramento della penitenza” (HV 25).

(fonte: lanuovabq.it)


«… Pio XII aveva affermato una novità, facendo progredire il Magistero rispetto all’insegnamento del suo predecessore, aprendo ai metodi naturali… »: questa tesi di Suenens era falsa e tendenziosa, perché Pio XII non introdusse nessuna novità per superare di fatto il divieto del suo predecessore Pio XI. Lo spiegò benissimo il teologo domenicano padre Giorgio Carbone in un articolo di pochi anni su La Nuova BQ che riproponiamo in basso proprio per evitare equivoci.

Pio XI condannò i metodi naturali? Falso

Un articolo di Vatican Insider attribuisce all’enciclica Casti Connubii ciò che neanche poteva essere scritto: nel 1931 i metodi naturali non erano ancora stati messi a punto. E in ogni caso Paolo VI e Giovanni Paolo II sono perfettamente in linea con quanto sancito da Pio XI.

di P. Giorgio Carbone OP (18-12-2014)

L’uso dei cosiddetti metodi naturali è condannato da Pio XI nella Casti connubii: ho letto questo e sono sobbalzato. Ripeto testualmente le parole lette in un articolo di Vatican Insider e attribuite a Gianni Gennari (qui): «Fino al 1951 anche il solo pensiero di usare i metodi detti naturali era considerato colpa grave, peccato mortale. Nel 1931 la Casti Connubii di Pio XI era decisiva e netta: nessun metodo, e per nessuna ragione, anche quelli detti naturali!… Negli anni successivi ci fu anche nella Chiesa discussione accesa sui progestinici e dintorni e nel 1951, quando volle commemorare il ventesimo anniversario della Casti Connubii, Pio XII aveva intenzione di ripetere la condanna totale di qualsiasi metodo».

Il mio primo sobbalzo è motivato immediatamente: come è possibile che nel 1931 Pio XI abbia condannato i cosiddetti metodi naturali quando questi sono stati messi a punto molti anni dopo? Infatti la conoscenza dei giorni non fertili della donna e dei fattori che determinano la ciclicità del processo di maturazione degli ovociti è successiva al 1931. Quelli che abitualmente chiamiamo “metodi naturali” si fondano tutti sulla conoscenza della fisiologia umana femminile. Forse l’espressione “metodi naturali” non è il massimo della chiarezza perché induce alcuni a pensare che siano una semplice tecnica e quindi poi è difficile cogliere la differenza sostanziale tra questi e le tecniche della contraccezione e della sterilizzazione.

Ma il secondo sobbalzo è ancor più motivato. Sono andato a rileggere la Casti connubii (n. 2) e ho trovato: «Ma per venire ormai, Venerabili Fratelli, a trattare dei singoli punti che si oppongono ai diversi beni del matrimonio, il primo riguarda la prole, che molti osano chiamare molesto peso del connubio e affermano doversi studiosamente evitare dai coniugi, non già con l’onesta continenza, permessa anche nel matrimonio, quando l’uno e l’altro coniuge vi consentano, ma viziando l’atto naturale». Dunque Pio XI insegna – come la grande tradizione della Chiesa – che esiste una onesta continenza deliberata concordemente tra i coniugi, in ragione di tale continenza i coniugi si astengono dai rapporti coniugali. Tale astensione consensuale è un atto virtuoso, perché i rapporti coniugali non sono sempre obbligatori e quindi tale astensione consensuale non vizia il matrimonio.

Poi Pio XI prosegue: «Non vi può esser ragione alcuna, sia pur gravissima, che valga a rendere conforme a natura ed onesto ciò che è intrinsecamente contro natura. E poiché l’atto del coniugio è, di sua propria natura, diretto alla generazione della prole, coloro che nell’usarne lo rendono studiosamente incapace di questo effetto, operano contro natura, e compiono un’azione turpe e intrinsecamente disonesta».

Qui Pio XI non si riferisce all’astinenza consensuale, ma parla di quei coniugi che usando del matrimonio, cioè avendo rapporti coniugali, si adoperano per rendere tali rapporti non aperti alla possibilità di procreare un figlio: hanno rapporti coniugali ma usano strumenti contraccettivi o abortivi e così viziano l’atto coniugale, che di sua natura sarebbe onesto. Infatti, la Casti connubii è il documento ufficiale con cui il Papa reagisce alla decisione della Comunione anglicana di consentire la contraccezione. A questo proposito si legga l’interessante saggio del professor Renzo Puccetti, I veleni della contraccezione (Edizioni Studio Domenicano, 2012), che ricostruisce con perizia gli antefatti e anche le conseguenze sociali e ecclesiali.

Il card. Eugenio Pacelli (futuro Pio XII) con papa Pio XI.

«Pertanto, essendovi alcuni [si tratta degli anglicani, ndr] che, abbandonando manifestamente la cristiana dottrina, insegnata fin dalle origini, né mai modificata, hanno ai giorni nostri, in questa materia, preteso pubblicamente proclamarne un’altra, la Chiesa Cattolica, cui lo stesso Dio affidò il mandato di insegnare e difendere la purità e la onestà dei costumi, considerando l’esistenza di tanta corruttela di costumi, al fine di preservare la castità del consorzio nuziale da tanta turpitudine, proclama altamente, per mezzo della Nostra parola, in segno della sua divina missione, e nuovamente sentenzia che qualsivoglia uso del matrimonio, in cui per la umana malizia l’atto sia destituito della sua naturale virtù procreatrice, va contro la legge di Dio e della natura, e che coloro che osino commettere tali azioni, si rendono rei di colpa grave».

Ma nella Casti connubii è scritto il contrario di quanto mi ha fatto sobbalzare. Leggi un po’: «Né si può dire che operino contro l’ordine di natura quei coniugi che usano del loro diritto nel modo debito e naturale, anche se per cause naturali, sia di tempo, sia di altre difettose circostanze, non ne possa nascere una nuova vita. Infatti, sia nello stesso matrimonio, sia nell’uso del diritto matrimoniale, sono contenuti anche fini secondari, come il mutuo aiuto e l’affetto vicendevole da fomentare e la quiete della concupiscenza, fini che ai coniugi non è proibito di volere, purché sia sempre rispettata la natura intrinseca dell’atto e, per conseguenza, la sua subordinazione al fine principale».

Quindi la proposizione: «L’uso dei cosiddetti metodi naturali è condannato da Pio XI» è falsa.

È vero il contrario. Pio XI e la grande tradizione della Chiesa – che è continuata con Paolo VI con Humane Vitae e Giovanni Paolo II con Familiaris Consortio solo per citare due documenti – insegna che i coniugi sono chiamati a vivere nella continenza. Questa è la virtù, la forza interiore che dà ai coniugi la disposizione stabile a scegliere con felicità e facilità quando vivere i rapporti coniugali. I rapporti coniugali sono onesti e belli perché segno fisico-corporeo dell’amore totale e vicendevole. Quando i coniugi scelgono liberamente di compierli, li devono compiere bene sotto tutti gli aspetti (infatti l’atto umano per essere virtuoso richiede che sia buono sotto tutti gli aspetti): cioè sono chiamati a esprimere l’amore totale, esclusivo e senza riserve e quindi sono chiamati a essere aperti alla generazione. Ma i rapporti coniugali non sono sempre obbligatori: infatti i coniugi possono concordemente scegliere di astenersi da essi e tale astensione, se compiuta per motivi seri e nobili, è un atto della virtù della continenza.

Se Pio XI avesse condannato l’uso dei “metodi naturali”, Paolo VI non avrebbe potuto dichiararli leciti nell’Humanae Vitae. La tradizione dottrinale della Chiesa è una realtà vivente e come tutti i viventi nel suo sviluppo non compie salti di qualità, ma conservando la propria identità sostanziale ci aiuta a vivere nella storia la fedeltà a Cristo Signore e Maestro.

(fonte: lanuovabq.it)

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