Ai cattolici non serve un matador ma un papa

Papa Francesco a Bogotà è stato paragonato a un torero. Non ci serve un matador ma un papa che custodisca e trasmetta l’immutabile depositum fidei.

di Francesco Lamendola (11-09-2017)

Ieri papa Francesco, a Bogotà, capitale della Colombia, si è recato allo stadio coperto La Macarena – sorto, inizialmente, quale arena per la corrida dei tori – per esortare il popolo di quella nazione alla riconciliazione, dopo decenni di guerra civile. Uno zelante giornalista della Tv di Stato italiana non ha esitato a paragonare il suo ingresso in quella struttura a quello di un torero che si appresta a matar – ha detto proprio così, adoperando il verbo spagnolo per “uccidere”: forse una reminiscenza di un (allora) celebre film spaghetti-western, Vamos a matar, compañeros, di Sergio Corbucci, visto in gioventù, e complice, forse, anche la passione del papa sudamericano di mettersi in testa il sombrero per la gioia dei fotografi – ciò che si oppone alla pace in quel Paese. Bella, vero, l’immagine del papa matador, del papa ammazzasette, del papa Tex Willer, che rimette le cose a posto e che, con la sua sola presenza, spaventa e mette in fuga i diavoli dell’odio e della discordia? Già: peccato solo che non sia un’immagine cattolica, oltre a essere un’immagine di pessimo gusto. Nel cattolicesimo c’è Uno solo che compie i miracoli, Gesù Cristo; gli altri, i fedeli, compresi i santi – e non ci risulta che Bergoglio sia stato santificato già in vita, anche se molti morirebbero dalla voglia di farlo – non si limitano che a offrirsi come docili strumenti nelle sue mani. È Lui che opera tutto; gli uomini non fanno niente, se non dirgli di sì e mettersi a sua disposizione, umilmente, silenziosamente. Chi si appaga degli applausi della folla, chi si lascia quasi adorare, con tanto di statua in chiesa, ed essere oggetto di una venerazione di sapore profano – esiste un fiorente mercato di statuette e immagini “sacre” del papa regnante, così come esiste una rivista settimanale specializzata, diciamo così, nel culto della sua personalità: s’intitola Il mio papa, e al primo numero ha “tirato” 300.000 copie – costui ha dimenticato le parole di Gesù Cristo: Non c’è servo superiore al padrone. Soprattutto, ha scordato che l’unica maniera credibile di imitare Gesù Cristo, ammesso che lo si voglia fare, è quella di prendere la via della Croce, non la via degli applausi e dei trionfi mediatici, non la via dei complimenti e dei sorrisi da parte dei peggiori nemici della Chiesa e della fede cattolica, come i radicali Marco Pannella ed Emma Bonino, quest’ultima addirittura invitata in chiesa da un sacerdote a pontificare sull’immancabile questione dell’”accoglienza” ai migranti (previa copertura del Santissimo ed espulsione dei cattolici da quel luogo sacro, perché la loro presenza non era gradita). Quando la folla di Listra, in Asia Minore, voleva adorare Paolo e Barnaba come fossero dèi, perché Paolo aveva restituito l’uso delle gambe a un uomo paralitico fin dalla nascita, entrambi si stracciarono le vesti ed esclamarono: «Cittadini, perché fate questo? Anche noi siamo esseri umani, mortali come voi, e vi predichiamo di convertirvi da queste vanità al Dio vivente che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano» (Atti degli Apostoli, 14, 15).

Ma il papa Francesco, quando mai ha mostrato una simile umiltà? Quando mai ha detto: Cari fratelli e sorelle, non applauditemi, non sono una rock star; pensate piuttosto a convertirvi e a pregare il Signore? Quando mai lo si è visto inginocchiarsi, devotamente e umilmente, come tutti, davanti all’altare del Santissimo? Quando mai si è visto il papa umile, il papa semplice, il papa che si porta da sé la valigetta perfino quando sale e scende le scalette dell’aereo, e che si è pagato di tasca propria l’alloggio a Roma, all’epoca del conclave che lo avrebbe eletto pontefice dopo l’abdicazione di Benedetto XVI, mostrarsi davvero umile con chi esprimeva dei dubbi sul suo operato? Il cardinale Caffarra è morto; era già morto anche il cardinale Meisner: sono tornati a Dio due dei quattro che gli avevano presentato, rispettosamente e nelle debite forme, una lettera con i loro legittimi dubia sulla enciclica Amoris laetitia: ha forse loro risposto? Ha forse accordato loro quella udienza privata che, in alternativa, gli avevano domandato? E ha forse risposto a quei milioni e milioni di cattolici i quali, di fronte ad alcuni punti particolarmente irrituali e scioccanti di quella enciclica – specialmente quello in cui si dice (n. 303) che ciascuno è giudice della propria coscienza anche in stato di peccato, e che forse Dio non gli chiede altro da ciò che sta facendo, cioè vivere nel peccato, in quanto separato e risposato – attendevano paterni e solleciti chiarimenti? No, non ha mai risposto. Così come non ha mai dato spiegazioni sul trattamento indegno riservato dai Francescani e alle Francescane dell’Immacolata, verso i quali ha agito come se fossero dei delinquenti, o poco meno. Che cosa avevano fatto? Ammesso e non concesso che il loro fondatore avesse qualcosa di cui discolparsi, che colpe avevano tutti quei religiosi e quelle religiose? Che cosa aveva fatto meritare loro un trattamento così duro e sprezzante, così umiliante e ingeneroso? Don Scordato, a Palermo, può presentare alla santa Messa, sull’altare, due lesbiche in procinto di “sposarsi” in municipio, additandole ai fedeli come esempio di vero amore; ma i Francescani e le Francescane dell’Immacolata meritavano di essere commissariati, ingabbiati, interdetti a trasferirsi nelle diocesi per continuare il loro ministero sacerdotale, come dei lebbrosi o dei portatori di qualche altro strano, pericolosissimo morbo.

Di quale morbo si tratta? Del morbo della vera fede cattolica? Il vescovo spagnolo di Santiago, Julian Barrio, è stato lasciato libero di ordinare sacerdoti due uomini dichiaratamente omosessuali e attivi nel movimento LGBT. James Martin, un gesuita americano, può pubblicare libri e materiale in rete ove inneggia al matrimonio omosessuale e al sacerdozio omosessuale, anzi, perfino alla santità omosessuale; il suo diretto superiore, Sosa Abascal, è lasciato libero di affermare che non si sa cosa realmente Gesù abbia detto, e, per buona misura, che il diavolo non esiste, è solo una figura simbolica; monsignor Galantino è lasciato libero di dire che Dio risparmiò le città di Sodoma e Gomorra, nonostante il gravissimo peccato dei loro abitanti, contro ciò che dice esplicitamente la Bibbia; e monsignor Paglia è lasciato libero di recarsi nella sede di Radio Radicale per tenere uno sperticato elogio postumo di Marco Pannella, nel quale lo ha definito uomo di altissima spiritualità, un modello per noi tutti; e il nuovo vescovo di Ferrara, monsignor Perego, è lasciato libero di affermare che il destino storico del nostro popolo è quello del meticciato; e un parroco della diocesi di Biella è stato lasciato libero d’invitare Emma Bonino a tenere una conferenza sull’accoglienza “dovuta” ai cosiddetti migranti, lei, la signora che fin da giovane “insegnava” alle giovani donne come procurarsi l’aborto introducendo nella vulva una pompa da bicicletta (se qualcuno avesse dei dubbi, vedere le fotografie in rete, per credere); e il papa Francesco, in prima persona, ha definito la suddetta Bonino, insieme all’ex presidente Giorgio Napolitano, una “grande” italiana del nostro tempo. Però, nello stesso tempo, don Alessandro Minutella che predica il Vangelo, semplicemente, senza immigrazionismo, senza teologia della liberazione, senza elogi a don Lorenzo Milani, senza veglie di preghiera contro l’omofobia (cioè per “cancellare” il peccato contro natura), viene sbattuto fuori dalla sua parrocchia, senza tanti complimenti, dal suo zelante vescovo bergogliano, Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo. Quello stesso che tutti possono ammirare su internet mentre si fa un giro in sella alla bicicletta dentro la cattedrale della sua diocesi, nel presbiterio. Quello stesso che non ha ripreso né don Spadaro, né quell’altro prete di strada, don Fabrizio Fiorentino, ideatore dell’happy hour alla santa Messa, con bevute e balli finali in riva al mare. E a padre Giovani Cavalcoli viene proibito di parlare ai microfoni di Radio Maria, e vengono presi provvedimenti canonici contro di lui. E i giornalisti Gnocchi e Palmaro vengono cacciati fuori, anche loro, da Radio Maria, e sempre per lo stesso motivo: non sono allineati con il “nuovo corso” inaugurato da Bergoglio; vogliono restare cattolici. Fuori i don Minutella, fuori i padre Cavalcoli, via dalle scatole i giornalisti scomodi, nessuna risposta ai quattro (ora due) cardinali dei dubia, commissariati e sequestrati in convento i Francescani e le Francescane dell’Immacolta – seppelliti, per di più, sotto montagne di fango mediatico: questa è la misericordia di papa Francesco, questa è la trasparenza del papa umile e buono, e questa è la sua maniera di ascoltare e accettare le critiche, cosa di cui si è pubblicamente vantato, in un’intervista concessa a un suo fedelissimo, il direttore de La civiltà cattolica, Antonio Spadaro. Ma, da buon gesuita, aveva messo un codicillo: “Accetto le critiche che fanno crescere”. Si vede che i dubia dei quattro cardinali, che poi non erano critiche, ma, appunto, richieste di delucidazioni, e dietro le quali c’erano i voti e le attese trepidanti di milioni di cattolici, erano del genere che non fa crescere. Si vede che tutti quelli che si permettono di eccepire sulle inaudite, e, sovente, decisamente eretiche novità introdotte da Bergoglio, a cominciare da quel grido di guerra: “Dio non è cattolico”, sono critiche ingiuste e immeritevoli di qualunque risposta. Inginocchiarsi per lavare i piedi agli immigrati, specie se musulmani, quello sì; inginocchiarsi davanti alla Presenza Reale di Gesù, o semplicemente ascoltare la voce di chi vorrebbe dei chiarimenti, da chi vorrebbe capire, la voce delle pecorelle turbate, confuse, angustiate proprio da lui, il pastore al quale il Signore ha affidato il suo gregge, dai suoi atteggiamento, e da quelli di tutti i sacerdoti e i vescovi che hanno adottato il suo stile e il suo programma di “cambiamento della Chiesa”: quello, no.

Ora, ci permettiamo una domanda: di che altro c’è bisogno, cos’altro deve accadere, quale altra profanazione di Gesù Cristo, dei Sacramenti e della Chiesa cattolica deve aver luogo, perché finalmente i fedeli si rendano conto della terribile impostura che si sta ordendo ai loro danni, per trascinarli lontano dalla Verità e per spingerli verso lidi sconosciuti, verso il pianeta del relativismo e del’indifferentismo religioso, dove tutte le fedi e tutti gli dèi vanno bene per giungere alla salvezza, e dove chi si proclama cattolico, e cerca di vivere da cattolico, viene preso di mira, viene guardato di malocchio, viene sottoposto ad angherie e provvedimenti lesivi della sua libertà, della sua coscienza, della sua stessa fede? Di quali altri scandali, di quanto altro turbamento delle anime c’è bisogno, perché la gente si renda conto che questo papa non è un papa, non pensa e non sente da papa, non parla e non agisce da papa, ma da anticlericale e da modernista, cioè da non cattolico e da anticattolico? Perché la cosa sia del tutto evidente, e perché ciascuno sia costretto a trarne le debite conseguenze, che altro deve ancora accadere? Non è ancora abbastanza? Eppure, volendo, l’elenco delle eresie, degli scandali e delle bestemmie, potrebbe continuare al lungo. Oltre agli islamici invitati a pregare in chiesa, durante la santa Messa; oltre alle celebrazioni per i cinquecento anni dallo scisma di Lutero, che ora ci viene presentato come un fulgido esempio di fede e del quale il papa Francesco ha detto che ci ha fatto dei preziosi doni spirituali; oltre alla ripetizione del concetto che i giudei non devono convertirsi a Gesù Cristo e al suo Vangelo, perché sono già salvi in virtù dell’Antica Alleanza: di che cosa c’è ancora bisogno, perché ci si renda conto delle vere intenzioni di Bergoglio e dei suoi seguaci? In una chiesa cattolica di Ceuta, enclave spagnola sulla costa africana, il parroco ha autorizzato gli induisti ad entrare solennemente, in processione, con la statua del loro dio Ganesha, tra canti e fiori, per la gioia dei cattolici di quella parrocchia: bello, vero? Eppure, non si può dire che quel prete abbia commesso una fuga in avanti; al contrario, ha agito perfettamente in linea con le indicazioni post-conciliari in fatto di dialogo-interreligioso. Se tutte le religioni contengono un nucleo di verità (con la minuscola) e se non è necessario convertirsi al Vangelo per giungere alla Verità, e, quindi, alla salvezza, allora perché no? Perché un dio dalla testa d’elefante non dovrebbe entrare in una chiesa cattolica, festeggiato e adorato dai suoi fedeli, e, magari, anche dai cattolici di “buona volontà”, quelli aperti, dialoganti e misericordiosi; quelli che vogliono il meticciato e la secolarizzazione dell’Italia e dell’Europa; quelli che trovano belle, buone e vere tutte le fedi, tutte le credenze, anche l’ideologia radicale, divorzista, abortista, pro-eutanasia, pro-matrimoni gay, tranne la fede cattolica? Un dio più, un dio meno, tutto fa brodo; e anche nessun dio, o, magari, il Grande Architetto dell’universo, il dio dei massoni, anch’essi tanto stimati e ammirati da papa Francesco, per esempio nella persona di Eugenio Scalfari, che tratta da amico fraterno e che prende ad interlocutore privilegiato in occasione delle interviste più importanti.

Bruno Cornacchiola, il veggente delle Tre Fontane, ebbe in sogno, fra l’altro, la visione di un papa eretico. E disse, testualmente: «Quello che ho sognato non si avveri mai; è troppo doloroso e spero che il Signore non permetta che il Papa neghi ogni verità di fede e si metta al posto di Dio». Ciò nel 1988, durante il pontificato di Giovani Paolo II: ebbene, quel momento è arrivato. È arrivato, è sotto gli occhi di tutti. Prenderne atto è sconvolgente, è estremamente doloroso: ma sarebbe ancora peggio fare finta di nulla. Un papa non può errare in materia di fede, non può essere eretico, non può essere animato dall’intenzione di smantellare la Chiesa cattolica e, con essa, la fede dei nostri padri? Forse ci siamo cullati troppo a lungo in questa opinione, che, guarda caso, si conciliava con il nostro quietismo, con la nostra ignavia. Qualunque cosa accadesse, ci sentivamo sicuri: una tale cosa non poteva accadere. E ci siamo intiepiditi, infiacchiti; la nostra fede si è annacquata. Forse è tempo che ci risvegliamo, prima che sia davvero troppo tardi. Altrimenti, ne renderemo conto a Dio.

(fonte: accademianuovaitalia.it)

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