La necessità di contestualizzare le parole di Papa Francesco

Francesco è un papa garante, che chiede cambiamenti e nuovi processi e garantisce che tutto vada bene. Allo stesso tempo, è un papa che non ha paura di cambiare se le cose non vanno secondo quello che pensa o intende.

di Andrea Gagliarducci (14-08-2023)

La lettera di Papa Francesco ai sacerdoti della Diocesi di Roma del 7 agosto 2023 [QUI] è arrivata quasi inaspettata. Nulla faceva pensare che il Papa avesse bisogno di scrivere ai sacerdoti della diocesi che presiede, e non era un’occasione speciale. Ed è per questo che la lettera è particolarmente rilevante. Perché, come sempre, Papa Francesco usa lo stratagemma di una lettera, in forma circoscritta, per consegnare un messaggio a tutta la Chiesa.

La lettera è passata un po’ inosservata, perché il giorno dopo Papa Francesco ha cambiato forma e sostanza della prelatura personale, trasformando così l’unica prelatura personale della Chiesa, l’Opus Dei, in qualcosa di paragonabile ad un’associazione laicale. Ma questa disposizione era nell’aria; era previsto poiché il Papa era già intervenuto nella struttura dell’Opus Dei, tra l’altro, definendo che il Prelato dell’Opus Dei non potesse mai più tornare ad essere un vescovo.

Invece, la lettera ai sacerdoti della Diocesi di Roma, che potrebbe apparire prevalentemente locale, ha una duplice valenza. Da un lato, è l’ennesimo schiaffo del Papa al suo vicario per la Diocesi di Roma, il Cardinale Angelo De Donatis. Da quando De Donatis e il Papa si sono scontrati sulla gestione dell’emergenza pandemica (De Donatis aveva deciso di chiudere le chiese d’intesa con il Papa; il Papa si è poi lamentato della cosa in un’omelia a Santa Marta; De Donatis aveva detto che no, non avrebbero chiuso le chiese, ma che fosse il Papa a decidere comunque), il rapporto tra i due non è mai più stato lo stesso.

Il Papa non volle De Donatis come vicario. Il suo candidato era l’allora ausiliare di Roma, Paolo Lojudice, che era tornato prepotentemente sotto i riflettori quando il Papa lo volle come Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. La CEI, però, scelse Zuppi, e i parroci di Roma, a stragrande maggioranza, sostennero De Donatis come loro vicario. In entrambi i casi il Papa si è dovuto adattare.

Poi, De Donatis si trovò progressivamente emarginato: dalla nomina del Vicegerente Baldassarre Reina; dalla riforma della Diocesi di Roma, che equipara il vicario a qualsiasi ausiliario della diocesi; dalla nomina del nuovo Rettore del Seminario Minore Romano, Michele Di Tolve; dalla riforma della Pontificia Università Lateranense, attuata scavalcando il suo Gran Cancelliere, cioè il cardinal vicario; e ora da questa lettera.

Così, Papa Francesco lancia un messaggio inequivocabile. Nella Diocesi di Roma esiste una minaccia per i sacerdoti, una mondanità spirituale che porta al clericalismo. Nulla di nuovo, dopotutto, perché Papa Francesco lo ripete di continuo.

Allora perché la lettera? Forse per affermare che il Papa è l’unico e solo vero vescovo di Roma, per riaffermare la sua importanza, e per farlo contro ogni opinione contraria. E lasciare un’eredità o, in ogni caso, una testimonianza di quello che vuole, di quello che vuole che siano i sacerdoti. Infine, per sottolineare il dispiacere per come è gestita la Diocesi di Roma e per chiedere un cambio di rotta.

In breve, come fece in tante altre circostanze, Papa Francesco ha messo la questione direttamente nelle proprie mani. Lui è il vescovo di Roma, ha agito come un delegato speciale per l’Ordine di Malta, si è coinvolto in prima persona nella vicenda della proprietà londinese (che ora è l’oggetto di un processo in Vaticano), agisce come capo di dicasteri (ora, e per sempre, di Propaganda Fide, ma per lungo tempo come capo ufficio ad tempus della sezione di migranti e rifugiati), ed è il massimo diplomatico della Santa Sede con azioni che, a volte, oscurano la diplomazia ufficiale [QUI].

Papa Francesco è un Papa garante [QUI], che chiede cambiamenti e nuovi processi e garantisce che tutto vada bene. Allo stesso tempo, è un Papa che non ha paura di cambiare se le cose non vanno secondo quello che pensa o intende.

In breve, la lettera al clero di Roma ha molte sfaccettature. Ma, se guardi da vicino, presenta anche un altro tratto del modo di governare di Papa Francesco: l’uso di frasi e terminologie spesso decontestualizzate. Non scorrette, ma estrapolate dal contesto, e utilizzate per plasmare una precisa visione del mondo.

Così, nella lettera, Papa Francesco fa riferimento al grande teologo francese de Lubac e al suo concetto di mondanità spirituale. Tutto giusto. Ma de Lubac è anche il teologo che ha ammonito i sacerdoti a non diventare semplici funzionari governativi, cioè a non diventare loro stessi funzionari delle loro conferenze episcopali, ma piuttosto a vivere una fede viva. De Lubac è stato anche il teologo che ha evidenziato il rischio che le conferenze episcopali prendessero il sopravvento e di sacerdoti che si affidino ad una struttura amministrativa, piuttosto che evangelizzare e prendere decisioni personalmente.

Tuttavia, il Papa non accenna mai a tutto questo e usa solo la parte della “mondanità spirituale”. Eppure, ha assistito ad una sempre maggiore pervasività di conferenze episcopali, e di sacerdoti sempre più legati alle strutture governative piuttosto che alla missione pastorale negli ultimi anni. Del resto, la sinodalità che chiede Papa Francesco sarebbe una risposta a tutto questo. Però, il problema non è nel metodo o nella struttura. È nelle persone. È nella formazione personale.

Ed ecco, arriva il secondo tema decontestualizzato: il clericalismo. Parlare di clericalismo va molto di moda, e lo è anche Papa Francesco, ed è innegabile che, quando la Chiesa era ancora una struttura di potere che fu ascoltata, le questioni di potere avevano il sopravvento. Ma per clericalismo intendiamo un atteggiamento fiducioso dei sacerdoti di entrare nelle questioni politiche, un atteggiamento che guarda verso l’esterno. D’altra parte, Papa Francesco guarda dentro la Chiesa, si impegna in un cambiamento di senso, e così facendo, anche chi, alla fine, rispetta la gerarchia, in alcune circostanze diventa clericale.

In breve, questo ragionamento porta un rischio, se tutto viene contestualizzato. Ma, alla fine, non è questo che interessa a Papa Francesco. Il Papa va avanti con la sua narrativa, che deve funzionare bene. Il resto sembra essere secondario. Ma bisogna stare attenti a come Papa Francesco usa frasi e parole. Potrebbe anche voler dire il contrario di quello che dice.

(fonte: mondayvatican.com; traduzione: korazym.org)

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