Apparizioni e miracoli, Fernández distorce Benedetto XVI

Il punto nevralgico delle nuove norme del DDF è l’art. 22 §2, che limita il ruolo del vescovo all’aspetto pastorale in casi di presunte apparizioni. I motivi di questo approccio emergono nella premessa, dove l’attuale prefetto distorce Ratzinger, il cui pensiero è all’opposto di quello di “Tucho”.

di Luisella Scrosati (26-05-2024)

La pubblicazione delle Norme per procedere nel discernimento di presunti fenomeni soprannaturali suggerisce di prenderci una pausa per qualche settimana sul tema delle crisi lungo il corso della storia della Chiesa, per dedicare qualche riflessione sul senso dei fenomeni soprannaturali dal punto di vista di una sana apologetica. Si è già inquadrato (vedi qui) il problema di fondo della sostanziale frenata da parte del Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) circa la possibilità di giudicare con certezza morale della soprannaturalità di fenomeni miracolosi o “straordinari”. Ma il tema è talmente importante e la posta in gioco così alta che appare più che auspicabile ampliare le considerazioni al riguardo.

Il punto che a noi interessa porre sotto esame è l’affermazione dell’art. 22 §2, che così recita: «Il Vescovo diocesano presterà attenzione, inoltre, a che i fedeli non ritengano nessuna delle determinazioni come un’approvazione del carattere soprannaturale del fenomeno». Tutto l’operato del Vescovo, in concerto con il Dicastero, sarà d’ora in avanti dedicato all’aspetto pastorale di presunte apparizioni o miracoli, concedendo positivamente un semplice nulla osta, o un giudizio Præ oculis habeatur, oppure esprimendo, secondo una tutt’altra che chiara gradazione, pareri negativi, fino ad una definitiva declaratio de non supernaturalitate.

Prima però dobbiamo cercare di inquadrare il documento, per capire perché il sopracitato articolo ne costituisca la vera novità nonché il punto nevralgico. Nella presentazione delle Norme, il prefetto del DDF, il cardinale Victor M. Fernández, indica alcune motivazioni che avrebbero portato al recente documento. Una circoscritta riguarderebbe la necessità di «non procrastinare oltre la risoluzione di un caso specifico relativo ad un evento di presunta origine soprannaturale»; che si tratti della Regina della Pace (Medjugorje) appare piuttosto scontato. Su queste apparizioni «il Dicastero ha recentemente proposto al Santo Padre di chiudere il relativo discernimento non con una dichiarazione de supernaturalitate, ma con un Nihil obstat, che avrebbe permesso al Vescovo di trarre profitto pastorale da quel fenomeno spirituale». È piuttosto curioso che il Papa decida di chiudere un discernimento senza esprimere un giudizio, accontentandosi invece di autorizzare, per ragioni pastorali, quanto di fatto è già autorizzato. Posizione, ripetiamo, davvero singolare, dal momento che non c’è alcuna urgenza di esprimersi circa la soprannaturalità o meno di eventi che sono ancora in corso, e la cui “prova del nove” – ossia la realizzazione dei famosi dieci segreti – deve ancora verificarsi. L’affermazione lascia intendere che ci si voglia semplicemente liberare del “caso Medjugorje”, senza scontentare nessuno. Ma non sembra essere questa la ragione fondamentale delle nuove norme.

Altra argomentazione che troviamo nella presentazione: «Si deve notare, inoltre, che arrivare ad una dichiarazione di “soprannaturalità”, per sua natura, non solo richiede un tempo adeguato di analisi, ma può dare adito alla possibilità di emettere oggi un giudizio di “soprannaturalità” e anni dopo un giudizio di “non soprannaturalità”. Così come, di fatto, è accaduto». Il cardinale fa poi riferimento a «presunte apparizioni degli anni ’50», ossia quelle di Amsterdam. Il ragionamento è fallace; con la stessa logica si potrebbe vietare la vendita di una motosega, perché qualcuno l’ha utilizzata in modo improprio… Senza entrare nel caso di Amsterdam (rimandiamo qui per approfondire), che in una situazione ci sia stata confusione significa semplicemente che il giudizio è stato affrettato, che i criteri indicati non sono stati seguiti adeguatamente, ma non significa che allora non sia più possibile o adeguato esprimere un giudizio affermativo di soprannaturalità di un fatto.

Aggiunge il prefetto: «Oggi si è giunti alla convinzione che queste situazioni complicate, che producono confusione nei fedeli, debbano essere sempre evitate». Principio ottimo, ma il mezzo per raggiungerlo è del tutto sbagliato e comunque è, dal punto di vista logico, un non sequitur. Secondo Tucho, la soluzione sarebbe infatti quella di evitare «che il discernimento punti verso una dichiarazione di “soprannaturalità”, con forti aspettative, ansie e persino pressioni al riguardo». Ma la confusione si evita facendo chiarezza, non evitando di chiarire, scegliendo la strada “pastorale”.

Ad avere ansia non sono i fedeli, ma il prefetto: «Le procedure, previste dalle nuove Norme, con la proposta di sei possibili decisioni prudenziali, permettono di giungere in un tempo più ragionevole a una decisione che aiuti il Vescovo a gestire la situazione relativa a eventi di presunta origine soprannaturale, prima che essi acquistino dimensioni molto problematiche, senza un necessario discernimento ecclesiale». In verità, le Normæ del 1978 non lasciavano affatto i fedeli in una situazione da Far West; il vescovo doveva infatti prima giudicare dei fatti, secondo i criteri indicati; quindi, di fronte ad un esito positivo del primo esame, «permettere alcune manifestazioni pubbliche di culto o di devozione, proseguendo nel vigilare su di esse con grande prudenza»; infine «alla luce del tempo trascorso e dell’esperienza» emettere un giudizio di soprannaturalità. Il vescovo, dunque, aveva già in mano tutti gli strumenti per evitare che fenomeni problematici potessero proliferare. Che in alcune situazioni non siano stati utilizzati, non significa che allora non si possa più giungere ad un giudizio certo.

Ed è proprio questa la ragione del nuovo documento; e come spesso accade in questo pontificato, ci si appoggia a Benedetto XVI, ma distorcendo il senso delle sue parole. Il fatto che tra le conclusioni del discernimento dei pastori non si includerà più «una dichiarazione circa la soprannaturalità (…), cioè la possibilità di affermare con certezza morale che esso proviene da una decisione di Dio che l’ha voluto in modo diretto», sarebbe, secondo Fernández, nientemeno che la posizione di Ratzinger, espressa nell’esortazione apostolica Verbum Domini, n. 14. Il fatto di poter esprimere ormai al massimo un Nihil obstat sarebbe la conferma di quanto spiegava il Papa: riguardo a un tale fenomeno, i fedeli «sono autorizzati a dare ad esso in forma prudente la loro adesione» e si tratterebbe ad ogni modo di un aiuto «del quale non è obbligatorio fare uso».

L’intero paragrafo dell’esortazione di Benedetto XVI, però, mette esplicitamente in rilievo che il discernimento della Chiesa ha lo scopo di giungere, quando possibile, ad esprimersi non solo sull’utilità pastorale di una certa rivelazione privata, ma sulla sua verità. Così papa Ratzinger (corsivi nostri): «Il criterio per la verità di una rivelazione privata è il suo orientamento a Cristo stesso. Quando essa ci allontana da Lui, allora essa non viene certamente dallo Spirito Santo, che ci guida all’interno del Vangelo e non fuori di esso. La rivelazione privata è un aiuto per questa fede, e si manifesta come credibile proprio perché rimanda all’unica rivelazione pubblica». Si parla dunque di «verità» e di «credibilità», da cui consegue l’aiuto che una tale rivelazione può dare alla fede, per il fatto che essa ha «un certo carattere profetico» prezioso «per comprendere e vivere meglio il Vangelo nell’ora attuale; perciò non lo si deve trascurare».

Il ragionamento di Benedetto XVI è dunque l’opposto di quello dell’attuale prefetto, che infatti poco prima esprimeva la preoccupazione che un giudizio positivo circa la soprannaturalità di un fenomeno possa indurre «i fedeli a pensare» di essere «obbligati a credere in queste manifestazioni che a volte venivano apprezzate più dello stesso Vangelo». Infatti, l’argomentazione di Benedetto XVI è la seguente: quando vi sono sufficienti elementi, la Chiesa deve esprimersi sulla verità e credibilità di un’apparizione, proprio per la ragione che la rivelazione privata autentica è un aiuto, un sostegno per la fede. Il pronunciamento della Chiesa non obbliga certo a credere, né tantomeno intende “completare” la Rivelazione, ma manifesta anzitutto la possibilità di riconoscere, per così dire, il “dito di Dio”, e soprattutto mostra la propria premura che questi interventi divini non siano trascurati.

Il cardinale Fernández segue il ragionamento opposto: poiché si tratterebbe comunque di un’adesione prudenziale e non obbligatoria, la Chiesa può tranquillamente evitare di pronunciarsi sulla verità e credibilità di un evento presunto soprannaturale. Questo è il punto cruciale: per Benedetto XVI, che esprime la posizione classica della Chiesa, è importante nel processo di discernimento tendere a risolvere ogni ragionevole dubbio, a motivo dell’importanza per la fede delle rivelazioni private o dei miracoli, senza che ciò comporti obbligo di credere o adesione di fede alle decisioni della Chiesa; per Fernández si deve fare in modo da lasciare la “libertà” del dubbio ai fedeli e non giungere in alcun modo a pronunciarsi sulla soprannaturalità di un evento, cioè a non esprimersi sulla sua verità e credibilità.

Ad emergere con preoccupante rilievo non è la raccomandazione di una maggiore prudenza, ma una sostanziale impossibilità pratica (e probabilmente anche teorica) di giungere ad un giudizio prudenziale certo circa la soprannaturalità di alcuni fenomeni. Sarà questo l’argomento dei prossimi supplementi di apologetica.

(Fonte: La Nuova BQ)

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