Tutta la mitologia dei cristianesimi alternativi al cattolicesimo si sviluppa, infatti, sempre su tre matrici: l’ateismo-cristiano; il post-cristianesimo e infine, il cosiddetto pre-cristianesimo.
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Eretici e contenti
In Provincia di Biella va in scena il Festival dell’eresia. No, non è uno scherzo. Ci sono anche molti cattolici à la page e della rottura: dall’ex prete Franco Barbero a Vito Mancuso, cui non fa problema andare a parlare nelle parrocchie. E don Ciotti fa il testimonial: “Siate eretici”. Obiettivo? Combattere la dottrina con l’eresia. Che una volta veniva vista come la peste, per evitare la dannazione eterna. Oggi invece è eretta a sistema, celebrata e finanziata coi soldi pubblici.
A-teologi, come rispondere a costoro
La risposta ai teologi buonisti e modernisti è tornare a parlare del Peccato e della Grazia.
“Bravi discepoli” del “Cattivo Maestro” crescono
«Ama la terra come te stesso», «Dio antifascista», «gattini che ci guardano curiosi»: da Enzo Bianchi a Vito Mancuso è tutto un fiorire di tweet che pretendono di essere intelligenti nel loro inseguimento del mondo. E sarà Ermanno Olmi a raccontare il maestro di costoro, il cardinale che riteneva la Chiesa in ritardo di 200 anni.
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Il ribelle Vito Mancuso si agita ma non convince
Pesca dal prontuario dell’anticlericalismo pur di opporsi alla Chiesa.
23 gennaio 2014
La Commissione Teologica Internazionale, presieduta dal prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, mons. Gerhard L. Müller, ha pubblicato in questi giorni un utilissimo documento intitolato Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza.
Il testo è dedicato ad approfondire «alcuni aspetti del discorso cristiano su Dio, confrontandosi in particolare con le teorie secondo le quali esisterebbe un rapporto necessario fra il monoteismo e la violenza». Il documento ha confutato queste teorie innanzitutto rilevando che la nozione di “monoteismo” sia generica per indicare Ebraismo, Islam e Cristianesimo e criticano la «semplificazione culturale che riduce l’alternativa fra un monoteismo necessariamente violento e un politeismo presuntivamente tollerante». Viene anche sottolineato che la «fede cristiana riconosce nell’eccitazione alla violenza in nome di Dio, la massima corruzione della religione», ribadendo che «le guerre interreligiose, come anche la guerra alla religione, siano semplicemente insensate».
La riflessione sottolinea che la morte e la resurrezione di Gesù sono la «chiave della riconciliazione fra gli uomini» e la «rivelazione iscritta nell’evento di Gesù Cristo, che rende apprezzabile la manifestazione dell’amore di Dio consente di neutralizzare la giustificazione religiosa della violenza sulla base della verità cristologica e trinitaria di Dio». Dal punto di vista cristiano nessuno è giustificato a parlare di violenza religiosa perché «la rivelazione cristiana purifica la religione, nel momento stesso in cui le restituisce il suo significato fondamentale per l’esperienza umana del senso». I teologi esortano, pertanto, a «trattare sempre congiuntamente il contenuto teologico e lo sviluppo storico della rivelazione cristiana di Dio». Infatti chiunque commetta violenza, anche tra i cristiani stessi, si metterà sempre contro al Vangelo: «nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza», ha spiegato Benedetto XVI. «Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura».
La Sottocommissione che ha lavorato al documento è composta da importanti studiosi di tutto il mondo, scelti dal Papa in quanto «eminenti per scienza, prudenza e fedeltà verso il Magistero della Chiesa». L’unico italiano è Pierangelo Sequeri, preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, dove è anche professore ordinario di teologia fondamentale. Ed è anche l’unico, per obbligo geografico, ad aver sentito nominare almeno una volta il teologo di Carate Brianza, Vito Mancuso, fatto diventare famoso al grande pubblico dal quotidiano “Repubblica” per la sua avversione alla Chiesa. Il nemico del mio nemico è mio amico, ha pensato furbescamente Eugenio Scalfari quando gli ha affidato l’editoriale.
Mancuso ha ovviamente approfittato della pubblicazione del documento per tentare ancora una volta lo scontro, la divisione e mostrare narcisisticamente la sua ribellione, esattamente contro il messaggio di Papa Francesco. La banalità della critica del teologo Mancuso è la cifra della sua ininfluenza nel pensiero teologico moderno: egli sostiene che la cultura laicista ha ragione a parlare del cristianesimo in termini violenti e per giustificarlo va a pescare direttamente dal prontuario del fondamentalismo ateo: crociate, Inquisizione, Galilei, lotta all’eresia e conversioni forzate… manca solo il Pio XII nazista e Benedetto XVI pedofilo per toccare tutti i cavalli di battaglia degli anticlericali di professione. Ovviamente, non poteva nemmeno tralasciare un elogio della non-violenza del buddhismo e dell‘induismo, ignorando completamente cosa sia il buddhismo (lui lo associa alla dieta vegana e allo yoga-fitness) giustificando di conseguenza come non violenza la divisone razziale insita nell’induismo (sotto il quale i cristiani sono massacrati, senza che Mancuso abbia mai sentito il bisogno di scrivere un editoriale su questo), che considera i paria (i più poveri, i fuori casta) delle “non persone”, la cui redenzione sociale è stata possibile, ed è tutt’ora possibile, solo grazie ai missionari cristiani (da Madre Teresa di Calcutta in giù).
Per Mancuso non è stato Gesù Cristo a portare la non violenza tra gli uomini chiamandoli “fratelli” e invitando ad “amare i propri nemici” (concetto inesistente prima di lui), non è stata la Chiesa nei tempi moderni a scongiurare la guerra e la divisione tra gli uomini, abbattendo il muro di Berlino. No, sono state le «battaglie del mondo laico che, togliendole potere, le hanno permesso di tornare a essere più fedele alla propria essenza». Tutti infatti ricordano le battaglie laiche del secolo scorso, promosse da esponenti di primo piano come Stalin, Lenin, Mussolini, Pol Pot, Hoxa, Tito e tutti i grandi imperatori laici e devoti dell’ateismo di Stato. Ancora una volta Mancuso tradisce la memoria del compianto card. Carlo Maria Martini, di cui vorrebbe inutilmente essere il successore, quando nel famoso discorso del 1988 a Leningrado ha affermato: «Ogni volta che si è rifiutato Dio, se ne è perso o sminuito il senso o lo si è presentato in modo scorretto, ci si è incamminati verso forme più o meno larvate di decadenza dell’uomo e della stessa convivenza sociale”». Altro che le battaglie laiche di Mancuso.
Gesù dice di sé: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me […] Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. [….] Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.» (Gv 14 e 15). Il teologo di “Repubblica” inorridisce per queste frasi politicamente scorrette e bacchetta Gesù Cristo rammentandogli «il bene che deriva dal prendere coscienza della relatività delle proprie posizioni» e che è «dall’assolutismo, che nascono l’intolleranza e la violenza». Gesù avrebbe dovuto ascoltare le indicazioni assolutiste, e ben poco relativiste, di Mancuso e dire piuttosto: “Io, se posso permettermi, spero di essere la via, forse la vita, sicuramente non la verità perché non esiste. Dovete fare a meno di me, ognuno segua la sua verità”. Allora sì che sarebbe stato, anche lui, editorialista di “Repubblica”.
Le posizioni di Mancuso sono sempre più estremiste e riflettono sempre di più il suo allontanamento dal cristianesimo. Perfino un laico come Jürgen Habermas, tra i maggiori filosofi viventi, ha riconosciuto che «l’universalismo egualitario –da cui sono derivate le idee di libertà e convivenza sociale, autonoma condotta di vita ed emancipazione, coscienza morale individuale, diritti dell’uomo e della democrazia- è una diretta eredità ebraica della giustizia e dell’etica cristiana dell’amore. Questa eredità è stata continuamente riassimilata, criticata e reinterpretata senza sostanziali trasformazioni. A tutt’oggi non disponiamo di alternative. Anche di fronte alle sfide attuale della costellazione postnazionale continuiamo ad alimentarci a questa sorgente. Tutto il resto sono chiacchiere postmoderne» (J. Habermas, Tempo di passaggi, Feltrinelli 2004 p. 128,129).
L’intento di Mancuso era più che prevedibile ma come portavoce del laicismo ci si aspettava più coraggio sul passato e più umiltà sul presente, senza questa paura verso la modernità. L’amore per lo scontro e per la divisione dovrebbero essere messi da parte se vorrà essere veramente del tutto libero dalla violenza.
© UCCR
L’inquietante catechismo della coppia Fazio – Mancuso
di Giampaolo Scquizzato (03/11/2013)
Negli ultimi tempi raramente mi soffermo, la domenica sera, a fare zapping tra i vari programmi tv. Domenica 20 ottobre scorso ho fatto capolino, tra un risultato sportivo e l’altro, sulla puntata della trasmissione di Fabio Fazio “Che tempo che fa”. Questa volta ho deciso di fermare il telecomando: il primo ospite era il sedicente “teologo” Vito Mancuso. Il colloquio era già iniziato da alcuni minuti, ma, alla luce di quello che ho sentito, i giorni scorsi sono andato nel web per ascoltare l’intera intervista.
Già avevo letto alcuni passi dei libri di Mancuso e “assaggiato” in qualche video o articolo il suo pensiero. Per l’ennesima volta ho avuto l’impressione dell’allergia, della repulsione che Mancuso ha per la tradizione, per il Magistero e per molte verità della fede cattolica. Con la furbesca collaborazione del conduttore genovese,che non vede l’ora, dal pubblico canale di Rai Tre e dal palco dell’Ariston di lanciare, con soporifero savoir faire, bordate ad una Chiesa “retrograda e antimoderna”, è andata in onda una palese proposta di ribellione nel confronti di catechismo, dogmi, Magistero e Tradizione cattolica. Il gatto Mancuso e la volpe Fazio hanno sentenziato che la Bibbia e il Magistero in gran parte sono superati o da riformare, che il canone delle sacre Scritture è solo quello dei Vangeli (e solo alcuni passi ovvio, tolti quelli più scomodi) e che il catechismo è ormai un’enorme palla al piede.
Ma, perché non crediate che siano mie invenzioni, lasciamo parlare il gatto e la volpe, riportando buona parte del contenuto dell’intervista.
1)FAZIO:”la differenza tra il pensiero di Ratzinger e papa Bergoglio è che papa Bergoglio ha assunto come punto di vista il bene del mondo”.
MANCUSO: […]”Ci sono 2 modi di fare teologia La prima modalità è quella più tradizionale è quella che pensa a partire dal passato, dalla coerenza con il patrimonio dottrinale e quindi è anzitutto preoccupato dell’ortodossia del fatto che la gente pensi quello che si è sempre pensato ed è sostanzialmente una modalità che ha paura delle novità, dei cambiamenti, delle evoluzioni…C’è una seconda modalità di fare teologia che non guarda al passato e guarda al presente, ai problemi reali delle persone e di volerli risolvere e pensa alla chiesa non come a una cittadella che deve difendere il deposito ma come a un ospedale da campo [..] Ed è per questo che ci rendiamo conto che questo Papa ci vuole bene, ha interesse alle nostre ferite”.
OSSERVAZIONE: che mi risulti la Tradizione apostolica (a cui credo volesse anche fare riferimento Mancuso quando parla di passato, tradizionale, dottrina e ortodossia: 4 parole da far rizzare i capelli) è una delle fonti della Divina Rivelazione, uno dei capisaldi della nostra fede, del depositum fidei, come afferma anche il Concilio Vaticano II: “Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta la rivelazione del sommo Dio, ordinò agli Apostoli, comunicando loro i doni divini, di predicare a tutti il Vangelo che, promesso prima per mezzo dei profeti, egli aveva adempiuto e promulgato con la sua parola, come fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale” (Costituzione dogmatica Dei Verbum, n. 7). Il catechismo della Chiesa cattolica al n. 78 afferma che “questa trasmissione viva, compiuta nello Spirito Santo, è chiamata Tradizione, in quanto è distinta dalla Sacra Scrittura, sebbene sia ad essa strettamente legata. Per suo tramite “la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni, tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede” (Dei Verbum n. 8)”. E ancora “La sacra Tradizione e la sacra Scrittura sono tra loro strettamente congiunte e comunicanti. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine” (Dei Verbum, n. 9) Chiedo a Mancuso: dobbiamo spazzare via duemila anni di Tradizione, Magistero e dottrina? A quanto sembra il Concilio Vaticano II ha detto di no e a quanto pare si può pensare alla Chiesa anche come ad un ospedale da campo, ma non senza il deposito perché è lo stesso Gesù Cristo che ha consegnato agli Apostoli le “chiavi” della sua Chiesa per legare e sciogliere e per tramandare l’insegnamento divino. Che forse gli Apostoli, i discepoli, i santi, i papi, le encicliche, i concili non possono essere raccontati, studiati, meditati e insegnati? O disturbano la teologia di Mancuso? Un po’ di rispetto per chi due millenni addietro e tutt’oggi in nome di Gesù Cristo e della sua buona novella offre la vita per la Chiesa: sanguis martyrum semen Christianorum!
2) FAZIO: (riferendosi alla frase del Papa di ritorno dalla Gmg) “chi sono io per giudicare… è una frase importante […]”.
MANCUSO: ”è la frase di un uomo che sa quanto è difficile la vita, quanto è complesso l’animo umano, quanto è complessa la nostra storia, per siamo fatti così”.
Beh, mi permetto di dire che anche Benedetto XVI (quello “del pensiero di Ratzinger” di cui sopra) sa quanto è complesso l’animo umano e quanto è complessa la nostra storia, soprattutto quella degli uomini di Chiesa e degli uomini e donne di oggi: propongo a Mancuso la lettura di “Luce del mondo: il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione di Peter Seewald” di Benedetto XVI. Non rientra certo in quel modello di teologia “che ha paura delle novità, dei cambiamenti, delle evoluzioni”, ma anzi le affronta con coraggio e a viso aperto.
3) FAZIO: “a un teologo si può chiedere perché è stato creato il mondo…ti chiedo se secondo te (ne parli diffusamente nel libro) questa creazione è avvenuta secondo una logica o secondo un principio casuale, caotico?
MANCUSO: “[…]naturalmente non esiste la risposta, esistono tentativi di venire a capo di questo immenso problema […] perché ci siamo? noi non possiamo dire perché è stato creato l’universo talmente è vasto […]possiamo partire da noi stessi e dire “quando è che io compio me stesso? Quando la mente sa, quando c’è la comprensione, quando si comprende e quando questa comprensione diventa motivo di un’azione buona armoniosa .Io parlo di intelligenza della bontà: io non riesco a trovare in questo ammasso di caos e di ordine, perché è evidente che c’è il caos […] ma è altrettanto evidente che c’è l’ordine, altrimenti saremmo fermi al caos primordiale[…] A cosa serve tutto questo […]? A generare la mente e una mente che diventa cuore […] a una mente che riproduce mentre capisce la logica di armonia relazionale che l’ha creata”.
OSSERVAZIONE: a me piace credere con la Chiesa che “l’intelligenza umana può già trovare una risposta al problema delle origini. Infatti è possibile conoscere con certezza l’esistenza di Dio Creatore attraverso le sue opere grazie alla luce della ragione umana, anche se questa conoscenza è spesso offuscata e sfigurata dall’errore . Per questo la fede viene a confermare e a far luce alla ragione nella retta intelligenza di queste verità: “Per fede sappiamo che i mondi furono formati dalla Parola di Dio, sì che da cose non visibili ha preso origine ciò che si vede (Eb 11,3)” (Catechismo Chiesa cattolica n. 286). Dal nulla Dio ha creato il mondo che non è prodotto di un destino cieco né tanto meno del caos ma della volontà, della saggezza e della bontà di Dio il quale ha fatto e fa partecipare le creature al suo essere e alla sua bontà: “Tu hai creato tutte le cose, per la tua volontà furono create e sussistono” (Ap 4,11). La creazione è guidata e governata dalla divina Provvidenza e non è definitivamente compiuta da Dio, ma è in statu viae, cioè è indirizzata da Dio verso la perfezione ultima, cosicché accanto al bene fisico c’è anche del male fisico, ma tutto è ordinato da Dio per il bene degli uomini suoi figli: recuperando le parole di san Tommaso Moro, che la Tradizione della Chiesa fa proprie, “Non accade nulla che Dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio”.
4) FAZIO: “ci sono due conseguenze che derivano da questo tuo discorso che affronti nel libro: la prima è l’esistenza del male, […] perché un essere infinitamente buono, onnipotente, crea anche la possibilità del male? Mi pare che la tua risposta sia rivoluzionaria, perché non è onnipotente, […] un Dio che soffre l’esistenza del male come necessario per la condizione di libertà […] quindi un Dio non onnipotente che non è esattamente una cosa da poco; e la seconda che in questo processo di questa creazione continua di un universo che si espande vale anche per Dio secondo te: Dio quindi non è un essere perfetto finito e assoluto ma si sta evolvendo insieme a noi?”
MANCUSO:” non è una cosa da poco, è una cosa immensa togliere l’onnipotenza a Dio tant’è che quando vado a Messa [… ]e recito il Credo: Credo in un solo Dio Padre O… e lì sono un po’ a disagio con me stesso. […] La realtà dice un’altra cosa rispetto all’onnipotenza del bene e all’onnipotenza della giustizia […] L’onnipotenza divina è qualcosa che va rivista alla luce della passione di Gesù […] Basta leggere il Vangelo per capire che tipo di onnipotenza […]”.
OSSERVAZIONE: Caro Mancuso, è per fede che dobbiamo credere all’onnipotenza di Dio e anche proclamarla: “Senza credere che l’amore di Dio è onnipotente, come credere che il Padre abbia potuto crearci, il Figlio riscattarci, lo Spirito Santo santificarci? (Catechismo Chiesa cattolica n. 278). E ancora: “La ferma persuasione dell’onnipotenza divina vale più di ogni altra cosa a corroborare in noi il doveroso sentimento della fede e della speranza. La nostra ragione, conquistata dall’idea della divina onnipotenza, assentirà, senza più dubitare, a qualunque cosa sia necessario credere, per quanto possa essere grande e meravigliosa o superiore alle leggi e all’ordine della natura. Anzi, quanto più sublimi saranno le verità da Dio rivelate, tanto più agevolmente riterrà di dovervi assentire”. Per quanto riguarda il male sappiamo che esso, a quanto dice san Tommaso (Summa Theologiae I, 48), non è un’entità positiva giacchè solo il bene è l’entità e la perfezione di una cosa mentre il male è privazione o carenza di essere o di perfezione (es.: quando sono ammalato mi manca la salute, la piena integrità di un organo). L’Aquinate osserva che tuttavia il male è presente nelle cose per una sorta di necessità, perché la perfezione dell’universo, che ricordiamo è in statu viae, richiede diversità di grado tra enti incorruttibili e enti corruttibili. Il male consiste in questa corruzione ma non è mai fine a se stesso ma anzi consente alcuni beni (Tommaso ad esempio dice che non ci può essere fuoco senza corruzione dell’aria). E, vieppiù, non è Dio la causa del male perché Dio (checché ne dica Fazio) è assoluta perfezione, è l’essere perfetto (Es 3,14: Ego sum qui sum) e può permetter alcuni mali, come detto, per la perfezione dell’universo.
5) FAZIO: “[…]il peccato originale allora è difficile a quel punto accettarlo come spiegazione”
MANCUSO: “è difficilissimo tant’è che io lo critico in questo libro potentemente […] Il peccato originale vive di un’idea, di un’impostazione sbagliata che è la seguente: l’incapacità di accettare il caos. C’è un mito alla base del cristianesimo tradizionale, il mito della perfezione iniziale, cioè che il mondo è stato creato perfetto e poi che il male e l’ingiustizia che indubitabilmente ci sono nel mondo arrivano in un secondo tempo a seguito del peccato dell’uomo, il quale uomo oltre a subire il male si trova anche caricato della colpa […] Bisogna toglierci, eliminare, sbarazzarci di questo mito della perfezione iniziale e pensare il mondo quale esso è processo, evoluzione, caos più logos […] E’ del tutto evidente che Dio fa parte di questo processo” FAZIO: “Quindi non è un essere perfetto se cambia, se si evolve, non è assoluto”.
OSSERVAZIONE: un’altra verità di fede “bannata” completamente dal nostro duetto perché le cose difficilissime a capirsi, secondo Mancuso, non posso essere vere né tanto meno credute. Un mix di evoluzionismo, scientismo ed illuminismo modernista. In base a cosa sia evidente che Dio stesso fa parte di un processo evolutivo di caos e logos non è dato a sapersi, se non per il fatto che, forse, anche il principio di non contraddizione è stato eliminato da Mancuso, con il placet scontato di Fazio. Mi chiedo: ma se fosse stato tutto così semplice, se la Verità fosse stata a portata di mano, cosa ci sarebbe venuto a fare Gesù Cristo sulla terra se non per mostrarci la Via, la Verità e donarci la Vita? Ecco che “La Chiesa, che ha il senso di Cristo, ben sa che non si può intaccare la rivelazione del peccato originale senza attentare al mistero di Cristo” (Catechismo Chiesa cattolica n. 389): con il racconto della caduta dei nostri progenitori (Gn 3) la Divina Rivelazione ci offre la certezza di fede che tutta la storia dell’uomo è segnata da questa colpa originale, primordiale. La Scrittura ci insegna che all’origine di questa caduta c’è il diavolo, seduttore e omicida da principio, angelo decaduto che ha tentato Adamo ed Eva: l’uomo era stato creato buono, a immagine e somiglianza di Dio, ma pur sempre creatura limitata, finita che deve sottomettersi e rispettare Dio creatore, la sua legge, il suo amore per l’uomo, affidandosi alla sua Provvidenza. Ma l’uomo abusando della libertà concessagli ha disobbedito, si è rivoltato contro Dio, ribadendo il non serviam! diabolico degli angeli ribelli. Ecco così che ogni peccato successivo a questo peccato originale “sarà una disobbedienza a Dio e una mancanza di fiducia nella sua bontà” (Catechismo Chiesa cattolica n. 397).
Ed ecco il rush finale…
6) FAZIO: “per tanto tempo si è cercato di piegare alla dottrina, ai dogmi l’esperienza scientifica […] la Bibbia era la verità e tutto quello che era contro era eretico […] Adesso non c’è il rischio contrario di piegare la dottrina e Dio in modo che si concili con quello che la scienza ci ha insegnato […]”
MANCUSO: “non è un rischio, è un dovere, bisogna guardare in faccia la realtà […] Per quella impostazione che pensa che il compito della teologia sia quello di salvaguardare un deposito già dato, chiuso e non fare i conti con la realtà certo questo è un rischio”
FAZIO: “questo però porta alla necessità di rivedere il cristianesimo che tu giudichi sempre meno credibile addirittura, sempre più sorpassato […]”
MANCUSO: “no, non il cristianesimo, la concezione tradizionale depositata nel catechismo […]”
FAZIO: “il catechismo sì mi sono espresso male…”
MANCUSO : “diciamo la dottrina consolidata, ma se per cristianesimo si intende i Vangeli, si intende Gesù, la sua azione, la sua passione, le beatitudini, tutto questo non è per niente superato e il Papa lo dimostra, certo la dottrina va rivista…”
OSSERVAZIONE: Ecco: al rogo tutti i catechismi, dal quello tridentino a quello del 1992, passando per quello di san Pio X. Per quanto riguarda le osservazioni sul punto, è sufficiente confrontare il primo punto.
7) FAZIO: cosa vuol dire per te credere in Dio?
MANCUSO: “per me credere in Dio, Fabio, significa, credere che quella passione per il bene e per la giustizia che muove dentro di me ogni tanto non è un’illusione, non è semplicemente un portato psicologico, non è un’invenzione mia […] ma è l’attestazione di una realtà più profonda, questa realtà più profonda che è bene che è giustizia dagli uomini tradizionalmente è chiamata Dio.”
OSSERVAZIONE: qui viene gettata finalmente la maschera, perché credere in Dio non è credere in Gesù Cristo incarnato, morto e risorto per la nostra salvezza, non nella Rivelazione Divina né nell’insegnamento della Chiesa, ma in un più generico e relativistico senso di bene di giustizia, una passione che muove dentro (che certo non è la Passione di Nostro Signore Gesù Cristo). Dispiace contraddirla, caro prof. Mancuso, ma anche Papa Francesco ha detto che trovare Gesù fuori dalla Chiesa non è possibile (catechesi del 23 aprile) e che la Chiesa non è una Ong, né un’agenzia umanitaria, né un negozio (catechesi del 23 ottobre): quindi il bene e la giustizia che la muovono dentro o sono una sua invenzione (sic!) oppure li ha ereditati da qualche benpensante del passato (che di certo non è Gesù Cristo, né il Vangelo, né l’insegnamento della Chiesa). Che poi ci sia una contraddizione ancora più grossa laddove, dopo aver per tutta l’intervista sbeffeggiato la Tradizione cattolica, utilizza, infine, quasi con un sussulto di pentimento, l’espressione “dagli uomini tradizionalmente chiamata Dio”: naturalmente, possiamo esserne certi, egli non intendeva la Tradizione quale fonte della Divina Rivelazione.
© Riscossa Cristiana
Ecco cosa pensano i veri teologi di Vito Mancuso
I colleghi lo rifiutano come teologo, compresi i suoi professori universitari.
Per il teologo di Repubblica Vito Mancuso felicità è: «rispettare le regole»
Un commento dell’intellettuale brianzolo sullo scandalo hard di Firenze si trasforma in una incomprensibile lezione di etica. Cattolica? No, legale.
Per il teologo di Repubblica Vito Mancuso felicità è: «rispettare le regole»
Mancuso, teologo senza Dio
In un recente articolo scrive del rispetto che si deve a chi ha deciso liberamente di porre fine ai suoi giorni. Come dire: prestare la corda a chi si vuole impiccare. Soltanto un grande vuoto umano può propagandare e giustificare la solitudine che uccide.
di Angelo Busetto (15-05-2013)
Letture: ci sono quelle buone e quelle cattive. Tra le cattive ne registro un mazzetto. Per intanto, quella di un autore che si definisce e si fa definire ‘teologo’, Vito Mancuso. Qualche tempo fa avevo letto con una certa simpatia qualche suo intervento, nel tentativo di riconoscergli lo sforzo di avvicinare la teologia ai problemi dell’uomo d’oggi. Ormai però mi sembra di vederlo imbarcato con l’equipaggio di chi si fa servo dei luoghi comuni ampiamente propagandati sui mass-media.
In un recente articolo, dopo un elaborato argomentare venato di richiami cristiani, Mancuso scrive: “E se un essere umano ha liberamente scelto di mettere fine alla sua vita-bios perché per lui o per lei l’esistenza è diventata una prigione e una tortura, chi veramente vuole il “suo” bene, chi veramente si dispone con vicinanza solidale alla sua situazione, lo deve rispettare”. Come dire che se io vedo un uomo o una donna determinati a tentare il suicidio, ‘per il bene che gli voglio’ gli presto anche la corda.
Non so quale condizione personale viva Mancuso, ma certamente appare un uomo solo, che non vede e non sa immaginare altra ‘vicinanza solidale’ verso il prossimo in difficoltà se non quella di collaborare alla sua disperazione. E’ strano che un ‘teologo’ non abbia in mente e non suggerisca la via della carità, della vicinanza, del sostegno fraterno, che ha salvato e salva ogni giorno persone disperate o travolte da situazioni tremende, malati terminali, uomini e donne soli. Nelle situazioni difficili e nei grandi dolori, la nostra società chiama all’appello schiere di psicologi specializzati nell’assistenza alle persone colpite. Potrà essere una salutare garza sulla ferita.
Ma certi dolori colpiscono il profondo del cuore, che solo una ‘medicina diversa’ può guarire. Perché dunque essere così reticenti nell’annunciare la fede, nel proporre Cristo Crocifisso e Risorto? E’ la missione di ogni cristiano, teologo o prete o laico o padre o madre o amico o collega. E’ il dono che è stato fatto a noi in favore di tutti. Perché lasciarci nel deserto, come se Cristo non fosse ancora vivo, non potesse percorrere le nostre strade, non potesse entrare nelle nostre case, raccogliendo i tormenti e le attese della vita? Dice il Vangelo che se un figlio ci chiede un pane, non gli daremo certo un sasso. Se c’è bisogno di speranza, di carità, di vicinanza, di aiuto concreto, non possiamo propagandare e giustificare la solitudine che uccide.
La denigrazione del cattolicesimo
di P. Giovanni Cavalcoli, OP, da Riscossa Cristiana (20/11/2012)
All’interno della Chiesa cattolica sta avanzando un fenomeno sconcertante dalle dimensioni mai finora esistite in tutta la storia della Chiesa, in quanto utilizza forze ufficiali della Chiesa stessa: la denigrazione dello stesso cattolicesimo fatta con vari metodi e modalità che adesso cercherò di descrivere, accennando poi brevemente a come ci si potrà liberare da questa “sporcizia” che sta sfigurando orribilmente il volto della Sposa di Cristo.
Tutto è partito, come ormai si sa, dal gravissimo fraintendimento degli insegnamenti conciliari ad opera di un rinato modernismo mascherato da “progressimo” e non sufficientemente represso sin dagli inizi, anzi a volte elogiato, dallo stesso episcopato, esclusa comprensibilmente Roma, la quale però si è trovata isolata ed inefficace nei suoi numerosissimi interventi magisteriali per la mancanza dell’appoggio dello stesso episcopato.
Un generale senza l’esercito può combinare ben poco. Questa è la tragedia della Chiesa di oggi. Finchè i vescovi non si decidono a fare il loro dovere obbedendo al Papa ed al Magistero con coraggio e sapienza, la situazione peggiorerà sempre di più e i modernisti aumenteranno la loro arroganza e la loro prepotenza, nonché il loro prestigio presso una massa enorme di cattolici ormai completamente frastornati ed ingannati dalle loro imposture.
I modernisti fanno di tutto per presentare i veri cattolici sotto un aspetto odioso, isolandoli, diffamandoli e screditandoli, anche se si tratta del Papa, di cardinali o di vescovi o di sacerdoti o di religiosi o di teologi o di fedeli degnissimi. Finora i modernisti hanno usato soprattutto una intimidazione meramente psicologica. Ma, dato che essi hanno aumentato il potere in molti posti, intervengono apertamente con veri e propri mezzi coercitivi e vessatori, per impedire ai cattolici di farsi sentire e di denunciare le eresie del modernismo, proprio quei cattolici che illuminano e confortano i fedeli e avvertono e correggono quelli che si sono lasciati irretire dall’errore.
Presento in pochi punti la via seguita dai modernisti.
Innanzitutto – e questo è un argomento che ho già avuto modo di trattare su questo sito – guastando la retta definizione di “cattolicesimo” data dall’unico organo deputato a ciò, ossia dal Magistero della Chiesa Cattolica. Tale definizione si ricava soprattutto da quell’autorevolissimo documento ufficiale che è il Catechismo della Chiesa Cattolica, il quale continua e nello stesso tempo sviluppa altri importantissimi documenti del genere dei secoli passati, come il famoso Catechismo del Concilio di Trento o il Catechismo di San Pio X o, per citare un documento più recente, il “Credo di Paolo VI” pubblicato nel 1968.
I modernisti si sforzano in tutti i modi di rendere il termine “cattolico” quanto più sincretistico, confuso e contradditorio possibile, inserendo in esso gli attributi più arbitrari e contrari al vero cattolicesimo, così da togliere ai fedeli un criterio chiaro, oggettivo e sicuro di valutazione e discernimento che consenta di distinguere ciò che è cattolico da ciò che non lo è.
Certi modernisti, cioè i più spinti, non hanno la sfacciataggine di dirsi “cattolici”, ma si presentano come semplicemente “cristiani”, considerando peraltro il cattolicesimo come denominazione settaria o “confessionale”, mentre per loro esser “cristiani” è segno di una maggiore apertura mentale e disponibilità al dialogo. Altri invece, come Vito Mancuso, affermano di “restare per sempre nella Chiesa cattolica”, nonostante abbia scritto un libro di enorme successo nel quale dice di rifiutare almeno quattro dogmi della Chiesa cattolica. Così pure è da molti considerato “cattolico”, Karl Rahner nel cui pensiero sono state individuate molte eresie [1].
In secondo luogo, i modernisti hanno creato due figure di “cattolico” in opposizione tra di loro non secondo il criterio più ovvio del cattolico buono e di quello cattivo, criterio che loro irridono come infantile, “manicheo” ed astratto, ma secondo due categorie artificiose – queste sì astratte e manichee – da loro inventate o desunte dalla politica, come: “cattolico di sinistra” (corrispondente a quello buono) e “cattolico di destra” (cioè quello cattivo), oppure desunte dall’ideologia illuminista-massonica sette-ottocentesca: “progressista”, “avanzato” o “maturo” o “adulto” (il buono) e conservatore, superato, reazionario o tradizionalista (il cattivo), senza contare tutta un’ulteriore variopinta serie di altri aggettivi, ben noti e che non sto qui ad elencare. Si tratta di attributi senza alcun fondamento morale, evangelico ed ecclesiale, ma raccattati qua e là da altre correnti o ideologie, come il marxismo, il liberalismo, l’islamismo, il protestantesimo, la politica da strapazzo e via discorrendo.
Naturalmente i modernisti, mancando, per la natura stessa della loro ideologia, di autentici riferimenti fondamenti teoretici seri ed oggettivi, dato che loro stessi predicano il relativismo e l’evoluzionismo concettuale, e fondano la loro “teologia” su di un modo di pensare che non è vero pensiero ma emotività irrazionale fatta di slogan, frasi fatte e luoghi comuni, non hanno alcun serio argomento per squalificare i veri cattolici e per sostenere la loro posizione.
Non osano quindi far ricorso alle categorie normali del vero e del falso [2], dell’ortodosso e dell’eretico, semmai all’opposizione tra “ciò che va oggi” (“vero”) e “ciò che andava ieri” (“falso”), oppure: “preconcilio” (“falso”) e “postconcilio” (“vero”) e sciocchezze del genere, cercando piuttosto di suscitare con quegli slogan rozze emozioni che siano tali da provocare simpatia e ammirazione per il modernista, nonché antipatia, ripugnanza e disprezzo per il retrogrado “tradizionalista lefevriano”.
Per i modernisti quei cattolici che denunciano la drammaticità della situazione attuale della Chiesa, sono quegli uggiosi e brontoloni “profeti di sventura”, dai quali prese le distanze Papa Giovanni, e la Madonna, che a Medjugorje ci avverte del rischio del castigo divino, è semplicemente una seccatrice, che farebbe bene a stare in cielo senza venire sulla terra a rompere le uova nel paniere.
Al contrario, secondo il card. Martini, “mai la Chiesa è andata bene come oggi”, salvo poi a dichiarare pochi mesi dopo, prima di presentarsi al giudizio divino, che “la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni”. Allora quale Chiesa? Quella di Benedetto XVI, naturalmente, mentre la sua è perfettamente è all’altezza dei tempi e guida dell’umanità verso le “magnifiche sorti e progressive”, per dirla con le famose parole della Ginestra di Giacomo Leopardi.
Per i modernisti i veri cattolici “non sono evolutivi”, sono delle persone rigide, chiuse in aride formule, ferme alle idee del pre-concilio, non capiscono cosa sia il progresso. E certo i veri cattolici non accettano il falso progresso di marca illuministica ed hegeliana dai modernisti sbandierata contro il vero progresso, che è quello dello Spirito di Cristo che conduce la sua Chiesa alla pienezza della verità.
Per i modernisti i veri cattolici sono “troppo polemici”, semplicemente perché denunciano le loro eresie. I modernisti, sì, invece sono persone miti, aperte, comprensive, dialoganti, flessibili e duttili, senza spirito inquisitoriale, senza esclusivismi e presunzione di “possedere la verità”. Se però qualche buon cattolico osa contestare questa loro ipocrisia, viene trattato, come si dice a Bologna, “a pesce in faccia”.
Col recente aumento del loro potere, per il quale hanno raggiunto molte cariche nella Chiesa, i modernisti non si limitano più a lasciare fare ai loro “compagni di partito”, permettendo le critiche da parte dei veri cattolici. Cominciano invece a perseguitare quei pochi cattolici, che sono fedeli a Roma, con vari pretesti, accompagnati da una campagna denigratoria. Un pretesto che attualmente si sta affermando, tale da rendere il malcapitato oggetto del pubblico disprezzo, è quello della “disobbedienza”.
Infatti, costui viene punito solo perché egli preferisce obbedire a Dio o alla Chiesa piuttosto che al “legittimo superiore”, proprio questo superiore sessantottino, che fin dagli anni del seminario si è vantato di appartenere ai “cattolici del dissenso”, ribelli al Magistero della Chiesa e al Papa, e adesso da superiore, credendosi dio in terra, continua il “suo dissenso”, con questa differenza: che chi osa disobbedire a lui, mal glie ne incoglie. Al Papa si può disobbedire come si vuole, senza che succeda nulla, anzi si ricevono applausi dal mondo. Ma chi disobbedisce al superiore modernista, sono affari suoi. È nata, come dicevo in un recente articolo, una nuova inquisizione: mentre quella di prima puniva l’eresia, quella di oggi punisce l’ortodossia.
Che fare? Bisogna che i vescovi si sveglino. Occorre che Roma li esorti all’obbedienza, alla collaborazione e al coraggioso e tempestivo compimento del loro dovere. Occorre liberare i seminari e gli studentati religiosi dai maestri e dai diffusori di eresie. Capita spesso che vi siano giovani di buona volontà con una buona base cattolica, che vogliono farsi preti o religiosi, ma che una volta entrati in seminario o nello studentato sono costretti con sottili minacce psicologiche, e magari con grave crisi di coscienza, ad adeguarsi all’andazzo modernista, se vogliono avanzare negli studi ed esser graditi ai superiori, a volte allo stesso vescovo. Questo scandalo gravissimo dura ormai da decenni, sicché adesso abbiamo un’intera generazione di vescovi modernisti formati alla scuola di Rahner, Schillebeeckx e compagnia bella.
Tutti i vescovi però sono sempre i vescovi, tu es sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedek. Per questo, nonostante tutto, se vogliamo essere cattolici, dobbiamo continuare ad avere una fiducia assoluta nei nostri vescovi, certo non tanto nel singolo vescovo o nel gruppo di vescovi, ma in quanto in unione col Papa, fosse anche un singolo vescovo isolato tra gli altri.
Inoltre bisogna che i vescovi vigilino di più sulla formazione dei loro seminaristi e intervengano per tempo, perché è notorio che se questi soggetti diventano preti o addirittura teologi famosi con delle idee storte, dopo non c’è niente da fare. Se poi questi qui diventano dei vescovi o superiori, la disgrazia è ancora peggiore. Più salgono nella gerarchia più la sciagura aumenta per tutto il popolo di Dio.
Nostro Signore Gesù Cristo certamente porta pazienza; tuttavia, in quanto Fondatore e custode della Chiesa Cattolica, alla quale ha garantito fino alla fine del mondo l’assistenza infallibile dello Spirito Santo che guida il Successore di Pietro insieme con l’Episcopato unito a lui, non potrà tollerare il tentativo dei modernisti di falsificare e deformare la struttura essenziale della Chiesa, la quale, come vivo organismo, certamente progredisce nella storia, ma conservando inalterata la propria identità.
NOTE
[1] Vedi il mio libro di successo “Karl Rahner. Il Concilio tradito”, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009, II edizione 2011.
[2] Un grande teologo di oggi che con franchezza e competenza esamina le teologie contemporanee sulla base del criterio del vero e del falso, è Mons. Antonio Livi col suo libro «Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”», Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012.