Svegliati, Europa, ritrova le tue radici!

Il terrore di matrice islamica è tornato a colpire sul lungomare di Nizza, il 14 Luglio. Una data simbolica per i francesi, in cui ricordano la presa della Bastiglia e l’inizio di quella che è passata alla storia come la Rivoluzione Francese. Sono quei valori di libertà, uguaglianza e fraternità, intesi in senso assoluto e senza compromessi, che hanno portato l’Europa a diventare quella che è: un continente senza identità, in cui la laicità si è trasformata in ateismo. Non possiamo continuare a combattere il terrorismo con belle parole di circostanza. Un processo che non può non passare dalla riscoperta del Cristianesimo.

Continua a leggere “Svegliati, Europa, ritrova le tue radici!”

Cristo crocifisso, scandalo per i musulmani e stoltezza per i laicisti…

di Roberto de Mattei

Marcher contre la Terreur, “Marcia contro il Terrore”, è stato il titolo con cui Le Monde, il Corriere della Sera e i principali giornali occidentali hanno presentato la grande sfilata laicista dell’11 gennaio. Mai nessuno slogan è stato più ipocrita di questo, imposto dai mass media come reazione alla strage di Parigi del 7 gennaio. Che senso ha infatti parlare di Terrore senza aggiungere al sostantivo l’aggettivo “islamico”?

Continua a leggere “Cristo crocifisso, scandalo per i musulmani e stoltezza per i laicisti…”

Altro che pedofilia: in Vaticano regna il terrore progressista

di Marco Mancini

Dopo l’arresto del cardinale polacco Jozef Wesolowsky, avvenuto in Vaticano per volontà di Papa Francesco, la “tolleranza zero” in fatto di pedofilia sembrerebbe aver fatto immediatamente registrare un altro risultato, con la rimozione del Vescovo di Ciudad del Este (Paraguay), mons. Rogelio Ricardo Livieres Plano. Questo, almeno, è quello che da giorni ripetono tutte le agenzie e i principali quotidiani.

vescovo-CDEScrive Repubblica, ad esempio, che al prelato sarebbero addebitati “una strana conduzione del seminario [sic!], rapporti personali conflittuali con i fedeli e gli altri vescovi” e la dilapidazione del patrimonio immobiliare della sua diocesi, ma soprattutto “la presenza di un prelato argentino, Carlos Urrutigoity, accusato nel 2002 di abusi sessuali, quando operava negli Stati Uniti”. Don Carlos era diventato uno dei principali collaboratori del Vescovo Livieres, fino ad essere nominato vicario generale: da qui l’accusa di insabbiamento che sarebbe all’origine della rimozione.

Basta approfondire un po’ il caso, tuttavia, per capire che esso è molto più complicato di quanto sembri. Anzitutto, il comunicato della sala stampa della Santa Sede non fa menzione alcuna del tema della pedofilia: si parla semplicemente di una decisione “ponderata da serie ragioni pastorali” e “ispirata al bene maggiore dell’unità della Chiesa di Ciudad del Este e alla comunione episcopale in Paraguay”. Il reale motivo del provvedimento, dunque, deve essere ricercato nelle divisioni interne alla Chiesa paraguaiana e non in una presunta complicità con sacerdoti pedofili.

Dal canto suo, mons. Livieres ha scritto una dura lettera aperta al Prefetto della Congregazione per i Vescovi card. Ouellet (qui un ampio estratto tradotto in italiano) in cui denuncia quelle che ritiene vere e proprie irregolarità di un procedimento ritenuto ideologico e arbitrario. Chiarisce, tra l’altro, di non aver ricevuto il testo della relazione seguita alla visita apostolica effettuata nella sua diocesi e lamenta che, “a dispetto di tanti discorsi su dialogo, misericordia, apertura, decentralizzazione e rispetto per l’autorità delle Chiese locali, non ho avuto neppure l’opportunità di parlare con il Papa Francesco, né modo di chiarirgli dubbi o preoccupazioni”. Ricorda l’ostilità nei suoi confronti del resto dei Vescovi paraguaiani e il sostegno ricevuto invece dai pontefici San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, prendendo poi atto amaramente del fatto che “Papa Francesco ha deciso di ritirarmi il suo appoggio” e spingendosi addirittura ad affermare che di tale decisione il Papa “dovrà rendere conto a Dio, più che a me”. Il vero problema della Chiesa in Paraguay, aggiunge il Vescovo, è “la crisi della fede e della vita morale che la cattiva formazione del clero è andata perpetuando, insieme alla negligenza dei Pastori”.

Inoltre, sul sito della Diocesi di Ciudad del Este è stato pubblicato in diverse lingue un articolato memoriale in cui lo stesso mons. Livieres respinge punto per punto tutte le accuse mosse contro di lui da avversari e media.

In particolare, denuncia la contiguità dell’episcopato paraguaiano con la sinistra e la Teologia della Liberazione, l’ostracismo subito sin dal momento della sua nomina, anche in ragione della sua appartenenza all’Opus Dei. In questo senso, respinge l’accusa di “rottura della comunione ecclesiale”: “frequentemente – scrive – si confonde l’unità nella fede e nell’amore, cioè l’autentica comunione ecclesiale, con l’uniformità imposta”. Rivendica la lettera riservata consegnata a Papa Benedetto XVI e finita nel tritacarne di Wikileaks, in cui lamentava la scarsa fedeltà alla dottrina dei Vescovi paraguaiani e suggeriva di selezionare i futuri Vescovi sulla base di criteri diversi da quello del rispetto dello status quo e degli equilibri consolidati. Tutto questo è stato all’origine, ad avviso di mons. Livieres, della levata di scudi di parte del clero (10 sacerdoti su circa 80) e di parte del laicato (particolarmente impegnato nella “pastorale sociale”) della sua diocesi, che ha richiesto l’intervento vaticano all’origine della visita apostolica.

Proprio per sfuggire allo stato disastroso in cui versava il Seminario Nazionale di Asunciòn, peraltro fortemente connotato dal punto di vista politico-ideologico, mons. Livieres scrive di aver fondato, nel pieno rispetto del diritto canonico, un Seminario diocesano, la cui attività di formazione ha sempre seguito in prima persona e da cui sono usciti nel corso di dieci anni più di 60 sacerdoti. “La decisione di formare i propri seminaristi come un padre educa i propri figli è stata una sorpresa per la Chiesa del Paraguay – si scrive ironicamente nel memoriale -. I Vescovi resisterono da subito a questa idea peregrina, perché avrebbe rotto (e ruppe) lo schema monolitico” alla base della formazione del clero paraguaiano.

Da ultimo, il Vescovo appena rimosso affronta le questioni relative alle accuse di presunta copertura nei confronti di don Carlos Urrutigoity e a quelle di malversazione.

Quanto al primo punto, ricorda che don Carlos arrivò nella sua diocesi nel 2005, accompagnato da giudizi favorevoli di diversi esponenti vaticani, tra cui l’allora cardinale Ratzinger. Negli USA era stato vittima di una campagna diffamatoria, riguardante presunti abusi sessuali e subito la cosa si ripeté in Paraguay, anche con lo scopo di attaccare lo stesso mons. Livieres, del quale don Carlos era diventato uno stretto collaboratore. Quest’ultimo, del resto, non è mai stato processato da alcun tribunale civile né religioso: l’unica denuncia presentata nei suoi confronti in Pennsylvania, oltre a non poter essere riferita a pedofilia, visto che l’accusatore era un adulto, si era conclusa con un immediato proscioglimento, non arrivando neanche a processo. E la stessa Congregazione per la Dottrina della Fede aveva riconosciuto l’impossibilità di aprire un procedimento a suo carico, vista la mancanza di qualsiasi accusa reale. Quanto alla causa civile, intentata sempre negli States, la Società di San Giovanni, alla quale il sacerdote appartiene, aveva dapprima rifiutato di arrivare ad un accordo finanziario, salvo poi accettare quello negoziato dal Vescovo di Scranton mons. Martino, a condizione che al suo interno si facesse menzione dell’innocenza dell’accusato e della rinuncia dell’accusatore a ogni ulteriore azione. Nello scorso luglio, infine, anche una corte paraguaiana ha archiviato le accuse presentate da una radio di Asunciòn, in quanto prive di qualsiasi riscontro. Autore delle accuse tale Javier Miranda, autoproclamatosi “presidente del laicato di Haut-Parana” e acerrimo nemico di mons. Livieres, da lui accusato addirittura di aver contratto un debito di un milione di dollari in un casinò. “Essendo un pastore e non un mercenario che fugge davanti ai lupi – si legge nel memoriale – Mons. Livieres è sempre stato inflessibile nella difesa degli innocenti. Nel caso di padre Carlos, egli ha agito allo stesso modo contro l’avviso di coloro che, pur riconoscendo che la sua valutazione era giusta, trovavano fosse imprudente ricevere padre Carlos nella diocesi e poi promuoverlo a diversi posti, perché queste azioni potevano compromettere l’immagine e la “carriera ecclesiastica” del Vescovo. Mons. Rogelio ha giudicato più santo e più realista servirsi delle risorse umane concrete che la Provvidenza aveva posto nelle sue mani”.

Con riguardo alle accuse di carattere economico, infine, mons. Livieres afferma che i finanziamenti ricevuti dalla società della centrale idroelettrica di Itaipu sono stati integralmente destinati al mantenimento del Seminario, così come la contestata vendita di alcune proprietà immobiliari della diocesi, che non erano mai state utilizzate per scopi pastorali né avevano garantito rendite economiche di alcun tipo.

Il documento qui sintetizzato, ovviamente, riporta la versione di mons. Livieres e non può essere preso per oro colato. Ma è senz’altro indice di una vicenda molto complessa e irriducibile alla vulgata del Vescovo amico dei pedofili che viene deposto da Papa Francesco. Lascia riflettere, soprattutto, il fatto che mons. Livieres fosse l’unico Vescovo di orientamento conservatore presente in Paraguay, circondato dall’ostilità degli altri Vescovi e di parte del laicato. Una spaccatura che il suo carattere avrà forse approfondito, ma che ha costituito il grimaldello su cui fare leva per toglierlo di mezzo. Come nel caso dei Francescani dell’Immacolata, dove peraltro non è ci ancora dato di sapere quali siano gli addebiti mossi a Padre Manelli e ai suoi collaboratori, la Santa Sede interviene punendo chi manifesta fedeltà alla dottrina e produce frutti spirituali. In entrambi i casi si tratta di provvedimenti “amministrativi”, senza alcuna possibilità di difendersi dalle accuse, che non vengono formulate se non con riferimenti totalmente arbitrari a una presunta mancanza di “sensus Ecclesiae” (ai tempi di Stalin si parlava di “nemici del popolo”), senza processi e senza condanne, come nei peggiori totalitarismi. L’arma della diffamazione e della delazione sembra ormai diventata lo strumento per mettere a tacere gli avversari del nuovo corso, per distruggere e ridurre al silenzio le ultime isole di resistenza in una Chiesa sempre più preda della piovra modernista.

Si è aperta una caccia alle streghe, improntata al maoista – e mafiosetto – “colpirne uno per educarne cento”, che non promette nulla di buono. Ultima, preoccupante dimostrazione di quanto scriviamo è l’intimidatorio avvertimento lanciato dall’Espresso al cardinale Pell, anch’egli accusato di essere stato troppo morbido sul fronte degli abusi sessuali. L’attacco arriva subito dopo che il porporato ha pubblicato un libro a difesa della dottrina cattolica sul matrimonio, in opposizione alla relazione del cardinale Kasper. Il tutto proprio alla vigilia dell’apertura del Sinodo sulla famiglia. Saranno tutte coincidenze, ma qui si comincia a sentire puzza di bruciato. Il fumo di Satana, che Paolo VI vide entrare in Vaticano attraverso qualche fessura, sembra ormai farla da padrone.

© Campari e de Maistre (27 settembre 2014)