Il sacerdote e teologo Ariel S. Levi di Gualdo, non è nuovo a trovate originali. Vuoi per indole naturale vuoi per spumeggiante spirito toscano. Scorrendo i diversi libri di questo autore editi dalla Bonanno Editore [qui, qui] presso la quale cura anche le pubblicazioni degli autori della collana teologia da lui diretta, si deve ammettere che a volte ha anticipato problemi, questioni e discussioni oggetto oggi di grande dibattito.
Alla sua uscita nel dicembre 2011, il suo libro «E Satana si fece Trino» [qui, qui] passò quasi in sordina, suscitando però dibattiti tra la fine del 2012 e gli inizi del 2013 quando, dinanzi al problema della lobby gay ecclesiastica, qualcuno scoprì, in Italia e all’estero [qui, qui, qui], che un sacerdote e studioso italiano aveva analizzato bene, a fondo e in anticipo questo problema, in modo all’occorrenza anche impietoso, e sempre e di rigore a suo rischio e pericolo [qui, qui].
Prima dell’atto di rinuncia di Benedetto XVI e l’elezione dell’attuale Pontefice Regnante, Levi di Gualdo ha dato alle stampe nel febbraio 2013 niente meno che una enciclica in forma di motu proprio promulgata nel 2023 dal Sommo Pontefice Benedetto XVIII [qui, qui]. In questa enciclica futurista, questo pontefice fantasioso parla tra i vari argomenti anche dei problemi legati a una corretta disciplina del Sacramento del Matrimonio.
In questa enciclica, ben prima della elezione del Santo Padre Francesco, Levi di Gualdo ipotizzava molte necessarie riforme entrate poi successivamente nell’agenda del nuovo Pontefice, per fare solo un paio di esempi: dalla riduzione delle diocesi italiane troppo numerose, sino alla revisione del titolo onorifico di monsignore da concedere solo a pochi presbiteri anziani distintisi per i loro particolari servizi alla Chiesa, e molto altro ancora …
Riportiamo una parte di testo di questa enciclica riguardante l’articolo specifico sul matrimonio.

DALLA ENCICLICA
QUANTA CURA IN CORDIBUS NOSTRIS
DI BENEDETTO XVIII
PARTE III SUI SACERDOTI
IN PARTICOLARE SULLA LITURGIA E SUI
SACRAMENTI
23. Sulla celebrazione del Sacramento del Matrimonio — All’occorrenza sarebbe necessario agire con responsabilità e coraggio, dicendo prudentemente di no alla richiesta della celebrazione di nozze avanzata da giovani o meno giovani affetti da palese immaturità, mossi da superficiale infatuazione, non animati da cosciente convinzione e, soprattutto, da basilare fede cristiana. Certi problemi andrebbero infatti prevenuti con accorta prudenza. È grave colpa del vescovo e del parroco, soprassedere con incuranza su certi casi di chiara immaturità e presiedere ugualmente alla celebrazione del Sacramento, salvo poi ricordare in seguito, anziché prima, che il matrimonio è indissolubile, quando ricorrono tutti i presupposti per la sua validità. A tal proposito si invitano i tribunali ecclesiastici a valutare con cura, ai fini di una eventuale sentenza di nullità[1], i casi di mancata percezione e consapevolezza sacramentale da parte di sposi non adeguatamente stimolati ad acquisire il senso vero e profondo della natura del matrimonio religioso, prendendo però in tal caso, sempre e di prassi, anche i dovuti provvedimenti canonici nei confronti dei sacerdoti che si sono prestati alla celebrazione di un sacramento in tutti quei casi in cui era evidente la non opportunità di procedere nella sua amministrazione.
Le coppie che di comune accordo, l’uomo che con violenza psicologica ha costretto la donna; le singole donne che prima del matrimonio avessero fatto ricorso all’aborto o all’uso della cosiddetta pillola abortiva, siano attentamente valutate dal vescovo in persona o da un saggio presbitero anziano suo delegato di fiducia appositamente istituito, perché prima della amministrazione del sacramento è indispensabile valutare le loro intenzioni, il loro autentico pentimento e, soprattutto, la loro percezione e il loro reale rispetto acquisito e sviluppato per la vita.
Stabiliamo pertanto che un aborto praticato e taciuto, o peggio non assolto in sede di confessione sacramentale, rende invalido ex nunc il matrimonio. In questi casi sia evitata di prassi, salvaguardando sempre la onorabilità e la riservatezza delle persone, la celebrazione di nozze con particolare fasto.
Riguardo questa Nostra ultima dolorosa disposizione, rispondiamo in anticipo a eventuali dissensi con le parole attraverso le quali il Signore Gesù affidò la sua missione a Pietro:
A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli[2].
Chiunque si rifiuti di intendere queste parole che stanno alla base e al fondamento stesso del Mistero della Chiesa, non può dirsi veramente figlio della Chiesa, veramente vescovo, veramente sacerdote veramente teologo cattolico.
Queste disposizioni non sono frutto di gratuito irrigidimento, ma un tentativo che mira a evitare, nel nome del sacro rispetto della vita, che in quelle culture e regioni del mondo dove l’aborto è praticato disinvoltamente come il contraccettivo più diffuso, seguitino a giungere dinanzi all’altare per le nozze avvolte in bianchi veli, spose che hanno praticato persino più aborti nel corso della loro giovane vita, considerando questo crimine gravissimo contro la vita un atto del tutto lecito e giustificato, che a loro parere e convinzione non riguarderebbe in alcun modo la Chiesa dispensatrice di sacramenti, incluso, nello specifico caso, il Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione.
La Chiesa offre il proprio aiuto a chiunque desideri creare una famiglia per dare continuità all’ineffabile dono della vita[3]. In certe dolorose situazioni sociali di odierna chiusura, una amorevole apertura alla famiglia[4] non può però avvenire attraverso un breve corso di catechesi di preparazione al Sacramento del Matrimonio, che difficilmente supplirà una totale mancanza di formazione cristiana durata tutta la vita, soprattutto se il desiderio di persistere in tale condizione persevera in modo evidente, rendendo chiaro in modo altrettanto evidente che le ragioni per le quali si richiede il matrimonio religioso si basano su motivazioni che poco, o addirittura niente hanno da dividere con la vera natura di questo sacramento. Questi i casi nei quali sarebbe prudente avere il coraggio di dire di no, o per sollecitare i futuri sposi a una prudente riflessione e a un adeguato cammino di ricerca cristiana, prima di giungere alla celebrazione del sacramento.
Un corso di preparazione al Sacramento del Matrimonio non può durare meno di sei mesi, deve articolarsi su un ciclo di catechesi pari a un incontro settimanale per un numero non inferiore a 24 incontri complessivi; oppure può durare tre mesi per un numero non inferiore a 24 incontri, pari a due incontri settimanali. Il vescovo può esonerare dal corso di preparazione quegli sposi che partecipando in modo molto attivo alla vita ecclesiale, hanno acquisito una formazione cristiana e una consapevolezza così profonda tale da rendere superflua la loro preparazione. Nelle diocesi che dispongono di uno studio teologico o di un istituto superiore di scienze religiose, i corsi non siano tenuti dai singoli parroci, che dovranno comunque conoscere, incontrare e soprattutto seguire con cura i futuri sposi; se possibile si svolgano presso queste istituzioni, dove per lo specifico caso è richiesta una buona presenza anche di diaconi permanenti, dove i futuri sposi potranno entrare in relazioni e in rapporti con altre coppie. Decida comunque il vescovo come e in che modo organizzare uno o più centri diocesani di catechesi per la preparazione al Sacramento del Matrimonio.
Per la Chiesa il matrimonio non è un riconoscimento sociale ma un sacramento, non è pertanto ragione plausibile che la prevista e adeguata preparazione sia evitata per motivi di urgenza, di esigenze particolari o per obblighi contratti. In questi casi potrà decidere solo il vescovo, caso per caso e di volta in volta, stabilendo però che il matrimonio, se urgente e impellente deve essere, che sia celebrato senza alcuna particolare solennità, in giorno feriale e al di fuori della Santa Messa.
Dalla coerenza nasce la credibilità della Chiesa, dalla credibilità nasce la possibilità di essere veri evangelizzatori, quindi di evangelizzare realmente con tutta la necessaria autorevolezza, che è base e fondamento di ogni credibilità. È bene per ciò cominciare a entrare in un necessario ordine di idee: i sacramenti di grazia e di salvezza non possono e non devono essere svalutati. I sacramenti di grazia e di salvezza non sono “prodotti tradizionali” che persone scarsamente interessate alla fede e alla vita della Chiesa decidono comunque di “acquistare” per motivi e ragioni sociali soggettive, a prescindere dal mistero della fede. Ricevere questo sacramento non è un diritto e la Chiesa non è tenuta a concederlo a chi mostra di non avere i dovuti requisiti per riceverlo. Vescovi e sacerdoti non rimangano turbati se ciò finisse col produrre un calo anche considerevole dei matrimoni religiosi. Alla Chiesa non interessano le infeconde statistiche numeriche in crescendo, ma la fede feconda dei propri figli, o perlomeno una ricerca sincera e matura di fede, corollata semmai anche da errori umani, ma mossa alla sua base da sincera fede e ricerca di fede cristiana.
Si stabilisce pertanto il divieto inderogabile che un matrimonio possa essere celebrato tra un cattolico e un appartenente a una confessione religiosa non cristiana. Similmente si vieta di celebrare matrimoni tra un cattolico e una persona che professa pubblicamente l’ateismo o che ha fatto pubblico atto di apostasia dalla fede cattolica. Si usi la massima prudenza nel concedere la celebrazione dei matrimoni tra cattolici e appartenenti ad altre confessioni cristiane. Il vescovo, al quale compete concederlo, se lo reputerà opportuno lo conceda solo dopo approfondito discernimento e solo se ricorreranno i più alti requisiti di affidabilità, specie per quanto riguarda il battesimo dei figli e la loro crescita nei valori della fede cattolica.
Si eviti sempre e in ogni caso di concedere questo sacramento alle persone che considerano le antiche chiese storiche e monumentali dei teatri suggestivi per mettere in scena la rappresentazione della propria festa, ed a quanti si sposano col rito religioso senza interesse, talora persino senza fede, solo per compiacere, in nome della tradizione locale o familiare, genitori e parenti. Dinanzi a questi casi, in particolare dinanzi ai casi non poi così rari di persone che professano in modo più o meno aperto ostilità ideologica alla Chiesa e mancata adesione alla sua autorità e al suo magistero, la possibilità della celebrazione delle nozze religiose sia sempre negata, senza possibile ricorso a forme ibride e compromissorie. Il diniego sia anteposto in nome della coerenza alla quale ogni essere umano, cristiano o non cristiano, credente o non credente deve sentirsi chiamato e tenuto; e ciò proprio in nome di quella coerenza oggi invocata sempre più e in modo sempre più insistente dalle varie società del mondo.
Si eviti con prudente e pastorale misericordia, per il bene di tutti gli individui e per la sacralità del sacramento, che ad amministrarselo siano persone non adeguatamente catechizzate, non inserite nella vita cristiana e nella Chiesa particolare; se però il vescovo diocesano, valutato con attenzione e con prudenza il singolo caso, stabilirà che il sacramento si celebri, che si celebri al di fuori della Santa Messa. Non è infatti accettabile, né devono più seguitare a verificarsi casi nei quali, durante la celebrazione del Sacrificio Eucaristico, il sacerdote celebrante parli e risponda da solo a se stesso dinanzi a una assemblea indifferente e silenziosa non in grado di replicare neppure “Amen”.
Coloro che non hanno ricevuto il Sacramento della Confermazione e che desiderano ricevere il Sacramento del Matrimonio, dovranno prima svolgere, attraverso adeguato ciclo di catechesi, la regolare preparazione prevista per la cresima, seguendo gli appositi corsi istituiti per gli adulti.
Più locali conferenze episcopali del mondo, invece di andare alla radice pedagogica del problema, educando in maniera autorevole il Popolo di Dio, hanno risolto alcuni spiacevoli problemi limitandosi a decretare che i matrimoni non potevano essere celebrati alla Messa vespertina del sabato e all’orario delle Messe parrocchiali della domenica, evitando così assemblee formate talvolta da persone scomposte, a volte rumorose e talora persino mosse da atteggiamenti di sprezzante sfida verso il luogo sacro e per questo non sempre facili da gestire. A questa ragione ne è stata aggiunta un’altra: i cosiddetti lunghi ritardi delle spose che in alcune zone sono assurti ormai a vera e propria tradizione. Questi ritardi produrrebbero senz’altro problemi a qualsiasi comunità parrocchiale radunata per la Santa Messa. A tal proposito dobbiamo però ricordare che il matrimonio non può essere ridotto a una questione privata che riguarda gli sposi, i loro familiari e amici. Come tutti i sacramenti di grazia, il Sacramento del Matrimonio coinvolge la vita dell’intera Chiesa di cui la comunità parrocchiale è espressione viva, pertanto dovrebbe essere sempre celebrato nella parrocchia della sposa o nella parrocchia dello sposo, possibilmente all’ orario delle messe feriali o festive offerte alla comunità dei fedeli e con il coinvolgimento attivo della comunità parrocchiale. Mettere in ordine eventuali partecipanti più o meno credenti, o comunque non abituati a frequentare le chiese e a partecipare alle liturgie, non dovrebbe essere difficoltoso per il parroco o per il sacerdote celebrante. Altrettanto risolvibile il problema dei ritardi là dove permane questa pessima abitudine: all’orario fissato, il sacerdote dia inizio alla celebrazione della Santa Messa.
È inoltre bene istruire le spose a presentarsi vestite in modo decoroso e sempre adeguatamente coperte. Se malgrado le indicazioni date, qualcuna si presentasse vestita in modo non conveniente e decoroso, il celebrante si senta tenuto a rifiutare di procedere alla celebrazione delle nozze.
Lo spazio sacro non è uno studio cinematografico da usare secondo personali, arbitrarie e talvolta persino eccentriche regie. Come da tempo è uso lodevole di molte diocesi, spetta al vescovo e ai parroci su sua indicazione, stabilire e indicare come la chiesa deve essere preparata e addobbata in modo sempre sobrio. È inoltre obbligo tassativo che servizi fotografici e filmici siano affidati a professionisti abilitati dall’ufficio liturgico diocesano per effettuare riprese all’ interno delle chiese, previo adeguato corso di formazione. A nessun foto o cine amatore che si trovi tra i partecipanti, sia mai permesso di muoversi per la chiesa durante la sacra celebrazione per eseguire servizi fotografici o riprese filmiche.
In varie zone del mondo è uso organizzare matrimoni parecchio fastosi. A rammaricare è che talvolta, le feste più costose, siano organizzate proprio da sposi o da famiglie prive delle possibilità finanziarie per far fronte a spese davvero ingenti e del tutto inutili. È preoccupante che sotto gli occhi addolorati di vescovi e sacerdoti dei giovani sposi contraggano debiti per lunghi anni della loro vita, pur di vivere un effimero giorno di festa da fiaba principesca; terminata la quale hanno spesso difficoltà a mantenere le spese vive della propria casa, od a provvedere ai loro bisogni. Anche in tal caso la Chiesa, in modo accorto e pedagogico, sia solerte e attenta maestra nell’ insegnare che il vero trionfo dell’uomo risiede nel cristiano amore dell’essere per sempre, non nell’edonistico apparire effimero per pochi istanti.
Non ultimo anche dinanzi a casi del genere, molte diocesi hanno dovuto provvedere a fissare una quota minima di offerta da lasciare alla chiesa parrocchiale per i suoi bisogni vitali, per evitare che proprio dinanzi alle peggiori ostentazioni e ai peggiori sperperi sfarzosi, gli unici bisogni dei quali non si teneva conto erano quelli della comunità ecclesiale. Le diocesi provvedano a elevare quanto più possibile la quota minima di offerta richiesta. Sia sempre fatta la raccolta delle offerte durante la sacra celebrazione e si provveda a istituire un fondo diocesano di solidarietà, sul quale i parroci e i rettori delle chiese dovranno versare l’esatta metà di quanto percepito e raccolto. Con questo fondo di solidarietà siano aiutate le persone veramente bisognose che seppure dotate di mezzi molto limitati desiderano potersi sposare, garantendo loro un contributo economico della diocesi per la celebrazione di un matrimonio decoroso e di una festa dignitosa con familiari e amici.
Per quanto riguarda la celebrazione dei matrimoni religiosi con effetti civili, abbiamo dato incarico alla Nostra Segreteria di Stato di studiare un adeguato testo di riforma dei concordati stipulati dalla Nostra Sede Apostolica coi vari governi del mondo e di proporla a tutti i Paesi interessati. Valutata infatti con attenzione l’attuale situazione sociale, intendiamo essere Noi per primi a rispettare il valore intangibile della laicità degli Stati, evitando con debita prudenza qualsiasi commistione e a separare la sfera politica da quella religiosa, l’amministrazione civile dello Stato e l’ amministrazione dei sacramenti da parte della Chiesa. Non ultimo in considerazione del fatto che, tutti gli Stati coi quali la Sede Apostolica ha pattuito concordati per il riconoscimento del matrimonio religioso agli effetti civili, hanno precise legislazioni sul divorzio. È pertanto bene che gli sposi celebrino separatamente il loro matrimonio civile dinanzi al pubblico ufficiale dello Stato e che si amministrino il sacramento dinanzi al ministro cattolico. Possiamo eventualmente venire incontro agli sposi cercando di concentrare i due diversi atti, quello sacramentale e quello civile nello stesso spazio di tempo, ma con un ordine e una divisione precisa che deve essere sempre e dovunque scrupolosamente osservata: prima o dopo la sacra celebrazione del sacramento, in una sala parrocchiale, o comunque in un decoroso spazio separato che non sia mai e in alcun caso all’interno della chiesa, ma sempre e di rigore al di fuori di essa, il pubblico ufficiale dello Stato potrà procedere all’unione civile degli sposi. In tal modo la Chiesa rinuncia anche a vedere riconosciute le proprie sentenze di nullità matrimoniale da parte dello Stato, al sano e coerente scopo di evitare inutili imbarazzi giuridici, sui quali già più volte sono state sollevate proteste in ambito sociale e politico-istituzionale: da una parte la Chiesa che non può riconoscere al proprio interno il divorzio sancito dalle leggi civili dello Stato, dall’altra lo Stato che, previa adeguata procedura motivata, riconosce invece le sentenze canoniche di nullità emanate dai tribunali ecclesiastici, accogliendole ed evadendole quasi sempre anche celermente, senza particolari riserve giuridiche. In tal modo si può rischiare di dare vita a un principio di unilateralità basato sulla inevitabile mancanza di reciprocità, considerando che da una parte si amministra un sacramento indissolubile basato su un’azione di grazia edificata sul deposito della fede cattolica, dall’altra si perfeziona un contratto basato sulle leggi dello Stato edificato sul deposito delle leggi civili, dal quale i contraenti possono rescindere in qualsiasi momento secondo quanto stabilito e codificato dalla legge.
NOTE
[1] Si chiarisca sempre ai fedeli e all’opinione pubblica che nessuna autorità ecclesiastica può annullare un sacramento. L’autorità della Chiesa, dopo approfondito vaglio, può sentenziare che un sacramento è stato formalmente celebrato e amministrato in mancanza parziale o totale dei requisiti e dei presupposti indispensabili a renderlo valido, per questo può dichiararlo nullo, cioè mai esistito. Una dichiarazione di nullità e un annullamento comportano due azioni totalmente diverse, che è necessario all’occorrenza chiarire a quanti seguitano ad applicare il termine errato di annullamento alla disciplina dei sacramenti, con riferimenti non di rado scritti, per esempio sui mezzi di informazione, ai tribunali ecclesiastici che avrebbero “annullato” quello o quell’altro matrimonio.
[2] Vangelo di San Matteo: 16, 19.
[3] Cf. S.S. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 1.
[4] S.S. Paolo VI, Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, 52.
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