Nel mese di novembre di quattro anni fa furono presentati al Papa da quattro cardinali i cosiddetti Dubia in merito a chiarimenti su alcuni punti dell’Amoris Laetitia. Ad essi non fu data risposta. A seguito del clamore suscitato dalle parole di Papa Francesco di sostegno alle unioni civili, parole contenute nel docufilm Francesco, molti hanno chiesto un chiarimento. Anche in questo caso non vi è stata una risposta. Di questo parallelismo Sabino Paciolla ne ha parlato con mons. Nicola Bux.
Continua a leggere “Quel parallelismo tra i Dubia e le parole di Papa Francesco di sostegno alle unioni civili”Tag: sedicendi cattolici
Marx e Müller in disaccordo, ma i vescovi tedeschi ubbidiranno al Papa
di Matteo Matzuzzi (18/03/2014)
Eletto poco meno di una settimana fa – al quarto scrutinio – alla guida dei vescovi di Germania, il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, spiega la linea che l’episcopato tedesco intende seguire in occasione dei prossimi due sinodi sulla famiglia di ottobre e del 2015. La strada rimane quella tracciata dal predecessore, mons. Robert Zollitsch, a Friburgo: venire incontro a chi soffre per il fallimento del suo progetto di vita. Il che significa via libera al riaccostamento all’eucaristia dei divorziati risposati. Un po’ come fanno gli ortodossi, in nome della misericordia divina che tutto sana, come peraltro ha detto anche il Papa ieri nell’omelia a Santa Marta: “Il cuore grande non condanna, ma perdona, dimentica”, perché “Dio ha dimenticato i miei peccati; Dio ha perdonato i miei peccati. Allargare il cuore. Questo è bello, siate misericordiosi”.
La giustificazione teologica a sostegno della posizione dei vescovi tedeschi (quantomeno della loro maggioranza) è quella illustrata nella relazione concistoriale di febbraio – e ripetuta nelle diverse interviste dei giorni scorsi – dal cardinale Walter Kasper, teologo e incaricato dal Papa di avviare in seno al collegio cardinalizio il dibattito sulle questioni che più approfonditamente saranno discusse nei due sinodi. Per Kasper, infatti, “Dio dà sempre una seconda possibilità, e la sua misericordia non ha mai fine per chi la domanda”. Anche perché – sottolineava sempre il presidente emerito del Pontificio consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani – “ogni peccato può essere perdonato se il peccatore lo chiede”. Ed è questo, a giudizio del cardinale Marx, il possibile viatico per risolvere il problema: “Credo che la soluzione delineata da Kasper sia valida”, ha detto al quotidiano Welt am Sonntag, fermo restando che “bisogna sempre guardare ai singoli casi”. L’ipotesi del teologo di riferimento di Papa Francesco prevede innanzitutto che le persone divorziate “riconoscano il loro fallimento” e dopo un “periodo di penitenza” possano presentare “domanda di riammissione ai sacramenti”. Sul significato e l’interpretazione della fase penitenziale, i teologi hanno già iniziato a dibattere, benché il cardinale Kasper abbia ricordato che “esiste uno sviluppo della dottrina”, dal momento che questa “non è una laguna stagnante, ma un fiume che scorre”. Ecco perché, aggiungeva ancora il porporato teologo formatosi a Tubinga, i sinodi non potranno esimersi dal farsi carico delle forti attese radicate tra i fedeli – soprattutto tra quelli del centro e nord Europa. Attese che, notava ancora Kasper, non potranno rimanere disattese. Un invito esplicito a rendere operativa la svolta sulla morale sessuale e matrimoniale cattolica, dunque.
Ma il giorno stesso – e sempre a un quotidiano tedesco, stavolta la Rhein Main Presse – il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, ribadiva che non è tempo di aperture sul tema della pastorale familiare e matrimoniale: “Sappiamo che ci sono situazioni difficili, come nel caso di un coniuge abbandonato. Ma il problema non si risolve abrogando con regole umane la parola di Dio”. E negare l’eucaristia non significa ritenere i divorziati risposati degli estranei: “Non sono esclusi dalla comunità ecclesiale, rimangono parte della chiesa, visto che la nostra non è solo una comunità di puri, ma anche di peccatori”, aggiungeva Müller. Una posizione contro la quale, lo scorso novembre, s’era scagliato proprio il cardinale Marx, che invitava il prefetto custode dell’ortodossia cattolica a “non chiudere dibattiti aperti da altri”. Lo stesso arcivescovo di Monaco e Frisinga, però, ha anche precisato nel corso del colloquio con la Welt am Sonntag, che non è possibile delegare alle chiese locali decisioni su questioni tanto delicate come quella relativa ai divorziati o al celibato sacerdotale, come invece vorrebbe più d’un confratello nell’episcopato tedesco: “Abbiamo bisogno di un forte centro per la Chiesa cattolica. Nelle grandi e importanti questioni, continuerà a essere necessario assumere un giudizio comune, a Roma”, ha chiarito il neo presidente dei vescovi di Germania.
© – FOGLIO QUOTIDIANO
Un tempo si sceglieva il martirio. Oggi il tradimento… però con tanto “dialogo”
Ora che il Moloch omosessualista, in un grandioso disegno egemonico (omosex über alles) mette le mani anche sui bambini, con la complicità degli imbelli governi occidentali, i rappresentanti della nuova civiltà cattolica in liquidazione fallimentare si adeguano, appesi come amebe ai propri filamenti lattiginosi.
di Patrizia Fermani (06/02/2014)
Quando ai cristiani veniva chiesto di adorare l’imperatore, pena la morte, essi scelsero la morte.
Non dissero “questa è una pratica inopportuna, che può turbare un corretto sviluppo delle nostre relazioni pubbliche e non dà spazio ad un confronto costruttivo in una società plurale; non risponde pienamente ai vantaggi offerti dal meticciato, non risponde alle esigenze educative di maturazione di generazioni adulte e consapevoli della ricchezza del dialogo tra diverse realtà esperienziali; bisognerebbe parlarne, magari confrontarsi nel pieno rispetto di tutte le idee, e soprattutto nel rispetto delle persone….”
No. Si fecero sbranare, crocifiggere.
Certo, adorare l’imperatore significava la negazione del primo comandamento. E a prima vista non sembrerebbe congruo paragonarla alle tergiversazioni, ai distinguo, alla esibizione di prudenza e tolleranza (la fortezza non va più di moda dai tempi del Papa buono) con cui da tanto tempo vengono affrontati dentro e fuori la Chiesa, ma sempre sotto il vessillo cattolico, tutti i pericoli che assediano la vita della società e ne minacciano ormai da vicino la stessa sopravvivenza. Pericoli e minacce che hanno a che fare con la violazione di altri comandamenti.
Tuttavia, se si pensa che il primo comandamento riassume in sé tutti gli altri perché questi manifestano quale sia la volontà di quell’unico Dio per l’uomo, ecco che l’accostamento non risulta affatto peregrino. Tanto più che per il momento non si tratterebbe di rimetterci la pelle, ma soltanto una poltrona, un arcivescovado, un posto in qualche congregazione vaticana, uno stipendio di vaticanista al passo coi tempi, o guadagnare l’inimicizia grave di quelle donne colte e illuminate che sputano addosso ad un raro prelato coraggioso, o delle parlamentari dedite a cattolicissime convivenze saffiche.
Ora che il Moloch omosessualista, in un grandioso disegno egemonico (omosex über alles) mette le mani anche sui bambini, con la complicità degli imbelli governi occidentali, i rappresentanti della nuova civiltà cattolica in liquidazione fallimentare si adeguano, appesi come amebe ai propri filamenti lattiginosi.
Senza neppure mostrare la grandezza diabolica del male che si manifesta come tale.
Essi rimangono infatti acquattati dietro alle parole magiche: diritto, libertà, uguaglianza, dignità, e giù a pioggia, che servono a nascondere impudentemente ogni nefandezza sull’esempio ben riuscito del vecchio e beffardo “Arbeit macht frei” che riempiva di comprensibile orgoglio gli ospiti involontari di Auschwitz.
Così approvano il demenziale rapporto Lunacek. I loro nomi sono: Prodi, Toia, Costa, Pirillo e Frigo; Zanicchi, Matera, Patriciello, Ronzulli.
Certo una sedia a Strasburgo, a Bruxelles o a Roma val bene di più di tutto il Decalogo, per non dire degli allegati paolini.
© RISCOSSA CRISTIANA
I tre ossimori della Chiesa di oggi
Nella Chiesa di oggi dominano tre ossimori, cioè tre paradossi contraddittori. Ci tengo a precisare “Chiesa di oggi” perché il mio riferimento è al dato sociologico di Chiesa non a quello ontologico. È evidente che quando si parla di Chiesa si intende una realtà che esiste da duemila anni, mi riferisco piuttosto a quel che si manifesta sociologicamente ora, anche con l’ausilio di ciò che mediaticamente si afferma.
Ebbene ci sono tre paradossi grandi, enormi:
- Primo paradosso: un anticlericalismo-clericalista.
- Secondo paradosso: un antieconomicismo-economicista.
- Terzo paradosso: un antiautoritarismo-autoritarista.
Anticlericalismo-clericalista
Nell’ultimo intervento in cui ho difeso i Francescani dell’Immacolata ho fatto riferimento a un’intervista che Luca Telese fece tempo fa a don Filippo Di Giacomo a proposito della questione della Comunione che il cardinale Bagnasco dette al noto transessuale Luxuria in occasione dei funerali di don Gallo. Ebbene, in quell’intervista don Di Giacomo non solo approvò l’atto di Bagnasco, ma si dilungò a raccontare un aneddoto accadutogli dicendo che anch’egli si era trovato in un caso simile. Mentre distribuiva la Comunione una vecchietta gli fece cenno dicendogli: “non la dia a quella lì perché non è una donna ma un uomo”. La risposta di don Giacomo fu quella di dire all’anziana donna: “Si faccia i fatti suoi!”. Ovviamente per il progressista Telese queste parole di don Di Giacomo suonarono come la nona sinfonia di Bethoven, ma – se si riflette – sono parole del peggiore clericalismo. In realtà, stando al racconto del noto vaticanista, lui non si limitò a dire alla donna: “Si faccia i fatti suoi!”, ma c’è un sottointeso: “L’Eucaristia è mia, signora, per cui si faccia i fatti suoi!”.
Eh no! l’Eucaristia non è del sacerdote, egli è al servizio dell’Eucaristia e non l’Eucaristia è al suo servizio. Questo ovviamente è solo un esempio, e non tra i più eclatanti, ma indicativo. Ci si potrebbe dilungare sull’enorme impegno che solitamente si profonde da parte di tanti sacerdoti e operatori pastorali (come oggi si ama definirli) in merito a tematiche ambientali, sindacali e politiche snaturando la specificità della Chiesa che deve presiedere moralmente i grandi principi ispiratori dell’azione politica senza scendere nell’ambito delle soluzioni ai singoli problemi. Da una parte si invoca addirittura il principio di separazione tra ambito religioso e ambito politico, santificando la laicità dello Stato se non addirittura il laicismo, dall’altra gli schermi televisivi pullulano di sacerdoti che dicono la loro sul termovalorizzatore nella tale vallata, sulla discarica nella tale pianura, sull’industria nella tale città, cioè ci si intromette in cose in cui né il teologo né il sacerdote hanno la grazia di stato per poter operare e intervenire.
Antieconomicismo-economicista
La Chiesa deve essere povera, l’essenza del Cristianesimo è la povertà, benissimo verrebbe da dire… anche se fino ad un certo punto perché delle precisazioni andrebbero fatte ma non è il caso di farle adesso.
Da simili direttive ci si attenderebbe un comportamento conseguente e invece vediamo che si interviene massimamente per reagire a politiche vessatorie sul piano fiscale nei confronti di beni ecclesiastici (intendiamoci: reazione più che doverosa per difendere la libertà della Chiesa), ma poi si fa silenzio (o quasi) sui principi non negoziabili, sulla reazione a leggi liberticide come quella sull’omofobia che si sta preparando all’approvazione.
Si interviene con decisione e tempismo su vescovi che avrebbero mal utilizzato denaro favorendo crac finanziari, ma poi non si interviene con altrettanto tempismo su vescovi, teologi ed ecclesiastici che con i loro insegnamenti teologici spingono tante anime al peccato e – diciamolo francamente – anche alla dannazione.
Si parla di povertà, si dice giustamente che il denaro non è il valore per eccellenza e poi si presenta ai giovani il problema della disoccupazione come tra i problemi più gravi. Per carità è questo un problema importante, che si lega alla dignità della vita e alla possibilità di mettere su famiglia, ma quando si parla ai giovani non ci sono problemi più urgenti: la purezza, l’indissolubilità della famiglia, l’accettazione della vita fin dal concepimento..? Insomma, gli aspetti economici non sono importanti… ma sono importanti.
Antiautoritarismo-autoritarista
C’è chi ha detto – e sono ampiamente d’accordo – che la Chiesa postconciliare quando vuole (e vuole spesso) sa ripristinare molto bene i modi da santa inquisizione. Ovviamente per chi non “sente” come essa vuole, anche in questo caso mi riferisco alla Chiesa come dato sociologico non teologico.
Dalle mie parti si dice “a chi figli e a chi figliastri”, che significa: alcuni figli vengono trattati da figli, altri da figliastri. Nella Chiesa di oggi è tutto possibile, è possibile finanche che un notevole numero di sacerdoti di una grande nazione di tradizione cattolica come l’Austria firmi un appello chiamato niente di meno “invito alla disobbedienza” e nulla di nulla, reazione pressoché inesistente; è possibile che il fior fiore dei teologi dica cose totalmente divergenti rispetto all’insegnamento ufficiale del magistero soprattutto in tema di morale sessuale e coniugale e anche in questo caso reazione pressoché inesistente; è possibile che ci siano abusi sulla liturgia per tutti i gusti (da canzonette e balli da parte del celebrante, fino a clown e majorettes sugli altari o quasi) e… reazione pressoché inesistente. Ma poi… se si vuole vivere una vita religiosa o diffondere una linea teologica in perfetta coerenza con la Tradizione e quindi con la dottrina di sempre della Chiesa, apriti cielo! Scattano i commissariamenti, le deposizioni, si tagliano teste (ovviamente in senso figurato) e sai.
Personalmente non ho mai condiviso le idee di Giorgio Gaber e penso che sia facile intuirne il motivo, ma che fosse una persona intelligente è fuor di dubbio, tanto è vero che non si è mai scioccamente allineato al “politicamente corretto”, colpendo a destra… ma soprattutto a manca, cioè tra i suoi amici. C’è un bella canzone nell’album Libertà obbligatoria che s’intitola L’America. Alla fine vi sono queste parole: «Te la mettono lì, la libertà è alla portata di tutti, come la chitarra. Ognuno suona come vuole e tutti suonano come vuole la libertà». Che è come dire la tolleranza va bene ma solo per chi teorizza la tolleranza, altrimenti no.
Ora che questa atmosfera si respiri nel mondo, non sorprende: il mondo e il demonio devono pur fare il loro mestiere… ma che si debba respirare negli ambienti ecclesiali…
Ci rincuora però la inossidabile verità che la Chiesa è santa, che mai finirà, che la guida Nostro Signore Gesù Cristo e che è sotto il manto dell’Immacolata.
Corrado Gnerre (3 agosto 2013)
Enzo Bianchi continua a imperversare
di Amerigo Augustani (19/06/2013)
Il 20 aprile 2013 tutti i riflettori sono puntati su Montecitorio e sull’imminente e inedita rielezione del Presidente della Repubblica in carica. Pochi sanno che lo stesso giorno, a Bari, si svolge il festival di un’altra Repubblica, quella di Scalfari e della sua nutrita schiera di intellettuali laicisti. Tra i partecipanti figura anche Enzo Bianchi, il noto priore di Bose, araldo del dialogo tanto generoso quanto arrendevole col “mondo”.
A lui e al filosofo anti-cattolico Umberto Galimberti è affidata la riflessione sul tema Il nostro bisogno di verità. Un bisogno saziato con indigesti bocconi nichilisti da Galimberti (il che rientra nel copione) e con non meno ostiche e verbose dissertazioni di Bianchi. Si parla di morte e di senso della vita, delle «grandi domande», che la modernità illuminista vuole rigorosamente mantenere tali, senza risposte certe.
Il priore sta al gioco, sacrificando in nome del dialogo le basi stesse del cristianesimo e fa sapere al pubblico che c’è una «evoluzione del mondo della fede» e che oggi la «teologia classica» ha delle risposte interessanti alle domande esistenziali. La prima: «La fede non sta nel piano della conoscenza, la fede sta sul piano delle convinzioni» perché «il cristiano non ha certezze» e «chi crede, non è che sa. Non è che conosce. Chi crede è convinto, ha una convinzione dentro di sé»; inutile negare la forte carica relativista di un simile messaggio, un modo contorto e pasticciato di distinguere tra “scienza e fede” che finisce col fare torto alla tradizione cristiana, la quale ha sempre insegnato che «l’assenso della fede non è affatto un cieco moto dello spirito» (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 156).
Seconda: la Chiesa «in un primo tempo» ha insistito sul peccato originale come spiegazione del male, ma, ci informa l’aggiornatissimo monaco, «oggi la Chiesa non è più su queste posizioni. La Chiesa non legge più il peccato originale nella preistoria degli uomini, questo davvero ormai è una sciocchezza. Più nessuno osa dire questo». Si osa invece dire che «il peccato sta nelle fibre di ogni uomo che viene al mondo. Se volete quella incapacità a operare sempre bene. Il male a un certo punto entra in noi. Quando noi abbiamo incominciato a essere cattivi? Chi è che lo può dire? a un certo punto abbiamo notato che il nostro operare era il male. E su questo la Chiesa non dà risposte». Invece sì: basta rispolverare il Catechismo del 1992 per apprendere che la dottrina di San Paolo sul peccato di Adamo trasmesso a ogni uomo è come «“il rovescio” della Buona Novella che Gesù è il Salvatore di tutti gli uomini, che tutti hanno bisogno della salvezza e che la salvezza è offerta a tutti grazie a Cristo. La Chiesa, che ha il senso di Cristo, ben sa che non si può intaccare la rivelazione del peccato originale senza attentare al mistero di Cristo» (CCC, n. 389).
E gli scoop proseguono: la caduta degli angeli buoni «non fa parte del Credo, della teologia della Chiesa» (cfr. invece CCC, n. 391); la fede in Dio «dipende da Dio, se lui ci dà questo dono o no» (tradotto: se sei ateo, tranquillo, vuol dire che la fede non fa per te); «è più importante la coscienza che ogni autorità teologica, dogmatica ed ecclesiale».
Ci domandiamo cosa debba ancora accadere perché le autorità della Chiesa si decidano a lanciare almeno un richiamo formale al troppo disinvolto priore di Bose, il quale, paradossalmente, riesce perfino a “rubare lavoro” al Sant’Uffizio. Il 12 maggio 2012 a Caravaggio si era scagliato contro «certi movimenti» troppo affezionati alla parola «destino» e così ha concluso: «Mi domando perché nessuno li corregge». Testuale.
Com’è moderna “Famiglia (s)cristiana”!
Il settimanale dei Paolini pubblica una pagina di pubblicità contro l’omofobia che è una omologazione al pensiero unico dominante, l’accettazione acritica di un messaggio sbagliato che è un insulto alla ragione e contraddice, oltre alla dottrina cattolica, anche il buon senso.
di Mario Palmaro (La Bussola Quotidiana, 04/02/2013)
“Mamma, mamma, che cos’è una lesbica?”. La mamma di Pierino ha un attimo di smarrimento, vacilla, cerca di organizzare la risposta, ma per prima cosa chiede al suo bambino: “Dove hai sentito quella parola? Al telegiornale, a scuola o forse al campo sportivo?”. “No mamma: l’ho letta su Famiglia Cristiana”. Al che la povera genitrice corre in soggiorno a sfogliare la gloriosa rivista cattolica dal nome rassicurante. E qui la povera donna scopre, con sgomento, che Pierino dice la verità. Perché nel numero 2 di Famiglia Cristiana di quest’anno, 13 gennaio, sulla terza di copertina campeggia una pagina di pubblicità ideata dal Dipartimento delle Pari opportunità e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Una pubblicità nella quale si vedono le foto di tre sconosciuti, accompagnate dalla seguente didascalia: “alto”, sotto il primo personaggio; “lesbica” sotto la seconda; “rosso” sotto al terzo, che ha effettivamente i capelli rossi. Segue slogan perentorio: “E non c’è niente da dire”. Segue spiegazione per i più duri di comprendonio: “Sì alle differenze. No all’omofobia”.
A questo punto io capisco benissimo che i lettori si stropicceranno gli occhi, e si metteranno a rileggere questo articolo dall’inizio, pensando di avere avuto un’allucinazione. Ma purtroppo è tutto vero: se portate in casa vostra Famiglia Cristiana, preparatevi a dover spiegare al pupo che cos’è una lesbica o un gay, preparatevi a tenere seminari serali per chiarire il concetto di omofobia, preparatevi a insegnare con pugno di ferro a tutta la prole, e ovviamente anche al genitore numero due (l’uso di parole come moglie o marito potrebbero essere considerate sintomo di omofobia), che intorno a questo tipo di diversità “non c’è niente da dire”.
Ormai anche i più duri di comprendonio l’hanno capito: è partita la più colossale campagna mediatica, ideologica, politica e legislativa di tutti i tempi per trasformare a livello planetario ciò che è anormale in normale, ciò che non è naturale in naturale, ciò che non è fisiologico in fisiologico. Più o meno tutti sanno che la dottrina della Chiesa si oppone a questo disegno di pervertimento dell’ordine naturale. Più o meno tutti sanno che a un vescovo, quello di Trieste, è stato impedito di uscire di casa da un gruppetto di facinorosi semplicemente perché monsignor Crepaldi dice la verità intorno alla sessualità umana. Più o meno tutti sanno che queste sono le prime avvisaglie delle persecuzioni che i cattolici subiranno se non accettano supinamente di omologarsi al “pensiero gaio”.
Dunque fa un certo effetto scoprire che un giornale formalmente cattolico come Famiglia Cristiana, per altro dietro compenso economico, metta in pagina una pubblicità che riassume proprio la “visione del mondo” dell’ideologia omosessualista. Un’ideologia che per altro ha ben poco a che fare con le persone in carne e ossa che vivono questa condizione. Un’ideologia che persegue un obiettivo di tipo culturale e giuridico: eliminare le categorie uomo-donna e rimpiazzarle con un soggetto senza identità definita che trae la sua sessualità non dalla sua natura e dalla sua corporeità “data”, ma dalla sua volontà arbitraria.
Qui non c’entra nulla il rispetto dovuto a ogni essere umano. Qui c’è in gioco la ragione: perché bisogna insultare la ragione per far credere che essere lesbica sia la stessa cosa che avere i capelli rossi o essere alto. Prima ancora che addentrarsi sul terreno accidentato del giudizio morale, qui si tratta di un banalissimo riconoscimento di un fatto antropologico: chiunque sa che i comportamenti o anche solo le tendenze che afferiscono alla sfera sessuale hanno un impatto sulla persona ben diverso dal colore dei capelli.
Ma se poi dal piano naturale ci spostiamo a quello soprannaturale, e ci lasciamo illuminare dalla Rivelazione e dalla dottrina cattolica, beh, allora l’infortunio di Famiglia Cristiana assume proporzioni imbarazzanti.
Che cosa penserebbe don Giacomo Alberione, fondatore della Società di San Paolo, imbattendosi in quella pubblicità dentro a una rivista del suo ordine religioso? Stiamo parlando di quel Beato Alberione che nel 1941, a proposito della “formazione dei nostri aspiranti alla vita religioso-sacerdotale” scriveva che “nei casi anormali di complicità con giovani, ragazzo o compagni, sarebbe follia tentare ancora una prova… anche perché i peccati contro natura, gridano vendetta presso Dio e privano di molte grazie”. Davvero singolare: la rivista dei paolini che pubblica una pubblicità che comporterebbe la condanna come “omofobo” del loro stesso fondatore. Il quale – da vero cattolico – insegnava che si deve “combattere l’errore o il peccato, non l’errante o il peccatore”. Ma che non avrebbe mai trasformato un disordine morale in una normalità per decreto statale, tanto per compiacere il peccatore. Né avrebbe usato le riviste del suo ordine – quelle che una volta si chiamavano “buona stampa” – come “taxi a pagamento” per idee contrarie alla dottrina cattolica e alla verità sull’uomo.
Senza dimenticare che don Alberione volle per la sua famiglia il nome dell’apostolo delle genti, quel Paolo di Tarso che nella prima lettera ai Corinti scrive questo terribile ammonimento: “Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio.” Prima che nascesse il “politicamente corretto”, si parlava così.
Insomma, quella pubblicità su Famiglia Cristiana è una brutta pagina di omologazione al pensiero unico dominante, è il simbolo dell’accettazione acritica di un messaggio che è sbagliato nei contenuti e nello stile, e – diciamocelo fuori dai denti – anche una brutta prova di cinismo verso il vasto pubblico dei propri lettori. Verso tutte quelle mamme di Pierino che una famiglia cristiana continuano a pensarla con marito, moglie e figli. E che hanno vissuto benissimo per decenni senza discettare di lesbiche, gay e omofobia.
Cristianesimo Cattolico: Veri e falsi profeti
Da Paolo VI a Benedetto XVI la difesa della vita è stata posta con chiarezza al centro di ogni processo di sviluppo. Ma queste voci profetiche e controcorrente non sono state ascoltate, anche da molti cattolici, che non capiscono che rifiutare la vita ha conseguenze nefaste anche per la…
Bianchi “esperto” del Papa? Non è così
Una prassi pastorale successiva al Vaticano II fa sì che l’autorità non intervenga più direttamente in caso di dottrine eretiche. E accadono cose che confondono i fedeli, e che però hanno una spiegazione semplice… Monsignor Antonio Livi risponde ai lettori che ci chiedono come mai Enzo Bianchi sia stato nominato dal Papa in due sinodi quale esperto.
di Monsignor Antonio Livi (25/01/2013)
Caro direttore,
vi ringrazio e mi complimento per il giornale ritornato. Ho letto con attenzione il dossier su Enzo Bianchi sentendomi confortato da quanto da voi scritto. Da tempo riscontravo contraddizioni tra quanto imposto dal nostro nuovo parroco e quanto detto dal Papa ma anche con quanto in parrocchia si conosceva e si faceva da tempo. Non capivo. Ora mi è tutto più chiaro. Mi sono informato e ho scoperto che il nuovo parroco è convinto sostenitore e frequentatore di Bose. Però avrei una domanda da porvi alla quale non so dare risposta. Come è possibile che Enzo Bianchi (leggo dal suo sito): nell’agosto 2003 ha fatto parte della delegazione nominata e inviata da papa Giovanni Paolo II a Mosca per portare al Patriarca Alessio II l’icona della Madre di Dio di Kaza? Ha partecipato come “esperto” nominato da papa Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla Parola di Dio (ottobre 2008) e sulla Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana (ottobre 2012). Mi domando, ma perché persino il Santo Padre lo ha scelto? Condivide le idee? Non capisco, parrebbe quasi aver ragione Bianchi quando si difende dicendo: “Cosa insinuate se persino il Papa mi convoca?”.
Carlo De Pasquale
***
Abbiamo scelto questa tra le diverse lettere che sono giunte in redazione sul caso Enzo Bianchi, perché pone una domanda che in molti si sono fatti. Per questo lasciamo la risposta a monsignor Antonio Livi:
I lettori mettono il dito nella piaga. Rispondere a questo quesito significa soffrire molto, interiormente, per le sorti della fede in mezzo al popolo cristiano. Ma, allo stesso tempo, significa riscoprire l’utilità ecclesiale del nostro lavoro di studiosi e di pubblicisti. Fino a papa Giovanni XXIII, che condannò le teorie di Teilhard de Chardin, l’autorità ecclesiastica interveniva subito e fermamente contro le dottrine eretiche o prossime all’eresia, o comunque tali da indurre il popolo a errori dottrinali. Poi questa prassi pastorale è stata abbandonata, per motivi che non sta a noi fedeli giudicare. Ad esempio, la teologia di Rahner, che pure molti studiosi seri considerano eretica, è stata accettata da molti vescovi come teologia da insegnare nelle Università pontificie e nei seminari. Le teorie del cardinale Martini, formalmente contrarie all’ortodossia su tanti punti di dogmatica e di morale, sono state tollerate, e alla sua morte molti esponenti dell’episcopato e anche della Santa Sede ne hanno parlato come di un “maestro della fede”. Si potrebbero fare mille altri esempi. Quanto a Bianchi, la sua nomina a “esperto” in due sinodi dei vescovi dipende esclusivamente dal fatto che parte dei nominati sottoposti al Papa per la nomina sono di competenza delle Conferenze episcopali, e la CEI ha designato tra gli altri Bianchi. Il papa Benedetto XVI, per conto suo, ha designato molti altri di ben altro orientamento dottrinale. Risultato: le raccomandazioni che dal Sinodo, alla fine dei lavori, sono state consegnate al Papa (pubblicate in inglese sul sito della Santa Sede) non sono affatto nella linea delle cose che Bianchi va reclamando, ma sono nella linea del magistero della Chiesa. Che fare allora di fronte a questo evidente abuso della libertà di parola che la Gerarchia lascia oggi anche ai più sfrontati contestatori e ribelli? Un fedele deve sapere (e noi della “Bussola” siamo qui per farlo sapere a tutti) che “maestri della fede” sono solo i vescovi in comunione con il Papa, quindi un vescovo e addirittura un cardinale (come Martini) che critica Paolo VI per via dell’enciclica Humanae vitae e chiede che si faccia il contrario di quello che la Chiesa ha stabilito una volta per sempre (il celibato sacerdotale e l’esclusione delle donne dall’ordinazione presbiterale) non è da prendersi in considerazione per quanto riguarda la fede ortodossa, che è l’unica che ci salva l’anima, l’unica che ci faccia essere membra vive del Corpo mistico (appartenere a una società o setta religiosa che si inventa una verità di comodo non garantisce affatto la salvezza eterna, anche se fa sentire qualche superficiale un cattolico “moderno”, “adulto”, “aperto” e “trendy”). Quanto ai semplici presbiteri o anche ai teologi e ai predicatori laici come Bianchi – per quanto si atteggino a “profeti” – se non si adeguano alla fede ortodossa non hanno alcun titolo perché il popolo li segua, sia nella dottrina che nel comportamento (morale, liturgico, disciplinare). Come ho scritto più volte, anche in questo sito, sono “falsi profeti” e “cattivi dottori”. E chi lo dice? Dovrebbero dirlo i vescovi e i cardinali, ma non tutti parlano a proposito. Lo dicono però i documenti ufficiali del Magistero: i testi del Vaticano II e il magistero ordinario dei papi, tutti: da Paolo VI a Benedetto XVI. Ciò che non è conforme a questi testi è da ritenersi (materialmente) eretico, anche se nessuna autorità eclclesiastica per il momento lo dice. Basta lo spirito di discernimento che, per grazia di Dio, ha ogni fedele istruito e in buona fede. Chi nella Chiesa divulga questo criterio, come io faccio con i miei libri e con gli articoli sulla “Bussola” e altre testate giornalistiche, non parla a nome proprio né difende una fazione ideologica all’interno della Chiesa (nemmeno i cosiddetti lefevriani), ma difende il popolo dai cattivi pastori. E’ un dovere grave di tutti, e non importa se costa talvolta la “persecuzione da parte dei buoni”. Il beato Antonio Rosmini, fondatore dell’Istituto della Carità, diceva che la prima carità è proprio la “carità intellettuale”, l’aiuto offerto agli altri cristiani perché distinguano, in mezzo a tante voci, la voce del Buon Pastore.
Antonio Livi
Johann Baptist Metz, teologo tedesco. Fu allievo di Karl Rahner. È uno dei fondatori della rivista ultraprogressista Concilium, nonché uno tra i massimi rappresentanti di quella teologia politica che si esprimerà soprattutto nelle teologie della liberazione, le quali troveranno il loro terreno di elezione naturale nei paesi del terzo mondo.
Jeannine Gramick, suora. Fondatrice, insieme a padre Robert Nugent, del progetto pastorale New Ways Ministry (Ministero delle nuove vie), un centro cattolico impegnato a favore della giustizia e della riconciliazione dei gay all’interno della Chiesa. Nel 1999 la Congregazione per la dottrina della fede, allora guidata dal cardinal Joseph Ratzinger (l’attuale papa), emanò una notificazione (Notificazione della Congregazione per la Dottrina della Fede a suor Jeannine Gramick e a padre Robert Nugent redatta dal card. Joseph Ratzinger il 31 maggio 1999) che ordinava a suor Jeannine di chiudere New Ways Ministry. Quando il presidente della conferenza episcopale degli Stati Uniti chiese al cardinale Ratzinger di fornire delle spiegazioni, gli fu risposto che non erano permessi ritiri spirituali, gruppi di studio o celebrazioni liturgiche per la comunità dei gay e delle lesbiche.