Vero o falso papa? Rifiuto del sedevacantismo e altri errori moderni.
Continua a leggere “Un libro contro la tentazione del sedevacantismo”
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Conclave: lo Spirito Santo non sfonda le porte domanda sempre permesso altrimenti si attiene anch’esso al comando extra omnes.
di don Ariel S. Levi di Gualdo (Papale Papale, 12/03/2013)
A partire dall’evento storico dell’11 febbraio, quando Sua Santità Benedetto XVI annunciò la propria rinuncia al ministero petrino per divenire alle ore 20 del 28 febbraio Vescovo Emerito di Roma, si è aperto il teatrino mediatico che ha concorso a de-sacralizzare in ogni modo l’ufficio del Romano Pontefice. Il sacro e supremo ufficio del Romano Pontefice non nasce da quelle assemblee collegiali in odore di collettivo anni Settanta, come ha vaneggiato a più programmi televisivi l’onnipresente dossettiano Alberto Melloni, indomito propagatore del “suo” Concilio Ecumenico Vaticano II, oggettivamente diverso nella forma e nella sostanza teologica ed ecclesiale dal Concilio Ecumenico Vaticano II celebrato e codificato dai Padri del Collegio Episcopale col suggello di Giovanni XXIII e di Paolo VI. Perché piaccia o non piaccia, senza il placet di Pietro un concilio ecumenico non è neppure pensabile e, semmai fosse anche celebrato, non sarebbe valido. Ciò con buona pace di certa dossettiana o alberighiana collegialità, posto che la tradizione collegiale è lungi dal nascere e dal morire con la discutibile Scuola di Bologna. A Melloni e ai suoi compagni, che di rete televisiva in rete televisiva si attaccano a un’idea molto soggettiva e confusa di concilio, nei loro tormenti (e tormentoni) ideologici di collegialità sconfinanti sovente nel democraticismo parlamentare, sfugge di prassi quello che recita una delle due costituzioni dogmatiche di quel Vaticano II al quale spesso si richiamano in modo ambiguo: « Il Collegio o Corpo dei Vescovi non ha autorità, se non lo si concepisce insieme con il Romano Pontefice […] quale suo capo. Come tale, questo Collegio, è pure soggetto di suprema e piena potestà su tutta la Chiesa: potestà che non può essere esercitata se non con il consenso del Romano Pontefice» [Costituzione Dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, 22: AAS 57 (1965) 26; cf CIC can. 336].
TRA “COLORE DELLE SCARPE DEL PAPA EMERITO” E TENTATIVO DI FARE LE SCARPE AL SUCCESSORE
Il sacro e supremo ufficio del Romano Pontefice nasce da una chiara frase imperativa che Nostro Signore Gesù Cristo in persona ha pronunciato: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno su di essa, a te darò le chiavi del Regno dei Cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» [Mt. 16, 18 – 19]. Sia in traduzione sia nel testo originale greco la frase non passibile di acrobatiche interpretazioni e costituisce una verità di fede dogmatica fondante, perché su questa “pietra” il Cristo edifica la sua Chiesa. Valuti pertanto il buon senso di qualsiasi cattolico cosa di per sé comporta, sul piano dogmatico ed ecclesiale, andare in qualche modo a scuotere questa pietra fondante. Ecco allora che in questi giorni di non poca tragicità per la Chiesa, giornalisti cattolici e vaticanisti in testa hanno totalmente sorvolato il delicatissimo elemento dogmatico ed ecclesiologico. Erano troppo impegnati a dare notizia che il Vescovo Emerito di Roma non avrebbe più indossato le scarpe rosse e che dalla veste talare propria del Romano Pontefice sarebbe stata eliminata la mantellina. La “pietra” sulla quale si edifica la Chiesa è stata dunque ridotta a un pezzo da sartoria e presto, da un giornale all’altro del mondo, si sono versati fiumi d’inchiostro per descrivere dove e come il Vescovo Emerito di Roma vivrà, come è stata allestita e restaurata la sua nuova residenza … Un esercito di giornalisti pungolati da “teologi” e “cattolici” cosiddetti adulti hanno parlato di “rottura epocale” dopo la grande “rottura operata dal Concilio Vaticano II”. Ignari in modo colpevole, o del tutto inconsapevole, o peggio ignorante, che il Vaticano II non ha rotto proprio niente. È stato una coerente e teologica continuità dell’intera tradizione conciliare che parte dal lontano Concilio di Nicea [anno 325]. Abbiamo veramente udito il peggio del peggio: Bruno Forte ha parlato a Rai1 di “papato collegiale”, altri di “papato a termine”, all’insegna del tutto provvisorio e del tutto relativo, immemori che, sacramentalmente parlando, non solo si è per sempre, ma parecchio di più ancora: si è in eterno. Per esempio: io non sono stato consacrato sacerdote a tempo, neppure e solo per questo mondo, ma in eterno. In questa riflessione non intendo dissertare né sul concetto di per sé aberrante di “Romano Pontefice Emerito” né sul pontificato in sé, desidero fare solo alcune riflessioni sul conclave che si è appena aperto oggi, poche ore fa.
QUELLA DECINA DI PORPORE CHE IL PAPA NON HA TOLTO… E CHE ORA…
La potente cordata a causa della quale Benedetto XVI è stato portato alla sua estrema rinuncia, non mancando prima e dopo di far capire in tutti i modi che la Chiesa – e la curia romana in particolare – era ormai ingovernabile, è molto ben rappresentata in conclave. Questo perché il mite e misericordioso Benedetto XVI, tra l’11 e il 28 febbraio, non ha reputato opportuno togliere almeno una decina di porpore ad altrettanti cardinali elettori. Presumibilmente per questioni di misericordia e per una definizione teologica tutta quanta nuova di umiltà e di carità, proprio come se il Cristo non ci avesse mai invitati a recidere gli arti infetti per evitare che la cancrena assalisse l’intero corpo [Mt. 5, 27-32], come se mai fosse entrato dentro il tempio a cacciare i mercanti a colpi di frusta [Mc. 11:11, 15-19; Lc. 19:45-48; Gv. 2:13-22]. La Chiesa ha bisogno vitale di urgenti riforme strutturali e la curia romana va per certi versi ripensata. Necessità alla quale è palesemente avverso un nutrito gruppo di cardinali ormai alienati al di fuori di ogni concreto reale sociale ed ecclesiale, ripiegati sulla malattia incurabile del potere per il potere, incapaci a vedere e a vivere la Chiesa come un fenomeno universale. Secondo i loro punti di vista è infatti l’universale che deve servire Roma, non Roma a servire quell’universale che costituisce il corpo della Chiesa, di cui Roma è madre e capo. La particolarità di questo conclave è data dal fatto che al suo interno dovrà scontrarsi in modo più o meno aperto il bene con il male, ma soprattutto i buoni vescovi contro i cattivi vescovi che il male alla Chiesa lo hanno inflitto, spesso con non poco scandalo per il mondo e per il buon Popolo di Dio. Alcuni ottimi elementi e diverse figure forti sono presenti in questo conclave, ma incontreranno molte resistenze da parte di un gruppetto di traviati perfettamente in grado di ricattare svariati cardinali che dentro i loro armadi non conservano pannicelli profumati di lavanda. È presto detto: costoro cercheranno di puntare in ogni modo su una persona debole e manipolabile che garantisca la conservazione del loro status quo.
DAL CORPO DI CRISTO AL CORPO… DIPLOMATICO
In questo conclave sono entrati anche alcuni autentici santi. Sono entrati alcuni uomini forse non ancora santi ma sulla buona strada per divenire tali, dotati in più di carattere e di comprovate capacità di governo. Vi sono entrati ometti e mezze figure di desolante mediocrità che si sono costruiti il cardinalato fin da quand’erano seminaristi, passando gran parte delle loro povere esistenze a compiacere per poter essere infine essi stessi finalmente compiaciuti. Infine vi sono entrati i diretti responsabili del disastro in cui oggi versa la Chiesa e che per questioni di diplomazia non potevano essere estromessi. Infatti, come tutti ben sappiamo, Cristo non ci ha affidato il suo Corpo Mistico [Col. I, 24], ci ha affidato un Corpo Diplomatico! Qualcuno, in modo tanto romantico quanto surreale e irresponsabile potrebbe dire: “Ma non preoccuparti e non essere pessimista. Tanto ci pensa lo Spirito Santo!”. No. Non ci pensa affatto lo Spirito Santo. Perché Dio si propone, non si impone. Dio bussa alle porte, non le sfonda; e se la libertà dell’uomo non gli apre, lo Spirito Santo di Dio se ne torna da dov’è venuto. Dio ha bisogno del libero consenso degli uomini, per poter operare e compiere straordinarie meraviglie. Questo mi preoccupa in questo conclave: la libertà di non pochi uomini che nella loro vita liberi non sono mai stati, perché solo la Verità, come dice l’Apostolo Giovanni, ci farà liberi [Gv. 8,32]. E la Verità reclama sempre la nostra libertà.
… mentes tuorum visita.
La sofferta decisione di Benedetto XVI di lasciare il pontificato è stata fin da subito interpretata in molti modi diversi. Tra questi anche la versione de-sacralizzante: il papato sarebbe diventata una carica come tutte le altre, laicizzata.
di Stefano Fontana (11-03-2013)
La sofferta decisione di Benedetto XVI di lasciare il pontificato è stata fin da subito interpretata in molti modi diversi. Tra questi anche la versione de-sacralizzante: il papato sarebbe diventata una carica come tutte le altre, laicizzata, a tempo e per uno scopo funzionale. Il Papa “uno di noi”.
La Nuova BQ ha subito messo in guardia da queste interpretazioni, che sono però molto diffuse, anche dentro la Chiesa e, soprattutto alla base, tramite i settimanali diocesani.
In questi giorni un teologo ha scritto: «In fondo il cristianesimo ha desacralizzato la religione: Gesù facendosi carne ha colmato le distanze con gli uomini. Per noi cristiani la grandezza è nella santità, non nella sacralità: la sacralità indica distanza, a differenza della santità”.
Il gesto del Papa viene visto, allora, come l’abbandono della sacralità per passare alla santità. A mio modo di vedere nella vita della Chiesa c’è sia il santo che il sacro. Certo, le persone non sono sacre, ma semmai sante. Ogni fedele è chiamato non a sacralizzare se stesso, ma a santificarsi. Questo però non vuol dire che non esista anche il sacro, come deposito oggettivo della Grazia a cui attingere per essere santi.
La Sacra Scrittura è sacra. I sacramenti sono sacri. L’Eucarestia è sacra. Il Tabernacolo, e la chiesa anche come luogo, sono sacri. Maria è senz’altro Santissima, ma è anche sacra, perché Tabernacolo vivente. La Chiesa è santa, ma anche sacra in quanto Mistero. Il sacerdote può essere più o meno santo, ma è senz’altro sacro, come sacra è la consacrazione che egli fa sull’altare.
Il nostro corpo ha una sua sacralità perché è tempio dello Spirito Santo. Il Papa e i Vescovi possono essere più o meno santi come fedeli, ma sono anche sacri, come successori di Pietro e degli Apostoli. Cristo ha desacralizzato la religione pagana, in quanto si è opposto al sacro come mito e ha insegnato ad adorare il Padre “in spirito e verità”. Egli si è sì fatto carne, ma non si è ridotto a carne. Si è fatto uno di noi, ma non si è ridotto a uno di noi. Ha presentato sé stesso come il Tempio e ha detto che può essere adorato anche al di fuori di luoghi a ciò deputati. Egli però non ha cessato di farsi trovare nella sacralità della Grazia divina e in tutte le occasioni sacre in cui la Chiesa lo celebra e lo annuncia.
Parlare di santità tagliando i ponti con il sacro, anzi presentando la santità come l’anti-sacro, come il congedo dal sacro, contiene a mio parere molti equivoci. Significa consegnarsi con le manzi alzate alla secolarizzazione, che è spesso una de-sacralizzazione senza per ciò portare ad alcuna santificazione.
Tornando a Benedetto XVI, egli ha voluto continuare a vivere nel “recinto di San Pietro” considerandolo, evidentemente, un luogo sacro. Ha detto, usando una immagine evangelica, di volersi ritirare “sul monte”, biblicamente luogo sacro per eccellenza. Ha detto di rimanere unito alla Chiesa nella sacralità della preghiera.
Non è diventato “uno di noi”, non ha smesso la veste bianca e non si è ritirato a vita privata. Non è più Papa, ma non è andato in pensione.
Dopo queste dimissioni, il Papa non diventa un impiegato dello Stato del Vaticano, santo, magari, ma non più sacro.
Papato forte perché umano, come titolava qualche giornale? No, grazie! Papato forte perché divino.
L’imminente conclave eleggerà il nuovo pontefice. Ma non scioglierà le incognite sul ruolo del cosiddetto “papa emerito”. Un grande canonista mostra i rischi di tale qualifica. E di altri equivoci che le fanno da contorno.
di Sandro Magister (www.chiesa, 09/03/2013)
Il nuovo papa in procinto di essere eletto come guiderà la Chiesa con ancora in vita colui che lo ha preceduto sulla cattedra di Pietro? Nell’imminenza del conclave, le incognite su come prenderà forma tale coabitazione sono ancora in larga misura irrisolte. Resta tuttora incerta, in particolare, la qualifica da attribuire a Joseph Ratzinger dopo la sua rinuncia al papato. È vero che dal direttore della sala stampa vaticana Federico Lombardi è stato autorizzato e incoraggiato l’uso della formula: “Sua Santità Benedetto XVI papa emerito”. Ma è anche vero che egli l’ha fatto in modo informale, solo a voce, a sua detta semplicemente “su indicazione di don Georg”, cioè del segretario particolare di colui che ha rinunciato al papato. Troppo poco e troppo vago perché la questione sia da ritenersi risolta. A riprova dell’incertezza che perdura, il 28 febbraio, cioè tre giorni dopo la dichiarazione di padre Lombardi, La Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti di Roma che è stampata con il previo controllo e con l’autorizzazione della segreteria di Stato vaticana, è uscita con un lungo e dotto articolo sulla “Cessazione dall’ufficio di romano pontefice” scritto dall’illustre canonista Gianfranco Ghirlanda, già rettore della Pontificia Università Gregoriana, che esclude tassativamente che si possa continuare a definire “papa” chi ha rinunciato a tale ufficio.
Scrive a un certo punto padre Ghirlanda: “È evidente che il papa che si è dimesso non è più papa, quindi non ha più alcuna potestà nella Chiesa e non può intromettersi in alcun affare di governo. Ci si può chiedere che titolo conserverà Benedetto XVI. Pensiamo che gli dovrebbe essere attribuito il titolo di vescovo emerito di Roma, come ogni altro vescovo diocesano che cessa”.
E nel capoverso finale: “L’esserci soffermati abbastanza a lungo sulla questione della relazione tra l’accettazione della legittima elezione e la consacrazione episcopale, quindi dell’origine della potestà del romano pontefice, è stato necessario proprio per comprendere più a fondo che colui che cessa dal ministero pontificio non a causa di morte, pur evidentemente rimanendo vescovo, non è più papa, in quanto perde tutta la potestà primaziale, perché essa non gli era venuta dalla consacrazione episcopale, ma direttamente da Cristo tramite l’accettazione della legittima elezione”.
Interrogato in proposito, padre Lombardi ha risposto che La Civiltà Cattolica è sì uscita dopo, ma è stata stampata prima dell’indicazione da lui data, che continuerebbe a valere.
In effetti la formula “Sua Santità il Papa emerito Benedetto XVI” è stata usata nell’infelice telegramma di saluto inviato a Ratzinger il 5 marzo dal cardinale decano Angelo Sodano a nome del collegio cardinalizio riunito per la preparazione del conclave. Un telegramma di brevità e banalità disarmanti, sbagliato sia nei modi che nei tempi, avendo già Benedetto XVI in persona, nell’ultimo suo atto pubblico da papa, salutato ad uno ad uno ciascun cardinale.
In ogni caso, manca ancora su questo una decisione ufficiale. Per averla, occorrerà forse attendere la nuova edizione dell’Annuario Pontificio, che per forza di cose pubblicherà, accanto alla pagina del nuovo papa con gli appellativi che gli competono, anche un riferimento al suo vivente predecessore, con le qualifiche che il nuovo eletto gli assegnerà. L’incertezza su questo punto specifico è una spia di un più generale e perdurante disorientamento nell’interpretare il gesto di rinuncia compiuto da Benedetto XVI e nel capirne gli effetti. Con i rischi che potrebbero scaturire dalla convivenza tra due papi entrambi definiti tali, uno regnante e uno emerito.
L’intervento che segue, espressamente scritto per www.chiesa, vuole gettare luce su questo terreno irto di equivoci. L’autore è ordinario di diritto canonico nella facoltà di giurisprudenza dell’Università Roma Tre. Tra i libri da lui pubblicati, spiccano i due volumi editi da Giuffré su Chiesa romana e modernità giuridica”, dal concilio di Trento al codice di diritto canonico del 1917.
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PAPATO, SEDE VACANTE E “PAPA EMERITO”. EQUIVOCI DA EVITARE
di Carlo Fantappiè
La rinuncia di Benedetto XVI ha stimolato diversi vaticanisti a improvvisarsi storici della Chiesa o teologi del papato. Si sono letti nei principali giornali errori grossolani in cui sono incorsi anche esponenti del mondo accademico (1). Ma soprattutto si è preso spunto dalla novità dell’atto per rimettere in discussione o pronosticare la crisi dell’ufficio petrino.
V’è stato chi ha parlato di una modernizzazione del papato, che si trasformerebbe da istituto permanente in un istituto a termine. Chi ha còlto l’occasione per sollevare la necessità della riforma dell’ufficio papale integrandolo con altri organismi collegiali. Chi ha azzardato la fine di un modello di governo e di una concezione del papato.
V’è stato anche, da parte opposta, chi non ha accettato la presente rinuncia neppure come una decisione eccezionale, perché vede spogliata la “sacralità” del papa e chi, addirittura, ritiene le dimissioni papali semplicemente impossibili sul piano metafisico e mistico, poiché l’accettazione dell’elezione porrebbe l’eletto su un livello ontologico diverso (2).
È evidente che la rinuncia di Benedetto XVI ha posto gravi problemi sulla costituzione della Chiesa, sulla natura del primato del papa nonché sull’ambito ed estensione dei suoi poteri dopo dopo la cessazione dell’ufficio.
Prima di parlare di una “ridefinizione” del papato sarebbe però necessario tenere conto della complessa sua elaborazione teologica e canonistica.
In primo luogo va detto che il papato è un ufficio rivestito da una persona e non, propriamente, una persona che investe un ufficio, anche se ne diventa titolare.
Come riconosce Max Weber, spetta al diritto canonico il merito di avere trasformato il “carisma personale” nel “carisma di ufficio”. Carl Schmitt aggiungerà che in queste ripartizioni concettuali “stanno la forza creatrice razionale del cattolicesimo e, contemporaneamente, la sua umanità”.
“Persona” e “ufficio” nella costituzione materiale della Chiesa sono e devono essere distinguibili. Questa è anche la condizione perché “morto un papa se ne faccia un altro” o perché un papa possa, in casi davvero eccezionali e per il bene superiore della Chiesa, “rinunciare all’ufficio” senza cadere in colpa grave davanti a Dio.
Con tale distinzione diviene chiara anche l’attribuzione della sacralità, della infallibilità e delle altre prerogative giurisdizionali od onorifiche. In quanto derivano dall’ufficio (per essere più precisi: dalla potestà di governo che è differente dalla semplice potestà di ordine, anche se inseparabile da quest’ultima) tali prerogative si perdono completamente con la morte o con l’eventuale rinuncia.
Allo stesso modo è da considerare superata, per la costante dottrina canonica, la tesi avanzata dai tradizionalisti circa l’impossibilità della rinuncia al papato.
Una notevole chiarificazione di tale punto venne, non a caso, dalle argomentazioni addotte dall’Olivi o da Egidio Romano contro le tesi dei cardinali Colonna all’indomani delle dimissioni di Celestino V.
Va infatti ricordato che la persona del papa non viene investita di un carattere indelebile, poiché l’ufficio di cui è titolare non rappresenta un quarto grado dell’ordine sacro dopo l’episcopato, né il papa è un vescovo superiore agli altri quanto al suo potere d’ordine.
Colui che è eletto vescovo di Roma (questa la causa efficiente del papato) succede nell’ufficio che fu per primo ricoperto dall’apostolo Pietro e quindi “eredita” i poteri di governo o di giurisdizione conferiti a quest’ultimo direttamente da Cristo come pastore di tutta la Chiesa.
Ma la rinuncia papale apre una seconda questione, quella del vuoto di potere nella Chiesa.
È solo ragionando sulla fonte di questo potere del papa e di quello del collegio episcopale che si possono definire in modo corretto il carattere unico della funzione papale e i limiti del suo potere.
Per questo è essenziale evitare una duplice confusione che traspare nel linguaggio dei commentatori odierni.
La prima confusione è tra l’ordinamento canonico e il sistema dinastico, per cui il papato sarebbe una monarchia assoluta ereditaria dove ciascun papa succederebbe al suo predecessore invece che a Pietro.
In tal modo i poteri di un nuovo papa sarebbero limitati dalle decisioni del precedente, cosa non ammessa, e si darebbe la possibilità teorica al papa, che vedremo essere inconsistente, di nominare il suo successore.
La seconda confusione è tra il sistema canonico e il sistema rappresentativo democratico, per cui il papa riceverebbe una sorta di mandato dalla Chiesa, nella fattispecie dall’assemblea di tutti i vescovi (concilio ecumenico), o da una sua rappresentanza (sinodo dei vescovi), o dal collegio cardinalizio che da quasi un millennio gode della riserva sulla sua elezione.
La dottrina cattolica afferma, invece, che il papa è investito del suo potere primaziale, nel duplice livello di capo del collegio episcopale e di capo della Chiesa, direttamente da Cristo tramite l’accettazione della legittima elezione fatta dall’organo del collegio dei cardinali. Ciò significa che quest’ultimo è concepito come organo della volontà divina. Perde infatti ogni potere dopo aver esercitato il suo compito.
A sua volta il collegio dei vescovi deriva i propri poteri dal collegio apostolico ma non li può esercitare indipendentemente dal suo capo, perché il collegio “non si dà senza il capo” (Concilio Vaticano II, “Nota explicativa praevia”).
Dunque, in tempo di sede apostolica vacante il collegio dei vescovi o una sua rappresentanza non possono compiere atti propri di tale collegio. Un concilio o un sinodo dei vescovi in corso non si sciolgono ma restano sospesi “ipso iure” fino alla decisione del nuovo papa. Al collegio dei cardinali e non ad altre istituzioni possibili è affidato il governo della Chiesa per il disbrigo degli affari ordinari o indilazionabili, con la precisazione che i cardinali non hanno alcuna potestà sulle materie che spettano al romano pontefice, comprese le regole per l’elezione del nuovo papa.
Proprio su questo terzo ed ultimo punto merita soffermarsi per precisare, con due riferimenti storico-dottrinali, il problema di eventuali interferenze tra un papa e l’altro o tra un papa regnante e un cosiddetto “papa emerito”.
In primo luogo vorrei evocare una teoria a lungo discussa circa il diritto del papa di nominare, di indicare il suo successore o di intervenire nella sua elezione.
Questa ipotesi fu formulata in due occasioni: nel 1877 dalla stampa italiana ed europea che, dopo la promulgazione del dogma dell’infallibilità pontificia, elaborò una curiosa teoria del diritto del papa di custodire “in pectore” il nome del futuro eletto, oppure del suo diritto di nominare un papa “coadiutore” con diritto alla successione, residente nel palazzo del Laterano con gli onori e le insegne riservate al pontefice anziano, fatta esclusione del triregno.
Ancora nel 1902 la stampa europea mise in circolo l’idea di una possibile nomina del successore da parte di Leone XIII. In entrambi i casi si intendeva tra l’altro eliminare in radice ogni interferenza esterna di tipo politico nella nomina di un papa, oppure evitare la costituzione di partiti nel conclave.
Nello stesso anno un canonista francese di orientamento ultramontano, G. Péries, scrisse una brochure bene informata per mostrare la mancanza di fondamento di simili opinioni, peraltro già emerse nel sec. XVI. Pur ribadendo il diritto del papa di regolare l’elezione, fissarne la data e il luogo e determinare i soggetti atti a prendervi parte, egli negava però in modo assoluto il diritto del papa di designare lui stesso in forma obbligatoria colui che gli sarebbe succeduto nella sede apostolica.
L’altro riferimento storico-dottrinale utile per illuminare i problemi attuali della Chiesa risale al medioevo ed è l’opinione di due canonisti del XII secolo, Baziano e Uguccione da Pisa, i quali si trovarono a commentare, nella causa VIII del Decreto di Graziano, il coesistere di sant’Agostino e di Valerio come vescovi della stessa città.
Entrambi i canonisti si domandarono se una simile coesistenza fosse possibile anche nell’ufficio papale. Ed entrambi risposero in senso negativo. Una tale eventualità – sostennero – non solo sarebbe stata fonte di scismi, ma avrebbe fatto diventare la Chiesa “bicipite”. Il grande Uguccione chiosò che solo in un corpo deformato possono esserci più capi, mentre soltanto ad uno è stato detto: “Tu vocaberis Cephas”.
Una conclusione. Nell’importante papato di Joseph Ratzinger il recupero del legame tra “theologia” e “ratio”, nonché tra “lex orandi” e “lex credendi”, non ha trovato un riscontro ugualmente positivo nel rapporto tra “theologia” e “ius canonicum”, quale componente strumentale della forma cattolica del cristianesimo.
Da cinquant’anni ad oggi poco è stato fatto per creare un ponte rinnovato tra l’ecclesiologia del Vaticano II e la razionalità giuridico-canonica.
Quando invece proprio grazie a quest’ultima la stabilità della Chiesa si serve di istituti, regole e procedure che permettono di risolvere le situazioni di crisi garantendo la continuità delle istituzioni.
NOTE
(1) Ad esempio lo storico Alberto Melloni quando ha incredibilmente indicato “l’unico atto infallibile del magistero novecentesco” nella qualifica dell’aborto come “disordine morale grave”. Oppure Armando Torno quando ha definito il papa “successore di Cristo”.
(2) Così Enrico Maria Radaelli in www.chiesa del 20 febbraio 2013.
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In questa intervista ad “Avvenire” del 21 febbraio, prima che padre Lombardi desse corso alla formula “papa emerito”, il professor Carlo Fantappiè aveva auspicato che come si fece un tempo per “Pietro del Morrone, già Celestino V”, si optasse oggi per analogia con la dizione “Joseph Ratzinger, già romano pontefice”: > Quando Pietro depone le chiavi
Il servizio di www.chiesa sui due volumi di Fantappiè su “Chiesa romana e modernità giuridica”, dedicati in particolare all’elaborazione del codice di diritto canonico nel primo Novecento: > San Pio X papa di retroguardia? No, un ciclone riformatore mai visto (13.5.2008)
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Il testo integrale dell’articolo del canonista Gianfranco Ghirlanda nel quaderno del 2 marzo 2013 de “La Civiltà Cattolica”, nettamente contrario al concetto di “papa emerito”: > Cessazione dall’ufficio di Romano Pontefice
di Lorenzo Bertocchi
Mentre proseguono le Congregazioni generali ormai tutti i cardinali elettori sono giunti a Roma e tra pochi giorni entreranno nella Cappella Sistina. Così finiranno le “chiacchere” e comincerà il Conclave vero e proprio da cui dovrà uscire il nome del successore di Benedetto…
Premono per una Chiesa che sia “democratica” secondo i loro desiderata: povera, pulita, trasparente. L’obiettivo è mandare Gesù nella soffitta delle immaginette ammuffite.
di Luigi Amicone (08/03/2013)
Massimo Franco, Marco Ansaldo, Marco Politi. Eccetera. Tutto come previsto. L’avevamo anticipato in un editoriale ed ecco che dal Corriere della Sera a Repubblica, giornali e vaticanisti, se ne fanno suadenti portavoce. In attesa della “fumata bianca”, lorsignori esigono dai cardinali che si riuniranno in Conclave trasparenza, pulizia, legalità.
Insomma, una perenne Vatileaks. Anche a costo di giustificare (come hanno piccinamente giustificato il Nuzzi di Sua Santità – perché se toccavano il “faro” quirinalizio o qualche altro poterazzo, vedevi se da Milano a Palermo le procure non si sarebbero scatenate e i direttori di giornali non avrebbero censurato “l’inammissibile dossieraggio”) l’insider, il furto, la ricettazione, fin nell’appartamento papale.
Vogliono una Chiesa sotto una campana di vetro. La vogliono sotto i riflettori dello spettacolo. Grande Fratello da godersi stando attaccati a internet nelle redazioni. O in pantofole sulla poltrona di casa. Vogliono che il lavacro delle beghe, dei peccati e dei panni sporchi dei poveri uomini e delle povere donne che abitano la Chiesa di Cristo sia esposto a una riunione di redazione con Ezio Mauro. E sia conferenziato in diretta streaming col direttore Ferruccio De Bortoli.
Il tutto, poi, impacchettato e messo in rete per i clic delle community. E che ci pensi un Grillo, finito d’incerare il Parlamento italiano, a passare lo spazzettone in Vaticano.
Davvero si stanno impegnando affinché questi 115 canuti porporati, espressione di un mondo archeologico che secondo lorsignori non dovrebbe manco più esistere (già, non sarebbe meglio scegliere il papa con un referendum su internet o farlo nominare dal Cda di Mediobanca o Cir di De Benedetti?), vengano a Canossa con il mainstream mondano. E si facciano finalmente “illuminare”. Non dallo Spirito Santo. Ma dallo stile obamiano delle élite. E dai “movimenti di base” per le donne prete e il matrimonio gay (che naturalmente obamiani ed élite oliano e manutengono coram populo).
L’obiettivo è sempre lo stesso. Da duemila anni a questa parte. Da che un tale tentò Cristo nel deserto. E da che re, imperatori, potenze di ogni feudo e colore, tentano di legare il Vicario di Cristo dove vogliono loro, padroni di questo mondo. Mandare Gesù nella soffitta delle immaginette ammuffite. Varare un “conclave democratico”. Battezzare un papa che faccia da assistente spirituale all’impero dei diritti, dei procuratori e dei gazzettieri delle “mani pulite”. Questo è adesso l’obbiettivo della grande religione del “we can”.
E già. Una volta volevano il Papa alla carolingia o alla sveva. Ieri le potenze dell’Asse lo volevano pulito come la razza ariana. O di classe come le armate di Stalin. Oggi chiedono una chiesa formato New York Times.
Si intende: di “rinnovamento” ha parlato il cardinal Angelo Scola. Così come, insieme a Scola, pressoché tutti i porporati sono consapevoli dei limiti, condizionamenti, errori, conflitti e taluni perfino crimini, in cui i chierici (specie di curia) sono caduti e cadono nell’esercizio delle loro funzioni, poteri e autorità. Certo che anche nella reggenza di quella entità politica e statuale che si chiama Città del Vaticano qualcosa cambierà. Certo che anche la Santa Sede Apostolica, in quanto entità gerarchica e organizzativa, aspira al rinnovamento. Però questa tensione riformatrice, il papato e i principi delle Chiesa la chiamano “purificazione della ragione”. E “conversione a Cristo”. Non “spoliazione dai beni mondani”, “chiesa povera”, “democratizzazione”.
Per altro, questa idea di democratizzazione e spoliazione è stoltezza e utopia interessata. Quanto al primato del Papa, non si scappa: è l’unica ragion d’essere del cattolicesimo. Senza Papa non c’è Chiesa cattolica. Perciò, se non vi va, rivolgetevi alle mille e una setta paracristiane che prolificano sotto i cieli e i governi di questo mondo. Quanto alla spoliazione dai beni e autorità terrene, da gerarchia, apparato, soldi, struttura, organizzazione. Che dire? Sono tutti elementi indispensabili, inerenti qualsiasi realtà storica. Tanto più la Chiesa cattolica.
Chiesa che, non vivendo su Marte e non essendo ancora in quel Paradiso in cui anche le zanzare e i moscardini avranno lo stesso valore di un milione di dollari, per compiere la sua missione su questa terra, deve necessariamente trovare (come ciascuno di noi e tutte le organizzazioni umane di questa terra) il sostentamento necessario per mantenere preti e suore, chiese e scuole, missioni e imprese, collaboratori e impiegati. Talora infedeli e sempre peccatori? Sì. Infedeli e peccatori. Perciò, continuate pure a scagliare le vostre pietre. Farisei. E scribi. Sta scritto: “Non praevalebunt”.
Sarebbe l’Arcivescovo di Sao Paulo, il Card. Odilo Pedro Scherer, di 63 anni, il “candidato” al Soglio Pontificio caldeggiato dalla CNBB, la Conferenza Episcopale brasiliana, la più vasta al mondo. A scriverlo, è stato il maggiore quotidiano del Paese, il “Folha de Sao Paulo”, nell’edizione dello scorso 5 marzo: secondo il giornale, per orientare i Cardinali suoi connazionali riuniti in Conclave, sarebbe stato espressamente richiesto l’intervento dei mass-media progressisti con articoli di chiaro sostegno, che paventino anche crescenti consensi attorno al suo nome sia presso le alte sfere ecclesiastiche, sia presso la stampa estera.
Notizia, questa, confermata anche dal blog “Messainlatino”, che individuerebbe nel Cardinale Decano Sodano e nel Card. Re altri due entusiasti promotori del Card. Scherer, già docente in diverse università e considerato uomo “di apparato” con un’innata capacità nel gestire i meccanismi delle Congregazioni vaticane, ma soprattutto a lungo segretario della CNBB, una Conferenza Episcopale in cui pare che l’unica variante sia tra chi è molto e chi è alquanto favorevole alla teologia della liberazione – da nessuno messa in discussione -, sia pure “ripulita” dai suoi aspetti più estremi e problematici, ma pur sempre identica negli errori di sostanza.
Con questa manovra, definita non a caso “treppiede”, sarebbe d’accordo anche il Segretario di Stato, Cardinale Camerlengo Tarcisio Bertone, in un primo tempo avverso, poi convinto – scrive “Messainlatino”- in vista del mantenimento degli attuali privilegi.
Il Card. Scherer, considerato un “centrista” vicino a posizioni liberiste, nel caso divenisse Papa sarebbe pronto a “smussare” gli angoli più “spigolosi” del Pontificato di Benedetto XVI ovvero quelli in odore di eccessiva “restaurazione”, in particolare il Motu Proprio “Summorum Pontificum”, da lui particolarmente osteggiato. Una linea inadeguata non solo per risolvere i gravi problemi, da cui le Diocesi brasiliane sono segnate, sette comprese, bensì anche per “risanare” la Chiesa universale dalle profonde e dolorose ferite, che ancora la affliggono (M.F.).
Forse l’arcivescovo di New York. Oppure quello di Boston. Nel solco di Benedetto XVI, con in più la frusta contro il malgoverno. Ma la curia resiste e contrattacca, spingendo avanti un cardinale brasiliano di sua fiducia
di Sandro Magister (www.chiesa, 07/03/2013)
Cristianesimo Cattolico: Un americano a Roma, verso la cattedra di Pietro
La riunione del Conclave dei Cardinali, chiamati in questi giorni all’elezione del nuovo Papa di Roma, è un evento che attira grande attenzione da parte dei media di tutto il mondo. Del resto, il ruolo del Papa nel XXI secolo appare molto più mediatico che direttamente pastorale o magisteriale,…
Aggiornamento: La situazione è inedita. È interessante osservare le reazioni interne ed esterne alla Chiesa passare dall’impatto traumatico e dai peana spesso di maniera ad oggi, col riposizionamento dei vaticanisti ognuno dal suo scranno mediatico e dalla rispettiva sfera di influenza curiale e non. Da qui prosegue la nostra navigazione a vista, decifrando e vivendo quel che ancora incontreremo. Quel che è importante è portare il nostro piccolo contributo perché la decisione di Papa Benedetto non venga strumentalizzata da chi in realtà vuole svuotare il Papato del suo potere e della sua valenza metafisica. E anche per discernere le osservazioni fondate da quelle che i tessitori di trame fanno circolare subdolamente per i loro intenti manipolatori.
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Su La Stampa è appena apparso un articolo di Andrea Tornielli, che sembra uscire dalla melassa sentimental-laudatoria per dare voce ad alcune inquietudini suscitate dalla rinuncia di Benedetto XVI. Esso esordisce col citare tra le poche – almeno finora a quanto ci risulta – voci fuori dal coro per «un atto grave e nuovo che alcuni non capiscono» (G.M.Vian su L’Osservatore). Si tratta delle dichiarazioni del Card. George Pell, ratzingeriano arcivescovo di Sidney [noi ne abbiamo parlato qui]: «Ci potrebbero essere persone che essendo in disaccordo con un futuro Papa potrebbero montare una campagna contro di lui per indurlo alle dimissioni». Pell ha detto che Ratzinger è un brillante teologo, ma anche di preferire qualcuno che sappia condurre la Chiesa. Il porporato australiano ha detto di non credere di essere «papabile», ma non ha escluso la possibilità di essere eletto: «Potrebbe accadere: io sono cattolico, sono un vescovo, sono un cardinale».
E di quelle dell’arcivescovo di Digione Roland Minnerath: «Che cosa è importante nel ministero di un sacerdote, di un vescovo o del Papa? I suoi doni intellettuali o il dono che egli fa di se stesso a Cristo? È non è forse questo il frutto più importante di ogni altra cosa?». Osservando inoltre che introdurre un «criterio di efficienza» è comprensibile e «valido nel governo delle questioni temporali di un capo di Stato. Ma l’esercizio del presbiterato e dell’episcopato è un’altra cosa». Minnerath si è anche chiesto quale sarà adesso lo «statuto» del Papa rinunciatario.
Ed è a questo punto che Tornielli, dopo aver dichiarato che
è fuori dubbio che un «Papa emerito» vestito di bianco, che porta ancora il nome papale, seppur «nascosto al mondo», in preghiera «nel recinto di Pietro», potrebbe risultare in qualche modo un «secondo» Pontefice.
afferma che Benedetto XVI ha cercato ieri di sgomberare il campo, facendo già un anticipato atto di totale e incondizionata obbedienza al successore, chiunque esso sia. Tuttavia questa affermazione è messa immediatamente in correlazione con questa:
Mercoledì scorso nella piazza San Pietro gremita di fedeli, c’erano gruppi di tradizionalisti che issavano cartelli con le scritte «Benedetto XVI di nuovo Papa», auspicando una sua rielezione, come pure «Benedetto XVI, noi saremo sempre con te».
correlandola col fatto che
«sui siti tradizionalisti circolano poi riferimenti apocalittici a rivelazioni e apparizioni».
Nel sottolineare che i siti tradizionalisti – a partire dal nostro – hanno riflettuto su ben altre implicazioni della rinuncia, non vorremmo che queste ‘fiorettate’ preludessero ad una impropria attribuzione, a chi ama la Tradizione, di etichette oscurantiste o di riserve nei confronti del nuovo Papa, che nessuno si è sognato di avanzare.
Fa eco anche il Giornale che oggi, 2 marzo, sull’onda delle stesse “voci autorevoli” citate da Tornielli, riporta:
Sarebbe un modo per garantire la libertà della Chiesa da condizionamenti e pressioni e preservare la sacralità della figura del vescovo di Roma, il vicario di Cristo in terra. Ma la mossa nasconde anche il rischio di ridurre la portata della decisione di Benedetto XVI, facendone un «caso personale» legato alle particolarissime condizioni di Joseph Ratzinger e non un gesto libero e consapevole che affida la Chiesa a chi la guida davvero, cioè Dio stesso. [Cosa che Benedetto XVI ha invece specificato]
In ogni caso, sulle possibili ripercussioni dell’evento e delle sue modalità, si alza un’altra voce autorevole riportata da Sandro Magister sulla problematicità della qualifica di “Papa emerito”, ritenendo più appropriata quella di vescovo, il relazione proprio alla rinuncia alla potestà primaziale. Si tratta de La Civiltà Cattolica, che pubblica un articolo del canonista Gianfranco Ghirlanda. Queste le affermazioni riportate da Magister:
“È evidente che il papa che si è dimesso non è più papa, quindi non ha più alcuna potestà nella Chiesa e non può intromettersi in alcun affare di governo. Ci si può chiedere che titolo conserverà Benedetto XVI. Pensiamo che gli dovrebbe essere attribuito il titolo di vescovo emerito di Roma, come ogni altro vescovo diocesano che cessa”.
E nel capoverso finale:
“L’esserci soffermati abbastanza a lungo sulla questione della relazione tra l’accettazione della legittima elezione e la consacrazione episcopale, quindi dell’origine della potestà del romano pontefice, è stato necessario proprio per comprendere più a fondo che colui che cessa dal ministero pontificio non a causa di morte, pur evidentemente rimanendo vescovo, non è più papa, in quanto perde tutta la potestà primaziale, perché essa non gli era venuta dalla consacrazione episcopale, ma direttamente da Cristo tramite l’accettazione della legittima elezione”.
E ancora, il 21 febbraio scorso, il professor Carlo Fantappiè, ordinario di diritto canonico all’Università Roma Tre, in un’intervista ad ‘Avvenire’, aveva auspicato che come si fece un tempo per “Pietro del Morrone, già Celestino V”, si optasse oggi per analogia con la dizione: “Joseph Ratzinger, già romano pontefice”, formulando alcune puntualizzazioni sull’uso del termine «emerito»:
Sappiamo come chiamare il vescovo che lascia a 75 anni: un tempo «iam episcopus», oggi «emerito», una formulazione né teologica né canonistica, ma mutuata dalla tradizione accademica.
Quindi, per l’eventuale qualifica «vescovo emerito di Roma» :
Se così si facesse, verrebbe accreditata in modo indiretto la teoria che anche il vescovo di Roma a 75 anni dovrebbe presentare le dimissioni. Attenzione, il titolo non è neutro! E sono convinto che non si dovrebbe smarrire la differenza sostanziale tra l’ufficio di un qualsiasi vescovo e quello del vescovo di Roma, dotato di un carisma proprio. Il pericolo è di svilire la funzione unica del ministero petrino. E di trasformare il papato in un ufficio funzionariale e burocratico.