Intervista rilasciata dal prof. Roberto de Mattei a La Porte Latine, il sito francese della FSSPX.
Continua a leggere “In Vaticano non c’è più lo spirito romano”
Intervista rilasciata dal prof. Roberto de Mattei a La Porte Latine, il sito francese della FSSPX.
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Dialogo sterile e nuove “tendenze” teologiche nell’offensiva Lgbt che entra nel santuario di Caravaggio. I fedeli scrivono al vescovo, ma il Tavolo sui giovani cristiani LGBT ha il suo via libera ed è voluto da Cammini di speranza, che si oppone alla “fondamentalista Bibbia”. La profezia di Ratzinger.
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Si direbbe che si stia a poco a poco definendo una sorta di nuovo metodo pastorale, che si sviluppa nei quattro momenti dell’accoglienza, dell’accompagnamento, del discernimento e dell’integrazione.
di Giacomo card. Biffi, Memorie e digressioni di un italiano cardinale, Cantagalli, 2007, pagg. 183-184.
Continua a leggere “Gli inganni del Vaticano II: “aggiornamento” e “pastoralità””
Il cerchio papale. A capo del Sinodo dei vescovi, parla di dottrina ma per attualizzarla.
di Mattia Matzuzzi (25/03/2014)
Papa Francesco ritiene che sia opportuno riprendere il grande tema della famiglia alla luce del Vangelo e in più, con i tempi mutati, dare uno sguardo che possa essere di attualizzazione della dottrina della chiesa”. Il fatto è che “molti temi, molti problemi, molte situazioni sono mutate da quel tempo, per cui la chiesa deve essere capace di rispondere alle sfide”. A tracciare l’obiettivo dei prossimi due sinodi sulla famiglia è il neo cardinale Lorenzo Baldisseri, che del Sinodo dei vescovi è (da poco) il segretario generale. È lui che, a margine del convegno internazionale “Papa Giovanni Paolo II: il Papa della famiglia”, spiega alla Radio Vaticana i motivi per cui la chiesa debba prendere atto di quanto è cambiato rispetto all’epoca in cui Karol Wojtyla scrisse l’esortazione Familiaris Consortio e agire dunque di conseguenza.
Il cardinale Baldisseri è colui che ha coordinato la sintesi dei rapporti sui questionari inviati alle diocesi lo scorso novembre e giunti a Roma nelle settimane scorse. È lui che, un po’ irritato, lamentava il fatto che diverse conferenze episcopali avessero violato la consegna della riservatezza, diffondendo alla stampa giudizi poco lusinghieri sull’Humanae Vitae di Paolo VI e più in generale sull’insegnamento cattolico in fatto di morale. “La pubblicazione non era prevista. Si tratta di un’iniziativa unilaterale delle singole conferenze episcopali. Se c’è qualcuno che fa quello che vuole, io non ci posso far nulla”.
Toscano di Lucca, settantatré anni, Baldisseri conosce bene Papa Francesco. Sette anni fa, quando il cardinale Jorge Mario Bergoglio sovrintendeva ai lavori per la stesura del Documento finale della Quinta conferenza generale dell’episcopato latinoamericano ad Aparecida, mons. Lorenzo Baldisseri era in Brasile già da cinque anni come nunzio. È lì che Baldisseri vede all’opera il futuro Papa intento a lavorare al lungo documento che fungerà, anni dopo, da agenda del pontificato. In quelle pagine è delineato il modello di chiesa fatto proprio da Francesco: periferia, poveri, missione, uscita. In Brasile lo aveva mandato Giovanni Paolo II, a coronamento di una carriera diplomatica che l’aveva portato in Guatemala, Salvador, Giappone, Paraguay, Francia, Zimbabwe e per lunghi anni a Haiti. Studi alla Lateranense in Teologia dogmatica e Diritto canonico, è poi entrato nella Pontificia accademia ecclesiastica, dove riuscì a coltivare anche la sua grande passione per la musica: dopotutto, nella diplomazia “si parla pur sempre di concerto delle nazioni”, disse.
Pianista, nel 2007 Benedetto XVI gli chiese di suonare per lui a Castel Gandolfo: “Non ebbi neppure il tempo di provare il pianoforte Steinway, che era appena stato regalato al Papa. Ero emozionato, ma tutto è andato per il meglio”. Tra i compositori prediletti, c’è Villa-Lobos, “scoperto durante gli anni da nunzio in Brasile”.
Richiamato a Roma nel 2012, fu nominato segretario della Congregazione per i vescovi e segretario del collegio cardinalizio. Ed è in questa veste che nel 2013 sarebbe rimasto sorpreso dal gesto che il neoeletto Pontefice, appena rientrato in Sistina dopo la vestizione nell’attigua stanza delle lacrime. Avvicinatosi per omaggiare Francesco, Baldisseri vedrà imporsi sul capo lo zucchetto rosso cardinalizio appartenuto a Bergoglio. Il Papa preso quasi alla fine del mondo recuperava un’antica tradizione ormai caduta in desuetudine: fu Papa Roncalli l’ultimo a porre la porpora in testa al segretario del Conclave, all’epoca Alberto di Jorio. Gesto che preconizza il cardinalato, come infatti poi è accaduto.
Alla prima occasione utile, un mese fa, Baldisseri – nel frattempo già promosso alla segreteria generale del Sinodo – veniva creato cardinale. Secondo in lista, subito dopo il segretario di stato, Pietro Parolin, e prima del prefetto custode della fede, Gerhard Ludwig Müller.
© – FOGLIO QUOTIDIANO
In vista del Sinodo per la Famiglia, il suo segretario generale, il cardinale Lorenzo Baldisseri, ritiene che la dottrina vada rivista. Considera superata l’esortazione apostolica “Familiaris Consortio” alla luce dei “tempi mutati”. Nemmeno il cardinale Kasper si era spinto così avanti. E le reazioni non si fanno attendere.
di Matteo Matzuzzi (24-03-2014)
L’obiettivo dei prossimi due Sinodi sulla famiglia (ottobre 2014 e 2015) lo ha spiegato direttamente colui che del Sinodo è (dallo scorso settembre) segretario generale, il neocardinale Lorenzo Baldisseri. L’occasione era data dal Convegno internazionale su “Giovanni Paolo: il Papa della famiglia” organizzato dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia in collaborazione con i Cavalieri di Colombo, che si è tenuto a Roma il 20 e 21 marzo. Intervenuto nell’ultima sessione riservata ai delegati delle conferenze episcopali europee, il cardinale Baldisseri ha poi rilasciato una breve intervista alla Radio Vaticana. Premesso che «l’iniziativa di trattare il tema della famiglia, quindi anche del matrimonio, è stato un momento importantissimo per la chiesa, stabilito da Papa Giovanni Paolo II», è venuto il tempo di andare oltre, dice sostanzialmente il porporato. In che modo? «Oggi naturalmente sono passati molti anni da quella famosa enciclica, la Familiaris Consortio (che in realtà è un’esortazione apostolica, ndr), e Papa Francesco ritiene che sia opportuno riprendere questo grande tema alla luce del Vangelo e in più, con i tempi mutati, dare uno sguardo che possa essere di attualizzazione della Dottrina della Chiesa». E questo perché – ha aggiunto il segretario generale del Sinodo dei vescovi – «molti temi, molti problemi, molte situazioni sono mutate da quel tempo, per cui la chiesa deve essere capace di rispondere alle sfide».
La posizione, dunque, è chiara: attualizzare la dottrina e aggiornare la Familiaris Consortio perché non rispondente più a quelle problematiche “inedite” che si sono affermate nell’ultimo trentennio. Su tutte, la questione del genere e delle unioni tra persone dello stesso sesso. Una prospettiva, quella illustrata dal cardinale Baldisseri, che si pone sulla scia di quanto scritto e dichiarato nelle recenti e numerose interviste dal cardinale Walter Kasper, il teologo cui Francesco aveva chiesto di tenere la relazione concistoriale sulla famiglia, e che già a gennaio era stata fatta propria in un’intervista a un quotidiano tedesco dal cardinale honduregno Oscar Rodríguez Maradiaga, ascoltatissimo coordinatore del gruppo di otto porporati che studia la riforma della curia.
Ma il segretario generale del Sinodo va oltre, perché se Kasper ha ribadito che in discussione non c’è la dottrina, quanto piuttosto la prassi da adottare caso per caso a seconda delle circostanze concrete e particolari con cui ci si trova a dover fare i conti, Baldisseri parla di necessità di attualizzare la dottrina. Una prospettiva, questa, che era già stata respinta con forza dal cardinale Carlo Caffarra: «L’immagine quindi di una Familiaris Consortio che appartiene al passato, che non ha più nulla da dire al presente, è caricaturale. Oppure è una considerazione fatta da persone che non l’hanno letta», aveva detto una settimana fa al Foglio. Il problema, per Caffarra, non sta tanto nel parlare di adeguamento o accomodamento dell’insegnamento cristiano al tempo d’oggi, quanto nel ribadire che c’è una verità che deve fungere da bussola. Concetto che l’arcivescovo di Bologna ha ripetuto anche nell’intervento pronunciato al convegno su Giovanni Paolo II chiuso proprio da Baldisseri: «La nostra ragione è talmente indebolita che sentendo parlare di verità, pensa subito ad opinioni circa il matrimonio, ad una qualche teoria della famiglia. Opinioni alla quali si contrappongono altre opinioni; teorie contestate con altre teorie. E così è accaduto nel mondo di oggi. Il risultato non poteva che essere la convinzione che non esiste alcuna verità circa il matrimonio», ha detto il cardinale Caffarra.
Sul tema è intervenuto nuovamente anche il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller. Presente a Capua per presentare il sesto volume dell’opera omnia di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI e per ritirare il premio assegnatogli dall’associazione “Tu es Petrus”, il porporato tedesco ha espresso ben più di una riserva quando sente «cardinali che vanno in giro parlando di tante cose». Il tema in oggetto era quello della concessione della comunione ai divorziati risposati e pur senza mai nominare Walter Kasper, Müller ha ricordato che seguire la prassi ortodossa e quindi autorizzare il riaccostamento sacramentale a chi ha dato vita a una seconda unione «significherebbe tradire la volontà e la parola del Signore» e proprio per questo «non possono essere riconosciute». Una chiusura netta, quella del prefetto già vescovo di Ratisbona, che si colloca sulla scia di quanto da egli stesso già dichiarato in altre circostanze, a partire dal lungo articolo pubblicato il 22 ottobre scorso sull’Osservatore Romano. In ballo c’è quel falso concetto di misericordia “slegato dalla verità” contro cui s’è scagliato anche il cardinale conservatore Raymond Leo Burke, intervenendo qualche giorno fa alla Catholic University of America di Washington. Sulla stessa linea, benché con maggiore prudenza, sembra essersi inserito anche il cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston che pure può vantare un solido e stretto rapporto di collaborazione con Francesco. Certo, ha detto O’Malley, «si cercherà di aiutare chi ha sperimentato il fallimento del matrimonio», ma «la Chiesa non muterà il suo insegnamento sull’indissolubilità del matrimonio». Già lo scorso febbraio, intervistato da John Allen per il Boston Globe, l’arcivescovo della capitale del Massachusetts si era mostrato refrattario a cambiamenti in materia: «Non vedo alcuna giustificazione teologica per mutare l’atteggiamento della Chiesa sulla riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti».
© LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA
Nel Concistoro Segreto in cui si è discusso di divorziati risposati e di eucarestia il “teorema Kasper” ha avuto pochissimi consensi, e molte critiche. Ecco una ricostruzione di alcuni degli interventi più significativi e importanti. “Sarebbe un errore fatale”, ha detto qualcuno, voler percorrere la strada della pastoralità senza fare riferimento alla dottrina.
MARCO TOSATTI (24/03/2014)
Doveva essere segreto, il Concistoro del 22 febbraio, per discutere della famiglia. E invece dall’alto si è deciso che fosse opportuno rendere pubblica la lunga relazione del card. Walter Kasper in tema di eucarestia ai divorziati-risposati. Probabilmente per aprire la pista in attesa del Sinodo di ottobre sulla famiglia. Ma una metà del Concistoro è rimasta segreta: e ha riguardato gli interventi dei cardinali. E forse non a caso, perché dopo che il card. Kasper ha illustrato la sua lunga – e a quanto pare non lievissima, quando pronunciata – relazione parecchie voci si sono levate per criticarla. Tanto che nel pomeriggio, quando il Papa gli ha dato il compito di rispondere, a molti il tono del porporato tedesco è parso piccato, se non stizzito.
L’opinione corrente è che il “teorema Kasper” tenda a far sì che possano comunicarsi in generale i divorziati-risposati, senza che il precedente matrimonio venga riconosciuto nullo. Attualmente questo non avviene; in base alle parole di Gesù, molto severe ed esplicite sul divorzio. Chi ha una vita matrimoniale completa senza che il primo legame sia considerato non valido dalla Chiesa si trova, secondo la dottrina attuale, in una situazione permanente di peccato.
In questo senso hanno parlato chiaro il cardinale di Bologna, Caffarra, così come il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il tedesco Mueller. Altrettanto esplicito il card. Walter Brandmuller («Né la natura umana né i Comandamenti né il Vangelo hanno una data di scadenza…Serve il coraggio di enunciare la verità, anche contro il costume corrente. Un coraggio che chiunque parli in nome della Chiesa deve possedere, se non vuole venir meno alla sua vocazione…Il desiderio di ottenere approvazione e plauso è una tentazione sempre presente nella diffusione dell’insegnamento religioso…». E in seguito ha reso pubbliche le sue parole). Anche il presidente dei vescovi italiani Bagnasco si è espresso in maniera critica verso il “teorema Kasper”; così come il cardinale africano Robert Sarah, responsabile di “Cor Unum” che ha ricordato, in chiusura dei suo intervento come nel corso dei secoli anche su questioni drammatiche ci siano state divergenze e controversie all’interno della Chiesa, ma che il ruolo del Papato è sempre stato quello di difendere dottrina.
Il cardinale Re, uno dei grandi elettori di Bergoglio, ha fatto un intervento brevissimo, che si può riassumere così: prendo la parola un attimo, perché qui ci sono i futuri nuovi cardinali, e magari qualcuno di loro non ha il coraggio di dirlo, allora lo dico io: sono del tutto contrario alla relazione. Anche il Prefetto della Penitenzieria, il card. Piacenza si è detto contrario e ha più o meno detto: siamo qui adesso e saremo qui a ottobre per un Sinodo sulla Famiglia, e allora volendo fare un Sinodo in positivo non vedo perché dobbiamo toccare solo il tema della comunione ai divorziati. E ha aggiunto: «Volendo fare un discorso pastorale mi sembra che dovremmo prendere atto di un pansessualismo diffusissimo e di un’aggressione dell’ideologia del gender che tende a scardinare la famiglia come l’abbiamo sempre conosciuta. Sarebbe provvidenziale se noi fossimo lumen gentium per spiegare in quale situazione ci troviamo e cosa può distruggere la famiglia». Ha concluso esortando a riprendere in mano le catechesi di Giovanni Paolo II sulla corporeità perché contengono molti elementi positivi sul sesso, sull’essere uomo, l’essere donna e la procreazione e l’amore.
Il cardinale Tauran, del Dialogo Inter-Religioso, ha ripreso il tema dell’aggressione alla famiglia, anche alla luce dei rapporti con l’islam. E anche il cardinale di Milano, Scola, ha elevato perplessità teologiche e dottrinali.
Molto critico anche il card. Camillo Ruini. Che ha aggiunto: «Non so se ho preso bene nota, ma fino a questo momento circa l’85 per cento dei cardinali che si sono espressi paiono contrari all’impostazione della relazione. Aggiungendo che fra quelli che non hanno detto niente e non si possono classificare coglieva dei silenzi “che credo che siano imbarazzati”».
Il cardinale Ruini ha poi citato il Papa Buono. Dicendo, in buona sostanza: quando Giovanni XXIII fece il discorso di apertura del Concilio Vaticano II disse che si poteva fare un concilio pastorale perché fortunatamente la dottrina era pacificamente accettata da tutti e non c’erano controversie; quindi si poteva dare un taglio pastorale senza timore di essere fraintesi, poiché la dottrina rimane molto chiara. Se avesse avuto ragione in quel momento Giovanni XXIII, ha chiosato il porporato, lo sa solo Dio, ma apparentemente in buona parte forse era vero. Oggi questo non si potrebbe più dire nel modo più assoluto, perché la dottrina non solo non è condivisa ma è combattuta. «Sarebbe un errore fatale» voler percorrere la strada della pastoralità senza fare riferimento alla dottrina.
Comprensibile dunque che il card. Kasper sembrasse un po’ piccato, nel pomeriggio, quando papa Bergoglio gli ha permesso di rispondere, senza però permettere che si desse vita a un vero contraddittorio: solo Kasper ha parlato.
Da aggiungere che alle critiche elevate in Concistoro al “teorema Kasper” se ne stanno sommando, in forma privata verso il Papa, o pubblica, altre, da parte di cardinali di ogni parte del mondo. Cardinali tedeschi, che conoscono bene Kasper, dicono che è dagli anni ’70 che questo tema lo appassiona. Il problema rilevato da parecchie voci critiche è che su questo punto il Vangelo è molto esplicito. E non tenerne conto – questo il timore – renderebbe molto instabile, e modificabile a piacere, qualunque altro punto di dottrina basato sui Vangeli.
© LA STAMPA
Il card. Maradiaga e le nuove famiglie che non piacciono a Müller.
01/02/2014
E’ un’ovvietà dire che il modello cristiano di famiglia non è più quello determinante, spiega in una nuova intervista (stavolta alla Frankfurter Allgemeine Zeitung) il cardinale honduregno Oscar Rodríguez Maradiaga, capo degli otto porporati chiamati dal Papa a rifondare la curia romana. E’ bene che tutti, nella Chiesa, si rendano conto al più presto che è venuto il tempo di “attribuire patenti” anche ad altri modelli di famiglia, ha detto il porporato. E i nuovi modelli altro non sarebbero che le unioni civili, quelle che comprendono figli nati da matrimoni diversi, genitori single, coppie gay. Insomma, “le famiglie patchwork” di cui parla anche il cardinale Schönborn. D’altronde, trentaquattro anni dopo l’esortazione apostolica Familiaris Consortio firmata dal prossimo santo Giovanni Paolo II, “la realtà è completamente cambiata”. Sì, è vero che “certe cose non possono essere modificate perché si basano sulle volontà del fondatore della chiesa”, chiarisce l’arcivescovo di Tegucigalpa, ma “altre sono opera dell’uomo e possono, anzi, devono cambiare”. Come? Basta ascoltare Francesco e i suoi richiami alla misericordia, ad esempio: “Questa è la nuova prospettiva da seguire per rispondere alle esigenze dell’umanità”. E poi, sarebbe utile essere meno rigidi nel rapportarsi e nel giudicare le nuove situazioni che hanno a che fare con matrimonio e famiglia; bisogna capire che non è tutto giusto o sbagliato, suggeriva Maradiaga al teologo e prefetto dell’ex Sant’Uffizio, Gerhard Ludwig Müller – “uomo con un punto di vista comunque molto rispettabile”, dice ora il cardinale honduregno alla Faz –, conversando con il quotidiano Kölner Stadt-Anzeiger. Certo, la flessibilità può anche andar bene, ma sia chiaro che “oggi la fede si difende meglio promuovendo la dottrina”, ha detto invece ieri Müller davanti a Papa Francesco in occasione della plenaria della Congregazione per la Dottrina della fede, aggiungendo che “la sana dottrina non è una teoria astratta di alcuni esperti, ma la parola di Dio posta sulla bocca della Chiesa, che suscita la fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio”.
Non è tempo, dunque, di concedere patenti, tantomeno se queste vanno a intaccare il valore sacramentale del matrimonio: “Alla crescente mancanza di comprensione circa la santità del matrimonio la Chiesa non può rispondere con un adeguamento pragmatico a ciò che appare inevitabile, ma solo con la fiducia piena nello spirito di Dio”, ha aggiunto Müller. Anche perché, una volta messo in discussione il concetto di famiglia e matrimonio, anche tutto il resto, dall’aborto alle unioni civili, fino al gender, diventa trattabile. Lo sanno bene i vescovi spagnoli, che a conclusione della riunione del consiglio permanente di gennaio hanno ribadito che sui princìpi non negoziabili non si tratta. Dal presidente uscente e arcivescovo di Madrid, il cardinale Antonio Maria Rouco Varela, veterano di marce e manifestazioni in difesa della vita, è arrivato un appoggio totale e pubblico alla legge a protezione del concepito e della donna incinta scritta dal ministro della Giustizia, Alberto Ruiz-Gallardón: “E’ un passo avanti positivo rispetto all’attuale legislazione, che considera l’aborto come un diritto”. Di aprirsi alle “nuove prospettive” teorizzate da Maradiaga non ne vuol sentir parlare neanche l’arcivescovo di Bruxelles, André-Joseph Léonard, che ha deciso di rompere gli indugi e scendere in strada per protestare contro la legge che introduce l’eutanasia sui bambini. Una giornata di digiuno e preghiera, veglie in tutte le cattedrali e piccole chiese del paese, raccoglimento e orazioni. “Dobbiamo avere il coraggio di dire che non è troppo tardi, ma che il momento è ora! Dobbiamo scuotere la nostra coscienza, è giunto il momento di agire”, recita il grido di battaglia di Léonard. Una mobilitazione fatta di marce e presidi che nel secolarizzato Belgio, dove di cattolico sono rimasti ormai quasi solo gli edifici di culto ridotti a museo, non si vedeva da decenni. Almeno da quando iniziò a essere dispensata qualche patente di troppo.
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di Paolo Pasqualucci (28/01/2014)
Ha destato un certo scalpore la recente intervista del cardinale honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga, rilasciata al quotidiano tedesco Kölner Stadt-Anzeiger, nella quale egli ha pesantemente attaccato Gerhard Ludwig Müller, al tempo monsignore e oggi anch’egli cardinale, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e quindi “defensor fidei” ufficiale della Chiesa cattolica. Lo scalpore è derivato anche dal tono aggressivo, per non dire spavaldo usato dal porporato honduregno. Egli ha accusato l’eminenza Müller di non aver capito che, con Papa Francesco, “la Chiesa è all’alba di una nuova èra, come cinquant’anni fa, quando Giovanni XXIII aprì le finestre per far entrare aria fresca”[1]. Non l’avrebbe capito in quanto “troppo tedesco”! Ha detto infatti Maradiaga: “Lo capisco, è un tedesco, un professore di teologia tedesco. Nella sua testa c’è solo il vero e il falso. Però io dico: fratello mio, il mondo non è così, tu dovresti essere un po’ flessibile quando ascolti altre voci. E quindi non solo ascoltare e dire no”.
Maradiaga dileggia l’ortodossia dottrinale di Müller
Dire “no” a che cosa? Quale sarebbe stata la colpa del cardinale Müller? Quella, ci ricorda il giornalista, di aver detto fermamente no “al riaccostamento ai sacramenti dei divorziati risposati”. In effetti in un documento pubblicato il 22 ottobre 2013 su L’Osservatore Romano, il Prefetto ha riprovato l’ostilità sempre più aperta di una parte consistente dell’episcopato tedesco contro la bimillenaria dottrina della Chiesa a proposito dei divorziati risposati, ai quali si vorrebbe oggi concedere l’accesso ai Sacramenti. L’atteggiamento di questi vescovi, sottolineo da parte mia, è un caso classico di falsa carità . Esso rende insicuro il concetto stesso del matrimonio cattolico, intaccando il dogma della fede. Infatti, già il proporla, questa scandalosa comunione, implica un riconoscimento implicito della legittimità della scelta dei divorziati “risposati”: cattolici che hanno voluto disobbedire ai comandamenti della Chiesa, fondati sul dogma, stabilito da Nostro Signore, della indissolubilità del matrimonio cristiano, l’unico che sia veramente tale poiché santifica i rapporti carnali nel fine superiore (voluto da Dio) della procreazione ed educazione della prole. Contro questa scandalosa proposta in odor di eresia, il cardinale Müller ha preso posizione con un documento nel quale ha difeso con limpida teologia la dottrina della Chiesa di sempre, negando ogni concessione. Tra l’altro ha scritto che, con l’invocato lassismo, “si banalizza l’immagine stessa di Dio, secondo la quale Egli non potrebbe far altro che perdonare”. Troppo facile, allora, diventerebbe rompere il matrimonio, che è invece “una realtà che viene da Dio e non è più nella disponibilità degli uomini”. “Rompere” il matrimonio, per un cattolico, è peccato. E bisogna dire, aggiungo io: peccato mortale, che provoca la dannazione eterna in chi non se ne pente e non lo espia in questa vita nei modi previsti dalla Chiesa. Invece oggi, cattolici e cattoliche artefici di divorzi si risposano civilmente e pretendono che la Chiesa riconosca come buona la loro scelta, ammettendoli ai Sacramenti! Ma questo, oltre che offensivo nei confronti di Nostro Signore, non lo sarebbe anche nei confronti di tutti quei cattolici che, con l’aiuto della Grazia, sono rimasti sempre fedeli al loro matrimonio, nonostante le inevitabili difficoltà, i pesi, come si suol dire, che il Demonio riesce sempre a caricarvi? Dare la comunione ai divorziati risposati rappresenterebbe, inoltre, una violazione patente di un principio elementare di giustizia: chi ha fatto quello che ha voluto e ha violato la legge morale e religiosa verrebbe trattato allo stesso modo (positivo) di chi ha seguito ed applicato quella legge, spesso a prezzo di duri sacrifici morali e materiali. In tal modo l’iniquità verrebbe premiata e tra il talamo incontaminato e l’infedeltà, tra il vero e il falso non ci sarebbe più alcuna differenza. Tra l’altro, che efficacia avrebbe un Sacramento somministrato ad un peccatore che resta tale e convinto di esser nel giusto, e talmente nel giusto da considerare un suo diritto ricevere il Sacramento medesimo? Una tale “apertura” non distruggerebbe il significato stesso dei Sacramenti agli occhi dei fedeli, che sarebbero costretti a considerarli una cosa poco seria?
Müller ci ricorda che Dio è giustizia, oltre che misericordia
Il cardinale Müller ha detto anche qualcos’altro, di estrema importanza a mio avviso, e che non si sentiva dai tempi di Giovanni XXIII, quando nell’ambigua Allocuzione di apertura del pastorale Vaticano II disse (ma l’aveva detto più volte anche prima) che la Chiesa non avrebbe più dovuto condannare gli errori ma usare invece la “medicina della misericordia”. È iniziata da allora la “banalizzazione” lamentata oggi dal cardinale Müller, secondo la quale “Dio non potrebbe far altro che perdonare”. Così come ha fatto l’autorità ecclesiastica nei confronti degli errori del Secolo a partire dal Vaticano II, rinunziando ad esercitare l’autorità che le viene da Dio e cadendo pertanto nell’inanità e nella corruzione che oggi la stanno consumando. Il concetto di estrema importanza, riesumato inaspettatamente dal Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, è proprio quello della “giustizia di Dio”, del quale si era persa appunto memoria. La misericordia, ha ribadito, non può esser separata dalla giustizia: “al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia”[2]. In effetti, Dio perdona a chi si pente e cambia vita, non a chi continua a vivere nel peccato come prima e pretende persino di esser accettato dalla Chiesa allo stesso titolo di chi nel peccato non ci vive. Questo significa cercare di prender in giro il vero Dio, Uno e Trino.
Un falso concetto di Incarnazione alla radice dell’errore
Ma la colpa di questa falsa idea di un Dio che non giudica mai e non ricompensa per l’eternità i meriti e le colpe di ciascuno (come risulta invece come estrema chiarezza dai Vangeli) non è tutta dei credenti: la Gerarchia ha lasciato che entrasse in circolazione e si diffondesse la bizzarra idea che tutti sarebbero già stati salvati dalla divina misericordia grazie a Gesù Cristo poiché Egli “con l’Incarnazione si è unito in certo modo ad ogni uomo” (costituzione del Vaticano II Gaudium et spes, 22.2). In tal modo Egli avrebbe svelato l’uomo a se stesso, rivelandone la sua altissima vocazione (Gaudium et spes GS.1 e 3-5). La “vocazione” dell’uomo, come si evince da svariati testi del pastorale e non dogmatico Concilio, consisterebbe nell’affermare la dignità dell’uomo come supremo valore e nel concorrere pertanto con tutti gli altri uomini alla realizzazione della pace nel mondo, all’istituzione di un nuovo ordine mondiale su di essa fondato, includente tutti i popoli con tutte le loro religioni. Si tratterebbe nientedimeno che di realizzare l’unità del genere umano e senza convertirlo a Cristo! Ora, se con l’Incarnazione il Cristo si è unito ad ogni uomo, nessun uomo può esser condannato all’Inferno poiché in ogni uomo resterebbe sempre quest’unione per così dire cosmica con il Cristo, essendo Cristo ab aeterno il Verbo divino. Ogni uomo ed ogni donna vengono così divinizzati, in quanto partecipi in qualche modo dell’Incarnazione del Verbo. Una dottrina così assurda, già combattuta come eretica da san Giovanni Damasceno (morto nell’AD 749, fustigatore dell’iconoclastìa) e confutata da san Tommaso, riesumata da teologi gesuiti censurati da Pio XII per le loro cattive dottrine, come Henri de Lubac e Karl Rahner e sventuratamente penetrata grazie a loro (immessi nelle commissioni conciliari dal “buon cuore” di Giovanni XXIII) in uno dei testi più discussi e contestati del Concilio, contraddice evidentemente quanto sempre insegnato dalla Chiesa sul dogma dell’Incarnazione, il cui contenuto appare di un’evidenza palmare nei Testi Sacri, sorretti dalla Tradizione della Chiesa: il Verbo si è incarnato in un solo uomo, storicamente esistito, l’ebreo Gesù di Nazareth, non si è “unito ad ogni uomo”. Come avrebbe potuto il Verbo “unirsi” all’uomo che è ciascuno di noi, afflitto dalle conseguenze del peccato originale? Egli ha innalzato la natura umana ad una dignità sublime in Lui non in noi, in Lui stesso poiché era senza peccato, mostrandoci in Lui stesso, il divino Maestro, il modello dell’uomo come dovrebbe essere per noi. Nostro Signore ha sempre detto che era venuto a salvare i peccatori (“veni vocare peccatores”, Mc 2 17), non a farci scoprire chissà quale nostra supposta dignità, della quale non ci saremmo accorti prima della sua venuta. E ha anche detto che sarebbe tornato il Giorno del Giudizio per dividere per sempre l’umanità in Eletti e Reprobi, dando a ciascuno la sua retribuzione in eterno, secondo i suoi meriti o le sue colpe. Queste erano una volta nozioni elementari della dottrina cattolica, si imparavano con il Catechismo. Oggi ai più possono sembrare inusuali, sostituite dal linguaggio ambiguo e confuso della pastorale attuale, volta da cinquant’anni a trovare un terreno d’intesa con gli pseudovalori del Secolo. E non solo con gli pseudovalori, persino con le deviazioni e le aberrazioni che ormai dilagano da tutte le parti.
Maradiaga vuole un’apertura a tutti gli usi corrotti del Secolo
Infatti, il cardinale Maradiaga non se la prende con il cardinale Müller solo per la questione della comunione ai divorziati risposati. Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dovrebbe diventare più flessibile anche per ciò che riguarda le famiglie allargate, i genitori single; la maternità in affitto, i matrimoni senza figli, le coppie tra persone dello stesso sesso[3]. Insomma, bisognerebbe dimostrarsi più elastici nei confronti di tutta la panoplia della vasta e molteplice corruttela contemporanea, per ciò che riguarda la famiglia. Ma come si può conciliare un’apertura del genere con la dottrina tradizionale della Chiesa? Niente paura, assicura il cardinale: “la dottrina tradizionale continuerà ad esser insegnata”. Tuttavia, “ci sono sfide pastorali alle quali non si può rispondere con l’autoritarismo ed il moralismo”. Anche il cardinale Mueller arriverà a capirlo[4]. Insomma, è un “tedesco”, un po’ duro di comprendonio ma si sveglierà, non c’è dubbio! E la dottrina tradizionale? Potrà pur continuare ad esser insegnata, come assicura il cardinale, ma in quali condizioni, mi chiedo? E ci tocca di vedere che una vigorosa ed efficace difesa dell’insegnamento perenne della Chiesa, proprio un cardinale osa bollarla come “autoritaria” e “moralista”? Il cardinale Maradiaga è coordinatore o segretario del Comitato di otto cardinali scelti da Bergoglio per coadiuvarlo nel governo della Chiesa. Occupa dunque una posizione influente nella catena di comando della Gerarchia attuale. Le cronache ci dicono che “è legato da antica amicizia a Bergoglio”. Il suo modo di intendere la pastorale della Chiesa non sembra pertanto lontano da quello del Papa, anche se presentato in forma più estrema, come risulta da una conferenza tenuta all’Università di Dallas, nel Texas, il 25 ottobre 2013, sull’Importanza della nuova evangelizzazione. Si tratta di un testo che sembra una vera e propria sinossi della più aggiornata “teologia della liberazione” o “popolare”, la “teologia” che notoriamente vede l’essenza della Chiesa nella cosiddetta “Chiesa dei poveri” – il che, sia detto incidentalmente, non si può ammettere, in quanto il Verbo, come ho appena ricordato, si è incarnato per convertire a Lui tutti i peccatori, che si trovano oltre che tra i ricchi anche tra i poveri, a meno che non si voglia sostenere che i poveri, gli indigenti, in quanto tali non commettono mai peccato![5]. L’approccio del cardinale Maradiaga non è teorico, è pratico, come quello di Bergoglio, del resto. Egli afferma: quello che serve alla Chiesa oggi “è più pastorale che dottrina”[6]. È un discorso che abbiamo sentito fare molte volte, da Giovanni XXIII in poi. E lo si capisce: se la pastorale è utilizzata per cercare di “aprire” in ogni modo possibile agli usi e costumi del Secolo, “dialogando” quindi con i suoi errori, giunti oggi alle brutture e deviazioni che sappiamo, la vera dottrina cattolica è chiaramente d’impaccio. Essa non serve, anzi dà fastidio. Nella scala gerarchica, Maradiaga non occupa una posizione paragonabile a quella del cardinale Müller. In quanto Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, quest’ultimo è la seconda autorità nella Chiesa, dopo il Sommo Pontefice, o la terza se gli si antepone il Segretario di Stato. Come si spiega allora l’audacia dell’attacco, spinto ai limiti dell’insulto personale? Evidentemente, con il fatto che Maradiaga si sente le spalle ben protette dal Papa. Se non vorrà subire una fine simile a quella toccata ai Francescani dell’Immacolata, il cardinale Müller dovrà adeguarsi alla svelta alla pastorale della “teologia popolare” di Papa Bergoglio.
Bisogna schierarsi con il cardinale Müller, difensore della fede
Ma il cardinale Maradiaga si sbaglia, se pensa di poter liquidare in questo modo la dottrina ortodossa della Chiesa. Lo scontro con il Prefetto della Congregazione della Fede non è pastorale, è eminentemente dottrinale, coinvolge direttamente il dogma della fede. Coinvolge il dogma perché coinvolge di per sé la natura stessa del matrimonio cattolico, che riposa sulle verità rivelate da Nostro Signore. La nuova “pastorale” invocata dal cardinale Maradiaga è solo una cattiva dottrina che vuole scacciare quella buona, difesa dal cardinal Prefetto. Cattolici: mettiamo da parte una buona volta conformistici ossequi per nulla graditi a Dio, pane quotidiano dei sepolcri imbiancati; ossequi che ci verranno sicuramente rinfacciati da Nostro Signore nel giorno del Giudizio: cerchiamo, invece, di capir bene il significato dell’attuale offensiva contro il Prefetto dell’ex Sant’Uffizio. Non si tratta solo di “stracci che volano”. Sotto attacco è il dogma della fede e quindi la nostra stessa salvezza, la vita eterna. Si sta tentando di imporre false dottrine, che corrompono la fede e avviano le anime sulla strada della perdizione. Ricordiamoci bene di quello che ha ordinato san Paolo al fedele Timoteo, da lui ordinato vescovo, come suo fondamentale dovere: “O Timoteo, custodisci il deposito [della fede], evitando le profane novità d’espressioni e le contraddizioni di quella che falsamente si chiama scienza, cui annunziando taluni persero la mira della fede” (1 Tm, 6,20). Dobbiamo pregare per il cardinale Müller, affinché resista all’assalto concentrico che gli si sta portando dall’interno della Chiesa e mantenga ad ogni costo le posizioni, respingendo la “falsa scienza” di falsi profeti. Pregare, e nello stesso tempo prendere pubblicamente posizione, come hanno già fatto Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, contro la deriva sempre più accentuata della Chiesa.
NOTE
[1] IL FOGLIO.it – On line, 22 gennaio 2014, articolo di Matteo Matzuzzi, Siamo agli stracci. Maradiaga contro il “troppo tedesco” Müller. Invece dell’aria fresca è entrata nella Chiesa quella mefitica del Secolo, ma in troppi continuano oggi a non volerlo ancora capire.
[2] Quest’ultima frase, è riportata sempre dal medesimo giornalista ma in un articolo del 25 gennaio 2014, che contiene un’intervista con il noto teologo laico progressista Vito Mancuso: Mutare la dottrina, si può e si deve, IL FOGLIO.it – On line. 25.1.2014.
[3] Articolo inizialmente citato.
[4] Ivi.
[5]Il testo di Maradiaga è reperibile sul sito, con il titolo: “The Importance of the New Evangelization”, pp. 1-8.
[6] Siamo agli stracci, cit.
© RISCOSSA CRISTIANA
La Chiesa di Francesco è diventata il luogo delle opinioni, piuttosto che delle verità. Intanto un’acqua torbida e tumultuosa vorrebbe spazzare via il muro dottrinale che protegge l’indissolubilità.
di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro (14/11/2013)
Anche quando dovrebbe essere al servizio di Nostro Signore, la burocrazia ecclesiale finisce sempre per provvedere soprattutto a se stessa, proprio come quella mondana. Non fa che parlare di sé, avocare ogni atto a sé e vedere chiesa e mondo a immagine di sé. Il questionario di preparazione per il Sinodo straordinario sulla famiglia recentemente diramato da Roma ne è solo l’ultima conferma. Riesce difficile vederne l’utilità, se si vuole veramente comprendere che cosa crede e che cosa pensa, quindi che cosa prega e che cosa è, il gregge affidato a Pietro.
Fino a qualche decennio fa, sarebbe bastato molto meno per avere contezza della situazione: qualsiasi prete che dicesse messa santamente, dopo il “Salve Regina” finale, avrebbe saputo riferire immediatamente al vescovo, e poi questi al Papa, senza dimenticare un volto e un’anima. Ma era un’altra messa ed era un modo di “sentire cum Ecclesia” che non va più di moda. La domenica mattina, dopo l’esile e orante “Asperges me…” intonato dal sacerdote, il popolo proseguiva vigoroso e sicuro sulla melodia gregoriana nell’implorare “Domine hyssopo et mundabor, lavabis me et super nivem dealbabor…”. Sulle parole del Salmo 50, ciascuno chiedeva per sé e per i fratelli di essere mondato nel sentore sacro dell’issopo e nel lavacro divino che lo avrebbero reso più bianco della neve. Intanto, racchiuso nel piviale sorretto dai chierichetti, il celebrante si era avviato lungo la navata ad aspergere e mondare con acqua benedetta coloro che, ancora una volta, accorrevano al sacrificio del Golgota. Per ognuno aveva uno sguardo e un’attenzione speciali, a ciascuno secondo il suo bisogno, poiché ne conosceva le virtù e i peccati. Era Cristo che passava ancora tra le folle della Galilea e della Giudea: “Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam…”, e chi sentiva il gregoriano risuonare da fuori si affrettava per toccare il lembo del mantello di Colui che li conosceva e li amava uno per uno.
“Il padre Smith”, racconta Bruce Marshall nel romanzo della lotta di questo sacerdote con la carne e il mondo, “percorse le file dei fedeli, mentre Patrik O’Shea lo precedeva con secchiello dell’acqua benedetta, e spruzzò di gocce d’argento i facchini ferroviari, gli scaricatori del porto, i marinai, le maestre di scuola, le commesse e le servette, che si segnarono. Sui capelli, sugli scialli, sulle zucche pelate, il prete spargeva l’acqua santa, lavando tutti, simbolicamente, dai pensieri e dalle ambizioni dei giorni feriali. Arrivò alle vecchine degli ultimi banchi che avevano in testa il berretto del marito appuntato con un grosso spillo perché se san Paolo aveva detto che la gloria della donna è la sua capigliatura, aveva detto anche che quando andava in casa del Signore doveva tenerla coperta. Alle tre girls del varietà, coi capelli che parevano trucioli, il padre Smith dette una spruzzatina speciale, perché quei loro visi gialli gli fecero un effetto così tremendo, e lo stesso fece per il professor Bordie Ferguson, in terza fila, perché pensava che questo metafisico soffrisse di orgoglio intellettuale”.
Padre Smith, come ogni altro sacerdote dei suoi tempi e della sua pasta, non avrebbe avuto bisogno di un questionario arrivato da Roma e anticipato dai giornali per sapere che cosa pensassero le sue pecorelle della fede, della dottrina, della morale e delle follie del mondo e della carne. Parlava al suo gregge con le parole di Dio e riferiva a Dio con le parole del suo gregge, che nulla avevano di mondano: mediatore sull’altare, lo era anche in canonica e lungo le strade della sua città.
Ora, la Chiesa di Roma si appresta al Sinodo sulla famiglia e avvia un’indagine conoscitiva in ogni diocesi per sapere che cosa frulla nella testa dei fedeli. C’è chi ha gridato al sondaggio e se, formalmente, si può anche eccepire, materialmente non si può ignorare la deriva mondana che concede molto, forse troppo, all’ansia sondaggistica. A cominciare dal linguaggio dolciastro e pedestre che ricorda tanto le preghiere dei fedeli delle messe di oggigiorno: “Quali sono le richieste che le persone divorziate e risposate rivolgono alla chiesa a proposito dei sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione? (…) Esiste una pastorale per venire incontro a questi casi? Come si svolge tale attività pastorale? Esistono programmi al riguardo a livello nazionale e diocesano? Come viene annunciata a separati e divorziati risposati la misericordia di Dio e come viene messo in atto il sostegno della chiesa al loro cammino di fede?”.
È sempre la liturgia a dettare la metrica e il linguaggio della chiesa e se, in un ospedale da campo, viene celebrata la messa inventata a furor di Concilio da monsignor Annibale Bugnini non ci si può attendere altro: una specie di questionario da accettazione per un pronto soccorso, ma meno preciso. Non potrebbe essere adottato strumento migliore per dare corpo a quella contiguità con il mondo che piace tanto ai fan del pontificato di Papa Francesco. Gilbert Keith Chesterton, con piena ragione, amava ripetere che ogni secolo ha bisogno di santi che lo contraddicano, ma oggi è difficile sentir dire da un pastore che, per esempio, nella chiesa si entra in ginocchio lasciando il secolo sulla soglia. “Eppure”, diceva in un’intervista Marshall McLuhan a proposito della sua conversione, “quando le persone iniziano a pregare hanno bisogno di verità. Tu non arrivi alla Chiesa per idee e concetti, e non puoi abbandonarla per un mero disaccordo. Ciò avviene per una perdita di fede, una perdita di partecipazione. Quando le persone lasciano la Chiesa possiamo dire che hanno smesso di pregare. Il relazionarsi attivamente alla preghiera e ai sacramenti della chiesa non avviene per mezzo delle idee. Oggi un cattolico che è in disaccordo intellettuale con la Chiesa, vive un’illusione. Non si può essere in disaccordo intellettuale con la Chiesa: non ha senso. La Chiesa non è un’istituzione intellettuale, è un’istituzione sovrumana”.
Laddove rimanga un minimo di rigore liturgico e razionale, risuona patetica la rincorsa al dissidente per offrirgli qualcosa di meno invece che qualcosa in più. Il questionario di preparazione per il Sinodo sulla famiglia è un repertorio di suggerimenti al ribasso, ricco di perle che possono solo inquietare. “Lo snellimento della prassi canonica in ordine al riconoscimento della dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale” vi si dice per esempio “potrebbe offrire un reale contributo positivo alla soluzione delle problematiche delle persone coinvolte? Se sì, in quali”. Sembra che la chiesa abbia scoperto oggi il territorio prima del tutto ignoto del dolore e della sofferenza abitato dalle famiglie distrutte e dalle coppie ricostruite che non possono accedere alla Comunione. Finalmente, nell’ospedale da campo di Papa Francesco, dopo secoli di indifferenza e di distrazione, si troverà la medicina giusta.
Ma sui divorziati-risposati, e ai divorziati-risposati, la Chiesa dice da sempre tutto quello che c’era, c’è e ci sarà da dire: “Ci sono nella vita situazioni coniugali che chiedono comprensione e destano compassione senza fine (…). Questi casi veramente pietosi di donne tradite, disprezzate, abbandonate, ovvero di mariti umiliati dal contegno della propria moglie rappresentano, per la chiesa e per il cristiano, casi meritevoli di molto rispetto e di sofferta considerazione”. Parole scritte nel febbraio 1967 da monsignor Pietro Fiordelli, vescovo di Prato che assurse agli onori delle cronache per la sua battaglia antidivorzista. È del 14 settembre 1994, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, il documento firmato dal prefetto della congregazione per la Dottrina della fede Joseph Ratzinger e rivolto a tutti i vescovi del mondo “circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati”. Stiamo parlando di 19 anni fa. Il Sant’Uffizio, citando la Familiaris consortio di Giovanni Paolo II, Anno Domini 1982, parte dalla considerazione che “speciale attenzione meritano le difficoltà e le sofferenze di quei fedeli che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari”. E poi scrive che “i pastori sono chiamati a far sentire la carità di Cristo e la materna vicinanza della chiesa” accogliendo con amore queste persone, “esortandoli a confidare nella misericordia di Dio e suggerendo loro con prudenza e rispetto concreti cammini di conversione. Il Sant’Uffizio del “pastore tedesco” conosceva già la misericordia di Dio e la sofferenza bisognosa e, proprio per questo, nel capoverso successivo, citando la Humanae vitae di Paolo VI, concludeva: “Consapevoli però che l’autentica comprensione e la genuina misericordia non sono mai disgiunti dalla verità, i pastori hanno il dovere di richiamare a questi fedeli la dottrina della chiesa riguardante la celebrazione dei sacramenti e in particolare la recezione dell’eucarestia”.
La pastoralità non può mangiarsi la dottrina e il documento del 1994 ribadisce che la Chiesa “fedele alla parola di Gesù Cristo non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio”. Questo concetto si chiama indissolubilità, è un vincolo di diritto divino e nessuna autorità, nemmeno un Papa, potrebbe arbitrariamente rinnegarlo. Da Enrico all’ultima pecorella di padre Smith, nessuno può cancellare quel vincolo, se esiste ed è valido. “Perciò”, conclude in modo euclideo il Sant’Uffizio, “se i divorziati si sono risposati civilmente, si trovano in una condizione che contrasta oggettivamente con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica per tutto il tempo in cui perdura tale situazione”. La Chiesa è, innanzi tutto, custode dell’Eucarestia e non può venire a patti sul monito paolino che mette in guardia dal comunicarsi senza essere il grazia di Dio per non mangiare la propria condanna.
Se un’anima è in peccato mortale, nessun atto formale che sia ingiusto potrebbe cancellare una verità di fatto, anche se reca la firma di un uomo di Chiesa. Non è possibile nessuna “amnistia”, neanche per i divorziati-risposati, perché essa non cambierebbe in alcun modo la loro condizione reale davanti a Dio. Ma oggi, dentro la Chiesa, si è smarrito il senso del peccato e ciò che inquieta nel questionario inviato a tutte le diocesi dell’Orbe è l’implicita rassegnazione a tale fenomeno. Questa sorta di tensione anagogica al contrario turba sempre meno anime, come scriveva Cristina Campo in una lettera del 1965 a Maria Zambrano: “Come mai si celebra ancora la festa dogmatica dell’Unica Immacolata, mentre implicitamente si nega, in mille modi, la maculazione di tutti gli altri? In un mondo dove non è più riconosciuto non dico il sacrilegio, l’eresia, la blasfemia, la predestinazione al male – ma il puro e semplice concetto di peccato? Padre Mayer mi disse un giorno di scrivergli tutte le cose che mi turbano nello svolgersi del Concilio; e io gli riposi: ‘Ma non sono che due, sempre le stesse: la negazione della Comunione dei Santi (potenza della preghiera, ruolo sovrano della contemplazione, reversibilità e trasferimento delle colpe e delle pene) e il rifiuto della croce (l’uomo ‘non deve più soffrire’, restare un’ora sola inchiodato alla croce della propria coscienza o alla porta chiusa di un irrevocabile ‘non licet’)”.
Quel “non licet” oggi spaventa soprattutto la chiesa, anche se è stato meritoriamente ribadito dal prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller, subito rimbrottato dal confratello Reinhard Marx. Sarebbe segno di ingenuità sottovalutare il sommovimento teso ad ammorbidire la posizione della chiesa. Il dibattito avviato negli ultimi tempi non è altro che lo sbocco in superficie di un fiume carsico presente nel mondo cattolico da decenni. Un’acqua torbida e tumultuosa che vorrebbe spazzare via il muro dottrinale che protegge l’indissolubilità matrimoniale. Per motivazioni di ordine pastorale, per realismo e apertura al mondo e alle sue esigenze pratiche. Non si contano i parroci, i moralisti, i docenti di seminario, i vescovi che su questa faccenda hanno abbandonato da tempo quanto insegnato dalla Chiesa. C’è chi pensa al modello ortodosso, che consente un bonus, una sorta di carta jolly per validare il secondo matrimonio dopo il fallimento del primo. C’è chi studia l’idea della “benedizione” delle seconde nozze, come succedaneo del sacramento vero e proprio.
Dal Concilio Vaticano II in poi, la Chiesa ha preso a concepirsi e presentarsi come problema invece che come soluzione per la salvezza degli uomini. Anche quando parla del mondo, in realtà lascia trasparire o dice palesemente la propria inadeguatezza e promette solennemente di porvi rimedio recuperando il terreno perso dall’avvento dell’illuminismo in poi. La portata di tale mutamento di prospettiva la si può paragonare a quanto avvenne in filosofia con il criticismo di Kant. Con l’avvento della filosofia kantiana, l’uomo non è più ritenuto capace di conoscere il mondo nella sua intima realtà poiché la ragione non viene più ritenuta in grado di raggiungere il noumeno, la cosa in sé, il vero nucleo dell’esistente. Di conseguenza, essendo considerata incapace di conoscere veramente il reale, la ragione viene anche considerata incapace di definirlo e si ripiega su stessa, non parla che di se stessa e finisce inevitabilmente per concepirsi come un problema. Oggi la chiesa appare intimidita davanti al mondo al pari dell’uomo kantiano davanti al noumeno. Dubita dei propri fondamenti intellettuali e pertanto, pur proclamando di aprirsi al mondo, in realtà si considera incapace di conoscerlo, di definirlo e, quindi, rinuncia a insegnare e a convertire: tenta solo di interpretare.
Se tutto diviene oggetto di interpretazione, è normale che sorgano le torri di Babele di documenti nei quali ogni minimo aspetto dello scibile viene preso in esame fin nei dettagli. Ma è ancora più naturale che i documenti non sortiscano alcun effetto sulla realtà per il semplice fatto che, in fondo, non se ne curano. Del resto, un organismo costretto a dubitare della propria capacità di conoscere e intervenire sul mondo non può che rifugiarsi in un universo fittizio creato sulla carta.
Il questionario di preparazione per il Sinodo sulla famiglia conferma tale deriva. E ora ne seguiranno altri, molti altri, moltiplicheranno le domande suggerendo un ancor maggiore numero di risposte. Se la chiesa aveva affascinato Chesterton come “luogo dove tutte le verità si danno appuntamento”, oggi sembra diventata il luogo dove si danno appuntamento le opinioni. In un luogo simile si sarebbe trovata a disagio una santa anima sacerdotale come il Curato d’Ars. A un confratello che gli confidava le pene per la condotta immorale dei suoi parrocchiani, quella creatura naturaliter antikantiana non consigliò di far circolare un questionario, chiese semplicemente: “Ha provato a flagellarsi?”.
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