Bonino al Quirinale: Monti getta la maschera

La leader radicale è parte di un progetto politico che vuole cancellare la cultura umanistica, di difesa dell’uomo, che il cristianesimo testimonia. E ora Monti la candida al Quirinale, grazie anche al sostegno di tanti cattolici.

di Danilo Quinto (21-02-2013)

Tra una visita “di commiato” al Papa che si svolge in piena campagna elettorale e una trasmissione televisiva in cui parla dei nipotini e coccola un cagnolino, il Presidente del Consiglio per gli affari correnti, non candidato alle elezioni perché non ha voluto rinunciare al suo ruolo di senatore a vita, lancia “l’uomo giusto” alla Presidenza della Repubblica: «Emma Bonino sarebbe una candidata molto buona per il Quirinale», ha detto infatti Mario Monti ieri mattina ai microfoni di Radio Anch’io. 

“L’uomo giusto”, così diceva lo slogan della campagna radicale del 1999 che la voleva Presidente della Repubblica. Pannella, a quei tempi, parodiava il Rossini del “Barbiere di Siviglia”: “Tutti la vogliono. Il popolo la voterebbe”, diceva. “Sarebbe – dice ora Monti – una candidata molto buona al Quirinale. In Commissione Ue insieme abbiamo fatto un ottimo lavoro. È una di quelle persone di cui ce ne vorrebbero di più”. Tante di più! Con buona pace di Giuliano Ferrara, che nel 2010 scriveva: “Detesto Emma Bonino, spero che perda le elezioni. E’ una intollerante, un’abortista sfegatata e una militante del torto negatore travestita da libertaria, una innamorata di sé dall’insopportabile accento vittimista, una cercatrice di cariche meticolosa e fatua, la complice non candida, ma molto candidata, del peggior Pannella, una pallona gonfiata come poche, un ufficio stampa ambulante, un disastro di donna en colère e di personalità pubblica”.

Un anno fa, quando il Presidente della Repubblica lanciò l’idea di una donna come suo successore, in molti fecero il nome di Emma Bonino. Dieci attori di gran fama, con un appello accorato sulla prima pagina del “Corriere della Sera”, scrivevano: “La candidatura di Emma non è solo un cambiamento di ‘genere’, ma è il ripristino di meritocrazia e di distanza da giochi di Palazzo e interessi di partito. E’ un grande e coraggioso passo avanti verso la riconciliazione tra eletti ed elettori”. I giornali la inserirono nei sondaggi proposti ai lettori, ricevendo un mare di consensi. Lei, forte di un grande avvenire dietro le spalle – con più di 37 anni di carriera parlamentare, salvo una parentesi di 5 anni, durante i quali fu commissaria dell’Unione europea, con una pensione assicurata di qualche decina di migliaia di euro al mese – si schernì. “Il Paese non è ancora pronto”, disse. A suo favore, intervenne il suo mentore: “La costanza della fiducia del popolo italiano nei confronti di Emma Bonino – affermò Pannella – ne fa ormai da due decenni la persona più adatta per il governo delle realtà, del tempo che stiamo vivendo”.

È proprio questo il punto. Il tempo che viviamo. Quello di Monti e della Bonino. Dei loro circoli esclusivi e riservati internazionali, come il Gruppo Bildelberg, che entrambi frequentano assiduamente. Delle loro amicizie con i potenti della terra, come George Soros, ideologo di quel nuovo ordine mondiale che vuole dominare il mondo. Del loro legame sancito con sorrisi e abbracci nell’emiciclo del Senato, alla prima “salita” di Monti in politica, nominato senatore a vita per fare il Presidente del Consiglio. Poi, guarda caso, sia per il 2012, sia per il 2013, ci fu la decisione del Governo d’inserire nella legge finanziaria l’importo annuale di dieci milioni di euro a favore del “servizio pubblico” di Radio Radicale. Ai diseredati si aumentavano le tasse, ai radicali si garantiva la “pagnotta”. Obiettivo condiviso da centinaia di parlamentari cattolici. Bontà loro!

Ah, i cattolici. Alla creazione del mito Bonino hanno contribuito tanti di loro, sicuramente molti di quelli che fanno opinione. Innanzitutto, quei cattolici che nonostante l’ideologia anti-umana propagandata dai radicali – che riguarda tutti gli aspetti della vita, da quella nascente alla morte naturale – sono pronti, comunque, a collaborare su altri temi, legittimando, di fatto, quella stessa ideologia, di cui è parte integrante la strumentalizzazione della religione. Un esempio recente è l’adesione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana alla campagna pannelliana sull’amnistia. 

Ha contribuito anche chi considera i “princìpi non negoziabili” non urgenti, non decisivi. Come il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi. Per questo motivo non sono menzionati nell’agenda montiana, sono calpestati dai propositi di coloro che vogliono consentire il matrimonio omosessuale e l’adozione dei figli per le coppie gay e sono “stracciati” dalle sentenze “creative” dei giudici italiani, dalla Corte europea di giustizia, dal Parlamento europeo e dal Parlamento italiano, che equipara i figli nati nel matrimonio ai figli nati da rapporti incestuosi. Si badi, tutte battaglie sulle quali si batte da decenni – insieme all’aborto, al divorzio, all’eutanasia, alla non sepoltura dei bambini mai nati, all’aberrante ideologia della droga libera – la laica Emma Bonino, che ha saputo defilarsi con grande abilità da questa campagna elettorale, per preparare meglio la scalata che si preannuncia al “trono”. 

Ma andando un po’ più indietro come non ricordare l’attuale direttore di Tv 2000, Dino Boffo, che da direttore di Avvenire, nel 2005, approvò la candidatura della Bonino a Commissaria Onu per i rifugiati, scrivendo: “Piace la fatica di considerare con libertà le persone; di denunciarne le azioni deprecabili e le convinzioni non condivisibili, senza impedirci di scorgere attitudini e qualità quando queste si esplicano sui terreni in cui non riscontriamo conflitti”. Già, quale conflitto vi può mai essere tra un cattolico e chi afferma “Io posso essere un?ammiratrice di quel cristianesimo delle origini, il cristianesimo costantiniano, perché esso ha co-struito, piaccia o no, l?edificio dell?Europa; non è l?unico linguaggio, ma certamente è uno dei linguaggi fondanti della nostra eredità. Credo però che oggi questo cristianesimo abbia esaurito la sua carica vitale, storica” (Emma Bonino, “I doveri della libertà”, Laterza Editore, 2012)? Da queste convinzioni deriva la forsennata battaglia della Bonino e dei radicali sui beni di proprietà della Chiesa, svolta a livello europeo, con tenacia e determinazione, per distruggerla, con un intento analogo a quello espresso, reiteratamente, dal Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, come “La Bussola Quotidiana” fece a suo tempo puntualmente rilevare. 

In un editoriale dello scorso mese di gennaio, Marco Tarquinio, attuale direttore di Avvenire, scriveva: “Ci sono fasi della vita dei Paesi nelle quali forze alternative coniugano i propri sforzi anche solo su temi ben definiti nell’interesse nazionale. Ma perché questo accada in Italia, occorre che ci siano almeno due buoni e grandi pilastri in un quadro politico rinnovato”. Ora, quel quadro politico rinnovato è meglio precisato: Bonino al Quirinale, con Monti Presidente del Consiglio o ministro dell’Economia in un Governo con Bersani e Vendola. Con qualche “pennellata” cattolica, pronta a riconoscere agli omosessuali il diritto al matrimonio e alla genitorialità. 

Consola sapere che esistono cattolici e cattolici. A questo proposito, correndo il rischio di essere ineleganti, riporto un brano che monsignor Luigi Negri, arcivescovo eletto di Ferrara-Comacchio, ha scritto nella prefazione al mio libro Da servo di Pannella a figlio libero di Dio (Fede & Cultura, 2012): “Sappiamo che un progetto egemonico vorrebbe elevare questa donna (Emma Bonino, n.d.r.) a dignità statuali, da cui portare più efficacemente l’attacco alla cultura umanistica, e cioè di difesa dell’uomo, che la fede cristiana da sempre testimonia nel mondo”. Quel progetto egemonico, chiamato dai suoi seguaci “religione della libertà” (!), sta prendendo corpo e se non conoscerà un argine, inquinerà irrimediabilmente le vite di tutti.

Elezioni, quel connubio improprio tra Monti e Chiesa

di Sandro Magister (19/02/2013)

L’operazione capeggiata da Mario Monti è stata una delle nuove offerte politiche di questa campagna elettorale. Ma nuovo è stato anche il modo con cui il premier uscente si è collegato con la Chiesa. Nuovo e strano.

La novità sta nel fatto che proprio mentre la gerarchia della Chiesa si ritraeva dalla mischia politica e rinunciava a scommettere sull’uno o sull’altro dei partiti in lizza, lui, Monti, si è mosso nella direzione contraria. Non solo in poco più di un anno è riuscito a incontrare il papa ben otto volte, l’ultima sabato scorso, polverizzando ogni record. Soprattutto ha voluto accanto a sé come ispiratore, stratega e selezionatore di candidati il fondatore e leader di un’associazione religiosa di primissimo piano, Andrea Riccardi della Comunità di Sant’Egidio, con i suoi fedelissimi in Vaticano e fuori. “È il mio polo magnetico”, ha detto di lui qualche giorno fa a Napoli, mentre si faceva accompagnare in visita pastorale nella “Casa di Tonia” e in altre opere assistenziali promosse dalla Comunità.

La stranezza sta nel fatto che se il calcolo di Monti era di attrarre la Chiesa dalla sua parte e con la Chiesa i grandi numeri del voto cattolico, l’effetto è parso essere opposto. Il momento magico di fine dicembre, quando “L’Osservatore Romano” uscì con un articolo del suo notista politico Marco Bellizi inneggiante a Monti, alla sua “politica alta” e al “successo” che gli si prevedeva, ha lasciato rapidamente il passo al ritiro di qualsiasi benedizione vera o immaginaria alla sua lista, da parte della gerarchia.

In Vaticano, quell’articolo scatenò le ire del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, che né l’aveva visto in anticipo né tanto meno autorizzato. Fu un’idea solitaria del direttore del giornale, Giovanni Maria Vian, che in un’intervista a formiche.net non ha nascosto la sua prossimità a Riccardi: “Per me è un amico da oltre un quarantennio, oltre a essere uno studioso che stimo”. Sta di fatto che da quel giorno, per ordine superiore, “L’Osservatore Romano” non ha più dedicato una riga agli sviluppi della campagna elettorale in Italia. E un parallelo richiamo all’ordine c’è stato per l’altro giornale cattolico, “Avvenire”, di proprietà della conferenza episcopale italiana. Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della CEI, ha ingiunto al direttore del giornale Marco Tarquinio di raffreddare i suoi bollori a favore di Monti e del suo alleato Pierferdinando Casini.

Ai vertici della CEI l’accoppiata elettorale tra Monti e Casini ricorda un’altra accoppiata dall’esito più che infausto: quella del 1994 tra Mario Segni, presunto “uomo nuovo” dell’epoca, e Mino Martinazzoli, ultimo erede di quello che era stato il grande partito della Democrazia cristiana. Allora la sconfitta fu su tutta la linea, anche per i vescovi che vi avevano tutto puntato. E oggi la CEI non vuole certo infilarsi in un altro fallimento, tanto più architettato da un leader cattolico come Riccardi, del quale diffida.

Il fondatore di Sant’Egidio entrò in politica nell’autunno del 2011 come ministro del neonato governo “tecnico” di Monti non perché raccomandato dai cardinali Bagnasco o Bertone, ma solo perché chiamato dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano, al quale era legatissimo. Anche Napolitano ha avuto frequenti e felici incontri con Benedetto XVI, ma alla CEI non gli perdonano la firma che egli negò nel 2009 al decreto del governo di Silvio Berlusconi che avrebbe impedito di infliggere la morte a Eluana Englaro. Su eutanasia, aborto, matrimoni omosessuali e altre questioni “non negoziabili” ieri il cardinale Camillo Ruini e oggi il cardinale Bagnasco hanno impegnato una vera e propria battaglia di civiltà. Ma queste sono anche le questioni sulle quali Monti ha idee piuttosto distanti da quelle della Chiesa, e lascia ai suoi libertà di coscienza. Cioè se ne lava le mani. Esattamente come il suo consigliere Riccardi, che dai principi “non negoziabili” si è sempre tenuto alla larga, ritenendoli un ostacolo al pieno di consensi a cui ambisce, non per la Chiesa ma per sé, per il suo futuro di ministro o di sindaco di Roma.

Cristianesimo Cattolico: Gli ambigui sponsor di Mario Monti

cristianesimocattolico:

di Danilo Quinto (20/02013)

Quanto vale l’incontro di commiato, di amicizia speciale, tra Benedetto XVI e Mario Monti? Dal punto di vista economico, è come se la Lista Civica di cui il Presidente del Consiglio è leader, avesse risparmiato qualche milione di euro di spot televisivi. Rispetto ai…

Cristianesimo Cattolico: Gli ambigui sponsor di Mario Monti

Dalla RU 486 alla Lista Monti. La vera storia di Dellai

Si può sbandierare la propria appartenenza cattolica e contemporaneamente essere favorevoli alla pillola RU 486? In teoria no, ma a Trento può capitare. Ecco la storia di una delle figure chiave del sostegno “cattolico” a Monti. 

di Danilo Quinto (La Bussola Quotidiana, 08-01-2013)

Si può sbandierare la propria appartenenza cattolica e contemporaneamente essere favorevoli alla pillola RU 486, fortemente voluta, anche in Italia, da tutti coloro che si battono contro la vita nascente e che nel mondo ha prodotto 32 morti accertate di donne che ne hanno fatto uso? Non si potrebbe, ma succede.

A partire dal 2006, la Provincia Autonoma di Trento, presieduta dal cattolico Lorenzo Dellai – insieme ad Andrea Riccardi, Raffaele Bonanni e Andrea Olivero, tra i maggiori promotori di una aggregazione cattolica a sostegno della “Lista Monti” – è stata tra le primissime in Italia ad appoggiare la sperimentazione della pillola abortiva e solo dopo la direttiva del Ministero della Salute, che obbligava il ricovero per la sua assunzione, ha provveduto in questa direzione, nonostante le sollecitazioni ricevute dal movimento pro-life e da numerose interrogazioni all’Assessore alla Salute della giunta presieduta da Dellai. Fino ad allora, la pillola veniva assunta in day-hospital. Quasi un fai da te. 

Anche questi piccoli fatti, fanno comprendere perché il Presidente del Consiglio, nella sua “agenda”, non abbia inserito alcun richiamo ai “principi etici” e perché il suo mentore, Andrea Riccardi, dica che i temi eticamente sensibili non costituiscono un’urgenza. Sarebbe troppo imbarazzante e insidioso parlarne in questa campagna elettorale.

La storia politica di Lorenzo Dellai incomincia a fianco di Bruno Kessler, il leader locale della sinistra democristiana, al quale si deve la nascita di quell’Università di Sociologia nella quale insegnarono Paolo e Romano Prodi, Flores D’Arcais e Norberto Bobbio e in cui mosse i suoi primi passi e maturò le sue idee Renato Curcio, futuro leader delle Brigate Rosse. 

Dellai, che da circa vent’anni guida il Trentino, prima da Sindaco, poi da Governatore, si è formato in questa cultura catto-comunista – che ancora in questi giorni ha trovato espressione in un accordo con il Pd per il governo della provincia autonoma di Trento – ereditando col tempo la solida struttura democristiana, svuotata dei valori cristiani e popolari, ma non dell’abilità politica e della capacità di creare consenso.

Del Presidente della Provincia di Trento e del periodo in cui il potere di Dellai prendeva forma e consistenza, ha scritto recentemente un cattolico di sinistra che scrive sul “Trentino”, quotidiano locale del gruppo “Repubblica-Espresso” e sul settimanale diocesano “Vita Trentina”: Piergiorgio Cattani, co-fondatore del PPI trentino, poi confluito nella Civica Margherita ideata e guidata da Dellai. Dice Cattani: «In questi anni ho conosciuto Lorenzo Dellai, dal quale non si può prescindere, poiché solo lui è stato il vero motore di tutte le vicende politiche trentine di questo periodo. In verità sono venuto a contatto e ho creduto al mito Dellai. 

Purtroppo, nel corso del tempo e sotto i colpi delle reali consuetudini, per alcuni, me compreso, questo mito è crollato e le illusioni sono svanite. Oggi esiste già una storia ufficiale della Margherita in cui vengono esaltate le grandi intuizioni del fondatore, soprattutto le meravigliose novità, mai viste prima, di metodo e di prassi: i cittadini riscoprono l’impegno, tutta la “comunità trentina fu coinvolta nell’elaborazione e nell’integrazione del progetto e dei contenuti programmatici”, i candidati vennero “selezionati nell’ambito di momenti aperti di confronto”. Qualcosa di epocale era nato, “la Civica Margherita ebbe l’effetto di modificare radicalmente e probabilmente in maniera irreversibile, il rapporto tra politica e cittadinanza”.

Questa mitologica ricostruzione contrasta apertamente con la realtà dei fatti e soprattutto con quanto ho potuto sperimentare di persona. La falsità più evidente si coglie nella modalità della scelta delle candidature in cui non solo non si attuò qualsiasi tipo di elezione primaria, ma, quel che è peggio, esse vennero decise attraverso le solite procedure. L’obiettivo finale era quello di raccogliere il maggior numero di voti e meglio distribuiti su tutto il territorio, a prescindere dalla compattezza ideale e programmatica della squadra. Il futuro candidato o fa parte della cerchia del capo o dispone di voti propri o custodisce qualche ingombrante segreto o è pronto a esibire contanti, oppure deve farsi avanti a minacce, spintoni, appoggi e quant’altro. Chi magari ha qualche competenza, ma è fuori dal gioco, non può sognarsi di avere ambizioni, chi è intelligente ma contraddice il capo, non è adatto. Chi è giovane e quindi dispone di un esiguo numero di voti, è invitato e quasi costretto a legarsi a un potente ed aspettare il proprio turno.

Mi stavo accorgendo che Dellai e i suoi accoliti, vinti da una sorta di delirio di onnipotenza e di presupponenza, si infastidivano per ogni tipo di confronto democratico, sicuri come erano di poter dare lezioni di politica a tutti… Con orrore, una volta ci accorgemmo di essere capitati in un’allegra brigata di dipendenti dell’Azienda Margherita: segretari particolari, assistenti del gruppo consigliare, ingegneri decorati con decine di appalti pubblici, consiglieri di amministrazione di vari Enti e portaborse vari in attesa di una qualifica o di un premio, passato alla storia come “premio Margherita”» (da “Ho un sogno popolare. Il racconto di una esperienza politica in trentino tra il PPI e la Margherita”, edizioni Ancora, 2001).

Per il suo governo provinciale, Dellai ha adottato una spending review all’incontrario. In Trentino, è soprannominato “il Principe” e, come i principi, Dellai dispensa incarichi. Il 31 gennaio ’08, il quotidiano “L’Adige” rilevava: «Se si sommano gli incarichi esterni affidati dalla Provincia con quelli dei suoi enti e società si scopre che sulle casse pubbliche negli ultimi due anni questo costume di dare lavoro a chi dipendente pubblico non è, ha pesato per 53.184.000 euro. Un altro elemento significativo che emerge da questa pratica diffusa della consulenza è il fatto che i “beneficiati”, ovvero coloro che ricevono gli incarichi, sono un vero esercito.

Nell’elenco dei “collaboratori” della Provincia, ovvero coloro che al momento hanno un incarico in corso con l’ente pubblico, è di 695 nomi, ai quali si aggiungono 493 consulenti. In totale dunque si tratta di 1.188 persone. A questi si possono aggiungere anche i 1.368 incarichi affidati dagli enti funzionali nell’ultimo biennio, anche se tra questi va considerato che possono esserci nomi che ricorrono con più di un incarico esterno». E gli incarichi che distribuisce Dellai sono sempre ben retribuiti. Nei mesi scorsi, rispondendo a un’interrogazione presentata dai consiglieri del Pdl, Dellai ha pubblicato gli stipendi mensili dei dirigenti della sua provincia, corredati dalle retribuzioni di risultato. 

Sono 28 dirigenti generali, che guidano dipartimenti e progetti speciali e i 76 dirigenti “semplici”, a capo dei servizi. Per quanto riguarda i responsabili di dipartimento lo stipendio mensile lordo varia tra i 9.368 euro e i 12.283. Tra i 5 mila e i 7 mila gli stipendi dei secondi. Per non parlare degli emolumenti che Dellai concede a se stesso: uno stipendio lordo mensile di 21.539 euro, che – come ha sottolineato tempo fa il quotidiano sudtirolese “Neue Südtiroler Tageszeitung”, supera di quasi tremila euro lo stipendio della cancelliera Angela Merkel.

L’“Agenda Monti” e il ritorno del catto-comunismo

di Danilo Quinto, da Corrispondenza Romana (2/12/2012)

Negli ultimi vent’anni, non è esistito Governo più disastroso di quello presieduto da Mario Monti rispetto all’andamento dell’economia reale e ai conti pubblici dell’Italia nei confronti dell’Europa e a tre indicatori (PIL, disoccupazione, produzione industriale); per altri due indicatori (debito e inflazione) è tra i governi peggiori degli ultimi 15 anni. La manovra Monti, imperniata all’85% sulle tasse, ha generato povertà e ha distrutto l’economia reale (ricchezza, lavoro, produzione), creando inflazione e ottenendo risultati fortemente negativi sul fronte delle finanze pubbliche rispetto al triennio precedente. Ciò nonostante, con una decisione senza precedenti per quanto riguarda i rapporti tra Chiesa e Stato, la Conferenza Episcopale Italiana, per bocca del suo presidente, il cardinale Angelo Bagnasco, sostiene Monti nel suo proposito di divenire elemento dirimente e decisivo dello scenario politico. «Monti – ha detto recentemente Bagnasco – ha presentato un modo, una strada, che mi pare sia offerta alla riflessione seria e onesta di tutti, indistintamente, creando secondo le scelte di ciascuno un consenso, una posizione. Mi pare sia un metodo innovativo sotto questo profilo e tutti quanti, se vorranno, nel mondo politico e nella gente, potranno misurarsi su queste proposte concrete».

Quali sono queste proposte? Basta leggere l’agenda Monti per farsi un’idea. La “proposta” che sta alla base del programma, è la creazione di un vincolo di dipendenza del nostro Paese nei confronti delle scelte economiche degli organismi europei, primo fra tutti la Banca Centrale, avendo Monti chiarito che rispetto all’unità politica dell’Europa, nutre forti dubbi. Sul piano della crescita e dello sviluppo, nulla viene detto, come del resto hanno dimostrato gli ultimi dodici mesi. Rispetto alla famiglia, cardine di quella “società naturale” di cui la Chiesa si è fatta promotrice in duemila anni di storia, non c’è traccia di alcun elemento che infondi speranza. Sui principi non negoziabili, men che meno. Si sa, di contro, che i futuri alleati di sinistra dei centristi che sostengono Monti, si sono già detti favorevoli al matrimonio tra coppie dello stesso sesso e che nel documento della “truppa” che si è radunata attorno a Italia Futura (Riccardi, Olivero, Costalli e Bonanni), «non vi è alcun riferimento a temi molto cari alla tradizione cattolica, come ad esempio i “valori non negoziabili”, che avrebbero forse posto qualche difficoltà a firmatari provenienti da altre tradizioni», come ha scritto Andrea Romano, intellettuale vicino a Montezemolo, in risposta a Oscar Giannino. Monti chiarisce a Eugenio Scalfari in un’intervista del 23 dicembre apparsa su La Repubblica, i suoi propositi: si definisce laico, al pari di Scalfari; non intende rifare la Democrazia Cristiana e ritiene indispensabile una grande alleanza con il Partito Democratico. Sono gli stessi propositi che enuncia il portavoce in pectore di Monti, Andrea Riccardi, che sembra voglia incarnare i richiami di Benedetto XVI sulla presenza di politici “credenti e credibili”, tenendo presente che il Papa non ha mai chiesto a un movimento ecclesiale – tale è la Comunità di Sant’Egidio – di fare politica attiva. Candelina sulla “torta” che si sta preparando, gli editoriali del direttore di Avvenire, che declinano il futuro: «Ci sono fasi della vita dei Paesi – ha scritto Tarquinio – nelle quali forze alternative coniugano i propri sforzi anche solo su temi ben definiti nell’interesse nazionale. Ma perché questo accada in Italia, occorre che ci siano almeno due buoni e grandi pilastri in un quadro politico rinnovato».

Insomma, lo scenario è quello già visto per molti decenni: il consolidamento di una cultura e di una politica catto-comunista, che rappresenta la negazione dell’essenza stessa del cristianesimo, che è amore per la libertà e per la verità. 

Monti, le elezioni e i cattolici. Purtroppo.

23 Dicembre 2012

Mario Monti ha finalmente svelato le sue intenzioni. E io che mi illudevo che diventasse il federatore dei moderati!  Ma lui ha ben altro per la testa. Sostanzialmente ha detto “Non mi candido, ma sono disponibile a essere nominato premier senza essere stato votato”. Interessante no?

E voglio proprio vedere se dà l’OK a mettere il suo nome su qualche lista. Perché se lo mettono, il suo nome, allora sarà contato per i voti che prenderà. Se non lo mettono, allora perché nominarlo presidente del consiglio? Perché ha dato la sua disponibilità in una conferenza stampa? Ma vogliamo scherzare? E che succede, se io faccio domani una conferenza stampa e dò la mia disponibilità a essere nominata ministro? Mi nominano? Mi mettono in una lista speciale, di quelli che sono così bravi che ci sono le schede elettorali precompilate? Ma non ho capito: ci sono le elezioni o la tombola? E visto che è Natale oltre ai numeri si tirano fuori pure i nomi dei ministri e dei presidenti del consiglio?

La legge attuale, tra l’altro, obbliga a mettere nella scheda elettorale  il nome del capo politico della lista o della coalizione di liste. E quindi i centristi chi metteranno, se non Monti? Montezemolo, perché le prime lettere del cognome sono uguali?

E i cattolici? Ecco cosa ne pensa, Mario Monti: lo traggo da una intervista molto significativa, oggi su Repubblica, che TUTTI dovete leggere, visto che spiega esplicitamente che il centro e il Pd dovranno allearsi dopo il voto (molto più di quello che ha lasciato capire in conferenza stampa). Di seguito, poi, uno stralcio illuminante per i cattolici:

Scalfari: Montezemolo, secondo te, rappresenta la società civile?

Monti: “Rappresenta in qualche modo le imprese. Riccardi è il fondatore di Sant’Egidio…”.

Scalfari: E rappresenta la Chiesa. [NO, NON RAPPRESENTA LA CHIESA!!!, ndr] Anche tu sei cattolico, ma non rappresenti la Chiesa. Io non credo che la religione si debba occupare di politica e di partiti. Purtroppo vedo che se ne occupa ma non credo sia sopportabile. Carlo Azeglio Ciampi è cattolico ma ha rappresentato il laicismo dello Stato. Lo stesso fece Scalfaro che era cattolicissimo ma laicissimo. Napolitano poi è tutt’altra cosa.

Monti: “Anch’io sono laico nel senso che tu intendi”.

Scalfari: Lo so e per questo dico che una lista imbottita di persone pur degnissime che fanno parte di Comunione e Liberazione o di Opus Dei, o di Acli o di altre analoghe associazioni del tipo delle cooperative bianche e dei coltivatori diretti cattolici, non è società civile ma Chiesa militante. Allora il piano cambia, si rifà la Dc.

Monti: “Nessuno di noi pensa questo e io non mi propongo un obiettivo del genere”.

E più avanti:

Scalfari: Ci sono molti punti comuni con il Pd.

Monti: “Certo”.

Scalfari: Tu pensi ad un’alleanza post elettorale?

Monti: “La considero indispensabile. Dobbiamo ricostruire la pubblica amministrazione e costruire lo Stato dell’Europa federale. Ti sembrano compiti che possano essere portati avanti da un solo partito? Ci vuole una grande alleanza perché si tratta di una vera e propria rivoluzione”.

Quindi, ricapitolando, Andrea Riccardi è il cattolico di riferimento di Mario Monti, l’unico, e gli basta. Monti non ha certo intenzione di fare una nuova DC. Ha ben altro per la testa. Lui vuole appoggiare il governo Bersani: dei cattolici, che così ingenuamente si volevano far federare da lui, se ne infischia, anzi, proprio non li vuole, conferma le parole di Scalfari, dicendo che “nessuno di noi” (cioè, immagino, né lui né Riccardi, né Casini né Montezemolo) pensa di portare l’associazionismo cattolico in parlamento. Altro che nuova DC! Adesso sappiamo dove vuole portare il paese. E soprattutto noi cattolici sappiamo cosa ha intenzione di fare.

E i valori non negoziabili? Li affida a Riccardi? È lo stesso Riccardi che ha permesso, come ha detto Andrea Romano, che i valori non negoziabili fossero espulsi dal programma montezemoliano che lui ha sottoscritto? (v. questo link per leggere la notizia). È lo stesso Andrea Riccardi che dal piano famiglia ha cancellato il fattore famiglia che Giovanardi aveva introdotto, e ha persino considerato troppo compromettente il riferimento all’art. 29 della costituzione che parla di famiglia fondata sul matrimonio, e ha tolto pure questo riferimento dal piano famiglia (scusate le ripetizioni, ma voglio essere chiara)? Se solo e unicamente a lui saranno affidati i valori non negoziabili, allora ci sarà veramente da ridere. O forse da piangere. Il centro, e Monti in qualche modo con il centro, aprirà a sinistra, questo il senso dell’intervista data oggi a Scalfari, e pure della conferenza stampa. Altro che super-partes! Di partes ne ha abbracciata una sola, e oggi l’ha spiegato per bene.

Il “rispetto” di Monti? No, grazie!

Ancora sulle lodi di Marco Tarquinio, direttore del giornale della CEI, “Avvenire”, al massone Mario Monti.

Egregio Direttore,

La sua presa di posizione e lode a Monti del 9 dicembre scorso, nasconde dell’altro.

Dica allora la verità! Visto che millanta di apprezzare coloro che lo fanno, si adegui e lo facci anche Lei.

Ci spieghi in cosa e perché il tecnocrate Monti dovrebbe essere così lodato.

Lo faccia per punti, con onestà. Per favore.

Se non lo fa, si limita solo a slogan vuoti, utili ad un malsano indottrinamento di laici e religiosi che s’accontentano di notizie superficiali e frivole  cui non sono estranei  diversi entourage parrocchiali fatti di suorine anziane, sacerdoti super indaffarati e tanti uomini di buona volontà, in difficoltà nel ragionare, ben educati nell’odiare (Berlusconi), ma tanto poveri di spirito da suscitare pietà e commiserazione.

Ci spieghi, francamente, perché dovremmo essere grati all’inventore degli esodati, al costruttore di una nazione espropriata della sua sovranità, condannata ad una moderna schiavitù verso poteri forti sovranazionali, inconoscibili, ineleggibili.

Ci spieghi cosa c’è di buono nel mito di un governo sovranazionale di pochi, che andrà a distruggere le religioni, la storia, la tradizione, le peculiarità, le ricchezze dei popoli, imponendo il relativismo, il laicismo, il multiculturalismo esasperato, lo scioglimento dei legami familiari, il concetto nuovo di famiglia omosessuale, magari pure il “diritto” di adottare e sottomettere bambini da parte di coppie omosessuali, l’eutanasia financo come “risparmio sanitario”, giacché queste sono le prospettive politiche della Sinarchia europea e del suo braccio operativo, del “clan Bilderberg”, della Trilaterale, da cui Monti dipende e per cui Monti opera, proprio in spregio alla nostra identità e realtà.

Ci spieghi perché dovremmo essere grati ad uno che non ha fatto assolutamente nulla per contenere sprechi e sperperi, anzi ha eretto altri sistemi, commissioni ed organi vari, nonché favoritismi speciali a Banche e Fondazioni (seconda persona della nuova divinità Euro) funzionali ad accrescere spesa e debito pubblico, e si è prodigato come non mai, per tassarci ed espropriarci dei nostri risparmi, mandare sul lastrico una moltitudine di piccole aziende, per alimentare il sistema più corrotto e spendaccione del pianeta, compreso l’ultimo aumento di fondi per il Quirinale.

Ce lo spieghi, dottor Tarquinio, perché fra i suoi lettori moltissimi sono semplici, illusi, ottimisti che non s’avvedono del disastro economico, fiscale, produttivo, depredatorio che questo governo ha instaurato, felice di poter scaricare altre colpe al predecessore, ma ancor più felice d’aver bloccato ogni possibilità di reale e libera politica economica per i futuri governi nazionali, cui lascerà sostanzialmente qualche questione etica “marginale” in regime di fortissimo condizionamento europeo.

Non è possibile che Lei non veda questi aspetti, ci spieghi allora perché li nasconde. E rammenti che la complicità, anche passiva, ad un simile disegno di disgregazione sociale, di secolarizzazione ulteriore, se non la vorrà spiegare a noi, la dovrà comunque spiegare a Dio.

C’è un link, che ben conoscerà (ma la vostra categoria in preda a servilismo nasconde) che illustra la determinazione e le motivazioni di Monti  (ripreso in una conferenza in cui è lui stesso a spiegare) ad accrescere la crisi.

Altro che risanare la nazione per il bene della nazione. Altro che uno che ci rispetta davvero!

dott. Andrea Peracchio

Cristianesimo Cattolico: Lettera a Marco Tarquinio

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Domenica 9 dicembre 2012, mentre la Terra, scossa e attonita, era muta al pensier dell’ultim’ora dell’uom fatale, ovvero alle annunciate dimissioni del Loden, il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, vergava un pezzo, breve ma di intenso sentimento, con cui salutava l’Uomo, il Condottiero,…

Cristianesimo Cattolico: Lettera a Marco Tarquinio

Da Franco Rodano a Mario Monti. Dal cattocomunismo alla pia banca

di Piero Vassallo, da Riscossa Cristiana (13/09/2012)

La vicenda camaleontica di Franco Rodano è il motore invisibile dell’attuale dibattito politico, che rappresenta l’infanzia cattoprogressista, che si tuffa nel cattolicesimo liberale di Mario Monti.

Il cattocomunismo di Rodano, passando per il salotto lavativo di Raffaele Mattioli e la educatrice rivista di Elena Croce, infatti, trovò beato alloggio nella laicità degasperiana. Come previsto dal copione, scritto dagli iniziati per le coscienze cattoliche affascinate dalla chimera moderna.

Una leggenda democristiana, resa inossidabile dalla ripetizione ostinata, vuole che Alcide De Gasperi abbia salvato l’Italia dal comunismo, affrontando e vincendo un duello politico con il rivale Togliatti. Duello? Tra cattolici e comunisti il vero duello politico si svolse dopo il 1947, quando Pio XII (contro l’opinione De Gasperi, dubbioso e riluttante) incoraggiò e ottenne la rottura del governo tripartito (democristiani, socialisti e comunisti). E nel 1948, quando Pio XII fornì a Luigi Gedda i mezzi necessari ad organizzare i Comitati Civici e a condurre la vittoriosa campagna anticomunista del 18 aprile.

Nella DC la resistenza a Pio XII si era peraltro organizzata fin dal 1944: Gedda – in perfetto accordo con Pio XII – si rivolgeva agli elettori proponendo De Gasperi come un male minore, e non come un campione di fedeltà alla Chiesa.

I contenuti dei manifesti affissi dai Comitati Civici durante la campagna elettorale del 1948 non lasciano dubbi al proposito. De Gasperi, seguace confesso di Jacques Maritain, non era il campione del cattolicesimo anticomunista.

La verità è che De Gasperi, dopo aver a lungo esitato, prima di attuare i suggerimenti del governo americano e della curia romana e di decidersi alla rottura dell’alleanza con i socialcomunisti, stentava a credere nella vittoria democristiana, essendo forse rassegnato all’ineluttabilità del successo comunista.

Cosa si deve intendere allora per drammatico duello tra Togliatti e De Gasperi? Ed anzi tutto: quali erano le ragioni del (presunto) irriducibile contendere tra De Gasperi e Togliatti?

Ecco il nodo che l’acritica nostalgia democristiana dovrebbe sciogliere, prima di alzare lamenti contro le clamorose rivelazioni di Ettore Bernabei sull’incauto accordo tra De Gasperi e l’iniziato Raffaele Mattioli, e prima di proclamare solennemente che il partito d’ispirazione cristiana non può non definirsi degasperiano osservante.

Giovanni Tassani, autore di un lucido e finora insuperato commento all’avventura cattocomunista, ha dimostrato che Franco Rodano non era più vittima di un abbaglio giovanile, ma lucido funzionario di un progetto laico rivolto contro Pio XII, quando, dopo aver ascoltato le lezioni di Palmiro Togliatti (e di Raffaele Mattioli, il gran banchiere crociano, che, come ricorda Massimo Caprara, si dichiarava emulo di quel Parvus che, nel 1917, organizzò il viaggio di Lenin a Pietroburgo) affermò il superamento della rivalità tra De Gasperi e Togliatti e il implicito loro accordo su una politica laica.

Nel saggio su Rodano, che Tassani ha pubblicato nel lontano 1978, per le Dehoniane di Bologna, si trovano, dunque, le ragioni della diffidenza da più parti manifestata nei confronti del modello degasperiano.

La storia di Rodano rappresenta la metamorfosi dell’ingenua fantasticheria antimoderna (incentivata da febbrili nostalgie medievaliste) dei cattocomunisti in strumento e golem dell’aggressione massonica alla tradizione spirituale e morale del popolo italiano.

Il partito cattocomunista (PSC) si costituì, infatti, all’inizio degli anni quaranta, per l’iniziativa di alcuni giovani della borghesia romana, coinvolti nelle acrobatiche avventure di certo gesuitismo, e perciò “fermamente comunisti in politica, proclamava Franco Rodano nel 1944, ma cattolici, assolutamente e intransigentemente cattolici per la loro fede religiosa”.

La piissima e spericolata peripezia di un frequentatore della gesuitica “Scaletta”, quale era Rodano, arrivava al punto di tentare la separazione della prassi comunista dalla filosofia materialistica di Marx, giudicata “oltre che non indispensabile, dannosa per lo sviluppo di una corretta e incisiva politica rivoluzionaria”.

Rodano era intimamente convinto che solo i progressisti fossero interpreti delle istanze politiche dei cattolici refrattari all’orrendo fascismo e alla suggestione anti-modernista: “Questo significa che il problema politico del mondo cattolico non può essere risolto in Italia che dal Pci e cioè da tutta la classe operaia del nostro paese, non dalla sinistra cristiana e dallo strato cattolico del proletariato italiano”.

Considerata da questo singolare punto di vista, la politica del Pci assumeva l’aspetto di una godibile alternativa al laicismo liberal-massonico, alla sociologia anglosassone, e all’ingiustizia praticata dalla classe borghese modernizzante.

Il giudizio di Pio XII, che condannando ogni forma d’obbedienza comunista, riaffermava l’opposizione assoluta tra la fede cristiana e il comunismo negatore dei fondamenti stessi del diritto naturale, da Rodano non era neppure preso in considerazione.

Il fatto è che al movimento rodaniano era soggiacente quel millenarismo incendiario, che, a partire dalle farneticazioni immoralistiche esposte da Léon Bloy nel libello Dagli ebrei la salvezza (e ammirate da Maritain, editore del libello) aveva attizzato le scorribande del cattolicesimo francese contro la legge naturale.

Franco Rodano rappresenta una fantastica contraddizione: l’acume intellettuale al servizio dell’encefalogramma piatto.

Gianni Baget Bozzo, in un intervento pubblicato nel volume che raccoglie i saggi di Tassani, ha affermato giustamente che la dimensione politica rodaniana “non ha mai avuto spunti di aggancio con la teoria delle istituzioni e statuali da un lato, con la filosofia e la teologia dall’altro”.

Separati da Marx ma non dalla chimera millenarista, Rodano e gli altri militanti della sinistra cristiana non poterono fare altro che affluire disciplinatamente nel Pci. Nel dicembre del 1945, infatti, fu deciso, con voto quasi unanime, lo scioglimento del movimento e l’adesione al partito di Togliatti.

L’astuzia di Togliatti, invece, aveva consigliato a Rodano di confluire nella Dc, dove le tesi dei cattocomunisti avrebbero dato più consistenti risultati a vantaggio della sovversione. Fu l’ostinata e irragionevole avversione del giovane Rodano a De Gasperi a decidere in senso contrario.

Ma dopo l’adesione al Pci, Rodano cominciò a comprendere le ragioni di Togliatti, ragioni perfettamente coincidenti con quelle del crociano Raffaele Mattioli: il vero ostacolo alla rivoluzione italiana non era De Gasperi, ma Pio XII, che in vista di un argine a difesa del diritto naturale, aggredito dall’immoralità emanata dai laboratori massonici, aveva concepito e affidato alla cura di Luigi Gedda il progetto di un’alleanza a destra.

Per Raffaele Mattioli (e per Palmiro Togliatti) il nemico da battere non era identificato con il gruppo democristiano che seguiva l’indirizzo laico e liberale della politica degasperiana, ma con il partito romano, costituito dai curiali fedeli a Pio XII, che tentavano d’imporre alla Dc la politica dell’attenzione per le tesi della destra interclassista e patriottica.

Rodano fatto accuorto da Togliatti, Mattioli (e forse da don Giusepe De Luca), modificò profondamente il suo giudizio su De Gasperi e su papa Benedetto Croce. Ora la strategia iniziatica di Mattioli-Parvus e di Togliatti non contemplava guadagni per il proletariato ma una radicale secolarizzazione e corruzione dell’Italia. Il disegno tracciato da Antonio Gramsci nei Quaderni dal carcere.

La secolarizzazione era infatti il preambolo a quella rivoluzione culturale di segno anarchico e libertino, che doveva scatenarsi nel fatidico Sessantotto, quando le fondazioni dell’oligarchia iniziatica e finanziaria sostennero l’utopia francofortese-californiana.

Tassani chiarisce l’argomento che aveva convinto Rodano a riabilitare e in qualche modo a far propria la linea politica di Togliatti, che apprezzava apertamente il cattolicesimo liberale di De Gasperi: la convinzione che occorreva ripartire dal risorgimento, in altre parole dall’unica rivoluzione riuscita in Italia, quella liberal-democratica, laicista e borghese.

Era da quel punto che occorreva ripartire, dopo la dolorosa parentesi fascista. Di qui la dannazione di Giovanni Gentile e la sciagurata esaltazione del sinistro Benedetto Croce (anche nei desolati circoli intitolati al suicidio della controrivoluzione).

Ripartire dal recupero degli aspetti positivi della rivoluzione liberale attraverso la rilettura di Benedetto Croce, avrebbe reso possibile il pieno innesto nel processo rivoluzionario delle realtà di massa (la comunista e la cattolica) che erano intanto diventate protagoniste della repubblica.

Massimo Caprara ha dimostrato che questo recupero procedeva nella stessa direzione dei saggi del raffinato esoterista cantrabigense Piero Sraffa su Gramsci e di Benedetto Croce su Marx (e su Gramsci).

Nel 1955, Rodano detterà la formula di questo perfezionamento della tradizione liberale e del libertinismo borghese: “Il problema politico del nostro tempo è quello di una fuoriuscita dall’ordinamento liberal-liberalista, che si svolga in termini di organica compiutezza e di superiorità positiva: tale cioè da non cancellare e non perdere quell’aspetto fondamentale e preziosissimo di paragone e di concorrenza, che da quel sistema, appunto, viene formalmente garantito”.

La scena adelphiana del 1974, con Enrico Berlinguer che festeggia, insieme con gli alleati liberali, repubblicani, socialisti e cattocomunisti, la rivincita del risorgimento oligarchico sul popolo cattolico (populace) che aveva avversato la legge divorzista, e sull’orrido fascismo, che aveva realizzato la conciliazione e attuato la riforma corporativa dello stato, spiega il significato ultimo e la finalità della politica di Franco Rodano.

Da un opposto osservatorio, Tassani sostiene dunque la stessa tesi di Augusto Del Noce: in Italia il processo di secolarizzazione – la vera rivoluzione attuata nei cinquant’anni di vita repubblicana – è passato attraverso la Dc, cioè attraverso il rifiuto che De Gasperi oppose alla svolta a destra programmata da Pio XII e da Gedda.

Per questo è da giudicare antistorica e suicidaria l’intenzione dei politicanti che vorrebbero rifondare la Dc nel segno liberale e degasperiano e nel rifiuto di quella cultura politica esposta da Pio XII nei radiomessaggi nel Natale (affermazione della democrazia secondo il diritto naturale nel 1944, apprezzamento della tecnologia nel 1953, rifiuto dell’equilibrio nel terrore, nel 1954).

Cristianesimo Cattolico: Contratto sociale

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di Francesco Agnoli, da Libertà e persona (29/06/2012)

Il 21 giugno 2012, intervenendo alla cerimonia per il 238° di fondazione della Guardia di Finanza, fra le altre cose Mario Monti ha detto che “l’evasione fiscale mina il patto tra Stato e cittadini”.

Probabilmente molti filosofi…

Cristianesimo Cattolico: Contratto sociale