Uno dei più importanti liturgisti italiani commenta le divisioni nella Chiesa cattolica provocate da una bassa adesione ai dogmi e all’autentico magistero.
Continua a leggere “Mons. Nicola Bux: “C’è apostasia dentro la Chiesa””
Uno dei più importanti liturgisti italiani commenta le divisioni nella Chiesa cattolica provocate da una bassa adesione ai dogmi e all’autentico magistero.
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Catechismo dei farisei lanciatori di pietre, unici esclusi dalla misericordia, per sopravvivere alla tempesta ereticale scatenatasi dopo l’Amoris laetitia.
Continua a leggere “L’Amoris laetitia e/o il Catechismo della Chiesa cattolica”
Il contesto del Vaticano II. Due ermeneutiche contrarie. Derive nella teologia, nella pastorale, nella catechesi. Lo “spirito del Concilio” e il “fumo di Satana”. Un gesuita diventa Vescovo di Roma. Discussione sull’Amoris Laetitia. Chiedere chiarimenti ad un Papa si può? Sì, anzi, si deve, quando la Fede viene messa in discussione.
Continua a leggere “Dalla Gaudium et Spes all’Amoris Laetitia. Lo stesso “spirito del Concilio””
Oggi Papa Francesco firma il documento a conclusione del Sinodo, che sarà reso noto ad aprile. C’è attesa per la risposta sull’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati. Vigilia turbolenta e animata da due posizioni contrapposte. Il cardinal Kasper parla di una rivoluzione che farà voltare pagina alla Chiesa dopo 1700 anni. Gli risponde idealmente il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Muller, che in un libro intervista sbarra le porte a ogni strappo: «La misericordia divina non è mai una dispensa dei comandamenti di Dio e della Chiesa, o una giustificazione per sospenderli o invalidarli».
Nella prassi ecclesiastica si deve applicare sempre e comunque tutta la dottrina della Chiesa, che nel suo “nucleo dogmatico” non può mai cambiare. Nessuna presunta esigenza “pastorale” può giustificare una deroga da questo principio, perché ogni vera esigenza pastorale è già insita nel dogma.
Continua a leggere “Sinodo, non esiste pastorale senza dottrina”
del card. Walter Brandmüller (07/04/2014)
In previsione del prossimo Sinodo dei vescovi, la discussione sulla posizione dei divorziati risposati all’interno della comunità della Chiesa ha acquistato nuova urgenza. In tale contesto vengono citate una serie di testimonianze dell’era patristica che deporrebbero a favore di una ammissione di questo gruppo di persone all’Eucaristia. Ciò avviene soprattutto in un’opera di Giovanni Cereti, un sacerdote della diocesi di Genova che ha studiato patristica e teologia ecumenica e continua tutt’oggi a lavorare in questi campi.
Con il suo libro Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva, del 1977 (riedito da Aracne nel 2013), Cereti intende perseguire un interesse ecumenico e pastorale: il riconoscimento delle seconde nozze dei divorziati da parte della Chiesa e il loro accesso alla comunione eucaristica. Egli ritiene che ciò sia stato una prassi già nella Chiesa primitiva. Pare che la riedizione del 2013 da parte di Aracne del volume sia stata intrapresa proprio in occasione del Sinodo dei vescovi, che si terrà in Vaticano nell’ottobre del 2014.
La tesi di fondo di Cereti è tuttavia insostenibile. Sebbene alcuni Padri abbiano manifestato una certa tolleranza in riferimento a singole situazioni difficili, né nell’Occidente, né nell’Oriente si può però parlare di un regolare riconoscimento delle seconde nozze dopo il divorzio e di una ammissione all’Eucaristia dei divorziati risposati. Nonostante gli Ortodossi riconoscano oggi un secondo e un terzo matrimonio di penitenza, si deve tener presente che nella Chiesa primitiva la possibilità di accedere a nuove nozze si verificava unicamente per i vedovi e non nel caso del matrimonio dopo un divorzio.
Cereti chiede molto suggestivamente che lo sguardo sulla Chiesa primitiva si liberi dalla severa prassi odierna, la quale non consente una riammissione dei divorziati risposati all’eucaristia. Nella Chiesa primitiva si parlava spesso di seconde e terze nozze e, secondo Cereti, con ciò si intendevano le nozze dopo un precedente divorzio. Certamente, è davvero necessario liberarsi della visione odierna nel guardare all’antichità: dobbiamo però stare bene attenti a non proiettare sulla Chiesa primitiva la disinvoltura con la quale la società odierna accetta il divorzio e le seconde nozze. Già l’antichità precristiana trattava il divorzio e le seconde nozze in modo molto restrittivo. Non si può assolutamente parlare nell’epoca dei Padri di una prassi generale di divorzio e di nuove nozze.
Un secondo matrimonio simultaneo, cioè contratto mentre era in vita il primo coniuge, veniva considerato come un adulterio perpetuo e mai era preso in considerazione come una scelta cristiana. Non risulta nessuna iniziativa dei Padri per regolare pastoralmente un tale matrimonio. Solo la separazione poteva essere, eventualmente, permessa. Quando invece nei testi ecclesiastici si parla di seconde, terze o quarte nozze, si intendono le nozze dei vedovi. Se ne parlava perché erano permesse, ma non viste di buon occhio. Dove i Padri o i Sinodi parlano di un divorzio permesso o addirittura dovuto, Cereti ne deduce inoltre il diritto di risposarsi mentre il coniuge è ancora in vita, ma da nessuna parte esiste una prova di ciò. Divorzio e seconde nozze sono due realtà completamente distinte. La separazione e l’adulterio venivano sanzionati e non si poteva affatto parlare di un permesso per un secondo matrimonio contratto durante la vita del primo coniuge.
Cereti ritiene che i Sinodi del quarto secolo, che riammettevano nella Chiesa i digamoi (coloro che contraevano un secondo matrimonio) dopo un periodo di penitenza, intendevano con ciò sia il caso delle seconde nozze simultanee (un secondo matrimonio mentre il primo coniuge è in vita) che di quelle successive (un secondo matrimonio dopo la morte del primo coniuge). In tal senso anche i divorziati risposati avrebbero potuto essere ammessi all’Eucaristia. Addirittura il Concilio ecumenico di Nicea (can. 8) lo avrebbe considerato un’ovvietà. In realtà, in nessun Padre della Chiesa si può trovare un riferimento alla parola digamoi nel senso di un’equiparazione tra le seconde nozze simultanee e quelle successive dei vedovi.
A maggior ragione nessun testo sinodale, che di per sé esigeva chiarezza giuridica, avrebbe mai potuto intendere con digamoi sia le seconde nozze simultanee che quelle successive. Con ciò si sarebbero messe sullo stesso livello le seconde nozze simultanee, che risultano sempre da un adulterio, con le seconde nozze successive dei vedovi, che venivano considerate dalla maggioranza dei Padri come indesiderate, ma non peccaminose.
A favore di una simile interpretazione del termine digamoi da parte dei Sinodi depone anche il canone 19 del Sinodo di Ancira (314), il quale prevedeva che chi infrange il voto di verginità doveva sottoporsi alla disciplina (penitenziale) dei digamoi. Infine, il Sinodo di Laodicea, nella seconda metà del quarto secolo, disponeva che ai digamoi che avessero celebrato un secondo matrimonio in modo libero e formale, e non in segreto, venisse imposto solo un breve tempo di penitenza.
Ma anche qui si tratta dei digamoi nel senso delle seconde nozze dei vedovi. Come risulta da quanto sinteticamente sopra esposto (ma criticamente documentato in modo più ampio e adeguato in altra sede: cfr. W. Brandmüller, Den Vätern ging es um die Witwen, “Die Tagespost”, 27 febbraio 2014, p. 7; H. Crouzel, S.J.,L’Église primitive face au divorce: du premier au cinquième siècle, Paris 1971; G. Pelland, S.J., La pratica della Chiesa antica relativa ai fedeli divorziati risposati,in: Congregazione per la dottrina della fede, Sulla pastorale dei divorziati risposati. Documenti, commenti e studi, LEV, Città del Vaticano 2010, pp. 99-131), un’interpretazione dei testi che voglia seguire correttamente le esigenze del metodo storico-critico, non permette di trarre le conclusioni alle quali Cereti arriva. Inoltre non pare superfluo ricordare che solo un consensus Patrum, un insegnamento consensuale dei Padri – e non una scelta arbitraria di testi – può pretendere di possedere autorità dottrinale e quindi avere valore probante in vista di una nuova prassi pastorale. Va infine ricordato che lo Spirito guida la Chiesa nella verità tutta intera (cfr.Gv 16,13). Ciò comporta che la Chiesa avanza in una comprensione sempre più approfondita della verità. Poiché d’altra parte lo Spirito Santo nel percorso della storia non può contraddirsi, ogni successiva acquisizione non può contraddire le precedenti.
© AVVENIRE
“Non toccate il matrimonio di Cristo, e non benedite il divorzio, ma giudicate caso per caso. L’ipocrisia non è misericordia”. È il grido d’allarme che ha lanciato S. Em.za il Card. Caffarra, Vescovo di Bologna, e non lui solo, in risposta alle affermazioni possibiliste rilasciate dal Card. Kasper.
di Patrizia Stella (29/03/2014)
“Non toccate il matrimonio di Cristo, e non benedite il divorzio, ma giudicate caso per caso. L’ipocrisia non è misericordia”. E’ il grido d’allarme che ha lanciato S. Em.za il Card. Caffarra, Vescovo di Bologna, e non lui solo, in risposta alle affermazioni possibiliste rilasciate dal Card. Kasper, nominato da Papa Francesco “Segretario speciale del Sinodo sulla famiglia” che prevedono la massima apertura nei confronti dei divorziati, ai quali viene chiesto una sorta di “pentimento” per poter accedere ai sacramenti. Pentimento nei confronti del primo matrimonio? Ci si chiede. E siamo proprio sicuri che non ci si debba pentire anche del secondo? Questa specie di concessione anomala ha suscitato polemiche da parte del mondo cattolico perchè rappresenta un pericoloso segno di sgretolamento della famiglia come Dio l’ha voluta, cioè con vincolo indissolubile! Dopo che la società civile e ormai pagana, in odio ai valori cristiani e all’uomo, sta finendo di demolire la famiglia naturale per poter intronizzare gay e perversioni del gender, quella ecclesiastica, anziché risolvere il problema alla radice ricorrendo ai mezzi suoi propri, preghiera e sacramenti, si limita a benedire passivamente i ruderi impantanati senza avere il coraggio di domandarsi il perché di un tale cataclisma.
Spiega bene il card. Caffarra in un articolo apparso su “Il Foglio” del 15 marzo 2014 (adesso è di moda che gli alti Prelati, sull’esempio di Papa Francesco, comunichino il loro pensiero attraverso quotidiani laici, ecc.) spiega che per tutte le questioni inerenti al matrimonio e alla famiglia (tranne che per l’ultima idiozia del gender che è un argomento da trattare a parte perché nulla ha da spartire col matrimonio) rimane sempre valido come punto di riferimento perenne e inconfutabile la “Familiaris Consortio” di Giovanni Paolo II che non è affatto superata. Anzi egli stesso può attestare, come consultore del Sinodo sulla famiglia del 1980, che Giovanni Paolo II aveva deciso di fissare dei paletti precisi e validi per tutti e per sempre, in quanto basati non su valori opinabili, ma su “Princìpi inconfutabili” che Benedetto XVI definì “Principi non negoziabili”, sui quali ha insistito in maniera quasi esagerata durante tutto il suo pontificato. Perché? Viene da chiedersi!
In realtà la questione dei “valori” può sembrare poco importante a prima vista, tant’è vero che perfino Papa Francesco l’ha liquidata velocemente in un’intervista, dicendo che “i valori sono valori e basta” come a dire che rivestono tutti la stessa importanza, più o meno. Eppure una grande motivazione di fondo deve esistere, mi sono detta, e l’ho capito bene dopo aver ascoltato una sorta di “lectio magistralis” tenuta dal prof. Stefano Fontana, docente di filosofia nei licei di Verona, direttore dell’Osservatorio Internazionale “Card. Van Thuan” sulla dottrina sociale della Chiesa. Il prof. Fontana, in collaborazione con S.E. Mons. Crepaldi, Vescovo di Trieste, e con altre personalità della cultura cattolica, pubblica periodicamente un bollettino su argomenti inerenti la dottrina sociale della Chiesa che vale la pena approfondire. (info@vanthuanobservatory.org). È doveroso anche ricordare velocemente la grandiosa figura del card. Van Thuan (1928-2002), vietnamita, servo di Dio avviato alla beatificazione, il quale, per la sua fede in Gesù Cristo, è stato tenuto prigioniero in maniera disumana per tredici anni in un carcere orrendo, una specie di buco senza finestre, da dove è uscito salvo grazie alla sua fede. (Van Thuan, Preghiere di speranza, Tredici anni in carcere, Ed. Cinisello Balsamo, 2007).
La lezione del prof. Fontana si intitolava “I principi non negoziabili. Perchè bisogna parlarne ancora” ed è stata davvero illuminante tanto che calza a pennello con questo nostro argomento. Infatti tra i molti valori che esistono di uguale importanza, (casa, lavoro, scuola, fedeltà, solidarietà, tolleranza, accoglienza, diritti, doveri, ecc.) ne esistono alcuni così importanti da essere considerati più che valori, ma “PRINCÌPI”, perché radicati nella natura umana, e per giunta “non negoziabili”, cioè non modificabili, in quanto rappresentano un valore morale assoluto. E’ nei principi assoluti che la ragione incontra la fede, in un ordine meraviglioso che rimanda a Dio, altrimenti a quale titolo si dovrebbe invocare la morale, la regola, l’onestà, il retto comportamento nella politica? Senza di essi la vita sociale e politica diventa la società del relativismo, del caos, della dittatura o dell’anarchia, in pratica dell’ingovernabilità. Forte di questa convinzione, Papa Benedetto ha voluto affidare alla Congregazione per la Dottrina della Fede l’incarico di stilarne un piccolo elenco di quelli più importanti. Infatti nella “Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica” del 24 novembre 2002, sono indicati i seguenti sette “PRINCIPI NON NEGOZIABILI”:
1. Vita 2. Famiglia. 3. Libertà di educazione.
4. Tutela sociale dei minori 5 Libertà religiosa 6. Bene Comune a servizio della persona 7. Pace.
Di questi sette, i primi tre rivestono un’importanza particolare perché hanno un carattere fondativo, vale a dire che fanno da fondamento a tutti gli altri, tant’è vero che di solito vengono nominati solo i primi tre. Per ovvi motivi di spazio ci limitiamo velocemente a precisare solo qualche aspetto. E’ possibile, ad esempio, garantire la tutela sociale dei minori (n. 4) se ai minori si impedisce di nascere, o di crescere in una famiglia unita e stabile? E’ possibile, continua il prof. Fontana nella sua esposizione, ottenere questo risultato esautorando la famiglia dal suo diritto-dovere di educare i figli (n. 3)? Se rimane unita e sana la famiglia, anche le varie forme di disagio sociale dei minori trovano soluzione. ecc.
Sono tanto importanti questi principi che qualche santo ha dato perfino la vita per qualcuno di essi, esempio S. Tommaso Moro che si era opposto al divorzio di Enrico VIII, assieme al card. Fischer, prevedendo le gravissime conseguenze per la società e per la Chiesa, come poi è avvenuto, dal cedimento di questo pilastro fondante. Senza dire di tante madri sante che hanno preferito morire piuttosto che impedire al loro nascituro di venire al mondo, o di molte spose che vivono la fedeltà all’impegno coniugale anche davanti al tradimento del marito. O di molti obiettori di coscienza disposti perfino a perdere lavoro e carriera pur di non venir meno a questi principi, come il rifiuto di praticare l’aborto, o di approvare matrimoni gay, o di aderire alle proposte del gender nelle scuole, o di somministrare pillole abortive, e via dicendo… Infatti la fede e la testimonianza cristiana si vivono proprio nell’esercizio delle virtù, dei valori e dei principi, in tutti i settori: famiglia, chiesa, società, politica… E’ facile impegnarsi in politica applauditi e ben retribuiti, bisogna anche essere disposti a pagare davanti a quei principi che la nostra coscienza ritiene non negoziabili.
Il Matrimonio, come la famiglia, fa parte di quei tre principi che sono fondanti, non negoziabili. Infatti scardinato quello, va a catafascio tutto, figli, coniugi, casa, mutuo, lavoro, rapporti parentali e di amicizia, si perde perfino la testa perché moltissimi coniugi separati finiscono per andare avanti a base di psicofarmaci, quando non arrivano alla disperazione dell’omicidio-suicidio. Per il semplice fatto che i principi non sono idee astratte ma sono incarnati nella persona, e sono vissuti attraverso l’amore, quell’amore così forte da formare di due persone “una sola carne” secondo le parole di Gesù Cristo, e la pretesa di separare questa “unica carne” provoca nei coniugi una lacerazione tale da innescare un meccanismo di grande sofferenza che, nella maggioranza dei casi, si potrebbe evitare con un po’ di buona volontà e di umile ravvedimento delle proprie posizioni.
A tale proposito cito un libro molto interessante di Ugo Borghello, “Saper di amore” ed. Ares, laddove, nei cinque capitoli dedicati per lo più alla necessità di saper distinguere la fede dalla religione, e l’amore vero dalle sue malattie più insidiose, dice così: “Non riusciamo ad amare perché non siamo convinti di peccato. La consapevolezza del peccato penetra il bisogno di amore a tal punto da farci fare qualunque sacrificio (…). Convinti di peccato vuol dire entrare nelle profondità dell’inganno di noi uomini che non possiamo vivere senza amore, e proprio nell’amore ci inganniamo fino a soffrire in famiglia e in ogni consesso umano, fino a dividerci, giudicare, lottare sempre per il potere, dipendere dal successo e abbatterci per l’insuccesso, accusare, far guerra. ecc. É tutto un problema di Amore!”. (Saper di Amore pag. 272/273)
Riprendiamo il discorso del Card. Caffarra: “Per avere occhi capaci di guardare dentro la luce del “Principio”, la Familiaris Consortio afferma che la Chiesa ha un soprannaturale senso della fede, il quale non consiste solamente o necessariamente nel consenso dei fedeli. La Chiesa, seguendo Cristo, cerca la verità, che non sempre coincide con l’opinione della maggioranza. Ascolta la coscienza e non il potere. E in questo difende i poveri e i disprezzati. La Chiesa può apprezzare anche la ricerca sociologica e statistica quando si rivela utile per cogliere il senso storico. Tale ricerca per sé sola, però, non è da ritenersi espressione del senso della fede (…) Qui non stiamo parlando di una norma che può ammettere o no delle eccezioni, o di un ideale a cui tendere, ma di ciò che è il matrimonio e la famiglia e il suo “genoma”, uso l’espressione del sociologo Donati, che non è un genoma naturale, ma sociale e comunionale. È dentro questa prospettiva che l’Esortazione individua il senso più profondo della indissolubilità del matrimonio”.
Arriva Kasper, su mandato di Bergoglio, e inizia a dare le prime picconate contro famiglia e matrimonio, ma supportate da motivazioni così “nobili”, da farle sembrare addirittura un sostegno più che una spaccatura a questo istituto meraviglioso voluto non dallo Stato, né dalla società, ancor meno dalla Chiesa, ma da Dio stesso al momento della creazione dell’uomo. Manomettere il matrimonio come Dio l’ha voluto significa lottare contro il progetto di Dio e assumersene tutte le responsabilità, perché il fatto di scardinare anche uno solo di questi principi fondanti significa stravolgere tutta l’antropologia sull’uomo, sulla sua esistenza terrena e sul suo destino eterno!. Oltretutto significa ignorare o sottovalutare quanto affermato da Gesù Cristo laddove parla chiaramente nel Vangelo di indissolubilità del vincolo matrimoniale. (Mt. 5,31; 19,3; Mc. 10,11; Lc. 16,18).
Ma chi è il Card. Walter Kasper? In sintesi possiamo dire che era stato definitivo il “teologo eretico” per le sue posizioni da sempre palesemente contrarie alla dottrina perenne della Chiesa, espresse nei suoi libri, quali “Ateismo e linguaggio” e “Introduzione alla Fede” nei quali dichiara apertamente che “l’uomo moderno non può credere perché incontra ostacoli che non riesce a superare”. Ma l’apice dell’eresia la troviamo nel suo libro “Gesù il Cristo”, laddove scrive, apertis verbis, che Gesù non è figlio di Dio perché egli non si qualifica mai come Figlio di Dio, ma è stata la fede della Chiesa, dei primi cristiani a dichiararlo, sublimandone la figura. Pertanto anche i miracoli sono leggende, compresa la resurrezione di Cristo che non è mai avvenuta, e ancor meno l’Ascensione, perchè Cristo non poteva ascendere al cielo in quanto non ne era mai disceso! Sono tutte allegorie.”. E così Kasper rinnega sic et simpliciter lo stesso Cristo, la Sua Parola e la Chiesa. Vengono in mente quelle parole di Gesù nel Vangelo “Chi mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio…”.
È vero che sono le solite eresie di sempre, dai tempi di Ario, Nestorio e via fino alle moderne teorie sotto mentite spoglie, ma ciò che più rattrista comunque è il fatto che simili personaggi ecclesiastici siano rimasti non solo intoccati ma addirittura riveriti e insigniti di incarichi di rilievo all’interno della stessa Chiesa. Infatti Kasper fu scelto come membro della Commissione Teologica internazionale, poi fu eletto a consulente del “Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani”, e infine fu nominato Vescovo e Cardinale, senza aver mai rinnegato nessuno dei suoi passi palesemente eretici.
Come se non bastasse questa ascesa vertiginosa, perfino Papa Francesco, appena eletto, durante il suo primo Angelus dal balcone, nominò ed elogiò pubblicamente e inopportunamente il card. Kasper come suo autore preferito, fino a conferirgli l’incarico di fiducia per il Sinodo. No comment! Purtroppo, vedendo che il Sinodo sulla famiglia è stato affidato a Prelati ben noti per aver aderito alla teologia della liberazione o per la loro visione modernista della Chiesa e del mondo (Gutierrez, Maradiaga, De Aviz ecc.) c’è da aspettarsi di tutto e di peggio, anche se continueremo a importunare lo Spirito Santo perché intervenga ad impedire che si creino spaccature insanabili tra i fedeli sconcertati.
Per molti che osservano i problemi superficialmente, sembra che sia quasi ingiusto l’atteggiamento della Chiesa di voler negare la Comunione ai divorziati, privandoli di un loro desiderio spirituale quasi che la Chiesa anziché essere Madre fosse Matrigna nei loro confronti. E questa arma falsa e ipocrita della Chiesa-Matrigna la si è usata per tanti altri casi: per rivendicare benedizione e Comunione anche ai gay orgogliosi, alle donne che hanno abortito, alle coppie di fatto, agli adulteri, spacciatori, mafiosi, e via dicendo… come se la soluzione meravigliosa per vincere tutte le immoralità dilaganti nel mondo fosse un “condono” generale, incondizionato, e premiato dalla santa Comunione, quasi a conferma della giustezza del proprio comportamento senza pentimento.
Ma non è la Chiesa che ci butta la croce addosso punendoci irrimediabilmente! Siamo noi che vogliamo caparbiamente uscire dal progetto di Dio illudendoci di trovare fuori di esso la nostra felicità. Cosa crediamo: che la Comunione gratuita per i pluridivorziati, o conviventi, o anche per gli sposi regolari che comunque non vivono bene la vita matrimoniale, sia la panacea di tutti i mali? Rischia di diventare Comunione sacrilega quando non c’è la conversione del cuore, il desiderio di pentirsi, di perdonarsi, di cambiare vita e di tornare a Dio. Cosa volete che faccia il Papa? Che vi dica “Fate quello che volete che potete sempre contare sulla mia Benedizione?” Sarebbe un inganno per noi e un grave peccato per lui perché verrebbe meno a un suo preciso dovere di Pastore che deve segnalare dove sta il lupo insidioso!
Purtroppo il guaio più terribile è che la maggior parte dei cattolici, dopo interi decenni di una catechesi vuota sin da piccoli, sono talmente ignoranti circa la dottrina cristiana, che neppure sanno che cosa effettivamente sono i Sacramenti, e ancor meno la Messa e la Comunione! Non parliamo poi del Matrimonio che molti concepiscono come uno stato emozionale, privato, che dura finchè si “sta bene insieme” e poi si vedrà. Molti futuri sposi neppure hanno la consapevolezza dell’impegno che decidono di prendere davanti a Dio e alla società, di ciò che comporta il matrimonio, sia come sacramento, sia come vincolo civile che ha un importante risvolto pubblico oltre che privato, anche per colpa di chi prepara questi candidati al matrimonio focalizzando per lo più la loro attenzione solo su questioni sessuali, come avere maternità responsabile, come conoscere i cicli per evitare gravidanze indesiderate ecc. ecc.
Ormai molta gente, anche di quella che si mette in fila per fare distrattamente la Comunione alla fine della Messa, neppure sa che nella particola c’è nientemeno che IL CORPO DI GESU’ CRISTO e che occorrono tre disposizioni per riceverlo!
- essere in grazia di Dio (cioè consapevoli di non essere in peccato mortale);
- sapere e pensare a CHI si va a ricevere;
- essere digiuni secondo le indicazioni della Chiesa (un’ora prima di ricevere la Comunione).
La certezza di essere perdonati dai nostri peccati ce la dà solo il Sacerdote che fa le veci di Gesù Cristo quando afferma: “Io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Quale grande emozione sperimentare la gioia di essere perdonati e amati da Dio!
© RISCOSSA CRISTIANA
Il cardinale Walter Brandmüller (nomina di B-XVI) contro il disordine provocato dalla “poca chiarezza” nell’insegnamento cattolico. “Dottrina di fede e prassi pastorale possono essere distinte, sì, ma non scisse”.
di Matteo Matzuzzi (27/03/2014)
“È evidente che la mancanza o la mancante chiarezza circa il genuino insegnamento cattolico da parte di vescovi, predicatori, catechisti e soprattutto dei professori di teologia morale, è la principale causa del caos attuale”. A colloquio con il Foglio, il cardinale Walter Brandmüller, eminente storico della chiesa medievale e moderna e per lunghi anni presidente del Pontificio comitato di Scienze storiche, interviene nel dibattito su matrimonio e famiglia che sarà oggetto dei due sinodi in programma il prossimo ottobre e l’anno prossimo. Un “caos” alimentato anche da chi, tra le file dell’episcopato mondiale, ha detto che l’insegnamento della chiesa cattolica in fatto di morale non è più adeguato ai tempi e che ormai crea solo confusione tra i fedeli più o meno assidui di messe domenicali e confessionali. È il caso, ad esempio, del giovane vescovo di Treviri, mons. Stephan Ackermann.
“Ma che cosa vuol dire?”, s’interroga perplesso il cardinale Brandmüller: “L’affermazione dell’eccellentissimo vescovo di Treviri suscita domande e mi pare che occorra fare una distinzione. Il presule parla semplicemente di ‘insegnamento’, e potrebbe avere ragione se si riferisse al modo di motivare, spiegare e insegnare la dottrina della Chiesa. Avrebbe però torto se volesse dire che la dottrina della chiesa non è più adeguata ai tempi. Infatti, cambiano le domande e le questioni a seconda dei mutamenti socio-culturali, ma la risposta della chiesa in ogni momento della storia non può toccare il depositum fidei una volta e per sempre valido”. Dopotutto, si tratta “del tesoro dal quale il buon padrone della famiglia tira fuori nova et vetera”.
Per rispondere alle “forti attese radicate tra i fedeli” che auspicano aggiornamenti in fatto di insegnamento morale cattolico, il cardinale Walter Kasper ha prospettato una soluzione che riaffermi l’intangibilità della dottrina, ma consenta interventi sulla prassi pastorale. Dottrina e prassi su due binari separati, dunque, schema già criticato dal prefetto dell’ex Sant’Uffizio, il cardinale Gerhard Ludwig Müller e che non trova concorde neppure il nostro interlocutore: certo, “è necessario distinguere tra la dottrina di fede e la prassi pastorale. Distinguere sì, ma non scindere. Ogni prassi pastorale che voglia essere autentica deve ispirarsi e reggersi sulla verità di fede. E’ vero – nota ancora lo studioso creato cardinale da Benedetto XVI nel 2010 – che la realtà sociologica della famiglia non è più quella dei nostri nonni. Ma ciò che mai può essere sottoposto al mutamento storico è la natura stessa, la sostanza della famiglia che nasce dal matrimonio sacramentale tra uomo e donna”. La pastorale, dice ancora Brandmüller, “deve rispondere alla domanda su come spiegare meglio questa realtà per far sì che la si viva più autenticamente nelle circostanze d’oggi”.
Dubbi anche sulla corrente di pensiero secondo cui la chiesa nel corso della sua storia ha sempre sostenuto che, fermo restando il principio una fides, esistono molti modi per viverla e sperimentarla: è vero, spiega il presidente emerito del Pontificio comitato di Scienze storiche, “esistono tanti modi di vivere ed esprimere la fede. Ma questi sono legittimi solo in quanto non contraddicono la dottrina della fede formulata dalla Chiesa. È sempre essenziale la convergenza tra dottrina e vita”. Il problema è la mancanza di chiarezza circa il significato dell’insegnamento cattolico, osserva il porporato: “In più di venticinque anni di attività pastorale – parallelamente alla mia carriera universitaria – ho fatto il parroco in campagna”.
Ebbene, “dopo l’anno fatale 1968, non ho più dovuto pronunciare la fin allora consueta lettera pastorale sul ‘sacro sacramento del matrimonio’ prescritta per la seconda domenica dopo l’Epifania”. Non era più prevista, non è stata più preparata, “e ciò è emblematico per comprendere quella situazione”.
© – FOGLIO QUOTIDIANO
In vista del Sinodo per la Famiglia, il suo segretario generale, il cardinale Lorenzo Baldisseri, ritiene che la dottrina vada rivista. Considera superata l’esortazione apostolica “Familiaris Consortio” alla luce dei “tempi mutati”. Nemmeno il cardinale Kasper si era spinto così avanti. E le reazioni non si fanno attendere.
di Matteo Matzuzzi (24-03-2014)
L’obiettivo dei prossimi due Sinodi sulla famiglia (ottobre 2014 e 2015) lo ha spiegato direttamente colui che del Sinodo è (dallo scorso settembre) segretario generale, il neocardinale Lorenzo Baldisseri. L’occasione era data dal Convegno internazionale su “Giovanni Paolo: il Papa della famiglia” organizzato dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia in collaborazione con i Cavalieri di Colombo, che si è tenuto a Roma il 20 e 21 marzo. Intervenuto nell’ultima sessione riservata ai delegati delle conferenze episcopali europee, il cardinale Baldisseri ha poi rilasciato una breve intervista alla Radio Vaticana. Premesso che «l’iniziativa di trattare il tema della famiglia, quindi anche del matrimonio, è stato un momento importantissimo per la chiesa, stabilito da Papa Giovanni Paolo II», è venuto il tempo di andare oltre, dice sostanzialmente il porporato. In che modo? «Oggi naturalmente sono passati molti anni da quella famosa enciclica, la Familiaris Consortio (che in realtà è un’esortazione apostolica, ndr), e Papa Francesco ritiene che sia opportuno riprendere questo grande tema alla luce del Vangelo e in più, con i tempi mutati, dare uno sguardo che possa essere di attualizzazione della Dottrina della Chiesa». E questo perché – ha aggiunto il segretario generale del Sinodo dei vescovi – «molti temi, molti problemi, molte situazioni sono mutate da quel tempo, per cui la chiesa deve essere capace di rispondere alle sfide».
La posizione, dunque, è chiara: attualizzare la dottrina e aggiornare la Familiaris Consortio perché non rispondente più a quelle problematiche “inedite” che si sono affermate nell’ultimo trentennio. Su tutte, la questione del genere e delle unioni tra persone dello stesso sesso. Una prospettiva, quella illustrata dal cardinale Baldisseri, che si pone sulla scia di quanto scritto e dichiarato nelle recenti e numerose interviste dal cardinale Walter Kasper, il teologo cui Francesco aveva chiesto di tenere la relazione concistoriale sulla famiglia, e che già a gennaio era stata fatta propria in un’intervista a un quotidiano tedesco dal cardinale honduregno Oscar Rodríguez Maradiaga, ascoltatissimo coordinatore del gruppo di otto porporati che studia la riforma della curia.
Ma il segretario generale del Sinodo va oltre, perché se Kasper ha ribadito che in discussione non c’è la dottrina, quanto piuttosto la prassi da adottare caso per caso a seconda delle circostanze concrete e particolari con cui ci si trova a dover fare i conti, Baldisseri parla di necessità di attualizzare la dottrina. Una prospettiva, questa, che era già stata respinta con forza dal cardinale Carlo Caffarra: «L’immagine quindi di una Familiaris Consortio che appartiene al passato, che non ha più nulla da dire al presente, è caricaturale. Oppure è una considerazione fatta da persone che non l’hanno letta», aveva detto una settimana fa al Foglio. Il problema, per Caffarra, non sta tanto nel parlare di adeguamento o accomodamento dell’insegnamento cristiano al tempo d’oggi, quanto nel ribadire che c’è una verità che deve fungere da bussola. Concetto che l’arcivescovo di Bologna ha ripetuto anche nell’intervento pronunciato al convegno su Giovanni Paolo II chiuso proprio da Baldisseri: «La nostra ragione è talmente indebolita che sentendo parlare di verità, pensa subito ad opinioni circa il matrimonio, ad una qualche teoria della famiglia. Opinioni alla quali si contrappongono altre opinioni; teorie contestate con altre teorie. E così è accaduto nel mondo di oggi. Il risultato non poteva che essere la convinzione che non esiste alcuna verità circa il matrimonio», ha detto il cardinale Caffarra.
Sul tema è intervenuto nuovamente anche il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller. Presente a Capua per presentare il sesto volume dell’opera omnia di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI e per ritirare il premio assegnatogli dall’associazione “Tu es Petrus”, il porporato tedesco ha espresso ben più di una riserva quando sente «cardinali che vanno in giro parlando di tante cose». Il tema in oggetto era quello della concessione della comunione ai divorziati risposati e pur senza mai nominare Walter Kasper, Müller ha ricordato che seguire la prassi ortodossa e quindi autorizzare il riaccostamento sacramentale a chi ha dato vita a una seconda unione «significherebbe tradire la volontà e la parola del Signore» e proprio per questo «non possono essere riconosciute». Una chiusura netta, quella del prefetto già vescovo di Ratisbona, che si colloca sulla scia di quanto da egli stesso già dichiarato in altre circostanze, a partire dal lungo articolo pubblicato il 22 ottobre scorso sull’Osservatore Romano. In ballo c’è quel falso concetto di misericordia “slegato dalla verità” contro cui s’è scagliato anche il cardinale conservatore Raymond Leo Burke, intervenendo qualche giorno fa alla Catholic University of America di Washington. Sulla stessa linea, benché con maggiore prudenza, sembra essersi inserito anche il cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston che pure può vantare un solido e stretto rapporto di collaborazione con Francesco. Certo, ha detto O’Malley, «si cercherà di aiutare chi ha sperimentato il fallimento del matrimonio», ma «la Chiesa non muterà il suo insegnamento sull’indissolubilità del matrimonio». Già lo scorso febbraio, intervistato da John Allen per il Boston Globe, l’arcivescovo della capitale del Massachusetts si era mostrato refrattario a cambiamenti in materia: «Non vedo alcuna giustificazione teologica per mutare l’atteggiamento della Chiesa sulla riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti».
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Colloquio con Danilo Castellano a cura di Matteo Matzuzzi.
di Matteo Matzuzzi (20/03/2014)
«È vero che la misericordia divina è infinita. Essa, però, pur essendo illimitata, non è senza criteri. Non può, pertanto, essere invocata anche in presenza di una autentica e perseverante “sfida” a Dio come si verificherebbe nel caso di permanenza nel peccato». Il professor Danilo Castellano, ordinario di Filosofia politica e docente di Filosofia del diritto all’Università di Udine (dove è stato anche preside di Giurisprudenza), interviene nel dibattito seguito alla pubblicazione della relazione concistoriale tenuta dal cardinale Walter Kasper sulla famiglia e resa nota dal Foglio. Allievo del filosofo Augusto Del Noce e già direttore dell’istituto internazionale di studi europei “Antonio Rosmini” di Bolzano, Castellano spiega che «i cosiddetti “risposati” divorziati, per esempio, per poter invocare (e ottenere) misericordia devono riconoscere la propria colpa (come Davide) e chiederne perdono. Condicio sine qua non di ciò è l’abbandono della condizione di peccato. Dio, infatti, dà non solamente “una seconda possibilità”, ma un numero infinito di possibilità di perdono. Non potrebbe perdonare, però, chi intende rimanere e ostinatamente rimane nel peccato. La teoria che sembra sorreggere la relazione Kasper si allontana, pertanto, dal Vangelo».
Kasper peggio di Lutero
Ma non è tutto, visto che a giudizio del nostro interlocutore quanto illustrato dal teologo tedesco «va persino oltre Lutero, perché pretenderebbe di cancellare il peccato e, quindi, di rendere impossibile la sua realizzazione. Più che di “annacquamento” dell’insegnamento cattolico si dovrebbe parlare di “abbandono”, rendendo inutile lo stesso magistero e, in ultima analisi, superflua la stessa discussione sinodale sulla questione». Il problema, dunque, ruota attorno al valore da attribuire alla misericordia, «termine proprio soprattutto della cultura religiosa ebraico-cristiana», che «invoca innanzitutto la compassione per la miseria morale e spirituale dell’uomo», dice Castellano, che aggiunge: «Assume anche il significato positivo di compassione, di partecipazione. In questo caso, però, è sempre una situazione negativa che genera la pietà. Il termine continua a essere usato anche dalla cultura cristiana contemporanea. Sembra, però, che esso stia subendo una sostanziale trasformazione». Di cosa si tratta? «Si ritiene, infatti, che la misericordia comporti l’espulsione della giustizia. Non solo, dunque, un suo generoso superamento».
“Nemmeno Dio può cancellare il peccato”
Una questione che dunque, sottolinea il nostro interlocutore, “è particolarmente delicata in quanto anche la cultura cattolica ha iniziato a usare il termine misericordia con il significato luterano: la misericordia non implicherebbe il preliminare e necessario abbandono del peccato ma solamente la fiducia nel fatto che Dio non ne terrà conto (pecca fortiter sed crede fortius).
Il problema, sottolinea Castellano, è «almeno implicitamente posto da quelle dottrine teologico-morali che, per esempio, a proposito delle convivenze adulterine (il cosiddetto “secondo matrimonio” dei divorziati) sostengono che si può continuare a vivere in una condizione di peccato e nello stesso tempo ritenersi in pace con la propria coscienza. Dio, in altre parole, potrebbe non tenere in alcun conto quello che una persona fa, perché sarebbe solo misericordia. È tesi ovviamente insostenibile. Non solo perché Dio non può essere ingiusto ma anche e soprattutto perché a causa del peccato ha sacrificato il proprio Figlio: se la misericordia fosse da intendere come indifferenza di Dio per il peccato, l’incarnazione, la passione e la morte in croce di Cristo sarebbe un’assurdità veramente incomprensibile». Inoltre, «si può osservare che nemmeno Dio può cancellare il peccato. Può farsene carico ma non metterlo nel nulla. Se il male potesse essere cancellato, in ultima analisi è come se esso non ci fosse. La misericordia, pertanto, non può annullare il bene e il male. In questo caso sarebbero posti, come conseguenza, nel nulla anche i “Nuovissimi” e il magistero non solo non avrebbe alcun senso ma sarebbe violenza contro l’uomo e presunzione verso Dio». Questione che si pone anche dinnanzi alla relazione di taglio teologico presentata dal cardinale Kasper; un testo che per Castellano «pone diversi problemi».
La “relazione Kasper” legittima il peccato
Uno di questi, a giudizio dell’ordinario di Filosofia politica all’Università di Udine, «è dato dal rapporto tra la Rivelazione e la storia. È noto che anche oggi si sostiene che la storia è sostanzialmente l’epifania di Dio». Kasper, secondo Castellano, «non arriva alla conclusione secondo la quale la storia è una sola, solamente quella sacra, come ha scritto qualche vescovo (cattolico) del nostro tempo, attribuendo erroneamente la tesi al Vaticano II – che, invece, afferma che uno solo è il Signore della storia, sia di quella sacra sia di quella profana -. Ritiene, però, di poter individuare i contenuti della Rivelazione ricavandoli da una descrizione della storia “sacra”, la quale non presenta tutto come modello da imitare. In altre parole per ‘leggere’ anche la storia sacra bisogna avere l’intelligenza del principio. Altrimenti la storia diventa giustificatrice della effettività (che non è la realtà). Sostanzialmente, quindi, «applicando la teoria Kasper, si finirebbe per sostenere – per esempio – che tutte le convivenze sarebbero buone e sarebbero tali solo perché effettive. Non sarebbero “qualificabili” e, perciò, non sarebbero comprensibili nella loro sostanziale diversità. Unica via d’uscita da questa impotenza intellettuale sarebbe l’attribuzione loro di un contenuto convenzionale e, perciò, arbitrario. Il fatto è che per “leggere” la storia è necessaria la verità. Per leggere quella sacra è necessaria la Rivelazione, non come semplice storia ma come principio. Il cardinale Caffarra – prosegue Castellano – ha ben posto la questione a questo proposito (sul Foglio di sabato 15 marzo, ndr). Non è, quindi, la storia condizione della Rivelazione, ma la Rivelazione condizione della storia sacra».
La secolarizzazione della Chiesa
Ma se la relazione del cardinale Walter Kasper pone più di un problema, la chiesa cattolica corre qualche rischio nell’adeguarsi allo Zeitgeist, nello scendere a patti con il mondo? Su questo punto, il nostro interlocutore ricorda che «la Chiesa è per sua natura madre e maestra. Non può farsi discepola del mondo né deve rincorrere le mode di pensiero e di costume, essendo chiamata a giudicarle e prima ancora a proporle. L’adeguamento allo Spirito del tempo è una tentazione antica che taluni autori hanno fondatamente chiamato “clericalismo”. È una tentazione praticata spesso soprattutto dal clero nel tentativo di “battezzare” dottrine e prassi talvolta palesemente assurde e a distanza di tempo fallimentari», aggiunge Castellano. «La Chiesa – dice ancora – è chiamata a “contestare” il mondo, non a seguirlo. Se si mette alla sequela dello Spirito del tempo segna la sua fine, ma sappiamo che le forze a essa contrarie – anche se a essa interne – non prevarranno!».
Eppure, da più parti si sostiene che lo sbocco del dibattito che troverà nei prossimi sinodi la propria sede naturale, sarà inevitabilmente quello di riconoscere un nuovo concetto di famiglia, mettendo in discussione e superando quello ribadito con forza da Giovanni Paolo II con l’esortazione apostolica Familiaris Consortio.
A giudizio di Castellano, «il magistero della Chiesa non ha operato la svolta. Ritengo che non lo possa fare. La cosiddetta cultura cattolica, però, è andata ben oltre. Per esempio è diffusa la tesi secondo la quale non ci sarebbe l’indissolubilità del matrimonio ma solamente quella della coppia, la quale sarebbe tale solamente se e fino a quando le parti si “sentono” unite. Parte della cultura cattolica, poi, è a favore delle unioni fra omosessuali in nome – talvolta – del cosiddetto principio personalistico, che ha fatto capolino anche in recenti e autorevoli interviste. In questo momento la famiglia è veramente difesa solo dalla chiesa, anche se uomini di chiesa fanno tutto il possibile per mutarne, in nome della dottrina liberal-radicale dell’occidente, la natura. Coloro che tentano e vogliono “cambiare” la realtà della famiglia – aggiunge – sono da una parte insipienti e, dall’altra, deboli: non hanno né la capacità di conoscere la realtà (l’ordine del creato) né la forza di resistere al soffio del vento del momento storico in cui vivono».
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