Le apprensioni dei cattolici alla vigilia dell’Esortazione post-sinodale

Perché un documento sia cattivo non è necessario che sia formalmente eretico, è sufficiente che sia volutamente ambiguo e, nella sua oscurità, prossimo o inducente all’eresia.

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Concilio e “spirito del Concilio” 2.0

Anziché bloccare la Chiesa per due anni su questioni che erano state già ampiamente discusse e risolte, si sarebbe potuto dedicare il sinodo del 2015 all’applicazione della corretta ermeneutica del Vaticano II.

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In Vaticano c’è un “Sismografo” che provoca piccoli terremoti

L’ultimo incidente è su come Francesco interpreta e attua il Concilio Vaticano II. La “scuola di Bologna” canta vittoria. Ma due lettere del papa dicono l’opposto.

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Protagonisti del Vaticano II, il diario del card. Giuseppe Siri

Tra i personaggi italiani che più hanno segnato il dibattito conciliare ci fu Giuseppe Siri, cardinale-arcivescovo di Genova. Scrisse nel proprio Diario che si sarebbe dovuta fare attenzione proprio alla giusta accezione del termine “pastorale” da unire alla “dottrina”. 

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Quegli errori sul Concilio (e sulla Chiesa nel mondo). A 10 anni dalla lezione di papa Benedetto

Il 22 dicembre 2005, Benedetto XVI rivolgeva uno storico discorso alla Curia Romana, nel quale offriva le “chiavi” della storia e della fede, per la corretta interpretazione del Concilio ecumenico Vaticano II e sulla presenza della Chiesa e dei cattolici nel mondo. Nel suo discorso, Benedetto XVI si chiedeva: qual è stato il risultato del Concilio? È stato recepito nel modo giusto? E in ciò, cosa è stato buono e cosa sbagliato? Cosa resta da fare?

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La Chiesa che deve salvare il mondo, e non solo farsi voler bene da esso

Lettera al direttore de “Il Foglio” (9 dicembre 2015)

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Mons. Marchetto contro lo storico progressista Melloni

Nuova puntata del duello Marchetto-Melloni su Concilio e Sinodo. Oops.

di Matteo Matzuzzi

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Dogma e liturgia. Il Vaticano II secondo il cardinale Giuseppe Siri

In un nuovo libro le istruzioni pastorali date dall’arcivescovo di Genova alla sua diocesi sull’applicazione della riforma liturgica del Vaticano II.

di Giuseppe Brianza (15/06/2014)

Nell’ultima riunione della Congregazione dei vescovi, che papa Francesco ha tenuto in Vaticano il 27 febbraio scorso, il Pontefice ha tracciato le linee della missione episcopale secondo il suo pensiero. Non è stato molto ripreso dai media ma, in tale rilevante circostanza, Bergoglio ha indicato l’esempio di un pastore poco amato dai “progressisti” come il cardinale Giuseppe Siri (1906-1989), noto soprattutto per il suo impegno, durante il Concilio Vaticano II, nel cercare d’innestare i necessari “aggiornamenti” nella solida cornice della tradizione. Per esempio in campo ecclesiologico quando, all’inizio della discussione sullo schema De ecclesia nel dicembre 1962, al fine di contrastare una visione “troppo orizzontale” della Chiesa che andava profilandosi nelle discussioni e nelle prime bozze del documento, l’allora arcivescovo di Genova (lo fu dal 1946 al 1987) pronunciò un vigoroso intervento per chiedere ai padri conciliari di dedicare piuttosto un doveroso approfondimento al rapporto tra chiesa visibile e Corpo mistico di Cristo.

WOJTYLA E BERGOGLIO. Siri fu pubblicamente elogiato, per il suo encomiabile ruolo di pastore, da san Giovanni Paolo II quando si recò in visita pastorale a Genova nel giugno del 1985 e, come anticipato, anche Francesco ne ha richiamato di recente il luminoso insegnamento. Nel suo discorso alla Congregazione dei vescovi, infatti, ricordando la loro chiamata ad essere custodi ed apostoli della Verità, Bergoglio ha richiamato al proposito «[…] che il Cardinale Siri soleva ripetere: “sono le virtù di un Vescovo: prima la pazienza, seconda la pazienza, terza la pazienza, quarta la pazienza e ultima la pazienza con coloro che ci invitano ad avere pazienza”» (L’Osservatore Romano, 28 febbraio 2014).

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LA RIFORMA LITURGICA. Del cardinal Siri, che per lunghi anni è stato presidente della Conferenza Episcopale Italiana ed è considerato uno dei maggiori teologi del XX secolo, esce ora la raccolta Dogma e liturgia, che riunisce scritti e discorsi del porporato raccolti e commentati da monsignor Antonio Livi. Dalla lettura di tutti questi testi emerge una costante e “profetica” preoccupazione di Siri per salvaguardare, nell’applicazione delle riforme del Concilio, quel motivo teologico di fondo per cui il dogma dovrebbe continuare a suscitare ed orientare, anche in tempi di rinnovamento profondo, la vita liturgica e la prassi sacramentale della Chiesa. Nell’inviare i fedeli a rispondere alla rispettiva e specifica missione nel mondo, infatti, quella dottrina custodita e trasmessa infallibilmente che è il dogma, rappresenta l’unico mezzo in grado di far conoscere e guarire le malattie mortali dell’anima. «La fede viva e vissuta – scrive Livi nella presentazione -, che non può esistere senza una sempre più convinta adesione al dogma – porta innanzitutto allo spirito di adorazione, cioè a lodare e a ringraziare Dio che ci ha rivelato la sua natura (la trinità delle Persone nell’unità della sostanza divina) e i suoi disegni di salvezza in Cristo (l’Incarnazione, la Redenzione, la Chiesa). Ma l’adorazione non si esprime solo nell’intimità della preghiera individuale ma anche nella preghiera comunitaria e nei riti pubblici, e questo è appunto la liturgia».

DOGMA E LITURGIA. Le norme liturgiche oggi vigenti, dopo la riforma voluta dal Vaticano II, prevedono infatti l’istruzione catechistica (omelia) dopo le letture scritturistiche della santa Messa, all’inizio del rito del Battesimo e anche del Matrimonio fuori della Messa, come anche un ricordo esplicito della dottrina rivelata all’inizio del rito della Penitenza sacramentale. Ai tempi di Siri, la Conferenza Episcopale Italiana ebbe cura appunto di fissare delle norme precise in merito nel celebre documento che si intitola appunto “Evangelizzazione e sacramenti” e che fissa il piano pastorale per gli anni dal 1973 al 1980. Questi principi teologici riguardanti il rapporto tra dogma e liturgia hanno guidato i Pontefici che nell’ultimo secolo sono intervenuti con l’aggiornamento dottrinale e le necessarie riforme in materia liturgica, a partire da Pio XII, che pubblicò un’enciclica sul rinnovamento liturgico (la Mediator Dei et hominum, del 20 novembre 1947) e inoltre provvide a un’importante ristrutturazione dei riti della Settimana Santa. Tra i vescovi italiani diversi sono stati quelli che, nel “post-Concilio”, hanno tentato con successo d’impostare la loro azione pastorale assicurando nella propria diocesi l’osservanza delle norme liturgiche, sia tradizionali che nuove, facendo sì che l’adeguata conoscenza e a personale interiorizzazione dei misteri rivelati servissero a incrementare lo spirito di adorazione di tutti i fedeli e la loro la fruttuoso partecipazione all’azione liturgica comunitaria nelle parrocchie e negli istituti religiosi.

PASTORALE DEL LAVORO. Ma il card. Siri è stato anche un precursore dell’azione pastorale in Italia nei luoghi di lavoro. Infatti, come è stato recentemente ricordato anche dal suo successore della diocesi di Genova e nella CEI, il cardinal Angelo Bagnasco, nell’omelia pronunciata per la scorsa solennità di San Giuseppe patrono dei lavoratori, l’apostolato svolto nella diocesi dai Cappellani del lavoro è soprattutto «merito della tenacia lungimirante del cardinale Giuseppe Siri, che volle garantire questa forma di servizio pastorale anche in tempi difficili». Per rendere accessibili oggi a un pubblico vasto i documenti dell’illuminata azione pastorale del cardinale Siri la raccolta in questo libro dei suoi più significativi interventi dottrinali e disciplinari che vanno dal 1955 al 1972, è sicuramente opera meritoria ed, anzi, necessaria, per alimentare la santità del popolo di Dio a partire soprattutto dalla vita liturgica e sacramentale.

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Recensioni. Un’illustre bocciatura della “Gaudium et spes”

di Sandro Magister (19/06/2013)

Il cardinale Giovanni Colombo fu arcivescovo di Milano dal 1963 al 1979. “È stato l’ultimo dei grandi ambrosiani”, ha scritto di lui il cardinale Giacomo Biffi, in implicita polemica con i successori Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi (su Angelo Scola il giudizio resta sospeso). E di Giovanni Colombo è appena uscito in libreria, edito da Jaca Book, il volume “Il Concilio Vaticano II. Discorsi e scritti”, che raccoglie i suoi testi, alcuni inediti, concomitanti e successivi alla grande assise.

Nella prefazione il teologo milanese Inos Biffi (nessuna parentela ma una grande amicizia con il cardinale omonimo) riporta dei giudizi interessanti sia di Giovanni Colombo che di Giacomo Biffi e di altri uomini di Chiesa su quello che anche Joseph Ratzinger riteneva il documento meno riuscito del Vaticano II: la costituzione “Gaudium et spes” sulla Chiesa nel mondo.

Ecco il brano “ad hoc” della prefazione:

“Tra i documenti approvati e promulgati nell’ultima sessione del concilio vi è la costituzione ‘Gaudium et spes’. Colombo ritiene che ‘il documento più che a una costituzione assomiglia a una lettera stesa a cuore aperto, a eloquio effuso’. Dunque, come si vede, un elogio della costituzione. Anche se, di fronte all’espressione ‘eloquio effuso’ della penna di Colombo, è legittimo qualche sospetto.

“Giacomo Biffi nelle sue memorie ricorda l’osservazione di Hubert Jedin: ‘Questa costituzione fu salutata con entusiasmo, ma la sua storia posteriore ha già dimostrato che allora il suo significato e la sua importanza erano stati largamente sopravvalutati e che non si era capito quanto profondamente quel ‘mondo’ che si voleva guadagnare a Cristo fosse penetrato nella Chiesa’.

“Anche Karl Barth, ricorda sempre Giacomo Biffi, aveva notato che il concetto di ‘mondo’ della ‘Gaudium et spes’ non era quello del Nuovo Testamento.

“Quanto al cardinale Colombo, Giacomo Biffi riferisce la risposta che l’arcivescovo, ‘acuto e libero come sempre’, aveva dato a monsignor Carlo Colombo, soddisfatto del risultato di tante discussioni: ‘Quel testo ha tutte le parole giuste; sono gli accenti a essere sbagliati’. ‘Purtroppo – conclude Biffi – il postconcilio è stato influenzato e ammaliato più dagli accenti che dalle parole’”.

Sempre nella prefazione al volume, Inos Biffi ricorda come Colombo mettesse in guardia i suoi fedeli contro i resoconti della stampa sulle discussioni conciliari.

In una delle sue lettere dal Concilio ai fedeli dell’arcidiocesi di Milano, Colombo scrisse:

“Una di queste sere, guardando da piazza San Pietro, scorgevo, bassa sul cielo in fondo a via della Conciliazione, una luna piena, così strana e buffa che simile non avevo mai vista: bislunga, di colore arancione fosco, sembrava un uovo enorme, ripieno di brace fumosa che trasparisse attraverso il guscio. Tanto al mio sguardo la luna appariva deformata dai densi vapori del tramonto d’ottobre. Così, pensavo non senza tristezza, il Concilio viene spesso sfigurato agli occhi degli uomini dalle nebbie della stampa…”

© SETTIMO CIELO

Un concilio per l’unità della Chiesa? Domande sul Vaticano II

Il teologo padre Serafino Lanzetta dei Francescani dell’Immacolata appartiene al ristretto numero delle lucide e robuste intelligenze, che nonostante tutto sono attive nella Chiesa cattolica. Di padre Lanzetta, Cantagalli, editore in Siena, propone un esauriente/avvincente saggio, che commenta e aggiorna le domande (e i dubbi) sul Vaticano II a suo tempo formulati da teologi ora fedeli alla Tradizione ora associati alla scolastica dei modernizzanti.

di Piero Vassallo (28/05/2014)

Il dubbio che regge e alimenta i pensieri sulle debolezze nascoste fra le trionfali righe dei documenti elaborati dai padri del Vaticano II, ha origine dall’infondata e fuorviante convinzione circa l’attitudine degli eredi del pensiero moderno a correggere i loro errori, un’illusione condivisa perfino da Giovanni XXIII e da lui dichiarata nell’orazione inaugurale Gaudet Mater Ecclesia.

Quale misura dell’elettrizzante intensità dell’originario abbaglio, padre Lanzetta cita la pungente riflessione del card. Leo Scheffeczyk (1920-2005) sulla cecità della maggioranza conciliare davanti alla svolta nichilista, attuata dagli esponenti delle avanguardie attive oltre la modernità (francofortesi, esistenzialisti atei, surrealisti, esoteristi ecc.) .

Dall’erroneo giudizio sul pensiero alla ribalta nella seconda metà del xx secolo discese un’impostazione irrealistica del confronto tra la Chiesa e il mondo e una infondata fiducia nella presunta autocritica degli erranti.

Di qui l’irruzione nel pensiero cattolico di infondate speranze e di suggestioni irenistiche: “ignorando questa situazione [l’involuzione porno-nichilista della filosofia moderna] e considerando la fraternizzazione avventata e non critica del cristianesimo con lo spirito del tempo, è facile prevedere che anche all’interno della chiesa si introducano le tendenze dell’irrazionalismo postmoderno, quali una religiosità vaga e una presunzione gnostica, coinvolgendola così nell’intreccio della lieve cospirazione”.

In altre parole: i protagonisti del Vaticano II, rinnovarono l’errore del clero francese, che vedeva una lieve cospirazione nel cuore del giacobinismo. La maggioranza conciliare, non avendo valutato seriamente i segni dell’involuzione nichilista in atto nella scolastica rivoluzionaria, ha tentato di addolcire e mitigare le verità cattoliche per renderle accettabili agli eredi di esangui eresie e ai presunti moderatori di ideologie, delle quali padre Julio Meinvielle e il cardinale Giuseppe Siri avevano descritto tempestivamente la rovinosa inclinazione a sprofondare nelle sabbie mobili dello gnosticismo.

Si è in tal modo avviata quella rumorosa predicazione ai sordi, che ha catturato solamente l’attenzione degli autori di intrepidezze & lepidezze irenistiche e dei chitarristi insorgenti contro lo splendore della antica liturgia.

Numerosi indizi confermano il conflitto dell’illusione buonista contro la fedeltà ai princìpi sgraditi agli eretici e agli atei in presunto cammino verso la verità.

Per non disturbare il creduto avvicinamento dei luterani, ad esempio, nella costituzione Dei Verbum i redattori hanno mitigato e quasi annebbiato la dottrina sulle due fonti del dogma cattolico, Scrittura e Tradizione.

Per facilitare la comprensione del rischio che l’azzardata operazione implicava, padre Lanzetta cita il cardinale Umberto Betti (1922-2009), il quale rammentava che “tra le verità che si portavano [quale prova della reale esistenza di una Tradizione orale] figuravano: la verginità della Madonna dopo il parto, la sua assunzione in cielo, il numero settenario dei sacramenti, la necessità del battesimo per i bambini, la sacramentalità del matrimonio e della cresima“.

Casualmente si trattava delle verità di fede rigettate dall’eresia luterana. Per non turbare il dialogo ecumenico, ossia per non entrare in aperto conflitto con gli errore di Martin Lutero senza rinnegare apertamente la dottrina del Concilio di Trento e del Vaticano I sulle due fonti del dogma, i redattori della Dei Verbum attuarono un compromesso e ridussero il significato e la funzione della Tradizione all’interpretazione delle Scritture.

Padre Lanzetta pone dunque una domanda imbarazzante: “L’aver riferito il ruolo della Tradizione essenzialmente all’interpretazione delle Scritture – come risulta poi in modo più abbondante nella teologia post-conciliare – e questo per chiari motivi pastorali, ha migliorato la posizione della Chiesa nel suo interno? Crediamo che una verifica pastorale all’approccio al Deposito sia necessaria per reintegrare meglio quanto invece era patrimonio comune del Magistero della Chiesa”.

La presenza nei documenti conciliari di formule ambigue e di espressioni contorte, che, in funzione della pastoralità socchiudono la porta all’errore, è peraltro innegabile.

Padre Lanzetta, tuttavia, afferma che “le eventuali discontinuità che si possono riscontrare non sono dogmatiche … ma teologiche e sono suscettibili di revisione e di rinnovamento dato il loro carattere magisteriale non definitivo“.

La difesa ad oltranza degli errori teologici seminati nei documenti conciliari non ha ragion d’essere di fronte alle sensate e moderate obiezioni di padre Lanzetta. Infatti la reazione del partito conciliare si traduce in un attacco alle persone degli obiettori e, in ultima analisi, nel tentativo di demolire un ordine religioso confortato dall’alto numero di vocazioni e dal carisma dell’ortodossia.

Il Vaticano II, un Concilio pastorale. Ermeneutiche delle Dottrine Conciliari – di P. Serafino M. Lanzetta – ed. Cantagalli – pagg. 496 – euro 25,00

© RISCOSSA CRISTIANA