Il papa non è sempre infallibile. Ecco cosa dice la Chiesa cattolica

Ecco che cosa insegna infallibilmente la Chiesa cattolica riguardo il magistero del papa. Il magistero straordinario è sempre infallibile. Quello ordinario solo a determinate condizioni. Condizioni che, pare ormai palese, mancano nei documenti di papa Francesco. 

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Onorio I: il caso controverso di un papa eretico

Al centro del pontificato di Onorio I vi fu la questione del monotelismo, l’ultima delle grandi eresie cristologiche. 

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Quando può sbagliare un papa: la distinzione dei gradi dell’autorità papale

Il testo che riportiamo è l’ultima delle tre parti di un saggio approfondito sulla “fallibilità papale” di Edward Feser pubblicato da LifeSiteNews. Traduzione di Chiesa e post-concilio.

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Un papa può cambiare la dottrina? È tempo di fare chiarezza sull’infallibilità del pontefice

Il testo che riportiamo è la seconda delle tre parti di un saggio approfondito sulla “fallibilità papale” di Edward Feser pubblicato da LifeSiteNews. Traduzione di Chiesa e post-concilio.

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Gli errori papali del passato dimostrano quanto è ridicola la propaganda mediatica in favore del papa

Il testo che riportiamo è la prima delle tre parti di un saggio approfondito sulla “fallibilità papale” di Edward Feser pubblicato da LifeSiteNews. Traduzione di Chiesa e post-concilio.

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Un papa eretico? Ulteriori approfondimenti.

Continuiamo l’opera di approfondimento teologico su un tema discusso serenamente nei secoli da molti teologi cattolici di grande fama e di indubbia dottrina, quello della possibilità di un papa eretico.

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Paolo Pasqualucci su canonizzazioni e infallibilità

Ricevo questa comunicazione di Paolo Pasqualucci, che volentieri condivido.

di Paolo Pasqualucci (29/04/2014)

Ho letto con grande interesse il suo ultimo intervento intitolato “Il Concilio è infallibile etc.”. Io sono tra quelli che non credono all’infallibilità delle canonizzazioni. Al momento questa nota è quella prevalente tra i teologi. Ma secondo me hanno ragione i contrari. L’argomento su cui anche noi laici si dovrebbe lavorare nelle discussioni è il seguente: la dichiarazione di santità si basa sul vaglio delle testimonianze di fatto. Ora, in questo campo è sempre possibile l’errore, di fatto appunto. Presupporre l’infallibilità sarebbe pertanto temerario. Nel caso di specie, c’è un altro argomento, su cui battere: la superficialità e il dilettantismo della procedura inaugurata da Giovanni Paolo II. Bisognerebbe documentarsi in proposito in modo accurato, invece di strapparsi i capelli in pubblico come mi sembra facciano tanti (almeno nei vari siti). Se la procedura è improntata a criteri lassisti, a maggior ragione c’è la possibilità di sbagliarsi nel valutare l’eroismo delle virtù del candidato. Ora il lassismo di GPII (un solo miracolo, indagini all’ingrosso) si è accentuato con l’attuale Pontefice: per Giovanni XXIII non c’è neanche il miracolo; ed è sicuro che ci sia per GPII? Inoltre: in passato la Chiesa respingeva sempre le guarigioni improvvise legate in qualche modo a malattie di origine nervosa o coinvolgenti il sistema nervoso, come il Parkinson etc. Anche oggi si osserva questo criterio? Bisogna fare un accurato paragone tra i criteri del presente e quelli del passato. Insomma, materiale per passare all’offensiva su questo campo ce n’è di sicuro. In realtà i meriti invocati per i due “santi” sono soprattutto “ecumenici”. Adesso tenteranno di far santo anche Paolo VI, il distruttore della Messa e della liturgia cattolica. Oltre che di altre cose.

Il Vaticano II non può poi ritenersi infallibile, in nessun modo. Non ripeterò qui quanto ho scritto nel mio libro [Unam Sanctam, qui], lavorando sulla traccia di mons. Gherardini. Non è dogmatico, non ha voluto esserlo, le due costituzioni definite “dogmatiche” non dichiarano in realtà nessun dogma. E allora? Si tratta di una infallbilità spuria che i neomodernisti hanno voluto fabbricare all’insegna del mito del Concilio “nuova Pentecoste”. Una concezione irrazionale, da combattere in modo argomentato.

Non dobbiamo scoraggiarci e lei non si scoraggia di certo. Ed anzi fa egregiamente coraggio agli altri, lo si vede anche da questo suo ultimo articolo. La situazione generale è sempre più difficile perchè mancano i capi, molti dei quali hanno tradito. Tuttavia la ragione, oltre che la fede, è dalla nostra parte. Comunque vada a finire, ci battiamo per la bandiera e speriamo di tener duro sino alla fine (la persecuzione di massa in Occidente è sempre piuù vicina). Sappiamo che per chi non ha tradito ci sarà un giorno giustizia.

© CHIESA E POST-CONCILIO

Le canonizzazioni del 27 aprile sono infallibili? Intervista al prof. Roberto de Mattei

Il mensile Catholic Family News, che ha una versione quotidiana on-line, ha intervistato il prof. Roberto de Mattei sulle prossime canonizzazioni del 27 aprile. Riportiamo la traduzione italiana dell’intervista.

Professor de Mattei, le imminenti canonizzazioni di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II suscitano, per vari motivi, dubbi e perplessità. Come cattolico e come storico, quale giudizio esprime?

Posso esprimere un’opinione personale, senza pretendere di risolvere un problema che si presenta complesso. Sono innanzitutto perplesso, in linea generale, per la facilità con cui negli ultimi anni si avviano e si concludono i processi di canonizzazione. Il Concilio Vaticano I ha definito il primato di giurisdizione del Papa e l’ infallibilità del suo Magistero, a determinate condizioni, ma non certo l’ impeccabilità personale dei Sovrani Pontefici. Nella storia della Chiesa ci sono stati buoni e cattivi Papi ed è ridotto il numero di quelli elevati solennemente agli altari. Oggi si ha l’impressione che al principio dell’infallibilità dei Papi si voglia sostituire quello della loro impeccabilità. Tutti i Papi, o meglio tutti gli ultimi Papi, a partire dal Concilio Vaticano II vengono presentati come santi. Non è un caso che le canonizzazioni di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II abbiano lasciato indietro la canonizzazione di Pio IX e la beatificazione di Pio XII, mentre avanza il processo di Paolo VI. Sembra quasi che un’aureola di santità debba avvolgere l’era del Concilio e del postconcilio, per “infallibilizzare” un’epoca storica che ha visto affermarsi nella Chiesa il primato della prassi pastorale sulla dottrina.

Lei ritiene invece che gli ultimi Papi non siano stati santi?

Mi permetta di esprimermi su di un Papa che, come storico, conosco meglio: Giovanni XXIII. Avendo studiato il Concilio Vaticano II ho approfondito la sua biografia e ho consultato gli atti del suo processo di beatificazione. Quando la Chiesa canonizza un fedele non vuole solo assicurarci che il defunto è nella gloria del Cielo, ma ce lo propone come modello di virtù eroiche. A seconda dei casi, si tratterà di un perfetto religioso, parroco, padre di famiglia e così via. Nel caso di un Papa, per essere considerato santo egli deve avere esercitato le virtù eroiche nello svolgere la sua missione di Pontefice, come fu, ad esempio, per san Pio V o san Pio X. Ebbene, per quanto riguarda Giovanni XXIII, nutro la meditata convinzione che il suo pontificato abbia rappresentato un oggettivo danno alla Chiesa e che dunque sia impossibile parlare per lui di santità. Lo affermava prima di me, in un celebre articolo sulla “Rivista di Ascetica e Mistica”, qualcuno che di santità se ne intendeva, il padre domenicano Innocenzo Colosio, considerato come uno tra i maggiori storici della spiritualità nei tempi moderni.

Se, come Lei pensa, Giovanni XXIII non fu un santo pontefice e se, come sembra, le canonizzazioni sono un atto infallibile dei pontefici, ci troviamo di fronte a una contraddizione. Non si rischia di cadere nel sedevacantismo?

I sedevacantisti attribuiscono un carattere ipertrofico all’infallibilità pontificia. Il loro ragionamento è semplicista: se il Papa è infallibile e fa qualcosa di cattivo, vuol dire che la sede è vacante. La realtà è molto più complessa ed è sbagliata la premessa secondo cui ogni atto, o quasi, del Papa è infallibile. In realtà, se le prossime canonizzazioni pongono dei problemi, il sedevacantismo pone problemi di coscienza infinitamente maggiori

Eppure la maggioranza dei teologi, e soprattutto i più sicuri, quelli della cosiddetta “scuola romana” sostengono l’infallibilità delle canonizzazioni.

L’infallibilità delle canonizzazioni non è un dogma di fede: è l’opinione della maggioranza dei teologi, soprattutto dopo Benedetto XIV, che l’ha espressa peraltro come dottore privato e non come Sovrano Pontefice. Per quanto riguarda la “Scuola romana”, il più eminente esponente di questa scuola teologica, oggi vivente, è mons. Brunero Gherardini. E mons. Gherardini ha espresso sulla rivista Divinitas, da lui diretta, tutti i suoi dubbi sull’infallibilità delle canonizzazioni. Conosco a Roma distinti teologi e canonisti, discepoli di un altro illustre rappresentante della scuola romana, mons. Antonio Piolanti, i quali nutrono gli stessi dubbi di mons. Gherardini. Essi ritengono che le canonizzazioni non rientrano nelle condizioni richieste dal Concilio Vaticano I per garantire l’infallibilità di un atto pontificio. La sentenza della canonizzazione non è in sé infallibile perché mancano le condizioni dell’infallibilità, a cominciare dal fatto che la canonizzazione non ha come oggetto diretto o esplicito una verità di fede o di morale, contenuto nella Rivelazione, ma solo un fatto indirettamente collegato con il dogma, senza essere propriamente un “fatto dogmatico”. Il campo della fede e della morale è vasto, perché comprende tutta la dottrina cristiana, speculativa e pratica, il credere e l’operare umano, ma una precisazione è necessaria. Una definizione dogmatica non può mai implicare la definizione di una nuova dottrina in campo di fede e di morale. Il Papa può solo esplicitare ciò che è implicito in materia di fede e di morale ed è trasmesso dalla Tradizione della Chiesa. Ciò che i Papi definiscono deve essere contenuto nella Scrittura e nella Tradizione ed è questo che assicura all’atto la sua infallibilità. Ciò non è certamente il caso delle canonizzazioni. Non a caso né i Codici di Diritto Canonico del 1917 e del 1983, né i Catechismi, antico e nuovo, della Chiesa cattolica, espongono la dottrina della Chiesa sulle canonizzazioni. Rimando su questo tema, oltre che al citato studio di mons. Gherardini, ad un ottimo articolo di José Antonio Ureta sul numero di marzo 2014 della rivista Catolicismo.

Ritiene che le canonizzazioni abbiano perduto il loro carattere infallibile, in seguito al mutamento della procedura del processo di canonizzazioni, voluto da Giovanni Paolo II nel 1983?

Questa tesi è sostenuta sul Courrier de Rome, da un eccellente teologo, l’abbé Jean-Michel Gleize. Del resto uno degli argomenti su cui il padre Low, nella voce Canonizzazioni dell’Enciclopedia cattolica, fonda la tesi dell’infallibilità è l’esistenza di un poderoso complesso di investigazioni e di accertamenti, seguito da due miracoli, che precedono la canonizzazione. Non c’è dubbio che dopo la riforma della procedura voluta da Giovanni Paolo II nel 1983 questo processo di accertamento della verità sia divenuto molto più fragile e ci sia stato un mutamento dello stesso concetto di santità. L’argomento tuttavia non mi sembra decisivo, perché la procedura delle canonizzazioni si è profondamente modificata nella storia. La proclamazione della santità di Ulrico di Augsburg, da parte del Papa Giovanni XV, nel 993, considerata come la prima canonizzazione pontificia della storia, fu proclamata senza alcuna inchiesta da parte della Santa Sede. Il processo di investigazione approfondita risale soprattutto a Benedetto XIV: a lui si deve, ad esempio, la distinzione tra canonizzazione formale, secondo tutte le regole canoniche, e canonizzazione equipollente, quando un Servo di Dio viene dichiarato santo in forza di una venerazione secolare. La Chiesa non esige un atto formale e solenne di beatificazione per qualificare un santo. Santa Ildegarda da Bingen ricevette dopo la sua morte il titolo di santa e il Papa Gregorio IX, fin dal 1233, iniziò un’inchiesta in via della canonizzazione. Tuttavia non c’è mai stata una canonizzazione formale. Neanche santa Caterina di Svezia, figlia di santa Brigida fu mai canonizzata. Il suo processo si svolse tra il 1446 e il 1489, ma non fu mai concluso. Essa fu venerata come santa senza essere canonizzata.

Che cosa pensa della tesi di san Tommaso, ripresa anche dall’articolo Canonisations del Dictionnaire de Théologie catholique, secondo cui se il Papa non fosse infallibile in una dichiarazione solenne come la canonizzazione, ingannerebbe sé stesso e la Chiesa.

Bisogna dissipare innanzitutto un equivoco semantico: un atto non infallibile, non è un atto sbagliato, che necessariamente inganna, ma solamente un atto sottoposto alla possibilità dell’errore. Di fatto quest’errore potrebbe essere rarissimo, o mai avvenuto. San Tommaso, come sempre equilibrato nel suo giudizio, non è un infallibilista ad oltranza. Egli è giustamente preoccupato di salvaguardare la infallibilità della Chiesa e lo fa con un argomento di ragione teologica, a contrario. Il suo argomento può essere accolto in senso lato, ma ammettendo la possibilità di eccezioni. Concordo con lui sul fatto che la Chiesa, nel suo insieme non può errare quando canonizza. Ciò non significa che ogni atto della Chiesa, come l’atto di canonizzazione sia in sé stesso necessariamente infallibile. L’assenso che si presta agli atti di canonizzazione è di fede ecclesiastica, non divina. Ciò significa che il fedele crede perché accetta il principio secondo cui normalmente la Chiesa non sbaglia. L’eccezione non cancella la regola. Un autorevole teologo tedesco Bernhard Bartmann, nel suo Manuale di Teologia dogmatica (1962), paragona il culto reso a un falso santo all’omaggio reso al falso ambasciatore di un re. L’errore non toglie il principio secondo cui il re ha veri ambasciatori e la Chiesa canonizza veri santi.

In che senso allora si può parlare di infallibilità della Chiesa nelle canonizzazioni?

Sono convinto che sarebbe un grave errore ridurre l’infallibilità della Chiesa al Magistero straordinario del Romano Pontefice. La Chiesa non è infallibile solo quando insegna in maniera straordinaria, ma anche nel suo Magistero ordinario. Ma così come esistono delle condizioni di infallibilità per il Magistero straordinario, esistono condizioni di infallibilità per il Magistero ordinario. E la prima di queste è la sua universalità, che si verifica quando una verità di fede o di morale viene insegnata in maniera costante nel tempo. Il Magistero può insegnare infallibilmente una dottrina con un atto definitorio del Papa, oppure con un atto non definitorio del Magistero ordinario, a condizione che questa dottrina sia costantemente conservata e tenuta dalla Tradizione e trasmessa dal Magistero ordinario e universale. L’istituzione Ad Tuendam Fidem della Congregazione per la dottrina della Fede del 18 maggio 1998 (n. 2) lo ribadisce. Per analogia si potrebbe sostenere che la Chiesa non può sbagliare quando conferma con costanza nel tempo verità connesse alla fede, fatti dogmatici, usi liturgici. Anche le canonizzazioni possono rientrare in questo novero di verità connesse. Si può essere certi che santa Ildegarda da Bingen sia nella gloria dei santi e possa essere proposta come modello, non perché essa è stata solennemente canonizzata da un Papa, visto che nel suo caso non c’è mai stata una canonizzazione formale, ma perché la Chiesa ha riconosciuto il suo culto, senza interruzione, fin dalla sua morte. A maggior ragione, per i santi per cui c’è stata canonizzazione formale, come san Francesco o san Domenico, la certezza infallibile della loro gloria nasce dal culto universale, in senso diacronico, che la Chiesa ha loro tributato e non dalla sentenza di canonizzazione in sé stessa. La Chiesa non inganna, nel suo Magistero universale, ma si può ammettere un errore delle autorità ecclesiastiche circoscritto nel tempo e nello spazio.

Ci vuole riassumere la sua opinione?

La canonizzazione di Giovanni XXIII è un atto solenne del Sovrano Pontefice, che promana dalla suprema autorità della Chiesa e che va accolto con il dovuto rispetto, ma non è una sentenza in sé stessa infallibile. Per usare un linguaggio teologico, è una dottrina non de tenenda fidei, ma de pietate fidei. Non essendo la canonizzazione un dogma di fede, non esiste per i cattolici un positivo obbligo di prestarvi assenso. L’esercizio della ragione, suffragato da un’accurata ricognizione dei fatti, dimostra con tutta evidenza che il pontificato di Giovanni XXIII non è stato di vantaggio alla Chiesa. Se dovessi ammettere che Papa Roncalli abbia esercitato in modo eroico le virtù svolgendo il suo ruolo di Pontefice minerei alla base i presupposti razionali della mia fede. Nel dubbio io mi attengo al dogma di fede stabilito dal Concilio Vaticano I, secondo cui non può esserci contraddizione tra fede e ragione. La fede oltrepassa la ragione e la eleva, ma non la contraddice, perché Dio, Verità per essenza, non è contraddittorio. Sento in coscienza di poter mantenere tutte le mie riserve su questo atto di canonizzazione.

© conciliovaticanosecondo.it

Il Vicario di Cristo: natura e limiti della sua infallibilità

cristianesimocattolico:

Il 18 ottobre 2013, per iniziativa del Centro Culturale “Padre Tomas Tyn”, si è svolto a Rieti un convegno teologico dal titolo Le perle della buona teologia. Riportiamo l’intervento del prof. Roberto de Mattei.

di Roberto de Mattei

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Nel corso della lunga storia della Chiesa, la teologia del Papato ha conosciuto una lenta evoluzione, come ogni organismo che nasce, progredisce e si rafforza nel suo rapporto con il mondo esterno. La Chiesa, infatti, non è stata fondata da Cristo come un’istituzione, già rigidamente e irrevocabilmente costituita, ma come un organismo vivo, il quale – come il corpo, che è immagine della Chiesa – ha sviluppato nella sua crescita tutti i caratteri essenziali del suo essere che già conteneva in embrione.

Questo coerente sviluppo è avvenuto soprattutto nella lotta contro le eresie che hanno costretto la Chiesa a definire con sempre maggior precisione la sua dottrina, e a illuminare di luce sempre più diffusa e splendente la verità. Da San Leone Magno a San Gregorio VII e a Bonifacio VIII, dal Concilio di Trento al Concilio Vaticano I, la dottrina del Primato pontificio si è sempre meglio chiarita e definita, trovando la sua espressione solenne nella costituzione dogmatica Pastor Aeternus approvata nella quarta sessione (18 luglio 1870) del Concilio Vaticano I.

L’art. 3 di questa costituzione definisce il Primato del Romano Pontefice, unico legittimo successore di san Pietro, che consiste nel potere pieno di pascere, reggere e governare tutta la Chiesa, ossia nella giurisdizione suprema, ordinaria, immediata, universale e indipendente da ogni autorità, anche civile. “Pertanto, – stabilisce il canone corrispondente – chi affermerà che il Romano Pontefice ha soltanto un compito di vigilanza o di direzione, ma non piena e suprema potestà di giurisdizione su tutta la Chiesa non soltanto nelle cose che riguardano la fede e i costumi, ma anche nelle cose che riguardano la disciplina e il governo della Chiesa sparsa per tutto il mondo; oppure chi affermerà che il Romano Pontefice ha soltanto la parte più importante, ma non tutta la pienezza di questa suprema potestà; oppure chi dirà che questa sua potestà non è ordinaria e immediata, sia su tutte e singole le Chiese, sia su tutti e singoli i pastori e fedeli: sia anatema”.

Il dogma del Primato di giurisdizione non dice che il Papa è infallibile quando governa la Chiesa: ciò che è vero e infallibile è che il Papa, e solo lui, ha la suprema giurisdizione della Chiesa. Questa giurisdizione comprende anche il supremo potere del Magistero. L’art. 4 della Costituzione Pastor Æternus definisce a questo proposito che “Il vescovo di Roma, quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo il suo ufficio di pastore e di dottore di tutti i cristiani, definisce, in virtù della sua suprema autorità apostolica, che una dottrina in materia di fede o di morale deve essere ammessa da tutta la Chiesa, gode, per quell’assistenza divina che gli è stata promessa nella persona del beato Pietro, di quella infallibilità di cui il divino redentore ha voluto fosse dotata la sua chiesa, quando definisca la dottrina riguardante la fede o la morale. Di conseguenza queste definizioni del vescovo di Roma sono irreformabili per sé stesse, e non in virtù del consenso della Chiesa”.

Ci troviamo di fronte ad una verità di fede che costituisce un irreformabile punto di arrivo, ma anche un punto di partenza, per un’ ulteriore approfondimento sulla natura e le caratteristiche dell’infallibilità del Vicario di Cristo.

Il mio contributo vuol essere quello dello storico e, sotto questo aspetto, voglio proporre alla vostra riflessione i punti centrali del documento teologico che costituisce la chiave per comprendere la portata della costituzione Pastor Æternus del 18 luglio 1870, vale a dire la relazione finale[1] in cui mons. Vincenzo Gasser (1809-1879), vescovo di Bressanone, e rappresentante della Deputazione per la Fede, e dunque portavoce dello stesso Pio IX, chiarì bene requisiti e limiti dell’infallibilità.

A chi ancora oggi si domanda se il Papa è sempre infallibile e se dunque è sempre obbligatorio seguirlo, il Concilio Vaticano I ha risposto chiaramente di no. Nella sua relazione mons. Gasser spiegò infatti che l’infallibilità del Papa doveva essere determinata verificando tre requisiti:

  1. il soggetto che insegna,
  2. la materia su cui si esercita il suo insegnamento,
  3. il modo con cui l’atto di insegnare viene esercitato.

Il soggetto dell’infallibilità

Il primo chiarimento riguarda il soggetto dell’infallibilità. Da questo punto di vista, spiegò mons. Gasser, bisogna premettere che l’infallibilità del Papa è personale, per evitare la distinzione che fanno i gallicani tra la Sede Apostolica che sarebbe infallibile e il sedente, il Romano Pontefice, che non lo sarebbe come persona. Distinzione assurda perché non si può affermare che sia infallibile la serie dei pontefici Romani, nel loro insieme, senza che nessuno di essi lo sia personalmente[2]. Questa precisazione è importante anche perché ci fa capire che, non essendo legata all’ufficio, ma alla persona, l’infallibilità non può essere delegata dal Papa ad altri, così come il Papa non può nominare un vice-Papa a cui trasmettere il suo Primato.

Tuttavia, se è vero che l’infallibilità si riferisce ad ognuno dei successori di Pietro personalmente considerato, bisogna capire bene in che senso: “Infallibilitas personalis papae in se ipsa debet accuratius definiri”[3], dice mons. Gasser.

Infatti, spiega mons. Gasser, se si considera il Papa come persona privata, egli non è infallibile. “L’infallibilità non appartiene al Romano Pontefice come persona privata, e neppure come dottore privato, perché in quanto tale, egli è uguale agli altri dottori privati, come osserva Caetano e un eguale non ha su di un eguale un potere simile a quello che tuttavia il Pontefice esercita su tutta la Chiesa”[4].

A questo punto mons. Gasser protesta con veemenza contro gli anti-infallibilisti che gli rimproveravano di sostenere che il Papa non può mai cadere nell’eresia, contraddicendo con ciò la dottrina della Chiesa, che ammette invece la possibilità del Papa eretico. Mons. Gasser risponde ribadendo il fatto che la Chiesa non ha mai accolta quella che definisce “l’opinione estrema” del teologo Alberto Pighi, secondo cui “il Papa come persona particolare o come dottore privato potrebbe errare per ignoranza, ma non potrebbe mai cadere nell’eresia o insegnare l’eresia”. Gli infallibilisti, come mons. Gasser, ammettono la possibilità del Papa eretico.

Il Papa, precisa mons. Gasser, non è infallibile come persona privata, ma come “persona pubblica”. E come “persona pubblica” si deve intendere che il Papa stia adempiendo il suo ufficio, parlando ex cathedra, in virtù della sua funzione di dottore della Chiesa. “Pontifex dicitur infallibilis cum loquitur ex cathedra…scilicet quando.,. primo non tanquam doctor privatus…aliquid decernit, sed docet supremi omnium christianorum pastori set doctoris munere fungens”[5]. Queste parole le ritroveremo nella definizione dogmatica: “cum ex cathedra loquitur, id est cum omnium christianorum pastoris et doctoris munere fungens”. Il Papa è infallibile solo se, in quanto Papa, adempie al suo ufficio di maestro universale, parlando ex cathedra e intendendo di vincolare tutta la Chiesa al suo insegnamento.

L’oggetto dell’infallibilità

Se il Papa è infallibile quando esercita la sua funzione di Pastore della chiesa universale e quando intende definire, bisogna aggiungere una seconda condizione: egli deve pronunciarsi in materia di fede e di morale. Il testo della definizione dirà doctrinam de fide vel moribus.

Il campo della fede e della morale è vasto, perché comprende tutta la dottrina cristiana, speculativa e pratica, il credere e l’operare umano, ma ancora una precisazione è necessaria. Una definizione dogmatica non implica la definizione di una nuova dottrina in campo di fede e di morale. Il Papa può solo esplicitare ciò che è implicito in materia di fede e di morale ed è trasmesso dalla Tradizione della Chiesa.

Ciò che i Papi definiscono deve essere contenuto nella Scrittura e nella Tradizione, e il Papa ha bisogno dell’aiuto della Chiesa per prendere conoscenza del deposito rivelato, a cui deve attingere. Perché ha bisogno della cooperazione della Chiesa? Perché l’infallibilità non è accordata al Papa come un’ispirazione o una rivelazione, ma come un’assistenza divina. Perciò, spiega mons. Gasser, il Papa, considerata la sua carica e l’importanza della cosa, è tenuto ad impiegare i mezzi appropriati per ricercare la verità ed esprimerla convenientemente[6]. Un altro relatore ufficiale, mons. D’Avanzo aveva precisato il 20 giugno: “assistentia non est nova revelatio, sed manifestatio veritatis quae in deposito revelationis jam contenitur”[7].

Il Papa dunque, prima di procedere ad una definizione, ricorre, nella forma che giudica opportuna, a mezzi di informazione adatti a conoscere nel miglior modo possibile la verità che intende definire, per garantirsi che essa è contenuta nel deposito rivelato.

Può essere interessante ricordare che quando nell’aula conciliare venne richiesto che l’infallibilità fosse estesa anche alla canonizzazione dei santi, all’approvazione degli ordini religiosi e alla qualifica di dottrine con note inferiori al dogma o all’eresia, la richiesta non venne accolta, perciò è da escludere che queste sfere di intervento pontificio possano rientrare nella materia oggetto della definizione vaticana[8].

Il modo dell’insegnamento infallibile

Si pone a questo punto il terzo problema. Mons. Gasser spiega infatti che se il Papa è sempre il giudice supremo in materia di fede e di morale, egli gode di un’assistenza divina che gli toglie la possibilità di errare solo nel momento in cui esercita un atto che abbia determinate caratteristiche. Si tratta di un’ultima importante condizione restrittiva.

Perché il Papa applichi in concreto il carisma dell’infallibilità da lui posseduto, si richiede che egli usi una forma dalla quale appaia manifesta la sua intenzione di dare una sentenza definitiva sulla materia oggetto del suo intervento. Mons. Gasser dice “dando definitivam sententiam”, o, come ripete: “definit, seu, ut plures theologi loquuntur, definitiva et terminativa sententia proponit”[9]. La natura dell’atto del Papa che impegna la sua infallibilità deve essere espressa nel testo dalla parola “definire”, che ha come correlativo la formula ex cathedra. Nella seduta del 16 luglio, l’ultima prima del voto definitivo, mons. Gasser, parlando ufficialmente a nome della Deputazione della Fede, insiste su questo punto: “La parola definisce significa che il Papa proferisce la sua sentenza…direttamente e definitivamente, in maniera tale che ogni fedele possa ormai essere certo del pensiero della sede apostolica, del pensiero del Romano pontefice”[10].

Con queste precisazioni mons. Gasser intendeva rispondere alle numerose obiezioni, soprattutto di carattere storico, dei Padri conciliari anti-infallibilisti. Essi citavano i casi dei Papi Onorio e Liberio, o del Concilio di Costanza, che, di fatto, si allontanarono dalla fede ortodossa per negare con ciò il dogma dell’infallibilità. Ma ad essi venne opportunamente risposto che i Papi e i Concili che avevano errato non lo avevano mai fatto ex cathedra, esercitando la prerogativa della infallibilità. In questi casi, non si verificarono dunque tutte le condizioni richieste per l’infallibilità[11]. Se nei casi dei Papi Liberio ed Onorio, nei documenti, suggellati da approvazione pontificia del Concilio Costantinopolitano I o di Costanza, vi era stato errore, ciò era dovuto appunto alla fallibilità (o non infallibilità) di quei documenti.

Riassumendo non le mie opinioni ma la relazione di mons. Gasser, relatore generale della Deputazione per la Fede al Vaticano I, il Romano Pontefice è infallibile tutte le volte, e solo quando:

  1. parli ex cathedra come capo della Chiesa universale;
  2. che la materia in cui si esprime riguardi la fede o i costumi;
  3. che su quest’oggetto intenda pronunziare un giudizio definitivo.

È sufficiente che manchi uno dei tre requisiti indicati dalla costituzione Pastor Æternus perché il Magistero debba essere considerato non infallibile, ma fallibile, senza che questo termine significhi necessariamente sbagliato. Infallibile è, secondo qualsiasi buon dizionario, colui “che non sbaglia e non può sbagliare”[12], mentre “fallibile” è colui che è “soggetto a sbagliare”[13]. Se però infallibile coincide con “verace”, fallibile non significa necessariamente “fallace”. Dire che una proposizione è fallibile, non significa dire che invece di essere vera, essa è sbagliata, ma che, non essendo infallibile, potrebbe non essere vera. Chi non è fallibile, insomma, a differenza di chi è infallibile. non è esente dalla possibilità di errore. E l’errore di un Papa, secondo il Concilio Vaticano I, può arrivare fino all’eresia.

La possibilità di un Papa eretico

Fra i casi di perdita del potere pontificio, la dottrina cattolica ammette pacificamente la possibilità di un Papa eretico[14].

Nel Medioevo il Decreto di Graziano ricorda un principio ancora oggi vigente: il Papa a nemine est judicandus, nisi deprehenditur a fide devius[15] (non debba essere giudicato da nessuno, a meno che non si allontani dalla fede). La regola Prima sedes non judicabitur ammette per Graziano una sola eccezione: il peccato di eresia. La possibilità di giudicare il Papa se si rende colpevole di eresia come ci attestano le grandi collezioni canoniche, fu una massima incontestata nel Medioevo[16]. Da allora, pressoché nessun teologo è arrivato a negare la possibilità, in tesi, di un Papa eretico, anche se, soprattutto a partire dal XVI secolo, la tendenza è stata di considerarla improbabile di fatto.

Il problema di fondo è piuttosto un altro: se e quando il Papa eretico decade dal suo ufficio. Si tratta di un problema discusso dai teologi su cui non mi soffermo. Ciò che importa sottolineare è che bisogna evitare di attribuire all’infallibilità del Papa un significato diverso da quello che gli attribuisce la Chiesa e che, se il Papa può errare, vi sono casi in cui dal Papa è lecito dissentire.

Nessun autore ha mai sollevato dubbi quanto al diritto di una opposizione privata ispirata alle parole stesse di san Pietro : “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At. 5, 29). La legittima “disobbedienza” ad un ordine in sé ingiusto in natura di fede e di morale si può spingere, in casi particolari, fino alla resistenza anche pubblica al Sommo Pontefice. Arnaldo Xavier da Silveira, in uno studio dedicato alla Resistenza pubblica a delle decisioni dell’autorità ecclesiastica[17], lo ha ben dimostrato, riportando citazioni di santi, dottori della Chiesa e illustri teologi e canonisti.

Nel commento all’Epistola ai Galati[18], studiando l’episodio in cui san Paolo resistette in faccia a san Pietro, san Tommaso scrive: “La riprensione fu giusta e utile, e il suo motivo non fu di poco conto: si trattava di un pericolo per la preservazione della verità evangelica […]. Il modo della riprensione fu conveniente, perché fu pubblico e manifesto. Perciò san Paolo scrive: ‘Parlai a Cefa’, cioè a Pietro, ‘di fronte a tutti’, perché la simulazione operata da san Pietro comportava un pericolo per tutti. In 1 Tim. 5, 20 leggiamo: ‘coloro che hanno peccato, riprendili di fronte a tutti’. Questo si deve intendere dei peccatori manifesti, e non di quelli occulti, perché con questi ultimi si deve procedere secondo l’ordine proprio alla correzione fraterna”[19].

Il potere del Papa è supremo, ma non illimitato e arbitrario. Il Papa, come ogni fedele, deve rispettare la legge naturale e divina, di cui egli è, per mandato divino, il Custode. Tuttavia, come scrive Arnaldo Xavier da Silveira richiamando un principio esposto dal padre Laymann (+1635), grande moralista della Compagnia di Gesù, “fin quando (il Papa che si sia allontanato dalla fede cattolica) sarà tollerato dalla Chiesa e pubblicamente riconosciuto come pastore universale, egli godrà realmente del potere pontificio, così che tutti i suoi decreti non avranno minore vigore e autorità di quelle che avrebbero se egli fosse veramente fedele”. Questa posizione dottrinale, basata sul dogma che la Chiesa è una società visibile e perfetta, vale per il vero Papa che pecca contro la fede, come per quello che avesse già perso la fede prima della sua elezione[20]. Ma tutte le verità teologiche si sono sviluppate in seguito a concrete controversie storiche. Dobbiamo pregare di non essere costretti dalle circostanze a dovere approfondire queste verità, perché altrimenti dovremmo dire che la Chiesa si trova in un’ora tragica e mai vissuta della sua storia.

NOTE

[1] Giovanni Domenico Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima Collectio, a cura di Louis Petit e Jean-Baptiste Martin, Parigi-Arnhem-Leipzig 1901-1927 (53 voll.), vol. 52, coll. 1204-1232; cfr. in particolare col. 1214.

[2] Ivi, vol. 52, col. 1212 D.

[3] Ivi.

[4] Ivi.

[5] Ivi, col. 1225 C.

[6] Ivi, col. 1213 D.

[7] Ivi, col. 764 CD.

[8] Cfr. Umberto Betti, Dottrina della costituzione dommatica Pastor Æternus, in De doctrina Concilii Vaticani Primi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1969, p. 356.

[9] G. D. Mansi, op. cit., vol. 52, col. 1316 B.

[10] Ivi, col. 1213 D.

[11] U. Betti, op. cit., pp. 309-360; Antoine Chavasse, La véritable conception de l’infaillibilité papale d’après le Concile du Vaticam, in De doctrina Concilii Vaticani Primi, cit., pp. 559-575.

[12] Lessico Universale Italiano, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1972, vol. X, p. 363.

[13] Ivi, vol. VII, p. 445.

[14] Cfr. S. Roberto Bellarmino, De Romano Pontifice, lib. 2, cap. 30, in De controversiis, II, pp. 690-694; 4, 6 ss.; Francisco Suarez s.j., De fide, disp. X, sect. 6, in Opera omnia, Vivès, Parigi 1858, XII; Charles Journet, L’Eglise du Verbe incarné, Desclée de Brouwer, Parigi 1941, I, pp. 625 sgg. e II, pp. 1063 sgg.

[15] Decreto di Graziano, Dist. XXI, c. 7, Nunc autem.

[16] Victor Martin, Comment s’est formée la doctrine de la supériorité du Concile sur le Pape, in “Revue des Sciences Religieuses”, 2 (1937), p. 127 (pp. 121-143).

[17] Arnaldo Xavier da Silveira, Resistenza pubblica a delle decisioni dell’autorità ecclesiastica, in “Cristianità”, 13 (settembre-ottobre 1975), pp. 6-9.

[18] S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-III, 33, 4, 2.

[19] Id., Super Epistolam ad Galatas Lectura, in Super Epistolas S. Pauli Lectura, I, 2, 11-14, lect. III, nn. 83-84.

[20] A. X. da Silveira, Quo vadis Petre.

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