Il “confinamento” del santuario di Fatima

Alla vigilia del 103° anniversario delle apparizioni di Fatima, si è appreso che la Guardia Nazionale Repubblicana portoghese ha svolto, dal 9 maggio l’operazione Fatima in casa, con l’obiettivo di impedire ai pellegrini di accedere il 13 maggio al santuario mariano.

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Chiare fresche e torbide acque

Nel giorno del Protomartire Santo Stefano abbiamo avuto l’opportunità di leggere le parole del Cardinal Oullet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, in un’intervista riguardo la rinuncia di Benedetto XVI e la seguente elezione di Papa Francesco.

Il punto centrale è stato la positività attribuita dal porporato ai due eventi sopra menzionati, in particolar modo per l’apertura di una nuova strada, resa possibile dalla rinuncia, così come la “svolta pastorale” di Papa Francesco: praticamente una “grazia”, secondo l’intervistato.

Certamente non si può parlare di questi accadimenti, significativi per la Chiesa, in modo del tutto oggettivo, anche perché sono immersi in una coltra di fumo quasi impenetrabile e continuamente arricchita dai media e da diverse opinioni contrastanti.

In questi ultimi mesi se ne sono lette, viste e sentite davvero di tutti i colori in merito, da ambienti differenti quando non proprio opposti.

Il Cardinal Ouellet è dell’opinione che siano stati eventi positivi per la Chiesa, e le sue parole, comunque piuttosto moderate, si aggiungono al coro di voci incessanti che cantano le lodi della rinuncia del vecchio e della venuta del nuovo.

Più che polemizzare su queste posizioni, su queste vedute discordi, è opportuno notare che ben pochi si sono accorti, oggettivamente, del fatto che molti cambiamenti sono pura illusione.

I problemi che erano attribuiti alla Chiesa, problemi quasi del tutto illusori, come l’autoreferenzialità, lo sfarzo, il trionfalismo, le attitudini bigotta e retrograda, sono svaniti come un vago e triste ricordo del passato, eliminati dal vento fresco ed inarrestabile portato dal nuovo Pontefice, che ora fa navigare la Chiesa in acque limpide.

I veri problemi della Chiesa, alcuni di essi attribuiti solamente a scopo mediatico e, dunque, fortemente manipolati, come la pedofilia – punta dell’iceberg della deriva disciplinare e morale di sacerdoti e religiosi -, come la corruzione finanziaria, come il minimalismo riduttivo del messaggio di Cristo, come l’iconoclastia convertita in un nuovo barocco orrido-moderno, sono invece ancora lì, nonostante sitaccia la loro permanenza altamente dannosa.

I pochi che li combattono vengono visti come oppositori del “nuovo corso” di Papa Francesco, osteggiatori delle aperture antidiscriminatorie.

E questi pochi sono discriminati proprio da chi pensa di opporsi ad una presunta discriminazione, nel silenzio o nelle pubbliche piazze.

Non ci si capisce più niente a leggere le interviste ed a seguire le cronache mediatiche; per questo è importante rimanere attaccati a ciò che non può fallire: la preghiera e il retto agire, cristianamente dunque fermamente.

I fedeli non hanno bisogno di illudersi come immagini arcadiche di aria fresca e acqua limpida, soprattutto mentre la Chiesa naviga incerta nelle torbide correnti del mondo attuale.

I fedeli hanno bisogno di punti saldi, di una fede indiscutibile, di pastori chiari con se stessi e con il mondo, di combattere i veri problemi della Chiesa e del mondo.

© Exsurge Domine (27/12/2013)

UNO SCISMA DI FATTO

Lettura socio-ecclesiale circa il problema tedesco – del padre Ariel S. Levi di Gualdo. 

«Il vero problema di Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera, è quello di sempre: prima sono tedeschi, poi forse cattolici, ma sempre a modo loro e soprattutto con inestinguibile altezzosità teutonica, perché nell’animo profondo sono rimasti l’antico popolo barbaro di sempre e da sempre ostile a Roma e a quella romanità che è centro e motore della universalità cattolica».

Caro Marco Tosatti.

Ho appena letto uno dei tuoi commenti precisi, decisi e delicati nel quale riporti alcune affermazioni dell’Arcivescovo Metropolita di Monaco di Baviera, Cardinale Reinhard Marx, frutto di un evidente errore compiuto dalla buona fede di due diversi pontefici: Benedetto XVI, che costui lo nominò giovane e rampante alla sede arcivescovile bavarese creandolo poco dopo cardinale; e Francesco I, che lo ha voluto nella commissione dei cosiddetti otto saggi. Questo tuo articolo mi ha richiamato alla mente il mio penultimo libro: “E Satana si fece Trino”, che tu stesso hai recensito alla sua uscita. E visto che certi problemi li ho trattati in passato seguitando a pagare al presente prezzi alquanto elevati per avere osato entrare pubblicamente in certe disquisizioni a dir poco spinose, ho deciso di offrire ai lettori, come incentivo e come pieno supporto al tuo breve ma efficace commento, due paragrafi tratti da questa mia opera, dove riporto come testimone oculare e come sacerdote fatti e situazione di inaudita gravità teologica e liturgica che ho dovuto fronteggiare in diversi contesti del Nord dell’Europa, in particolare nella “cattolica” Baviera la cui sede metropolitana era già retta all’epoca dall’Arcivescovo Reinhard Marx, imminente cardinale, sotto gli occhi impotenti del quale accadeva giorno dietro giorno ciò che in coscienza e in fedele verità ho descritto nei miei resoconti pubblicati poco dopo.

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Dall’Opera: E Satana si fece Trino:

LA GERMANIA TRA SECOLARIZZAZIONE RADICALE E SCISMA DI FATTO, A MAGGIORE RAGIONE: EGO TE ABSOLVO …

… durante i miei soggiorni in Germania notai che gli abitanti di München mi guardavano per strada come se vedessero qualche cosa d’inusuale.
Il tutto mi fu chiaro all’improvviso, quando in una via del centro mi imbattei in un episodio singolare …
«Padre, lei è un prete tedesco».
«No, sono un prete italiano».
Pochi istanti di silenzio, poi un timido sorriso:
«Io sono un’anziana cattolica, moglie di un italiano morto da diversi anni. Ricordo ancora i tempi passati, quando anche i nostri preti andavano in giro per le strade vestiti da preti …».

Un altro sorriso e di nuovo una domanda:
«… da quanto tempo si trova a München?».
«Da un paio di mesi, però vi rimarrò altro tempo ancora».
Un altro sorriso seguito da una domanda che mi lasciò di stucco:
«Quanti preti, vestiti come lei da preti ha incontrato?».
Rimasi un attimo pensieroso, poi risposi:
«A dire il vero mai nessuno».
Sorride di nuovo l’anziana cattolica che si ricordava ancòra i preti vestiti da preti in giro per la sua città:
«Siccome potrei essere sua nonna, vorrei darle un consiglio: rimanga così com’è, prete riconoscibile da tutti, sempre».
Di mesi ne passarono diversi senza mai incontrare un prete vestito da prete per le strade del centro storico di München, che poco dopo soprannominai Bürchen, giocando sulla parola burqa o burka, il vestito nero imposto alle donne da una certa usanza ”islamica”, da sempre giudicata non conforme ad alcuna regola religiosa da eminenti religiosi e altrettanti teologi musulmani. Lo prova il fatto che in alcuni paesi musulmani è proibito, entrare in luoghi pubblici, università, ma persino dentro le stesse moschee, con questo vestimento.
Nella città bavarese di Bürchen, frotte di donne velate scortate da figli e mariti escono da alberghi a cinque stelle per recarsi a far compere nelle più costose gioiellerie e atelier del centro. Da una parte, i preti di München che circolano anonimi per le strade in abiti civili, i più zelanti usano l’abito ecclesiastico solo dentro le chiese, senza farvi però due metri fuori dalla porta. Dall’altra, le donne velate che hanno mutato la capitale bavarese nella Bürchen dello shopping.
Nei paesi capitalisti della morente Europa coi petroldollari si compra di tutto, dall’oro all’incuria sulle violazioni dei veri diritti umani di popoli interi, ridotti alla fame da poche famiglie che detengono l’intera ricchezza del paese, beneficiate all’occorrenza dal silenzioso supporto degli esponenti dell’integralismo laico europeo, pronti a lottare per i “diritti umani” solo quando si tratta di legalizzare la pillola abortiva, od a parlare di sacrosanta laicità quanto esigono tappare ad ogni costo la bocca alla Chiesa Cattolica ed ai cattolici.
Benaccetti siano allora i petroldollari, mentre i preti di quella che fu la cattolica Baviera, hanno ridotto la fede a una faccenda privata che si celebra nel nascondimento delle chiuse mura delle chiese, non più sulle piazze dei testimoni della fede.
Trascorsi alcuni mesi, la mia solitudine fu rotta dall’arrivo di un confratello anglofono e collega di studi a Roma. La prima volta che uscimmo insieme, entrambi in clergyman nero come nostra abitudine, dopo un’ora di cammino per il centro della città il confratello sbotta allegro:
«Capisco che siamo due splendidi indossatori appena scesi dalle passerelle ecclesiastiche del prete-a-porter e che per questo tutti ci guardano ammirati; ciò che mi turba è che finché mi guardano le donne, la cosa rientra nelle regole di natura, se però mi guardano gli uomini, la cosa comincia a preoccuparmi».
Lo rassicurai:
«I primi giorni rimasi colpito anch’io, compresi però presto il motivo di questi sguardi: le persone non sono più abituate a vedere i preti vestiti da preti in giro per la strada. Gli anziani che se li ricordano ancora, vedendoci restano stupìti, come dire: “Ancora non si sono estinti”. I giovani, che invece non li hanno mai visti, al vederci restano incuriositi».
Bisbiglia il confratello mentre da Maximilianstraße entriamo in Max Joseph Platz:
«Quel tale, a distanza ci ha scattato una fotografia».
«Abituati anche a questo, io non ci faccio più caso».
«Meno male che siamo vestiti col clergyman nero, immagina cosa accadrebbe se stessimo andando ad una solenne liturgia con la talare romana indosso».
«Saremo finito su qualche telegiornale della sera, che avrebbe aperto annunciando che in Max Joseph Platz erano stati avvistati due extraterrestri».
Sorrido mentre il confratello domanda:
«Ho appreso dalle guide che nel centro della città c’è la chiesa cattedrale, la sede episcopale, gli uffici dell’arcidiocesi, varie parrocchie, il seminario arcivescovile, più case religiose, la facoltà teologica …».
«Esattamente così».
«E muovendoti da mesi in questa zona, riconoscibile come prete e socievole come sei per indole, non sei mai stato fermato da uno dei 1.300 presbìteri di questa arcidiocesi che ti ha avvicinato per presentarsi e per chiederti da dove venivi e che cosa facevi da queste parti?».
Giunti davanti alla libreria cattolica fermo il passo e rispondo al confratello:
«Incontri … saluti ?
Siamo nella Capitale della Germania del Sud, dove ti sorridono e ti accudiscono con somma cortesia, solo però in tutti quei locali, negozi e strutture private, dove col portafoglio alla mano entri per acquistare prodotti o servizi; in quei contesti commerciali ti trattano come una via di mezzo tra un principe ereditario e il messia. Fuori dai rapporti commerciali di acquisto e di vendita, là dove entra in gioco l’accoglienza e la gratuità, troverai totale chiusura. A München i cattolici sono il 55% della popolazione. In certe zone della Baviera oltre l’80%». Come prete devo però dirti di avere incontrato più apertura e ospitalità nella Germania del Nord, in zone dove i cattolici oscillano tra il 4 il 6% della popolazione; nelle zone del Nord, sono stato accolto con estrema e profonda affettuosità umana e cristiana e proprio per questo conservo di esse un ricordo davvero ottimo».
«Mi stai preparando psicologicamente al mio lungo soggiorno?»
«Ti sto rispondendo che da queste parti non sono mai riuscito a entrare in contatto coi preti del luogo, che non conosco e che non ho mai conosciuto; ma soprattutto sappi che ho avuto difficoltà anche a trovare ospitalità per celebrare la Santa Messa. Difficoltà che come prete sarei stato preparato ad affrontare in Vietnam, in Cina o in Arabia Saudita, non però nella “cattolica” Baviera. Quando i primi tempi non ero ancora in grado di celebrare col Messale Tedesco, ai religiosi che con cortese e totale distacco ci ospitano nella loro casa, chiesi più volte se qualcuno poteva aiutarmi. Nessuno volle però farlo, pur avendo tempo per dedicarsi a tante altre cose cattoliche, non cattoliche e persino ludiche. Grazie a Dio i gesuiti di München, contattati dai loro confratelli di Roma, mi misero in contatto con un loro anziano confratello, che mi dedicò il suo tempo e il suo affetto, offrendomi anzitutto una delle cappelle della Casa della Compagnia di Gesù presso l’Università, dove ho potuto celebrare la Santa Messa. È merito di questo gesuita, se oggi celebro in tedesco con tutto il dovuto decoro linguistico; è lui che mi ha insegnato a leggere il messale, ma soprattutto è merito suo se ho potuto celebrare la Messa».
«Stai dicendo il vero o ti stai prendendo gioco di me?».
«Volendo posso narrarti anche di peggio».
«Cosa c’è di peggio, del negare a un prete straniero che non conosce nessuno del posto e dell’ambito ecclesiale locale, l’ospitalità per celebrare la Messa, all’interno di chiese dove della liturgia fanno spesso ciò che vogliono, come ambedue abbiamo amaramente appurato?».
«Hai ragione.
Se non ricordo male proprio ieri sera, il parroco della parrocchia annessa all’abbazia che ci ospita [NdR. L’abbazia benedettina di Sankt Bonifaz] ― dove in diversi mesi di soggiorno non mi è stato mai permesso di celebrare la Messa sia nella chiesa sia nelle numerose cappelle disponibili, tanto meno per l’assemblea dei fedeli ― ti ha narrato soddisfatto che dalla prossima domenica l’omelia al Vangelo sarà fatta da una Gentile Signora¹. Non scendiamo poi nei dettagli di quel che accade durante la celebrazione della Messa, o di quel che viene fatto dell’Eucaristia».
«Ciò che mi colpisce è che non si tratta di una chiesa sperduta tra le lande, ma di una parrocchia nel cuore della Capitale di uno Stato …».
«… e in questa parrocchia centrale ― come accade anche in altre parrocchie centrali ― l’unica volta che ho concelebrato è stato messo in pratica tutto ciò che è proibito dai canoni liturgici, dalle istruzioni e da tutti i successivi richiami fatti dalla Santa Sede, ma soprattutto lesivo alla dignità stessa dell’Ordine Sacerdotale.
Il messale fu usato solo per il prefazio d’offertorio e la preghiera eucaristica, per il resto pura improvvisazione da sociologia salottiera …² La Liturgia della Parola fu ridotta a una sola lettura e l’omelia fu fatta da una laica. L’altare fu preparato da altrettanti laici, mentre a me, unico concelebrante, fu permesso di avvicinarmi solo al Sanctus, per la preghiera eucaristica. Dopo la frazione del pane, prima che il presbitero avesse fatto la comunione, fu dato un frammento di Sacra Ostia alla laica e al laico, solo dopo a me prete. Poi fu fatta l’elevazione e l’acclamazione: Seht das Lamm Gottes, das hinwegnimmt die Sünde der Welt ³ …
Quando osai allungare la mano su una delle due pissidi deposte sul corporale, per adempiere a ciò per cui sono stato ordinato prima diacono e poi presbitero, fui mandato immediatamente a sedere, perché nonostante la presenza più che abbondante di due preti, la comunione fu amministrata dai due laici ad un’assemblea di circa quaranta persone⁴.
Ricevuta la Sacra Ostia, la gente si muoveva a passeggio in giro per la chiesa con l’Eucaristia in mano⁵, per andare ad auto-comunicarsi ai calici distribuiti sull’altare. Le “chierichette”, bimbette neppure adolescenti, prendevano solerti il calice da sopra l’altare e lo abbassavano ai bimbi più piccoli⁶, perché questi potessero intingervi la Sacra Ostia come un biscottino dentro una tazza di latte⁷. Terminato il Rito di Comunione, la Signora Laica ha purificato i vasi all’altare; il Signor Laico ha riposto la pisside dentro il tabernacolo a schiena diritta, senza accennare neppure un vago segno di riverenza al Santissimo Sacramento. Dopo avere visto e sofferto ciò, non ho più concelebrato, perché tutto questo non è cattolico; perché come prete non posso rendermi complice di ciò che la Chiesa proibisce».
Sorride il confratello:
«Sei sempre così sconvolto da questo fatto, da dimenticare che al termine di quella Messa giungesti in camera mia livido in viso, mettendoti a urlare e a dare pugni sul muro, non ricordi?»
«Ricordo bene».
Ci scambiamo uno sguardo reciproco, poi il confratello prosegue:
«E tutto questo accade nonostante che i vescovi, dopo essere stati richiamati da Roma, abbiano inviato precise indicazioni ai loro presbiteri, facendo presente che ai laici non è consentito proclamare e predicare il Vangelo nelle Chiese durante la celebrazione della Messa; che non è lecito ai fedeli auto-comunicarsi da soli … A maggiore ragione non capisco perché non lascino celebrare te. Lasciano celebrare persino quel prete pittoresco che si presenta dinanzi ai fedeli con l’orecchino all’orecchio, che non indossa neppure i paramenti sacri, che …».
«Lo hai detto.
Non sono pittoresco, ed oltre a non esserlo hanno capito che sono un prete fedele a ciò che indica l’Ordinamento Generale del Messale Romano; cosa che li induce anzitutto a temere che i fedeli possano fare confronti. Per questo non mi hanno mai permesso di celebrare la Messa, offrendomi solo la possibilità di concelebrare, che equivale all’obbligo coatto di stare ai loro personali canoni liturgici, che non sono però i canoni della Chiesa Universale. Quel che è norma della Chiesa diviene così illecito da impedire, quel che è illecito da impedire, diviene norma da tutelare. Tutto questo non è solo disubbidiente sprezzo verso l’Autorità della Chiesa; tutto questo è diabolico, perché equivale a imporre con violenza un pensiero e uno stile non cattolico dentro la Chiesa Cattolica. Non si mira più a privare il Popolo di Dio della fede, si mira più in alto: privare di fede la Chiesa».
«E dinanzi a tutto questo tu dici di avere conosciuto di peggio?».
«Si.
Una volta fui cercato con urgenza da dei conoscenti che mi chiesero se potevo visitare un cattolico molto ammalato, di nazionalità tedesca ma italiano di nascita, giunto in Germania appena adolescente. Certo che posso visitarlo, risposi, domandai solo perché non vi fosse già andato un prete del luogo, ad esempio il parroco. Mi spiegarono che dopo alcuni diverbi avuti con dei preti per fatti poco edificanti, per protesta si era cancellato dalla lista degli iscritti alla Chiesa Cattolica, cessando di pagare la tassa annuale e perdendo così i diritti di fedele.
Mi precipitai da quest’uomo con un’idea ben chiara: se fosse stato solo ammalato, lo avrei confortato e invitato a chiamare il parroco; se a causa di una grave malattia fosse stato in pericolo di vita, avrei provveduto ad amministrare i sacramenti. Era invece in condizioni gravi, il suo colore giallastro diceva tutto sulle sue condizioni di salute e sul male che lo consumava.
Dopo averlo salutato domandai se avesse mai abiurato la fede cattolica. Rispose di avere sempre creduto nella Chiesa e in tutte le verità di fede da essa annunciate. Detto questo mi narrò di avere avuto attriti per brutte vicende legate a fatti incresciosi, divenuti anni dopo oggetto di pubblici scandali; mai però problemi di fede con la Chiesa. Spiegato il tutto mi disse di voler rinnovare la sua professione di fede insieme a me, che per tutta risposta attaccai: Wir glauben an den einen Gott, den Vater, den Allmächtigen … L’uomo mi interruppe dicendo che per rendere grazie al Signore della mia visita desiderava recitare la Professione di Fede come l’aveva imparata da bimbo, ed attaccò: Credo in un solo Dio, Padre Onnipotente …
Senza violare alcun canone amministrai l’Unzione degli Infermi a questo figlio della Chiesa e l’assoluzione plenaria prevista dal rito, perché dinanzi a un battezzato in grave pericolo di vita qualsiasi prete, persino un prete dimesso dallo stato clericale e colpito da scomunica, deve impartire l’assoluzione dai peccati.
Negare un sacramento a un morente per quisquilie burocratiche, è cosa aggravata dal fatto che in molte di queste chiese, numerosi preti giocano all’intercomunione o alla così detta ospitalità sacramentale, amministrando ogni domenica l’Eucaristia a protestanti. Non solo sapendo che non sono cattolici, molto peggio: invitandoli loro stessi a riceverla come segno di “fraternità ecumenica” ⁸. Tutto questo i vescovi tedeschi lo sanno bene, anche se dinanzi a cose del genere non usano la solerte severità che usano con chi non versa le tasse alla Chiesa.
Per questi luterani che ricevono il Sacramento dell’Eucaristia nelle chiese cattoliche, la Chiesa Luterana della Germania, passa forse una quota delle proprie tasse statali a quella Cattolica?».
Sbigottito replica il confratello:
«Sono davvero allibito».
«Cosa possiamo rimproverare, a un fedele che si è cancellato per protesta dalle liste di una Chiesa dove la teologia è pura speculazione intellettuale, non di rado fatta in aperta sfida al Magistero della Chiesa; dove la pastorale è arte imprenditoriale di gestione d’azienda; dove le uniche forme di fraternità che si è capaci a manifestare, sono quelle riversate su tutto ciò che non è cattolico? Si può escludere dai sacramenti un cattolico per una protesta politica, ed al tempo stesso amministrare il Sacramento dell’Eucaristia a fedeli protestanti invitati a fare salotto ecumenico nelle nostre chiese? Non occorre andare in giro per le chiese a filmare quel che accade nel corso delle liturgie; non occorre registrare certe omelie, fatte talvolta da laici, alcune volte persino da ministri di culti non cattolici, dinanzi alle quali allibirebbe persino Giordano Bruno da Nola. Non occorre, perché queste cose a Roma le sanno meglio di noi e da prima di noi, resta da capire perché in concreto non facciano niente».
«Forse tra poco qualche cosa di concreto faranno».
«Cosa?».
Ride il confratello:
«Daranno la berretta cardinalizia all’arcivescovo di questa diocesi al primo concistoro, perché per certe sedi il titolo cardinalizio è un diritto, mentre per i titolari di questo diritto sembra non sia un dovere far ubbidire i propri preti alle leggi della Chiesa».
Ammicco e proseguo:
«Se da Roma certi vescovi sono richiamati e obbligati a dare precise direttive ai loro preti, a quel punto invieranno una circolare ufficiale al clero, lasciando semmai trasparire nelle pose ufficiose che si tratta di indicazioni che la Santa Sede li ha obbligati a dare. Così facendo: da una parte soddisfano la richiesta della Santa Sede, dall’altra evitano di inasprire i loro preti. Ricevuta la circolare ufficiale, una larga fetta di preti si sentiranno sfidati da Roma, continuando a fare ciò che vogliono in modo più romanofobico di prima. Il vescovo si sarà messo però con la coscienza in ordine, adempiendo all’esortazione della Santa Sede: ha inviato una precisa, scritta e inutile direttiva ai propri preti».
Sospira il confratello:
«Temo succeda davvero quel che tu dici».
«Il compito dei vescovi non è mandare carte in giro per porsi con le spalle al sicuro ma far rispettare ciò che sulle carte si scrive, anche a costo di arrivare nelle parrocchie all’improvviso durante la celebrazione della Messa, anziché starsene nel proprio ufficio a scrivere best seller più o meno teologici. Giunto d’improvviso a verificare di persona quel che accade, a quel punto il vescovo non dovrebbe esitare a richiamare il parroco davanti ai fedeli al termine della Messa; e se il caso lo richiede, rimuoverlo all’istante dalla guida della parrocchia per avere sfidato l’Autorità della Chiesa e quella del suo vescovo. Solo a quel punto le carte cominceranno a contare qualche cosa, ed i vescovi dimostreranno di essere in vera comunione con Pietro, anziché giocare a salvare capra e cavoli in un continuo nulla di fatto».
Replica il confratello:
«Forse a Roma temono che un agire d’autorità possa scatenare una ribellione, un vero e proprio scisma da parte di una fetta di Chiesa».
«Per paura di uno scisma ufficiale, si preferisce accettare un tacito scisma di fatto e avallarlo così in un certo qual senso? Hai visto che cosa fanno della sacra liturgia, centro di comunione e di unità della Chiesa universale? Vivere una comunione che non c’è, di per sé è uno scisma, soprattutto quando dei canoni, del magistero e delle istruzioni della Chiesa, viene fatto ciò che abbiamo visto fare in giro per le varie chiese, senza che i vescovi si preoccupino più di tanto.
Altra soluzione? Cominciare a mandargli i vescovi da fuori, come si trattasse davvero di una terra da evangelizzare, perché tale è, perché l’episcopato tedesco ― e non parliamo di quello olandese ― ha dimostrato di essere stato incapace a frenare la protestantizzazione e la secolarizzazione della Chiesa. Anzi, alcuni professori-cardinali ne sono stati i diretti fautori. A questa situazione siamo giunti perché i vescovi tedeschi hanno dimostrato di non avere esercitato autorità e controllo sul clero, sui centri di formazione ecclesiastica e sulle facoltà teologiche, dalle quali seguita a sortire il peggio della più ribelle deriva. Dinanzi a certe situazione che oramai hanno valicato la gravità, Roma non può giocare di politica e di diplomazia, perché più salva gli equilibri politici per non irritare nessuno, più le chiese di queste regioni si svuotano. E dopo avere esercitato fino in fondo tutte le migliori prudenze politiche, Roma rimarrà con la sua prudente diplomazia curiale stretta in mano e con le chiese del Nord Europa deserte, o in ogni caso popolate da pochi “cattolici”, che nei concreti fatti risulteranno più protestanti dei protestanti».
Esito alcuni istanti, poi pongo al confratello un quesito pesante come l’intero massiccio roccioso di una montagna:
«Da queste parti, ti senti dentro una Chiesa Cattolica?».
«Più giro per le chiese, più sale in me la strana sensazione di essere finito dentro una Chiesa protestante, che nel suo apparato esterno richiama le forme tradizionali di quella cattolica. Solo però nelle forme esterne. All’interno questa è una Chiesa secolarizzata e protestantizzata; e lo è nella misura in cui si sono secolarizzati e protestantizzati diversi vescovi e un’ampia fetta del loro clero».
«Non trovi indicativo che due persone nate, cresciute e formate in due continenti diversi, appartenenti a due culture diverse, tali siamo tu ed io, stiano provando l’identica sensazione?».
«Secondo te: perché quest’intenso trasporto verso tutto ciò che non è cattolico e quest’indifferenza verso i propri confratelli presbìteri?»
Taglio corto:
Adesso entriamo dentro la libreria, poi all’uscita ti risponderò».
Acquisto il messale grande da altare in lingua tedesca che da tempo desideravo avere al posto di quello piccolo, mentre il confratello curiosa tra gli scaffali.
Usciti fuori il confratello riprende il discorso:
«Dovevi rispondere alla mia domanda di prima».
«Ti rispondo subito: se anziché due preti cattolici fossimo stati due pastori evangelici, ci avrebbero già avvicinati e resi oggetto delle più squisite fraternità ecumeniche. Questi preti, pur offrendo illecita “ospitalità sacramentale” ai protestanti, mostrano di avere perduto la percezione del Sacramento dell’Ordine nel quale sono stati inseriti, che dovrebbe unirli in divina parentela fraterna anche all’ultimo dei preti più sconosciuti di questo mondo, che in quanto prete è un fratello legato a loro nell’Ordine Sacro attraverso il sangue di Cristo. Questo è il vero dramma celato dietro un’apparente mancanza di ospitalità e di accoglienza fraterna. Sta infatti scritto: se non ami il tuo fratello che vedi, non puoi amare Dio che non vedi. Aggiungo: e chi non accoglie l’umanità del fratello, non potrà mai accogliere e scoprire l’umanità del Gesù storico che ci introduce nel mistero del Cristo della fede attraverso i misteri dell’amore, impossibili da penetrare attraverso superbe speculazioni teologiche fatte in antagonismo alla Chiesa, anziché in devoto servizio alla Chiesa».
Non fummo più soli, assieme patimmo e ridemmo, pregammo e celebrammo il Sacrificio Eucaristico, perché come ci ha insegnato il Signore Gesù, dove saranno anche due soli riuniti nel suo nome, Lui sarà sempre in mezzo a loro.
Forse per questo un giorno la Chiesa sarà salva: due confratelli capaci di accogliersi e di vivere la loro ecumenica fraternità sacerdotale cattolica uniti dal sangue di Cristo e dall’amore per Pietro, unica e autentica pietra sulla quale il Signore Gesù edificò la sua sola Chiesa.

Dall’Opera: E Satana si fece Trino:

LA LITURGIA CUORE ECONOMICO DEL POPOLO DI DIO. LE CHIESE VUOTE DEI LITURGISTI CREATIVI, LE CHIESE DEI TRADIZIONALISTI COLME DI GIOVANI. STORIA DI UNA BANCAROTTA FRAUDOLENTA.

Se i grandi economisti dissertano tra loro sui movimenti e sulle strategie future di mercato, la popolazione li lascerà a lambiccarsi i cervelli nei salotti della ricerca scientifica, senza che nessuno se ne curi, dall’operaio all’imprenditore. Ma se le loro speculazioni scientifiche si mutassero da sperimentali in situazioni di grave danno al mondo bancario e dell’alta finanza ponendo il paese a rischio bancarotta, presto insorgerà l’intera popolazione lesa nei suoi interessi e nelle proprie vitali sicurezze.
La grande massa dei fedeli, ovvero il Corpo Mistico della Chiesa, non è interessata alle grandi discussioni teologiche, capaci a rapire solo un pugno di dottori ignoti al grande pubblico cattolico; la massa non conosce nemmeno il nome dei più importanti teologi del Novecento, figurarsi le loro complesse teorie. I fedeli sanno che nella Chiesa c’è stato il Concilio Ecumenico Vaticano II. Se a loro chiediamo cos’è nato da questo concilio, nessuno risponderà citando i suoi principali documenti; nessuno farà riferimento ai famosi teologi chiamati come periti nelle sue assise. All’unisono risponderanno che col concilio s’è principiato a celebrare la Messa nelle lingue nazionali, in particolare quanti all’epoca erano già donne e uomini adulti.
La sacra liturgia — non i temi della teologia dogmatica o della storia della teologia — è il pane quotidiano col quale i fedeli sono a concreto contatto per mezzo dei sacramenti, a partire dal signore dei sacramenti celebrato con le materie del pane e del vino sul quale ruota l’intera vita della Chiesa: l’Eucaristia. Tutto il resto è solo salotto da alta accademia teologica che tocca pochi teologi, non la massa dei fedeli che Vivaddio restano il corpo vivo del Cristo. Cosa quest’ultima non sempre ricordata sulle nuvole dell’alta accademia teologica, dove nel corso degli ultimi decenni troppi dottori si sono ricordati della realtà ecclesiale del Popolo di Dio solo quando i ribelli in lizza hanno tentato di servirsene per caricarlo contro la Chiesa o contro il Collegio Episcopale.
Un’anziana con un’esistenza corollata di disgrazie e malattie, attraverso la sua tenera purezza mi fece percepire, a me suo confessore, quanto fossi misero e piccolo dinanzi alla sua grande fede:
«Io amo talmente Gesù e sono così fedele alla Chiesa, che continuerei ad amare Gesù e ad essere fedele alla Chiesa anche se dei grandi cervelloni dimostrassero che Gesù non era il figlio di Dio, che non è risorto e che non ha voluto nessuna Chiesa su questa terra».
Questa è l’esperienza che manca a certi pifferi della musica da camera teologica, mai usciti dalla dimensione surreale del seminario e del noviziato; perché dal seminario e dal noviziato sono passati direttamente all’accademia teologica. E dal loro iperuranio, dove si citano gli uni con gli altri, sino a giungere all’apoteosi del narcisismo: citare infine solo se stessi, non sono mai usciti. Quel che forse è peggio non intendono manco uscirne, per capire che fuori c’è la realtà della Chiesa nata dalla Pentecoste dello Spirito Santo col suo popolo in cammino.
La situazione dei nostri buoni fedeli è a suo modo riassunta nel provocante atto d’amore fatto da quell’anziana dentro il confessionale, dinanzi alla quale tutt’oggi mi metto in ginocchio.
Se dei teologi partorissero eresie sulla dogmatica trinitaria, la faccenda finirebbe per coinvolgere loro e la Congregazione per la Dottrina della Fede; tutto si risolverebbe dentro una chiusa stanza. Il vasto pubblico dei fedeli a certi dibattiti rimarrebbe indifferente e la loro fede, tiepida o profonda, non ne sarebbe intaccata. Se certi teologi cominciano a minare il delicato campo liturgico sul quale il Popolo di Dio è abituato a muoversi, a partire dal Sacramento del Battesimo sino alle esequie con le quali si affida l’anima del defunto alla divina misericordia, possono crearsi situazioni di forte crisi, perché si andrà a toccare “l’economia” viva dei fedeli, correndo il serio rischio di irritarli prima, di perdere credibilità ai loro occhi dopo, di svuotare le chiese per logica conseguenza appresso.
Giocando di esperimenti eccentrici e di stravaganze esotiche, si può finire con l’uccidere il senso del sacro nel Popolo di Dio. I grandi fautori teologici di certe personalistiche rotture, hanno voluto giocare sin dalla fine degli anni Sessanta a sfidare i fedeli gridando dai pulpiti e dalle cattedre accademiche: «Non vogliamo più un popolo devozionale ma un popolo attivo, partecipe e adulto nella fede». E per ottenere questo si sono lanciati in bizzarrie d’ogni foggia, trovandosi infine con le chiese di tutta Europa semivuote. Giocando con la liturgia, hanno giocato con una materia insolitamente delicata che per i fedeli è sempre stata centro della sacralità e della loro “economia” cristiana, perché intimamente legata alle loro esistenze singole, familiari e comunitarie. La liturgia coi suoi sacramenti, tocca e riempie la vita dei singoli e della comunità cristiana, li purifica e li introduce nella Chiesa sin dalla nascita, li rende partecipi e li nutre col mistero del Corpo e del Sangue di Cristo, li conferma nella fede coi doni dello Spirito Santo, li riconcilia con Dio rimettendo loro i peccati, suggella col sacramento il loro amore, li consola nel dolore e nella malattia, apre loro le porte alla speranza e alla fede nella vita eterna.
Per le loro mille stramberie liturgiche, per le loro “rotture col passato”, per l’uso provocatorio e ideologico dell’Eucaristia, certi registi sono stati infine giudicati e puniti dai fedeli, divenuti davvero adulti come loro desideravano che fossero; ed appena divenuti adulti hanno reagito svuotando le chiese e usando appresso l’arma peggiore: l’indifferenza. Oggi la Chiesa Cattolica d’Europa viaggia in amministrazione controllata e tenta debolmente di evitare la bancarotta, resa fraudolenta da chi prima ha voluto giocare a provocare, poi a rompere con un passato che nella storia del Popolo di Dio rappresenta invece il prezioso evolvere gioioso e doloroso della storia della nostra esperienza cristiana.
La Chiesa si ama e si serve, non si distrugge per rifarla nuova a proprio uso e consumo, perché dalla novità assoluta la Chiesa è nata e nell’assolutezza della più grande novità — il memoriale vivo e santo dell’altare — cresce di giorno in giorno in comunione col Cristo. I “grandi” teologi di rottura non hanno distrutto il passato né riscritta la storia, sono però riusciti a portare a compimento un’opera mirabile: distruggere la fede e il senso del sacro nel Popolo di Dio, suscitando in esso la totale disaffezione ai sacramenti, azzerando le vocazioni in tutti i paesi evoluti e benestanti del mondo nei quali i giovani, per vivere una vita tranquilla e rispettabile, non hanno bisogno di fare i preti […]
in una località europea, benché fossi un prete ospite della Chiesa di quel paese, non esitai a prendere l’iniziativa di allontanare con garbo una donna dall’altare durante una concelebrazione eucaristica, incurante che costei fosse abituata da anni a svolgere in tutto e per tutto le funzioni liturgiche del diacono. Quando il parroco e gli altri concelebranti, giunti in sacrestia dopo la Messa protestarono per il mio gesto, replicai:
«Chiediamo alla Congregazione per il Culto Divino se ho agito male io o se agite male voi a conferire l’esercizio di potestà a chi queste potestà non può esercitarle, né riceverle tramite il ministero istituito, meno che mai tramite la consacrazione al ministero».
Quando uno dei preti rispose:
«Noi non ci rivolgiamo a nessun dicastero del Vaticano, perché non prendiamo ordini da Roma, che brulica gente ottusa che della nostra realtà non capisce niente».
Pacatamente risposi:
«Allora suggerisco a te e a questi Reverendi Signori, di trovare un vescovo del luogo disposto a fondare una chiesa acefala staccata dalla comunione con Roma che possa rispondere alle vostre esigenze; oppure lasciate il sacerdozio, perché dei preti come voi la Chiesa non sa che farsene».
Il prete che rispose a questo modo insegna presso una facoltà teologica, ed un qualsiasi studente-seminarista che non la pensi come lui è destinato a vita dura; ma soprattutto corre il rischio di non riuscire a conseguire il titolo teologico, o peggio di essere dichiarato non idoneo a ricevere il sacerdozio. Perché sono questi ― al di là da tutti i possibili abusi liturgici ― i danni enormi che certi soggetti producono all’interno della Chiesa: recidere le gambe ed escludere dall’Ordine Sacro chiunque non si allinea e non agisce in tutto e per tutto secondo le loro idee balorde.
In un’altra zona del Nord Europa, un Signore Laico giunse in sacrestia mentre mi stavo preparando per la Messa e principiò col dirmi:
«L’omelia di questa domenica la farà la Signora Schröder, illustre teologo presso la facoltà teologica della Capitale. Per la distribuzione dell’Eucaristia non si preoccupi, lei resti a sedere che pensiamo a tutto noi. All’offertorio le porteremo sei calici colmi di vino che lei lascerà sull’altare per la comunione, perché i fedeli andranno a comunicarsi da soli al calice, come noi siamo abituati a fare⁹. Le Signore Weiß e Katz faranno servizio all’altare ricordandole se necessario come muoversi durante la nostra liturgia; preparare l’altare, purificare i vasi sacri e tutto quanto il resto è compito loro.
Le è tutto chiaro?»
Mentre chiedeva se tutto era chiaro stavo stringendomi il cingolo attorno alla vita; strinsi forte il nodo e principiai a rispondere per ordine:
«La Signora Schröder può insegnare in una facoltà teologica con mia viva gioia, perché ciò è lecito e concesso, se però desidera predicare il Vangelo al Popolo di Dio durante la Santa Messa, le dica di andarlo a fare dai luterani durante le loro liturgie, perchè presso di loro è possibile, nella Chiesa Cattolica ancora no. Dato che in Chiesa non ci sono mille persone ma cinquanta scarse senza neppure l’ombra di un adolescente e di un giovane — cosa quest’ultima che in sé dice tutto — l’Eucaristia ai fedeli l’amministro io, senza l’ausilio di ministri straordinari della comunione, che si chiamano “straordinari” perché in assenza del numero necessario di presbìteri, di diaconi e di accoliti istituiti possono aiutare il celebrante a distribuire il Corpo di Cristo ad un consistente numero di fedeli. All’offertorio non porterete affatto sei calici colmi di vino sull’altare e si tolga di testa che io me ne stia seduto mentre l’assemblea si amministra da sola il Sangue di Cristo; e non solo perché ciò è tassativamente proibito, ma perché persino il diacono ― che è un ministro consacrato col primo grado del Sacro Ordine ― durante la Santa Messa la comunione non la prende da solo, la riceve dalle mani del presbìtero. Le Signore Weiß e Katz possono togliersi di dosso i camici per l’assistenza liturgica e rimanere sedute tra i fedeli per partecipare devote alla Messa; la Chiesa non ha ancora istituito le accolitesse e le diaconesse, meno che mai per dirigere il prete durante la “vostra” liturgia, che non è né vostra né mia, ma della Chiesa. Sappia infine che sono stato ordinato prete perché riconosciuto capace di celebrare il Sacrificio Eucaristico secondo i canoni e gli ordinamenti della Chiesa, dunque non ho bisogno che lei mi detti le regole e che due Gentildonne mi si pongano alle costole all’altare per dirmi cosa fare e in che modo farlo.
Le è tutto chiaro?».
L’uomo si dipinse di nero e tentò di rispondere:
«Come prete lei dimostra di non avere alcuna considerazione per la partecipazione attiva dei laici e … ».
L’esperienza mi insegna che certe persone abituate a prendersi molto sul serio, non vanno mai prese sul serio ma solo prese in giro. In certe situazioni il sarcasmo toglie ogni serietà a tutto ciò che di per sé non è serio, ma che come tale viene preso con ardente e cieco radicalismo. Senza altri indugi interruppi il Signor Laico preposto a capo della partecipazione attiva dei laici ponendo a lui una precisa domanda:
«Questa bellissima Signora accanto a lei, è una dèa fiamminga o per caso è sua moglie?».
«Sì, è mia moglie, ma io le stavo appunto dicendo …».
«Complimenti, davvero una splendida moglie».
Tace cercando di capire dove l’interlocutore tentasse di andare a parare, mentre la raffica lo investe repentina:
«Le faccio una proposta: io potrei andare in vacanza alle Isole Maldive con la sua splendida moglie, possibilmente a generose spese del marito preposto a capo della partecipazione attiva dei laici alla Messa, frattanto lei potrebbe rimanere qua a fare il prete; ma dovrà farlo a tempo pieno, non per un’ora settimanale di baldoria all’insegna della creatività selvaggia esercitata in spregio a tutti i canoni della Chiesa in materia di sacra liturgia. Dovrà fare il prete assumendosi del sacerdozio tutto ciò che in onori e oneri esso comporta, ad esempio l’impossibilità per il prete ad avere una bellissima moglie come la sua».
Uscì senza fiatare dalla sacrestia, dove pochi minuti dopo entrò furente l’Illustre Signora Teologo per darmi questo annuncio:
«Signore!
Sono il Dottore Professore Schröder e anzitutto la invito ad avere rispetto per la mia cattedra di teologia, che mi è stata data previa licenza all’insegnamento concessa dal vescovo. Quindi devo pregarla di non celebrare la Messa, perché se lei celebrerà alle condizioni che ha appena dettato, le persone usciranno di chiesa».
«Cara Signora Teologo.
Anzitutto non osi insolentire un prete né chiamarlo con sprezzo “Signore” mentre è già rivestito dei paramente sacri, sbattendo però sul banco della sacrestia i suoi alti titoli accademici, che le garantisco non impressionano né la Santa Madre Chiesa né me. Io non detto nulla, quelle che lei giudica come mie condizioni sono solo i canoni della Chiesa¹⁰ che io ho promesso di applicare in obbediente zelo e di far rispettare dovunque al Popolo di Dio; cosa che lei dovrebbe sapere, se oltre ai titoli accademici ha acquisito davvero una formazione teologica, perlomeno di base. Se poi un vescovo le ha conferito la licenza per l’insegnamento della teologia si figuri a me, indegno partecipe al sacerdozio ministeriale di Cristo, cosa mi ha conferito un vescovo per l’imposizione delle sue mani, la preghiera consacratoria e la sacra unzione, durante un pubblico atto sacramentale solenne che ovunque si celebra investe la vita dell’intera Chiesa universale. Dunque non pensa di dover portare rispetto al sacerdozio, che è un sacramento e che come tale è più sacro di quanto non lo siano le cattedre teologiche, date oggi a chiunque, ovviamente con regolari licenze all’insegnamento da parte dei vescovi diocesani?».
Mi tolsi i paramenti di dosso e me ne andai via.
Una settimana dopo ricevetti una email da un confratello che in quei giorni si trovava negli Stati Uniti d’America:

[…] durante la Messa alla quale ho partecipato, presieduta per di più da un vescovo diocesano, un gruppo di suore ha distribuito l’Eucaristia sul presbitèrio ai sacerdoti concelebranti, cantando nel corso della liturgia salmi e brani evangelici da loro ritoccati e corretti. Nelle parti dove i sacri testi canonici fanno riferimento a patriarchi e padri, hanno inserito avanti le “matriarche” e le “madri”. Le parole stesse della Vergine Maria nell’inno del Magnificat sono state così corrette: «… come aveva promesso alle nostre madri e ai nostri padri».

Risposi al confratello:
[…] dobbiamo prendere atto che la Madonna ha da imparare molte cose dalle moderne vergini consacrate, in grado di fare un adeguato corso di aggiornamento alla Mater Dei, rimasta arretrata nei suoi tempi teologici, liturgici e sociologici […]

Viaggiando in Europa e in altri continenti del mondo ho dovuto prendere atto che quei giovani e quelle giovani incontrati durante le confessioni sacramentali nella basilica romana dove prestavo servizio — perlomeno quelli coi quali ho avuto a che fare io a Roma — erano tutti animati da profondi sentimenti cattolici, non per fatuo amore nostalgico verso estetismi barocchi o per il suono magico del latinorum, ma per autentico spirito. Questa loro profondità di fede me l’hanno manifestata con la loro composta partecipazione alla Messa, ma soprattutto per la loro particolare devozione eucaristica.
Nell’Olanda e in varie zone della Germania, dove si possono trovare anche preti che avanti alla richiesta di una confessione rispondono di tornare quando una volta alla settimana fanno la liturgia penitenziale collettiva dialogata, durante una celebrazione ecumenica con una pastora evangelica, nel corso delle domeniche trovai le chiese cattoliche semi deserte, o in ogni caso popolate da pochi anziani e da poche persone di mezza età.
Potremmo citare decine di libri d’illustri preti e teologi tedeschi che fornendo statistiche più precise di un cronometro indicano il calo progressivo d’afflusso dei fedeli alle chiese, le percentuali sempre più basse di quanti la domenica partecipano alla Messa, il calo vertiginoso della celebrazione dei matrimoni religiosi e dei battesimi. Numerosi di questi libri sono stati scritti proprio dai preti-teologi inventori dei laici preposti a predicare il Vangelo durante la Messa, delle donne preposte a svolgere le funzioni liturgiche di diacono, delle concelebrazioni eucaristiche così dette ecumeniche coi ministri dei culti non cattolici¹¹, che oltre a essere fuori dalla comunione con la Chiesa universale, a non avere la successione apostolica e a non riconoscere il Sacramento dell’Ordine, non riconoscono soprattutto il mistero della presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Per seguire con l’Eucaristia amministrata persino a non cristiani, invitati da questi stessi preti-teologi a riceverla.
Questi lamentatori che hanno de-sacralizzato in ogni modo l’Eucaristia ― intorno alla quale ruota tutto l’essere e l’esistere ecclesiale ― e che per questo hanno finito con lo svuotare le chiese, oggi scrivono libri per chiedersi come ciò sia potuto accadere. Giocano di psicologia, di sociologia, persino di politica. La verità però no, non possono vederla e tanto meno dirla, perché sarebbe come darsi la zappa sui piedi da soli.
Le Chiese della Germania e dell’Olanda sono vuote perché numerosi preti e teologi, con la loro arroganza e la loro disobbedienza hanno tragicamente fallito, ed il Popolo di Dio ha voltato loro le spalle dal giorno che si sono mutati da strumenti del sacro mistero in primi attori, da servi di Pietro e della Chiesa in antagonisti di Pietro e della Chiesa.
Senza temere il linciaggio per opera di certe teologhe cattoliche, che quando vedono un prete pare vedano un nemico, o bene che vada un antagonista, vogliamo dirla chiara una volta per tutte? Dal giorno che è stata posta in mano una pisside durante la Messa a una signora in calzoni e maglietta a mezze maniche, il senso della sacralità dell’Eucaristia nei nostri fedeli è precipitato sotto terra. Questa la realtà dinanzi alla quale sarebbe bene non porre la testa sotto la sabbia come gli struzzi, ma correre invece quanto prima ai ripari.
Quali dolorose liti, ho fatto in certe chiese del Nord Europa, quando di fronte a numeri esigui di fedeli si imponeva al celebrante, o addirittura ai concelebranti l’Eucaristia, di andarsene a sedere, perché distribuire il Corpo e il Sangue di Cristo all’assemblea era prerogativa intangibile delle pretesse, da cui spesso preti e parroci sono letteralmente terrorizzati?
Mi disse un parroco di Hamburg:
«Non sono affatto d’accordo su questo andirivieni di donne sul presbiterio, divenute oramai padrone dell’altare e della liturgia. Ti garantisco che se potessero farlo, non esiterebbero a cacciare via noi preti per celebrare la Messa al posto nostro. Ma tu sai anche che delicati momenti tristi noi preti stiamo passando, non ultimo nel nostro Paese. Se come parroco decido di privare queste donne di ciò che loro ritengono oramai un diritto acquisito, mentre in realtà è solo un grave abuso; se alcune, o anche una sola alludesse in pubblico che io guarderei i chierichetti in modo strano, capisci in che dramma sprofonderei? Di queste donne che tu chiami inopportune pretesse e che in modo altrettanto inopportuno partecipano con attivo abuso all’altare, noi preti abbiamo davvero paura, oggi più che mai» .
Dopo avere visitato numerose chiese semideserte del Nord Europa, nel corso di alcune domeniche visitai diverse chiese dove celebravano i preti della Fraternità di San Pio X. Ammetto di essere rimasto sbalordito.
Gremite di giovani.
Tutti mossi da una compostezza e da una partecipazione al mistero eucaristico che mi colpì e che mi indusse a riflettere, perché non si può essere così ideologici da non riflettere dinanzi ad evidenze solari.
Giudico straordinario sul piano teologico ed ecclesiologico il movimento liturgico che si andò sviluppando a cavallo tra Ottocento e Novecento. Giudico lungimirante lo studio portato a compimento dai Padri del Concilio, che non ha affatto rotto col passato, come più volte hanno farneticato in giro svariati liturgisti. Potremmo persino dire che il concilio non ha neppure riformato ― come diciamo con corretto termine tecnico quando parliamo di “riforma” liturgica ― bensì ridato vita e splendore a tradizioni e preghiere antiche che nei secoli si erano in parte perdute, in parte erano state soffocate da “incrostazioni” e sovrapposizioni.
Al tempo stesso è però inquietante che anziché applicare con scrupolo questa riforma, molti vescovi e preti abbiamo dato vita a vere e proprie situazioni di caos liturgico, creando sull’ambiguo concetto di “spirito del concilio” tutt’altro genere di concilio mai celebrato e mai scritto. Ecco quindi messali personalizzati, preghiere eucaristiche create da singoli preti, casi di vescovi che hanno composto di loro originale inventiva le preghiere consacratorie dei diaconi e dei presbiteri, laici e laiche fatti assurgere illegittimamente a ruoli che a loro non competono. Il tutto nella completa incuria di molti vescovi che vogliono vivere tranquilli, per questo non intendono richiamare all’ordine i propri preti facendo loro rispettare le leggi della Chiesa.

[…] ritengo che sia davvero triste che alcuni sacerdoti, per fortuna non tutti, continuino ad abusare, con stravaganze inspiegabili, della liturgia che, è bene ricordarlo, non è di loro proprietà ma della Chiesa […] c’è stata anche un’erronea interpretazione del principio di “partecipazione attiva” dei fedeli […] concetti base e temi come sacrificio e redenzione, missione, annuncio e conversione; l’adorazione, come parte integrante della Comunione, la necessità della Chiesa per la salvezza furono tutti esclusi, mentre il dialogo, l’inculturazione, l’ecumenismo, l’Eucaristia come banchetto, l’evangelizzazione come testimonianza divennero più importanti […]¹².

Analizzato il tutto viene da chiedersi: possibile che non esista un’equilibrata via di mezzo tra il prete così detto tridentino rinchiuso sospiro dietro sospiro nella totale rigidità di un rituale, mentre le persone “partecipavano” alla Messa sibilando il rosario o leggendo libretti devozionali, ed alcuni preti del post-concilio che fanno prediche dialogate coi fedeli, che proiettano cartoni animati alla Messa dei fanciulli celebrata da un prete truccato da pagliaccio, che accolgono i consensi matrimoniali al calar del sole su una spiaggia romantica, coi presenti che si tengono per mano seduti in circolo sulla sabbia intorno al falò per parlare di pace, amore, ecologia, rispetto per gli animali …?
Più che una via di mezzo esiste una precisa azione dello Spirito Santo nella Chiesa del XX secolo: il Concilio Ecumenico Vaticano II, con le sue riforme e le sue direttive, basterebbe applicare le une e le altre, cosa che molti vescovi e preti da quarant’anni non fanno, ed oggi, se partecipiamo alle messe celebrate da dieci preti diversi, scopriremo che ciascuno celebra il Sacrificio Eucaristico a modo suo. Per non parlare di quei movimenti cattolici che hanno finito col creare delle chiese dentro la Chiesa, distinguendosi gli uni dagli altri per liturgie tutte loro, molte delle quali intrise di pentecostalismo americano e di animismo africano [NdR. In un altro passo di questo libro l’Autore cita a tal proposito i carismatici e i neocatecumenali].
Cuore pulsante della liturgia sono il Corpo e il Sangue di Cristo, sono l’annuncio della sua morte e risurrezione nell’attesa della sua venuta. Ecco perché ogni vescovo e ogni prete è tenuto a seguire sospiro dietro sospiro quanto scritto e indicato sul Messale Romano in nero e in rosso¹³; perché la centralità del sacro mistero, non può essere offuscata da esplosioni di arbitrarie stravaganze, poste per di più, sempre e di rigore, immancabilmente in primo piano. Giocare a personalizzare la liturgia, crea qualche cosa di molto peggiore della sciatteria e dei fantasiosi esotismi egocentrici: crea la frattura teologica dell’unità ecclesiale. E alla concreta prova dei fatti i risultati paiono essere questi: in quei paesi dove certe creatività sono molto forti e portate avanti con indomabile arroganza contro tutte le regole e i richiami della Chiesa, da una parte abbiamo le chiese di questi creativi semideserte, dall’altra le chiese dove celebrano i tradizionalisti colme di giovani.
I grandi abusatori della liturgia sono i grandi e diretti responsabili delle chiese vuote e delle chiese dei tradizionalisti gremite di gente, soprattutto di giovani ed in specie nelle regioni dove abusi e creatività liturgiche sono così eclatanti da mettere a rischio la denominazione “cattolica” di certe chiese locali, ma soprattutto la validità stessa dei sacramenti celebrati e impartiti.
Alla luce di tutto questo è sconfortante che il Santo Padre si sia trovato costretto ad aprirsi coi vescovi del mondo scrivendo a tutti loro queste parole:
[…] c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio. Tale timore è infondato. Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale, pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero “due Riti”. Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito. Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso¹⁴.
E qua torniamo alla democrazia reclamata da frange irrequiete di teologi avvezzi da decenni a ribellarsi a Pietro e alla Chiesa per meglio imporre le proprie personali dittature: che ne sarebbe della miglior democrazia del mondo, in un qualsiasi paese democratico in cui s’iniziasse a rigettare la costituzione e leggi dello Stato? Accadrebbe che la democrazia ne sarebbe così indebolita che non dovrebbero scomodarsi né i generali, né i colonnelli né i marescialli, basterebbe un gruppetto di giovani soldati di leva per compiere con successo un colpo di Stato.

¹) «L’omelia, che si tiene nel corso della celebrazione della Santa Messa ed è parte della stessa Liturgia, di solito è tenuta dallo stesso Sacerdote celebrante o da lui affidata a un Sacerdote concelebrante, o talvolta, secondo l’opportunità, anche al Diacono, mai però a un laico [Istruzione Redemptionis Sacramentum, 64: Le altre parti della Messa]. «[…]Per quanto attiene ad altre forme di predicazione, se in particolari circostanze la necessità lo richiede o in specifici casi l’utilità lo esige, si possono a norma del diritto ammettere a predicare in chiesa o in un oratorio, al di fuori della Messa, i fedeli laici [Istruzione Redemptionis Sacramentum, 161: La predicazione].

²) «Si ponga fine al riprovevole uso con il quale i Sacerdoti, i Diaconi o anche i fedeli mutano e alterano a proprio arbitrio qua e là i testi della sacra Liturgia da essi pronunciati. Così facendo, infatti, rendono instabile la celebrazione della sacra Liturgia e non di rado ne alterano il senso autentico» [Istruzione Redemptionis Sacramentum, 64: Le altre parti della Messa].

³) Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo.

⁴) «Spetta al Sacerdote celebrante, eventualmente coadiuvato da altri Sacerdoti o dai Diaconi, distribuire la Comunione […] Soltanto laddove la necessità lo richieda, i ministri straordinari possono, a norma del diritto, aiutare il Sacerdote celebrante [Istruzione Redemptionis Sacramentum, 88: La distribuzione della Santa Comunione]. «Se è di solito presente un numero di ministri sacri sufficiente anche alla distribuzione della Santa Comunione, non si possono deputare a questo compito i ministri straordinari della Santa Comunione. In simili circostanze, coloro che fossero deputati a tale ministero, non lo esercitino. È riprovevole la prassi di quei Sacerdoti che, benché presenti alla celebrazione, si astengono comunque dal distribuire la Comunione, incaricando di tale compito i laici [Istruzione Redemptionis Sacramentum, 157: Il ministro straordinario della Sacra Comunione].

⁵) «Si badi con particolare attenzione che il comunicando assuma subito l’ostia davanti al ministro, di modo che nessuno si allontani portando in mano le specie eucaristiche» [Istruzione Redemptionis Sacramentum, 92: La distribuzione della Santa Comunione].

⁶) Non è consentito ai fedeli di prendere da sé e tanto meno passarsi tra loro di mano in mano la sacra ostia o il sacro calice [Istruzione Redemptionis Sacramentum, 94: La distribuzione della Santa Comunione].

⁷) «Non si permetta al comunicando di intingere da sé l’ostia nel calice» [Istruzione Redemptionis Sacramentum, 104: La Comunione sotto le due specie].

⁸) «I ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti ai soli fedeli cattolici, i quali parimenti li ricevono lecitamente dai soli ministri cattolici, salvo le disposizioni del can. 844 §§ 2, 3 e 4, e del can. 861 § 2. Inoltre, le condizioni stabilite dal can. 844 § 4, alle quali non può essere derogato in alcun modo, non possono essere separate tra loro; è, pertanto, necessario che tutte siano sempre richieste simultaneamente [Istruzione Redemptionis Sacramentum, 85: La Santa Comunione].

⁹) N.d.A. La gran parte delle cose che mi furono richieste sono tutte proibite dal Codice di Diritto Canonico e dall’Istruzione Redemptionis Sacramentum, citata nella seguente nota e più volte richiamata in numerosi passi successivi.

¹⁰) Cf. Istruzione Redemptionis Sacramentum – Su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia. In conclusione del testo: «Questa Istruzione, redatta, per disposizione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti d’intesa con la Congregazione per la Dottrina della Fede, è stata approvata dallo stesso Pontefice il 19 marzo 2004, nella solennità di san Giuseppe, il quale ne ha disposto la pubblicazione e l’immediata osservanza da parte di tutti coloro a cui spetta. Roma, dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il 25 marzo 2004, nella solennità dell’Annunciazione del Signore».

¹¹) Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 908 et 1365; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica e agli altri Ordinari e Gerarchi interessati: sui delitti più gravi riservati alla stessa Congregazione per la Dottrina della Fede: AAS 93 (2001) p. 786. Nel 2004 l’Istruzione Redemptionis Sacramentum, inserisce al Cap. VIII tra i Graviora Delicta la «Concelebrazione proibita del Sacrificio Eucaristico insieme a ministri di Comunità ecclesiali i quali non hanno la successione apostolica, né riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale».

¹²) Intervista a Mons. Malcolm Ranjith, Arcivescovo Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti [Petrus, 25.02.2009].

¹³) N.d.A. Lo scritto in nero costituisce la parte del testo che il sacerdote recita ad alta voce, ad eccezione di alcune così dette “segrete”, che sono delle orazioni pronunciate sotto voce. Le scritte in rosso, che precedono o sovrastano in caratteri le parti del testo recitate ad alta voce, indicano al celebrante quando deve aprire le braccia e chiuderle, quando deve congiungere le mani, quando deve inchinare il capo, quando deve genuflettersi, quando e come deve frazionare il sacro pane eucaristico, etc …

¹⁴) Lettera di S.S. Benedetto XVI a tutti i vescovi del mondo per spiegare il motu proprio [Dato presso San Pietro, 7 Luglio 2007].
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Ariel S. Levi di Gualdo – stralci tratti da
E SATANA SI FECE TRINO
© Bonanno Editore, dicembre 2011
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IN CONCLUSIONE: «AVUTA LA GRAZIA GABBATO LO SANTO»

Il Cardinale Reinhard Marx, come suol dirsi a Napoli, “ha avuto la grazia” da Benedetto XVI, ossia l’episcopato e poi la porpora cardinalizia, fingendo prima e fingendo dopo di essere un cosiddetto fedele ratzingeriano. Poi è cambiata aria ed ha preso a spirare un altro vento. Quindi, dopo avere “avuta la grazia”, si è sentito autorizzato a “gabbare lo santo”. Il tutto benché nell’immaginario collettivo e in particolare in quello germanico, coloro che cambiano disinvoltamente bandiera una volta ottenuto ciò che desideravano, sono di prassi e rigore gli italiani, perché solo questo popolo originale e soprattutto pulcinellesco sembrerebbe essere avvezzo a tanto. Alla prova dei fatti la realtà è invece un’altra: il solare Pulcinella italiano ti strappa perlomeno un sorriso, ma soprattutto, nel suo ego più o meno profondo sa di sbagliare e sa di essere un vile opportunista, mentre invece, il Pulcinella tedesco, lungi dall’essere solare, è cupo e, come tale, ti induce a forme di sprezzo nella misura in cui cambia bandiera animato appunto dal suo profondo spirito sprezzante, che sempre e in ogni occasione lo fa sentire di rigore nel giusto sociale, politico, filosofico e teologico.

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La Congiura dei Pazzi – 2 –

Dalla medaglia a Napolitano, alla laurea honoris causa a Prodi. Gli Atenei pontifici si scatenano…

di Jerome Fandor (28/11/2013)

È di pochi giorni fa la notizia del prestigioso riconoscimento che la Pontifica Università Lateranense ha conferito al comunista (mai pentito) Giorgio Napolitano. Ora assistiamo a un nuovo miracolo della formaldeide e apprendiamo che Romano Prodi non solo si muove autonomamente fuori dal sarcofago, ma riceverà anche una laurea honoris causa dalla Pontificia Accademia delle Scienze, dove poi terrà una lectio magistralis. Successivamente passerà a tenere una conferenza all’Università Gregoriana.

Non è ancora noto l’argomento su cui Prodi pontificherà. Chissà. Parlerà delle sedute spiritiche col pendolino per individuare il covo delle Brigate Rosse che tenevano prigioniero Aldo Moro? Parlerà del suo generoso tentativo di svendere la SME? Parlerà della sua graziosa accettazione di un cambio lira/euro che ci ha messo sottoterra? Parlerà delle sue brillanti esperienze come Capo del governo?

Forse, si sussurra, terrà una lectio magistralis in cui esporrà brillantemente il suo concetto di cattolico adulto, degno discepolo della devastante scuola bolognese, che nobilita (beh…) con la teoria la prassi di fare il cattolico quando fa comodo e di fare il politico che, pur di starsene a galla, si scorda di essere cattolico e va con chiunque gli faccia comodo andare.

Comunque Napolitano e Prodi sono sistemati e beatificati. Vi terremo informati sui prossimi passi che le Università Pontificie faranno con “Nichi” Vendola (che, come Prodi, si professa cattolico) e con Loden Monti (che quando va a Messa non porta mai il grembiulino). Ad maiora.

La Congiura dei Pazzi. Per ora stanno vincendo i Pazzi.

© RISCOSSA CRISTIANA

Lateranense ai piedi di Napolitano. Noi ci dissociamo

Va bene un’accoglienza cordiale al Presidente, ma c’era bisogno di assegnargli una prestigiosa onorificenza presentandolo come una speranza per la democrazia, campione dei diritti della persona?

di Riccardo Cascioli (23/11/2013)

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Non ci scandalizzano le cortesie istituzionali che la Chiesa riserva ai capi di Stato, anche i più discussi: giustamente si tiene la porta aperta al dialogo con tutti, se possibile si trova anche il modo di collaborare per migliorare la condizione degli uomini. Né ci scandalizza un rapporto di amicizia personale tra il papa o un cardinale e un capo di Stato lontano dalla fede. Molte volte è proprio l’amicizia con un uomo di profonda fede che fa breccia nel cuore dell’uomo, anche il più duro. Ne abbiamo avuto un esempio anche questa settimana ripercorrendo la straordinaria conversione – grazie all’amicizia con Tolkien – dello scrittore C.S.Lewis, di cui ricorreva il 22 novembre il 50esimo anniversario della morte.

E però quando si comincia a fare confusione tra bene e male, quando le cose cambiano nome allora non capiamo più. Oppure c’è qualcosa che ci sfugge nell’onorificenza concessa al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dalla Pontificia Università Lateranense. Giovedì 21 novembre infatti Napolitano si è recato in visita alla Lateranense, «l’Università del Papa», accolto dal vicario di Roma cardinale Agostino Vallini e dal rettore dell’Ateneo monsignor Enrico dal Covolo. Grande cordialità – e va bene – ma poi ecco il conferimento della Medaglia d’onore dell’Università. E già qui il primo colpo – un conto è accogliere, un altro è premiare -, poi ecco la motivazione:

«Per il generoso impegno nella promozione dei diritti della persona; per la passione educativa nei confronti delle nuove generazioni, speranza e garanzia di una società rispettosa dei principi democratici incardinati nella Costituzione della Repubblica Italiana; per la coerente testimonianza di vita, che invita gli studenti all’impegno quotidiano e alle competenze indispensabili per valorizzare, nel dialogo sincero, le differenze di cultura, di nazionalità, di razza, di religione».

E allora qui, escludendo la possibilità di un caso di omonimia, proprio non capiamo.

“Generoso impegno nella promozione dei diritti della persona”, dice la Lateranense: ma non stiamo parlando di quel Napolitano che, come dirigente del Partito Comunista, ha per decenni apertamente sostenuto la repressione di tanti popoli sotto il regime sovietico? Che ha teorizzato la necessità dell’intervento dei carri armati sovietici in Ungheria nel 1956, senza aver mai fatto cenno a una qualsiasi forma di pentimento? E ancora: non è lo stesso Napolitano che dal caso Welby (2006) in poi non ha perso occasione per fare pressioni a favore di una legge pro-eutanasia? Il cui intervento – fuori dai binari concessigli dalla Costituzione – è stato decisivo per uccidere Eluana Englaro? In quella drammatica occasione, siamo nel 2009, un missionario italiano in Uruguay, padre Aldo Trento, restituì l’onorificenza ricevuta dal presidente della Repubblica l’anno precedente, con queste parole rivolte a Napolitano: «…Come posso io, cittadino italiano, ricevere simile onore di Cavaliere dell’Ordine della Stella della solidarietà, quando Lei, con il suo intervento permette la morte di Eluana, a nome della Repubblica Italiana? Sono sdegnato e ripeto il mio rifiuto al titolo che Lei mi concesse». Non ci risulta che Napolitano si sia mai pentito di quella decisione, né ci risulta che la Chiesa abbia cambiato il suo insegnamento sul valore sacro della vita, sul primato della persona e sulla libertà.

Andiamo avanti: «Passione educativa nei confronti delle nuove generazioni». Non c’è dubbio che abbia passione educativa, ma bisogna vedere i contenuti di questa educazione. Se guardiamo all’esempio personale c’è da imparare il trasformismo e l’opportunismo, se guardiamo a ciò che afferma è un maestro di relativismo. Aperto a tutto ciò che va nella “giusta” direzione, verso cui guida il Parlamento. Non a caso ha sostenuto apertamente il varo di una legge contro l’omofobia, né è un caso che l’elezione per il secondo mandato sia stata salutata con grande soddisfazione anche dalle associazioni Lgbt, che lo ricordano come «il primo presidente della Repubblica ad aver aperto le porte del Quirinale alle associazioni gay, lesbiche e trans il 17 maggio 2010».

«Speranza e garanzia di una società rispettosa dei principi democratici». Ma come? Sarà pure la nostra classe politica ridotta male, ma come si fa a indicare come garante della democrazia uno che ha costruito la sua carriera politica a servizio del più grande impero totalitario, e contro gli interessi dell’Italia? Fino al crollo del Muro di Berlino ha giustificato il soffocamento di tutti i popoli che anelavano alla democrazia, e ora – senza neanche un cenno di autocritica (tra i comunisti non si usa la parola pentimento) – dobbiamo acclamarlo come speranza e garanzia della democrazia?

«Coerente testimonianza di vita»: su questo in effetti si può anche concordare. Napolitano è sempre stato un coerente uomo di potere, sempre in sella: stalinista con Stalin, brezneviano con Breznev, riformista con Gorbaciov, poi si è messo in proprio. La caduta del Muro di Berlino gli ha aperto le porte: presidente della Camera nel 1992, ministro dell’Interno con Prodi, senatore a vita con Ciampi e infine presidente della Repubblica dal 2006, carica che ha interpretato da coerente comunista interventista. Un bell’insegnamento sicuro per le nuove generazioni.

Ma il vero punto è: perché una Università pontificia, addirittura l’Università del Papa, sente l’irrefrenabile bisogno di dare la massima onorificenza a siffatto personaggio?

Noi siamo semplici fedeli, magari un po’ ingenui, ma non riusciamo proprio a mettere insieme ciò che la Chiesa insegna a proposito del valore della persona, della libertà, dello sviluppo dei popoli, della sussidiarietà con una onorificenza a un personaggio che ha sempre incarnato l’esatto contrario. Sarebbe il caso che qualcuno spiegasse, perché tanti fedeli si sentono giustamente confusi davanti a questa disinvoltura nell’indicare “maestri” ed “esempi”.

In ogni caso, per noi Napolitano non sarà mai una “speranza” né “un testimone di vita”. E’ solo il simbolo di una politica malata e di un potere che sta conducendo l’Italia lontano dalla democrazia.

© LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA

Affido a coppie gay, la miopia dei cattolici

cristianesimocattolico:

Alcune voci del mondo cattolico – compreso il vicario della diocesi di Bologna – si sono levate per giustificare l’affido di una bambina di 3 anni a una coppia omosessuale. Con argomentazioni che tradiscono un’incoscienza di quanto è in gioco.

di Giovanna Arcuri (20-11-2013)

Tre indizi fanno una prova. In merito alla vicenda della bambina di tre anni affidata dal Tribunale per i minorenni di Bologna ad una coppia gay si possono raccogliere almeno tre indizi per provare che parte del mondo cattolico ha capito ben poco sull’omosessualità e sulle strategie che le lobby gay stanno pianificando per naturalizzare una condizione che naturale non è.

Ecco i tre indizi. Il primo: monsignor Giovanni Silvagni, vicario generale della diocesi di Bologna, in un’intervista al Corriere della Sera di Bologna di qualche giorno fa così si esprime sulla vicenda: «In linea generale si può dire che un bambino ha bisogno di un papà e di una mamma e, quando non li ha o da loro viene allontanato, ha bisogno comunque di un contesto che riproduca quella situazione. Questo a livello generale, poi c’è il caso singolo, concreto. […] Dico che bisogna pensare al bene della bambina e alle motivazioni che hanno spinto i giudici a ritenere opportuno il suo affidamento a quella coppia piuttosto che a un’altra. Non credo – continua il prelato – che il giudice abbia affidato la bimba a quelle persone perché omosessuali, ma solo per fare il bene del minore”.

In breve la tesi sposata da mons. Silvagni è la seguente: una cosa è la regola generale – è bene che un bambino venga educato da papà e mamma – e poi c’è l’eccezione, perché la stella polare da seguire è quella del “bene del minore”, stella che a volte ci porta a percorrere strade inusuali. Ma è proprio seguendo questa stella polare che si può affermare che mai due persone dello stesso sesso potranno crescere bene un bambino a loro affidato. Ce lo dicono sia una quantità strabiliante di studi scientifici (si veda l’articolo di Tommaso Scandroglio “I figli di coppie gay hanno problemi”) sia la Congregazione per la Dottrina della Fede che nel 1992 ha emanato il documento “Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali” in cui, a proposito di alcuni ruoli che non possono essere conferiti a persone omosessuali, si legge in modo assai chiaro: “Vi sono ambiti nei quali non è ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale: per esempio nella collocazione di bambini per adozione o affido”. Sostenere il contrario, cioè che in alcuni casi una coppia gay può educare rettamente un minore, è come affermare che in qualche caso una famiglia mafiosa è in grado di educare alle virtù civiche i propri figli. In merito all’uscita improvvida di Mons. Silvagni stona poi il silenzio del suo vescovo, il cardinal Carlo Caffarra. Silenzio assenso?

Passiamo al secondo indizio. Francesco D’Agostino, presidente onorario del Comitato Nazionale per la Bioetica e presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, viene intervistato anche lui dal Corriere e dopo aver affermato che “la decisione del Tribunale per i minorenni di Bologna è platealmente imprudente” con uguale imprudenza si affretta però a precisare che non trovando nessuna famiglia per questa piccola “avrei al limite ritenuto fisiologica la scelta di una coppia dello stesso sesso del minore”. Curioso il criterio fisiologico per legittimare l’affido omosessuale. O forse il filosofo del diritto alludeva ad una imprecisata affinità elettiva tra donne? Oppure era mosso da galanteria per il gentil sesso? Insomma anche per D’Agostino la regola generale che le persone omosessuali non sono adatte a crescere i bambini trova una rosea eccezione.

Terzo indizio. Lucandrea Massaro sul sito cattolico Aleteia afferma che in questa storia l’ideologia gay non c’entra nulla e si domanda “la verità, dov’è? In qualcosa di più semplice e più ‘normale’”. Per evidenziare tutta questa normalità che la maggior parte di noi non riesce proprio a scovare, Massaro intervista Lisa Trasforini, psicologa e psicoterapeuta, la quale da una parte ammette che la scelta del giudice è “insolita” ma dall’altra sostiene: “la bambina conosce i due adulti e li chiama ‘zii’: se è vero che non corrispondono al criterio elettivo tradizionale, rispondono però a quello della fiducia e della conoscenza e questo garantisce serenità alla minore, che in questo caso è il bene più importante”. Ancora una volta l’eccezione del caso concreto cannibalizza l’astratta regola generale.

Un paio di considerazioni giuridiche già accennate nell’articolo pubblicato su queste colonne qualche giorno fa (“Genitorialità impazzita, pagano i bambini”). Per legge l’affido è consentito solo alle famiglie, a persone single, a comunità di tipo familiare o infine ad un istituto di assistenza. Due persone omosessuali non sono una famiglia secondo l’art. 29 della nostra Costituzione, nemmeno sono una comunità di tipo familiare o, come ha azzardato qualcuno, due single. Senza contare poi il fatto che – anche secondo Ugo Pastore, procuratore capo della Procura dei minori di Bologna il quale ha impugnato il provvedimento del Tribunale dei minori dell’Emilia-Romagna – non si ha certezza che per questa bambina si è fatto di tutto per trovarle una famiglia normale, tacendo poi sulla circostanza che manca la firma di entrambi i genitori indispensabile per l’affido e che i due signori omosessuali siano davvero una coppia dal momento che hanno due residenze diverse.

In secondo luogo sia per il nostro ordinamento sia in ossequio alla Convenzione dell’ONU sui diritti del fanciullo nell’affido si deve ricercare il bene oggettivo del minore, cioè si deve fare ogni sforzo per inserirlo in un ambiente che assomigli il più possibile a quello familiare dove ci sono mamma, papà e fratelli. Quindi non è vero che “la questione è obiettivamente controversa” come afferma D’Agostino: anzi sulla vicenda bolognese nulla quaestio in punta di diritto.

Ma il vero nocciolo di questa storia sta nel fatto che coloro i quali trovano delle eccezioni per legittimare l’affido ad una coppia gay non hanno compreso che il caso giurisprudenziale presente è meramente strumentale ad obiettivi più alti (o più infimi) che trascendono ahinoi le sorti di questa bambina. E’ miopia non accorgersi che il bene della minore e il relativo balletto tra coppia gay sì o coppia gay no per l’affido non c’entrano nulla in questa storia. La vicenda è solo una tra le tante battaglie condotte nei tribunali per normalizzare l’omosessualità e per far avanzare le posizioni a favore del “matrimonio” gay e relative adozioni.

In merito a quest’ultimo punto infatti la piccola potrebbe in futuro essere adottata dalla coppia gay puntellandosi ad un’interpretazione disinvolta dell’art. 44 comma 3 della legge 184/83 che ad oggi legittima l’adozione anche da parte di coppie non coniugate, stante però l’esistenza di alcune condizioni che nel caso di specie mancano. Ma è comunque un primo passo verso questa direzione.

A suffragio della tesi che una certa sindrome ipovisiva sui temi sensibili sta colpendo gli occhi di molti, citiamo ancora un passaggio dell’intervista di D’Agostino il quale da una parte afferma una cosa sacrosanta: “Mi pare che sia l’ennesimo tentativo della magistratura di forzare la mano per convincere l’opinione pubblica che sia normale ciò che non lo è”; ma dall’altra, forse senza saperlo, fa il gioco delle lobby gay: il tema dell’affido a coppie omosessuali “merita, piuttosto, un approfondimento parlamentare”. Nella stessa trappola ci finisce anche l’on. Eugenia Roccella, vicepresidente commissione Affari sociali della Camera, la quale in una nota denuncia l’operazione ideologica dei magistrati ma poi, forse anche lei inconsapevolmente, offre a questa stessa ideologia una ottima sponda quando afferma “sarebbe più onesto affrontare la questione [dei “matrimoni” gay e delle adozioni] direttamente, discutendone nel luogo più pertinente, cioè il Parlamento, e aprendo un dibattito pubblico su questi temi”. Ma è proprio ciò che vogliono gli attivisti gay quando creano un caso giurisprudenziale: far pressione sul Parlamento perché legiferi. Lo abbiamo visto mille volte: con il caso di Eluana per il tema dell’eutanasia, con i ricorsi ai giudici per far cambiare la legge 40 sulla fecondazione artificiale, con l’istituzione dei registri delle coppie di fatto e dei testamenti biologici in molti comuni italiani.

D’Agostino e Roccella, sicuramente animati da buona fede, fanno così il gioco del nemico. E il gioco ha queste regole: si tenta di modificare le leggi in accordo a comportamenti antigiuridici per farli diventare legittimi e non si chiede più ai consociati invece di essere loro ad adeguarsi con le proprie condotte alle leggi. Errato quindi affermare: se qualcosa non funziona nell’ambito degli affido che ci pensi il Parlamento. Errato perché quest’ultimo ci ha già pensato da tempo. Le leggi già ci sono e vanno bene. Allora smettiamola una buona volta di intendere come lacune giuridiche comportamenti che sono semplicemente illegittimi secondo il nostro ordinamento giuridico o come casi “controversi” situazioni che per legge sono irregolari punto e stop.

© La Nuova Bussola Quotidiana

L’addio a don Gallo è il trionfo di Sodoma

di Federico Catani (25/05/2013)

I funerali di don Andrea Gallo rappresentano la goccia che ha fatto traboccare il vaso della mia pazienza. Accade sempre così. Sono come una pentola a pressione. Per un po’ di tempo borbotto, ma resto tutto sommato tranquillo. Poi, a un certo punto, quando la fiamma del gas si alza troppo, esplodo. Vedere in rete le esequie di quella specie di prete chiamato don Gallo ha fatto sorgere in me una gran rabbia. Spero che il mio sia solo santo zelo per la Casa di Dio, sull’esempio di Sant’Elia profeta, ma non posso escludere qualche componente peccaminosa. Me la vedrò col confessore, non preoccupatevi. 

Ebbene, non so se vi siete resi conto di cosa è accaduto in quel di Genova nel giorno in cui la Chiesa fa memoria di un papa con gli attributi, s. Gregorio VII, che non aveva paura di chiamare bene il bene e male il male, sino a pagare l’amore alla verità con l’esilio. Il contesto è la morte di Andrea Gallo, comunista di professione, sacerdote cattolico (?) per hobby. Lo scenario è la chiesa del Carmine. Ad officiare il funerale il cardinale arcivescovo Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Cosa è successo? Di tutto. Tutto ciò che cozza col cattolicesimo è avvenuto alla presenza e con il tacito assenso del capo dei vescovi italiani. Dalla bandiera omosessualista della pace sul feretro al canto di “Bella ciao” all’uscita dalla chiesa, dai pugni chiusi alzati, agli interventi sull’ambone del trans Vladimir Luxuria (che ha pure ricevuto la Comunione), cioè Gesù in Corpo, Sangue, Anima e Divinità!) e di quell’altro prete a mezzo servizio che è don Luigi Ciotti. Poi i fischi al cardinale. Fischi cui io, in tutta sincerità e con un po’ di maleducazione, mi sarei accodato, perché è vero che un vescovo deve celebrare le esequie di un suo sacerdote, ma è pur vero che questa situazione non doveva crearsi, in quanto quella specie di prete avrebbe dovuto essere sospesa a divinis o scomunicata anni e anni fa.

Non voglio parlare di don Gallo: l’hanno fatto egregiamente Andrea Virga e Alessandro Rico. Sappiamo tutti chi fosse. E proprio perché tutti siamo a conoscenza del suo pensiero, non possiamo non meravigliarci dell’atteggiamento assunto dalla gerarchia nei suoi confronti. Non si è mai fatto nulla per tenerlo a bada. Nulla per silenziarlo. Nulla per correggerlo e punirlo. Nulla. Questa è, infatti, la Chiesa del nulla. E una Chiesa così, incapace di difendere se stessa e l’insegnamento che le ha lasciato Nostro Signore Gesù Cristo, merita solo di scomparire, di essere decimata, di essere perseguitata. Una Chiesa che tace per non scontentare il mondo ha tradito la sua missione. Una Chiesa che dà la Comunione, ovvero quanto c’è di più sacro, a pubblici peccatori, preferendo gli applausi al rispetto verso il Preziosissimo Sangue di Cristo e il suo Sacratissimo Cuore trafitto, merita il castigo. Parlo, ovviamente, della componente umana. So benissimo che la Chiesa non è la somma dei suoi uomini e so pure altrettanto bene che pastori santi ve ne sono. Ma serve una catarsi generale, che colpisca anche i buoni, anche noi che stiamo qui a scrivere comodamente seduti davanti al pc e che proprio buoni non siamo. Senza purificazione non si cambierà rotta. E la rotta che stiamo seguendo adesso porta dritto dritto al precipizio. Anzi, forse già siamo caduti nel baratro più oscuro e profondo. 

Che vescovi sono quelli che consentono e celebrano un funerale come quello di don Gallo? Che pastori sono quelli che tollerano l’errore e, anzi, spesso lo incoraggiano? Che esempio danno il card. Bagnasco e i suoi confratelli nell’episcopato quando non difendono le pecore e gli agnelli loro affidati, ma permettono che si perdano all’inferno? Ditemelo voi, perché io non ho risposte umane. Posso solo pensare ad un accecamento luciferino, al colpo da maestro di Satana, all’impero delle tenebre che ha preso il sopravvento. E’ forse normale sentire la Cei cianciare di tutto, dall’Imu al Pil, dalla legge elettorale alla coesione tra le forze politiche e non udirla spendere una parola, anche una sola mezza parola, sugli atti blasfemi, più o meno espliciti, che si susseguono continuamente in Italia e nel mondo? Parliamo di blasfemie, dunque di azioni lesive non tanto della dignità dei credenti, che in genere se ne fregano, essendo ignoranti e smidollati, quanto piuttosto dei diritti e dell’onore di Dio. Su quel fallito che ha fatto la parodia della consacrazione eucaristica al “concertone” del primo maggio si è pronunciato solo il cardinale vicario di Roma Agostino Vallini. Sull’arrivo nelle sale italiane del film “Le streghe di Salem”, invece, ha inveito solo il coraggioso mons. Luigi Negri, che potremmo definire il “leone di Ferrara”. Prese di posizione lodevolissime, ma isolate. Per il resto, i vescovi hanno taciuto, vilmente taciuto. E così tacciono su moltissimi altri problemi riguardanti la fede, comprese le posizioni di don Gallo.

Non è più possibile tollerare simili comportamenti. Non è più possibile trovarsi con pastori che agiscono da lupi rapaci, in grado solo di essere forti coi deboli e deboli coi forti. Non è più possibile vedere la Chiesa asservita al principe di questo mondo. Basta! Invochiamo il ritorno di uno, dieci, cento Savonarola per scuotere le coscienze assopite e le anime intorpidite e marcescenti. Se la situazione è quella che è, se tutto crolla, se la nostra civiltà è putrida e in decadenza, la colpa è anche nostra. Noi cattolici, laici e clero, non sappiamo opporci al dilagare del male, non vogliamo impugnare le armi (in tutti i sensi, se necessario) per fermare il nemico, non siamo in grado di riformare noi stessi. Siamo tutti inebetiti, drogati da 50 anni di Concilio Vaticano II e da 100 anni di modernismo. Se non capiamo questo e non corriamo ai ripari, è inutile lamentarsi e stracciasi le vesti per l’aborto, l’eutanasia, il mancato finanziamento alle scuole paritarie e i matrimoni gay. 

Sì, i matrimoni gay, l’ultima trovata delle nostre istituzioni, il ritorno di Sodoma nella nostra epoca, l’ennesima vittoria del dragone rosso a sette teste e dieci corna di cui parla l’Apocalisse. Quei matrimoni gay che tanto sarebbero piaciuti a don Gallo e che certo non disdegna don Ciotti, entrambi preti coccolati e vezzeggiati da Sua Eminenza il cardinale Angelo Bagnasco, capo dei vescovi italiani. Ecco la tragicità del momento presente, ecco il capolinea cui siamo giunti: la Chiesa loda e protegge chi difende la pratica dell’omosessualità. In ultima istanza, essendo la questione gay solo la punta dell’iceberg, la Chiesa difende i suoi stessi nemici, i nemici di Cristo, coloro che lottano per distruggere il Cattolicesimo. Pertanto, sembra del tutto evidente che qui non finisce perché si fanno i matrimoni gay. Qui si fanno i matrimoni gay proprio perché è finita.

Famiglia (s)Cristiana, seconda puntata

Prima l’annuncio di una querela, poi gli insulti sul giornale. E’ lo «stile Famiglia Cristiana» con chi osa criticare una sua iniziativa o articolo. Stavolta nel mirino ci siamo noi. Ma su gay e omofobia, il settimanale dei Paolini non la racconta giusta…

di Riccardo Cascioli (19-02-2013)

Prima l’annuncio di una querela, poi gli insulti sul giornale. E’ lo «stile Famiglia Cristiana» con chi osa criticare una sua iniziativa o articolo.  E così anche La Nuova Bussola Quotidiana è finita nel mirino del settimanale dei Paolini. La colpa? Quell’editoriale di Mario Palmaro in cui si criticava la pubblicazione in terza di copertina di Famiglia Cristiana di una pubblicità partorita dal Dipartimento per le Pari opportunità e dal Ministero del Lavoro, per la lotta all’omofobia: «Una pubblicità nella quale si vedono le foto di tre sconosciuti, accompagnate dalla seguente didascalia: “alto”, sotto il primo personaggio; “lesbica” sotto la seconda; “rosso” sotto al terzo, che ha effettivamente i capelli rossi. Segue slogan perentorio: “E non c’è niente da dire”. Segue spiegazione per i più duri di comprendonio: “Sì alle differenze. No all’omofobia”»; così la spiegava Palmaro nel citato articolo.

Tale pubblicità, come chiunque può constatare, ha lo scopo principale di affermare non tanto il necessario rispetto per le persone omosessuali – che è doveroso come lo è per qualsiasi persona -, quanto l’assoluta normalità dell’omosessualità, paragonata al colore dei capelli o all’altezza. In pratica l’omosessualità viene parificata all’eterosessualità, una cosa vale l’altra; e come ci si tinge i capelli si può decidere di passare da un orientamento sessuale all’altro. Questa è l’ideologia omosessualista, o anche ideologia del gender, quella che Benedetto XVI prima di Natale definiva la più grave sfida che la Chiesa ha oggi di fronte, perché nega il dato della Creazione, quel “maschio e femmina lo creò”. “La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente – diceva il Papa -. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela”. E poi concludeva: “Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere. Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo”.

La profonda erroneità di questa teoria è evidente, dice il Papa, ma non per Famiglia Cristiana che non trova nulla di strano invece nel pubblicare questo messaggio.

Ma è qui che scatta l’ira di don Antonio Sciortino, direttore del settimanale dei Paolini. Dapprima ci fa mandare una mail in cui ci viene preannunciato l’arrivo di una querela per diffamazione, perché abbiamo danneggiato il buon nome della rivista. Poi nel numero di Famiglia Cristiana ora in edicola, rispondendo alle lettere di alcuni lettori scandalizzati, don Sciortino si scatena perché, a suo dire, abbiamo innescato “una polemica falsa e pretestuosa” non avendo tenuto conto che alle pagine 36 e 37 di quello stesso numero di Famiglia Cristiana, c’era un articolo del teologo don Luigi Lorenzetti – “uno dei più noti esperti di teologia morale a livello internazionale” – che spiegava tutto. E siccome non abbiamo letto Lorenzetti, in noi c’è tanta “arroganza, condita di falsità” di cui ovviamente ci assumeremo la responsabilità: “non si può infangare impunemente la verità e il buon nome della rivista”. E poi ancora sulla polemica “velenosa” innescata da noi che siamo “come i farisei” e talmente bassi nella scala della dignità umana da non essere neanche degni di essere chiamati per nome. Così che l’ignaro lettore di Famiglia Cristiana non sa neanche bene con chi prendersela.

Ora, ammesso anche che don Lorenzetti in quelle poche righe messe al piede di due pagine spieghi tutto, Don Sciortino non appena rientrerà in sé dalla rabbia potrà convenire che è una teoria un po’ bizzarra quella per cui si può pubblicare qualsiasi cosa moralmente riprovevole in copertina tanto poi c’è un articolino di spiega a 115 pagine di distanza. Perché se questo fosse vero potremmo aspettarci di vedere prossimamente sulla copertina di Famiglia Cristiana anche quella pubblicità choc in cui un prete bacia in bocca una suora oppure qualche provocante nudo femminile, o anche la pubblicità dei preservativi tanto poi pagina 36 ci saranno quelle 20 righe di don Lorenzetti che ci spiegherà che l’utilità del preservativo è tutta da verificare.

E già, perché poi in quel famoso articolo che non avremmo letto non è che don Lorenzetti sia così chiaro, anzi alla gravità di quella pubblicità si somma l’ambiguità del teologo. Il quale, nella prima metà dell’articolo ci spiega quanto sia grave oggi in Italia l’emergenza omofobia, tale che è necessario non solo riformare il codice penale, ma soprattutto “occorre una conversione culturale di tipo etico”. Ora ci perdonerà don Lorenzetti, ma noi questa grave emergenza omofobia non riusciamo proprio a vederla. Purtroppo la cronaca non ci risparmia anche alcuni odiosi casi di violenze e sopraffazioni nei confronti degli omosessuali, ma così come violenze e sopraffazioni avvengono per tante altre persone. Casi da condannare fermamente, è chiaro, nessuna attenuante; così come va affermato con chiarezza che ogni persona – qualunque sia la sua condizione sociale, economica, morale – va sempre accolta. Detto questo è però chiaramente demagogico parlare di discriminazioni nella società: risulta a don Lorenzetti e don Sciortino che ci siano luoghi dove gli omosessuali non sono ammessi? O che nel lavoro venga penalizzato chi si professa gay? O che agli omosessuali dichiarati venga fatta scattare una tassa particolare? Se proprio dobbiamo parlare di una categoria di persone oggi discriminata in Italia, anche dal punto di vista fiscale, crediamo siano invece le famiglie: marito, moglie e figli. La verità è che l’omofobia è una bella invenzione del marketing per far passare il concetto di normalità della condizione omosessuale.

Bene, ma andiamo avanti. Finalmente, passata la metà dell’articolo, don Lorenzetti afferma: “L’inconfondibile dignità che spetta a ogni persona, non conduce a sostenere che l’omosessualità non è altro che una modalità sessuale tra le altre; che il matrimonio tra uomo e donna non è che una tra altre forme di matrimonio; che l’unione omosessuale ha il diritto all’adozione”. Certo, si potrebbe far notare che lo dice in un modo così involuto e soft che passa quasi inosservato, ma soprattutto è il seguito che lascia sconcertati: “Sono questioni di libera discussione pubblica senza indulgere alla sterile contrapposizione tra laici e cattolici”. Questioni di libera discussione pubblica? E questa, secondo don Sciortino, sarebbe la spiegazione che “ripara” la pubblicazione della pubblicità in terza di copertina? Noi crediamo che renda ancora più grave quella decisione, perché è chiaro che non si tratta di una svista o di una leggerezza: è stata una scelta convinta.

Metta a confronto, don Sciortino, la sua decisione e le parole di don Lorenzetti con le gravi affermazioni di Benedetto XVI, e vedrà che le sue non sono “più che ortodosse posizioni”, come ha scritto questa settimana. Non c’è bisogno di tanti discorsi e circonlocuzioni: fatto salvo il rispetto e l’accoglienza per chi vive la condizione di omosessuale, don Sciortino e don Lorenzetti si sentono di sottoscrivere l’affermazione secondo cui “l’inclinazione omosessuale è oggettivamente disordinata” come dice il Catechismo della Chiesa cattolica? E che l’ideologia del gender è la vera sfida che sta davanti alla Chiesa, prima di tutto al suo interno?

Finché non vedremo scritte queste affermazioni, noi avremo tutte le ragioni per sostenere che Famiglia Cristiana mantiene sul tema posizioni volutamente ambigue quando non omosessualiste.