I sindaci molisani di Agnone e Termoli lanciano una nuova offensiva al culto pubblico: messe sospese, anche solo a fronte di 23 nuovi casi positivi. Un’ordinanza che non ha alcuna ragione d’essere e che mostra diversi illeciti. Ma che la Chiesa è già pronta ad accettare supinamente: «La salute al primo posto, noi non c’entriamo», dicono parroco e vicario senza mostrare il minimo interesse. Ma così si armano le amministrazioni comunali che dilagheranno nel decidere arbitrariamente sulla libertas Ecclesiae a fronte di un rischio sanitario tutto da dimostrare (Messe stop, dai sindaci la nuova sfida. E la Chiesa dà l’OK, di Andrea Zambrano, La Nuova BQ, 25-02-2021).
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C’è chi vuole “aggiornare” la dottrina sulla famiglia
In vista del Sinodo per la Famiglia, il suo segretario generale, il cardinale Lorenzo Baldisseri, ritiene che la dottrina vada rivista. Considera superata l’esortazione apostolica “Familiaris Consortio” alla luce dei “tempi mutati”. Nemmeno il cardinale Kasper si era spinto così avanti. E le reazioni non si fanno attendere.
di Matteo Matzuzzi (24-03-2014)
L’obiettivo dei prossimi due Sinodi sulla famiglia (ottobre 2014 e 2015) lo ha spiegato direttamente colui che del Sinodo è (dallo scorso settembre) segretario generale, il neocardinale Lorenzo Baldisseri. L’occasione era data dal Convegno internazionale su “Giovanni Paolo: il Papa della famiglia” organizzato dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia in collaborazione con i Cavalieri di Colombo, che si è tenuto a Roma il 20 e 21 marzo. Intervenuto nell’ultima sessione riservata ai delegati delle conferenze episcopali europee, il cardinale Baldisseri ha poi rilasciato una breve intervista alla Radio Vaticana. Premesso che «l’iniziativa di trattare il tema della famiglia, quindi anche del matrimonio, è stato un momento importantissimo per la chiesa, stabilito da Papa Giovanni Paolo II», è venuto il tempo di andare oltre, dice sostanzialmente il porporato. In che modo? «Oggi naturalmente sono passati molti anni da quella famosa enciclica, la Familiaris Consortio (che in realtà è un’esortazione apostolica, ndr), e Papa Francesco ritiene che sia opportuno riprendere questo grande tema alla luce del Vangelo e in più, con i tempi mutati, dare uno sguardo che possa essere di attualizzazione della Dottrina della Chiesa». E questo perché – ha aggiunto il segretario generale del Sinodo dei vescovi – «molti temi, molti problemi, molte situazioni sono mutate da quel tempo, per cui la chiesa deve essere capace di rispondere alle sfide».
La posizione, dunque, è chiara: attualizzare la dottrina e aggiornare la Familiaris Consortio perché non rispondente più a quelle problematiche “inedite” che si sono affermate nell’ultimo trentennio. Su tutte, la questione del genere e delle unioni tra persone dello stesso sesso. Una prospettiva, quella illustrata dal cardinale Baldisseri, che si pone sulla scia di quanto scritto e dichiarato nelle recenti e numerose interviste dal cardinale Walter Kasper, il teologo cui Francesco aveva chiesto di tenere la relazione concistoriale sulla famiglia, e che già a gennaio era stata fatta propria in un’intervista a un quotidiano tedesco dal cardinale honduregno Oscar Rodríguez Maradiaga, ascoltatissimo coordinatore del gruppo di otto porporati che studia la riforma della curia.
Ma il segretario generale del Sinodo va oltre, perché se Kasper ha ribadito che in discussione non c’è la dottrina, quanto piuttosto la prassi da adottare caso per caso a seconda delle circostanze concrete e particolari con cui ci si trova a dover fare i conti, Baldisseri parla di necessità di attualizzare la dottrina. Una prospettiva, questa, che era già stata respinta con forza dal cardinale Carlo Caffarra: «L’immagine quindi di una Familiaris Consortio che appartiene al passato, che non ha più nulla da dire al presente, è caricaturale. Oppure è una considerazione fatta da persone che non l’hanno letta», aveva detto una settimana fa al Foglio. Il problema, per Caffarra, non sta tanto nel parlare di adeguamento o accomodamento dell’insegnamento cristiano al tempo d’oggi, quanto nel ribadire che c’è una verità che deve fungere da bussola. Concetto che l’arcivescovo di Bologna ha ripetuto anche nell’intervento pronunciato al convegno su Giovanni Paolo II chiuso proprio da Baldisseri: «La nostra ragione è talmente indebolita che sentendo parlare di verità, pensa subito ad opinioni circa il matrimonio, ad una qualche teoria della famiglia. Opinioni alla quali si contrappongono altre opinioni; teorie contestate con altre teorie. E così è accaduto nel mondo di oggi. Il risultato non poteva che essere la convinzione che non esiste alcuna verità circa il matrimonio», ha detto il cardinale Caffarra.
Sul tema è intervenuto nuovamente anche il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller. Presente a Capua per presentare il sesto volume dell’opera omnia di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI e per ritirare il premio assegnatogli dall’associazione “Tu es Petrus”, il porporato tedesco ha espresso ben più di una riserva quando sente «cardinali che vanno in giro parlando di tante cose». Il tema in oggetto era quello della concessione della comunione ai divorziati risposati e pur senza mai nominare Walter Kasper, Müller ha ricordato che seguire la prassi ortodossa e quindi autorizzare il riaccostamento sacramentale a chi ha dato vita a una seconda unione «significherebbe tradire la volontà e la parola del Signore» e proprio per questo «non possono essere riconosciute». Una chiusura netta, quella del prefetto già vescovo di Ratisbona, che si colloca sulla scia di quanto da egli stesso già dichiarato in altre circostanze, a partire dal lungo articolo pubblicato il 22 ottobre scorso sull’Osservatore Romano. In ballo c’è quel falso concetto di misericordia “slegato dalla verità” contro cui s’è scagliato anche il cardinale conservatore Raymond Leo Burke, intervenendo qualche giorno fa alla Catholic University of America di Washington. Sulla stessa linea, benché con maggiore prudenza, sembra essersi inserito anche il cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston che pure può vantare un solido e stretto rapporto di collaborazione con Francesco. Certo, ha detto O’Malley, «si cercherà di aiutare chi ha sperimentato il fallimento del matrimonio», ma «la Chiesa non muterà il suo insegnamento sull’indissolubilità del matrimonio». Già lo scorso febbraio, intervistato da John Allen per il Boston Globe, l’arcivescovo della capitale del Massachusetts si era mostrato refrattario a cambiamenti in materia: «Non vedo alcuna giustificazione teologica per mutare l’atteggiamento della Chiesa sulla riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti».
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Con il “metodo Barilla” si tacitano i cattolici irlandesi
Il “metodo Barilla” è ormai rodato, sperimentato ed è diventato internazionale. Chi cita il Vangelo o il Catechismo della Chiesa Cattolica in materia di omosessualità viene subito accusato di omofobia e costretto a ritrattare. Succede anche in Irlanda, con la Legione di Maria e Courage che promuovevano un percorso di castità. E la Chiesa non li difende.
di Massimo Introvigne (24-12-2013)
In Irlanda nel 2015 si terrà il referendum per introdurre il «matrimonio» omosessuale, e il governo è già sceso in campo per invitare gli irlandesi a votare a favore, per sentirsi – così recita la propaganda – «più europei». Oltre alla carota un po’ andata a male dell’Europa, si comincia a usare però anche il bastone. L’incredibile episodio che è andato in scena questo mese all’Università Nazionale dell’Irlanda, a Galway, mostra esattamente come funziona la macchina brutale dell’intimidazione.
Courage International è un’organizzazione cattolica riconosciuta sia a livello internazionale sia da diverse Conferenze Episcopali, che promuove un apostolato per le persone omosessuali cui propone di vivere in castità richiamandosi esplicitamente al n. 2359 del «Catechismo della Chiesa Cattolica»: «Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana». L’organizzazione propone un itinerario verso la castità attraverso l’amicizia e la preghiera. Dichiaratamente, non s’interessa invece alle cosiddette «terapie riparative» né ai problemi relativi alla natura e alla genesi dell’omosessualità.
La Legione di Maria è un movimento cattolico fondato negli anni 1920 in Irlanda, che ha oltre due milioni di membri in Irlanda ed è da decenni una componente di fondamentale importanza del cattolicesimo irlandese.
All’Università Nazionale dell’Irlanda nello scorso mese di novembre è stata lanciata una campagna. «Purity matters», «La purezza è importante», patrocinata insieme dal gruppo universitario della Legione di Maria e da Courage International, dove si proponeva alle persone omosessuali l’itinerario di preghiera e amicizia di Courage verso «una vita di castità», con lo slogan «Sono un figlio di Dio: non chiamatemi gay». I poster spiegavano il significato dello slogan: «andare al di là dei confini dell’etichetta omosessuale verso una più completa identità in Cristo».
Subito si è scatenato un putiferio, che ha coinvolto la stampa nazionale irlandese ed esponenti del governo, fino a quando l’Università Nazionale non solo ha vietato il manifesto e ha fatto rimuovere quelli esposti nelle sue sedi, ma ha sospeso ogni attività della Legione di Maria nel campus «con effetto immediato». Il comunicato menziona anche non meglio precisate «leggi europee», che impedirebbero campagne di questo genere in quanto omofobe.
Non basta. Siccome il «metodo Barilla», ormai applicato in tutta Europa, prevede non solo che il reprobo sia punito ma che «si converta» e chieda scusa, la (disciolta) branca studentesca della Legione di Maria dell’Università Nazionale ha dovuto pubblicare un comunicato di scuse. La Legione di Maria nazionale ha emesso a sua volta un comunicato dove afferma semplicemente di «non sapere nulla» della vicenda e «di non essere stata contattata» dalla branca universitaria a proposito della campagna. Il portavoce del vescovo di Galway, dove si trova l’università, ha dichiarato che si tratta di questioni che riguardano la Legione di Maria e non la diocesi, che «l’appello a vivere una vita casta è parte dell’insegnamento cristiano» ma che lo slogan «Sono un figlio di Dio, non chiamatemi gay» è offensivo e non andava usato.
Paradossalmente, non sostenuta dal clero e neppure dai suoi stessi dirigenti, la Legione di Maria dell’Università Nazionale è stata difesa dall’influente organizzazione laica britannica per la libertà di espressione Index of Free Speech, il cui dirigente Padraig Reidy scrivendo sul Telegraph ha protestato perché «un messaggio non violento e non intimidatorio che espone la posizione cattolica ortodossa è stato bandito da un campus universitario», violando «il principio fondamentale della libertà di parola».
È sempre sconsigliabile fare i martiri con il sangue degli altri e, come la nostra testata ha a suo tempo documentato, il clero e il mondo cattolico irlandese vivono una condizione molto difficile a causa delle colpe di alcuni sacerdoti, responsabili di alcuni fra i più gravi casi di pedofilia che si siano verificati su scala internazionale, e delle improprie generalizzazioni della stampa e del governo, che – profittando dello scandalo, purtroppo reale, dei preti pedofili – cercano di regolare antichi conti con una Chiesa che appare spesso stordita dai tanti colpi ricevuti e incapace di difendersi.
Occorre però che tutti difendano – «leggi europee» o no – il diritto dei cattolici a diffondere la loro dottrina in tema di omosessualità, che è quella contenuta nel «Catechismo della Chiesa Cattolica», che Papa Francesco ci assicura essere «lo strumento fondamentale per quell’atto unitario con cui la Chiesa comunica il contenuto intero della fede, “tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede”» (enc. «Lumen fidei», n. 46). In Italia la campagna dell’Arcigay sull’omofobia «Spegniamo l’odio», finanziata con fondi del Consiglio d’Europa, presenta uno spot con frasi «omofobe» che la legge in discussione in Senato dovrebbe trasformare in reati penali, tra cui una dell’avvocato Giancarlo Cerrelli, vice-presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, secondo cui «l’omosessualità in realtà è un disagio». Si tratta, ancora una volta, di una parafrasi del «Catechismo» che al n. 2358 afferma che «questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro [omosessuali] una prova». Una «prova» è certamente un disagio. E le persone omosessuali, per superare il disagio, dallo stesso «Catechismo» sono «chiamate alla castità».
Coloro che, in Irlanda come in Italia, vogliono «spegnere» le voci che ripetono il «Catechismo» violano gravemente la libertà religiosa. Se un clero intimidito dai bastoni del «metodo Barilla» non se la sente di protestare, anzi chiede scusa, noi laici rifiutiamo di farci imbavagliare. Non chiediamo scusa a nessuno, e ripetiamo con il «Catechismo» (n. 2357) che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati».
Il documento preparatorio per il Sinodo sulla Famiglia del 2014 – proprio quello del fin troppo famoso «questionario» –, fatto inviare da Papa Francesco a tutti i vescovi del mondo, afferma a proposito degli articoli del «Catechismo» che abbiamo appena citato che «l’attenta lettura di queste parti del “Catechismo” procura una comprensione aggiornata della dottrina della fede a sostegno dell’azione della Chiesa davanti alle sfide odierne. La sua pastorale trova ispirazione nella verità del matrimonio visto nel disegno di Dio che ha creato maschio e femmina». Chi diffonde questa «comprensione aggiornata della dottrina della fede […] davanti alle sfide odierne» oggi però in Europa rischia di andare in prigione. E magari di farsi dire da qualche prete che faceva meglio a stare zitto.
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Rubano ostie consacrate per messe nere, e il prete parla solo di “offesa alla comunità”!
Ma che offesa alla comunità! Caro don Cipelli, capiamo che sarà stato sicuramente sconvolto per questo atto sacrilego, ma vorremmo ricordarle e ristabilire un po’ il giusto ordine di valori: quello del furto di Ostie consacrate, in cui E’ tutta la Santissima Trinità, prima di essere un’offesa alla comunità, è un offesa a Dio!!! Altrimenti i satanisti non le avrebbero certo trafugate per i loro riti esecrandi, se esse non avessero un contenuto anche trascendentale! Il bello è, caro don Cipelli, che lei stesso sottolinea come i ladri non abbiano trafugato null’altro dalla chiesa se non la pisside dal tabernacolo. Quindi altro che danno alla comunità! E’ un’ offesa gravissima alla Divina Maestà! Possibile che alla Reale presenza di N.S.G.C. in Corpo, Sangue, Anima e Divinità nelle particole consacrate, credano più i satanisti che i preti cattolici? Annamo bene!
Roberto
SAN COLOMBANO AL LAMBROFURTO DI OSTIE CONSACRATE NELLA CHIESETTA DELL’OSPEDALE: «MESSE SATANICHE»
L’ANNUNCIO DATO DA DON MARIO CIPELLI AI FEDELI:
«È UNA GRAVE OFFESA ALLA COMUNITÀ»
DA IL CORRIERE DELLA SERA, 18.11.2013FURTO SACRILEGO ALLA CHIESETTA DELL’OSPEDALE VALSASINO A SAN COLOMBANO AL LAMBRO. A DENUNCIARLO PUBBLICAMENTE DOMENICA, DURANTE TUTTE LE MESSE, È STATO IL SACERDOTE RESPONSABILE DEL LUOGO DI CULTO, DON MARIO CIPELLI. SECONDO LA SUA RICOSTRUZIONE, NELLA NOTTE TRA GIOVEDÌ E VENERDÌ QUALCUNO SI È INTRODOTTO NELLA CHIESETTA E HA SCASSINATO IL TABERNACOLO, PORTANDO VIA LA PISSIDE CHE CONTENEVA LE OSTIE CONSACRATE.
OCCULTO – Nell’edificio non è stato toccato nient’altro, né le offerte, né alcuni oggetti preziosi o gli abiti decorati. Per questo c’è il sospetto che il furto possa essere legato in qualche modo al mercato dell’occulto. Il sacerdote parla di una grave «offesa alla comunità», ma nel paese sulle colline molti ricordano altre voci che riguardavano messe nere e sette sataniche, abituate a ritrovarsi in ruderi e ville in rovina disperse tra i filari di viti. Una possibilità su cui le forze dell’ordine stanno al momento indagando.
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Passaggio ad un “cristianesimo di scelta”
Riportiamo un articolo di Jean Madiran, noto scrittore e giornalista francese, uscito sul quotidiano “Présent” il 19 aprile 2013 (traduzione della redazione di CR).
La grande foto del Cardinale Vingt-Trois campeggia in copertina a quasi tutta pagina. È pur vero che su “La Croix” lui è di casa. E’ martedì (16 aprile). Gli sono state dedicate anche le pagine 2 e 3 con un ulteriore foto, un po’ meno grande, con una didascalia che riassume il suo pensiero: «siamo passati da un cristianesimo sociologico ad un cristianesimo di scelta». Bisognerebbe allora sopprimere il battesimo per i bambini, che sono incapaci di compiere questa scelta? O piuttosto credere che il battesimo non sia più il sacramento per mezzo del quale noi diventiamo cristiani: che ci fa diventare figli di Dio, membri della Chiesa ed eredi del Paradiso? Il Cardinale non sembra rimpiangere il passaggio da un cristianesimo ad un altro, al contrario. Eccolo nel suo contesto: «Noi siamo passati da un cristianesimo sociologico ad un cristianesimo di scelta. Questa mi sembra essere la trasformazione più importante, alla quale noi siamo inegualmente preparati. È certo che su questo punto bisognerà aiutare i cattolici ad evolvere …» L’espressione «cristianesimo sociologico» è evidentemente peggiorativa. Vuole arbitrariamente caricaturizzare il cristianesimo basato sulla pietà filiale, sul catechismo per bambini, sulla scuola cristiana, sulla vita liturgica. Quanto al «cristianesimo di scelta» esso non sembra essere una grande novità, anzi è sempre esistito fin dal principio; a questo proposito Gesù metteva in guardia gli apostoli dicendo: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gn. 15, 16) «Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino non vi entrerà» (Lc. 18, 17). Quattro o cinque anni fa noi avevamo posto questa obiezione al Direttore ecclesiastico di “La Croix”, Michel Kubler che non cessava, anche lui (o lui per primo?), di militare in favore di un “cambiamento”, per «il cambiamento – diceva – da una Fede ereditata ad una Fede scelta». Il Padre Michel Kubler se ne è andato senza avere mai risposto, ma nella diocesi di Parigi la sua religione è rimasta. Il “cristianesimo di scelta” ha un suo proprio empirismo disorganizzatore: «La nostra esperienza ecclesiale francese veicola una visione incosciente di una coincidenza fra la Chiesa e la società, fra la Chiesa ed il potere. Coincidenza che non è più rivendicata in maniera simmetrica, da dopo la Rivoluzione francese». Siamo noi che sottolineiamo la parola «coincidenza» perché non è la parola giusta. Al suo posto bisognerebbe inserire la parola “gerarchia”. Gerarchia naturale fra la politica e la morale. Gerarchia sovrannaturale fra il potere (politico) della società e la parola di Gesù ed i sacramenti che Egli ha dato alla sua Chiesa. Non si riesce a capire come la dottrina di Cristo-Re possa trovare spazio in questa ambigua dichiarazione del Cardinale. Dottrina abbandonata? Abbandonata da chi? In ogni caso non a partire dalla Rivoluzione Francese, semmai dopo (molto dopo) questa Rivoluzione. La dichiarazione del Cardinale si chiude con questo ammonimento: «Il progetto per la Chiesa del XXI secolo non può essere quello di ricostituire la Chiesa del XIX Secolo». La Chiesa del XIX secolo non merita questo disprezzo. Era la Chiesa che inviava i missionari francesi nel mondo intero, mentre la Chiesa del XXI secolo avrebbe piuttosto bisogno di riceverne. Quello che conta, quello di cui noi abbiamo bisogno, non è quello che da un secolo all’altro cambia nella Chiesa, bensì quello che attraverso i secoli non è mai cambiato e non cambierà mai, malgrado tutti i tentativi di volerci far evolvere verso un altro cristianesimo.
Andrea Gallo, “cane randagio con la rabbia”
di Piero Nicola
Don Andrea Gallo, Come un cane in chiesa – Il Vangelo respira solo nelle strade, Ed. Piemme. Me l’ha regalato un amico di famiglia, forse conoscendomi poco, forse per scherzo. L’avevo buttato là, in attesa di eliminarlo. Ma un altro amico che dovrebbe conoscermi meglio, e che ha ricevuto lo stesso dono nel medesimo scambio di regalucci natalizi, mi ha consigliato di leggere il libello del parroco genovese noto per le sue… stravaganze: ci avrei trovato delle proteste che mi appartenevano, che avrei condiviso.
Così l’interesse suscitato ha potuto più del criterio.
“Le parole di Gesù sono sovversive, indomabili, rivoluzionarie […] Mi ritengo un partigiano del Vangelo […] Proprio in virtù del Vangelo che amo, mi permetto talvolta di fare un po’ il ribelle […] per richiamare […] a un ascolto più attento del messaggio universale dell’uomo [u minuscola] di Nazareth”.
Fin da principio e senza volerlo, l’autore svela la sua parzialità, che porta all’omissione e diventa radice dell’errore: “Ho scelto […] le pagine più radicali e scandalose dei quattro Vangeli, quelle […] a cui mi aggrappo da sempre”.
Quindi ci informa che sta “portando in giro per i teatri d’Italia uno spettacolo su Girolamo Savonarola” intitolato Io non taccio. “Dopo tante repliche, il grande frate predicatore mi è entrato nella pelle e mi sento anch’io un po’ come lui: un ‘cane in chiesa’”.
Sorvolo sulla Chiesa intesa soprattutto come ecclesia “assemblea del popolo di Dio che dà voce a tutti i suoi componenti”, talché: nessuna “remissività di fronte al potere, compreso quello ecclesiastico”, se la coscienza comanda di opporsi ad esso.
Il libro è impostato su dodici citazioni di insegnamenti del Messia, posti in testa ad altrettanti capitoli. Il primo reca la dicitura Il giorno del giudizio.
Cristo discrimina le pecore dai capri, secondo che abbiano soccorso gli affamati, i forestieri, gli ignudi, gli infermi, i carcerati, oppure no. Tutto bene. È lo spunto per biasimare “una certa concezione edulcorata e buonista del cristianesimo”. D’accordo. Finché don Gallo lamenta che ci si ostini “a presentarci Gesù uomo bello, alto, biondo e con gli occhi azzurri”. Ma che c’è di male, dico io? Invece, a sentir lui, Egli poteva assomigliare a Gandhi, poteva essere uno zoppo.
Poche righe, e siamo al centro della morale cattolica. Una volta fustigata la “sorta di reverenza bigotta” non contemplata dal Vangelo, egli sostiene che “le parole di Gesù […] maledicono tutti coloro che non lavorano per la giustizia sociale e il bene comune […] Gesù si scaglia contro gli indifferenti, i menefreghisti, gli operatori di iniquità. Li chiama maledetti”.
Tutto abbastanza esatto. Ciononostante la confusione ha preso l’avvio. Per il fedele il dovere della carità è affatto diverso dal dovere, bensì caritatevole, di chi esercita una responsabilità inerente il “bene comune”. La Scrittura, con San Paolo, lo dice a chiare lettere: le potestà civili (ma anche quelle della Società gerarchica avente il vertice Pietro), disposte da Dio, hanno il compito di provvedere l’ordine sociale. Ne consegue che i reggitori, come tali, sono tenuti a una giustizia che tiene conto delle maggiori conseguenze, e non può perdonare e rimettere i debiti come spetterebbe al singolo devoto nei riguardi dei suoi fratelli. I reggitori saranno giusti davanti a Dio castigando e premiando così da beneficare l’intera comunità. Del resto, i detti e le parabole del Salvatore concordano. Il re, il padrone adottano debitamente un procedimento che non sarebbe misericordioso per l’individuo cristiano. Ed anche questi non sarà indulgente al di fuori della sfera privata. Quando la sua azione concerne la Chiesa e lo Stato, deve uniformarsi alle loro autorevoli ed eque disposizioni. Rammentiamo l’obbligo di non dar scandalo, di non prestare consenso agli eretici e a chi diffonde errori che corrompono i fratelli. Gesù crocifisso non perdona il ladrone che, a differenza dell’altro, evita di ricredersi dopo averlo oltraggiato (“Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo” Mt. 27, 44). Gli offesi, i diseredati, i sofferenti non sono per questo resi immuni o assolti dalle colpe.
Elencando le malefatte dei maledetti ipocriti, don Gallo accusa quelli che urlano contro i poveri immigrati che hanno invaso l’Italia. Eh, liquidare così questa faccenda manda fuori strada! Certo molti cattolici peccano verso di loro per mancanza di buon cuore. Ma, in generale, il fenomeno dell’immigrazione ha ben altro aspetto. Più volte, abbiamo considerato la Patria sacrosanta, sacra quasi come lo è la famiglia, e sempre riconosciuta tale dalla Chiesa; per non dire della nazione ebraica del Vecchio Testamento, dagli israeliti altrettanto difesa e conservata fino ai giorni nostri.
Di nuovo, abbiamo una priorità d’ordine civile che impone deduzioni: lo straniero venga ospitato ed, eventualmente, assimilato quale cittadino della Patria (di cui condivida storia, costumi, religione), dunque soltanto a giuste condizioni, che assicurano il rispetto di ospite o la sua sufficiente integrazione.
Questi presupposti oggi sono affatto postergati, e non ha torto l’italiano che intenda farli valere.
“Lavorare per una più equa distribuzione dei beni è una forma di culto e di rispetto nei confronti della Creazione”. “La terra avrebbe frutti in abbondanza per tutti”.
Il “culto” è dovuto a Dio e, come dulia, agli angeli e ai santi. L’osservanza morale è altra cosa. Detto questo, il necessario criterio da seguire don Gallo lo tralascia. Anzi, sottintende il socialismo condannato che distribuisce in base ai bisogni, invece del meritevole acquisto dei beni, del giusto profitto, della giusta mercede e delle provvidenze per i bisognosi: il tutto, all’occorrenza, garantito dallo Stato.
Conferma: “Questa straordinaria pagina evangelica [quella del giudizio divino che premia i caritatevoli] riafferma, fra l’altro, che siamo tutti discendenti della stessa stirpe umana, che siamo fratelli […] Quando restituiamo [sic] al prossimo il pane, la casa, la dignità, rendiamo culto e onore al genere umano, oltre che alla madre terra”.
“Chiunque compie il bene sarà salvo, anche se non ha mai sentito parlare di Dio o del Cristo”.
Siamo all’eresia (fortuna per lui che l’Autorità ecclesiastica non gli oppone formalmente la verità!). Questa proposizione ha una immediata conseguenza: si può fare il bene e salvarsi senza il Battesimo e la Grazia ricuperata con i Sacramenti. L’eccezione di chi riceve la Grazia e la conserva senza battesimo e osservanza cattolica, così che può compiere il bene salvifico, diventa la regola: quella dell’errore di Pelagio, ripetutamente condannato dalla Chiesa, e purtroppo oggi diffuso come credenza in voga.
“I cristiani si sono appropriati indebitamente di Gesù. Il suo messaggio etico di giustizia e di amore è per tutti, nessuno escluso, e ci fa crescere in umanità”.
In altri termini: i cristiani peccherebbero affermando che chi non entra nella Chiesa si perde. Inoltre, chi sta fuori potrebbe giovarsi del Vangelo ignorandovi il richiamo di Cristo a far parte del suo gregge.
“Mi rifiuto di credere che c’è un Dio-amore che manda suo figlio a salvare solo una ridotta parte dell’umanità”.
A questa asserzione e obiezione è stato risposto nei secoli dogmaticamente che si oltraggia il Signore pretendendo di dare legge alla sua infinita Sapienza e Provvidenza.
“Nessun gesto d’amore gratuito, per quanto nascosto o ignorato, andrà perduto o sarà dimenticato nell’eternità”.
Con questo boccone gettato agli ignoranti disposti ad abboccare, si getta a mare un tesoro di dottrina. Il succo sta nel catechismo: senza essere in Grazia di Dio l’uomo merita troppo poco per essere assolto e avere accesso al Purgatorio. Ma è implicito che don Gallo non vuol saperne di dogmi e di catechismo.
“Una storiellina sul mio ex cardinale di Genova, Giuseppe Siri”: Giovanni XXIII, il papa buono, va in cielo dove ci sono “buddisti, atei, musulmani, ebrei e popoli di ogni religione”, perché Dio “accoglie tutti indistintamente”. Il nuovo venuto chiede, a tale proposito, che cosa sia quella torre che si para davanti a loro. San Pietro risponde di lasciar perdere: si tratta d’una torre di avvistamento, e “tu non puoi visitarla, sei troppo vecchio, non c’è l’ascensore”. Ma il papa desidera vedere che cosa essa nasconda, e scopre “uno che gioca al pallone da solo”; riconosce in lui Giuseppe Siri, vuole salutarlo. “San Pietro gli dice: ‘Lascialo stare, è convinto di essere in Paradiso da solo’”.
A questo punto (pag. 17) chiudo il libro. Il mio tempo è contato, devo farne economia e non vado avanti.
Idiozia clericale.