Come riporta il “Foglio” del 12 giugno 2012, in un articolo di Rodari, Sr. Furst si è così espressa: “Prendiamo la questione del diaconato per le donne: perché non deve essere possibile che delle donne vengano incaricate e ordinate per questo incarico nella chiesa? Perché le si esclude? E’ la paura delle gerarchie, che le donne si avvicinino troppo al presbiterato, o addirittura alla funzione di vescovo”. Ma non c’è solo sr. Furst. Anche suor Rita Giarretta di recente ha tuonato contro il maschilismo nella Chiesa. Ma è davvero così? Già Giovanni Paolo II accusava certe religiose di alimentare un femminismo esasperato e dannoso, in un momento in cui in altri Paesi occidentali le donne cattoliche e le stesse suore impegnate vanno ricercando la via di “rivendicazioni” più realistiche e invitata a ben distinguere fra i diritti civili e umani di una persona e i diritti, i doveri, il ministero e le funzioni che gli individui hanno o godono all’interno della Chiesa. L’esempio di Maria e di altre sante.
di Tea Lancellotti, da Papale Papale (15/01/2012)

Kunigunde Furst non è il nome di uno yogurth, di un frullato o di una birra… ma è il nome di una suora francescana, appartenente ad una diocesi austriaca. Non una suora qualunque: la Furst è, infatti, superiora generale delle francescane, di un istituto di Diritto Pontificio (perciò maggiormente responsabile) ma anche dottore in teologia. Questa religiosa sta impegnando di recente – e non poco – la Congregazione per la Dottrina della Fede per le sue recenti uscite non solo poco ortodosse, ma proprio eretiche. Tanto che, seppur francescana, potremmo associarla forse più al francescanesimo eretico di Pietro Valdo (da cui derivano i Valdesi) che non al povero santo patrono di Assisi, della cui vera fede ortodossa abbiamo già scritto: qui e qui. Sia il sito che l’articolo non si occupano di anticipare quelle giuste sentenze ecclesiali che verranno, ma ci par ragionevole approfondire l’argomento riguardo al tema “suore di oggi” e chiederci il perché di certa inquietudine, cosa vogliono alcune di queste sorelle e dove pretendono di arrivare.
CHE VUOLE? IL SACERDOZIO PER LE DONNE O, COME MINIMO, IL DIACONATO FEMMINILE

Sr. Kunigunde Furst
Come riporta il “Foglio” del 12 giugno 2012, in un articolo di Rodari, Sr. Furst si è così espressa: “Prendiamo la questione del diaconato per le donne: perché non deve essere possibile che delle donne vengano incaricate e ordinate per questo incarico nella chiesa? Perché le si esclude? È la paura delle gerarchie, che le donne si avvicinino troppo al presbiterato, o addirittura alla funzione di vescovo”. E alla domanda se le donne debbano essere ammesse al presbiterato, la suora risponde: “Posso immaginare che sia possibile, anche se non per ogni donna. Le cose cambiano. Le religiose sono sempre state viste come domestiche del clero. Ma noi non ci consideriamo più domestiche del clero, e lo diciamo anche”. O qui c’è malafede oppure sr. Furst ha cambiato Chiesa. Ciò che lei “può immaginare” glielo lasciamo con gioia, ma non è ciò che la Chiesa insegna. Ora, non è questo lo spazio adatto per una lectio sul tema: tuttavia, è sufficiente chiarire alcuni punti per comprendere l’eresia della suora. In sintesi: – Al presbiterato la Chiesa latina accosta il carisma del celibato, senza eccezione, mentre il diaconato sanziona la stabilità nello stato di vita al momento dell’ordinazione (il diacono celibe deve rimanere tale, lo sposato se rimane vedovo, non può accedere a nuove nozze). Per il diaconato “permanente” invece, la Chiesa accetta e tollera quelli sposati, ma le condizioni permangono le stesse anche per loro: se rimasto vedovo, non può accedere poi a nuove nozze. Il diacono non deve mai tendere ad imitare il presbitero perché egli riceve un mandato che lo legittima ad un “ministero specifico” a servizio di chi ha bisogno nelle comunità. Il diaconato, dunque, ha le sue radici, fin dal primo secolo, nell’organizzazione ecclesiale del presbiterio a servizio del Vescovo e del presbitero stesso, ma soprattutto è suo il servizio specifico della carità. A Roma, nel sec. III, periodo delle grandi persecuzioni dei cristiani, appare la figura straordinaria di san Lorenzo, arcidiacono del papa san Sisto II e suo fiduciario nell’amministrazione dei beni della comunità. Di san Lorenzo dice il nostro amato Papa Benedetto XVI: “La sua sollecitudine per i poveri, il generoso servizio che rese alla Chiesa di Roma nel settore dell’assistenza e della carità, la fedeltà al Papa, da lui spinta al punto di volerlo seguire nella prova suprema del martirio e l’eroica testimonianza del sangue, resa solo pochi giorni dopo, sono fatti universalmente noti” (omelia nella Basilica di san Lorenzo, il 30.11.08). La sacramentalità del diaconato va compresa nella prospettiva unitaria del sacramento dell’Ordine. Un diaconato al femminile c’era, è vero, ma già nel secolo X questo non veniva più praticato in tutta la Chiesa, sia da Oriente quanto in Occidente, ed in verità non era mai stato appoggiato dalla Chiesa fin dal secondo secolo.
GIOVANNI PAOLO II ERA STATO CHIARO: SI’ ALLE DONNE, NO AL FEMMINISMO NELLA CHIESA
orniamo ora alla disobbedienza di queste suore. Il problema non è solo Sr. Furst, ma anche tutta una associazione di suore statunitensi aderenti alla Leadership conference of women religious (Lcwr), la cui battaglia contro i vescovi e Roma è aperta, conclamata. Queste, di recente, hanno ricevuto una condanna da parte della CdF a riguardo delle loro idee stravaganti sull’etica, sulla morale e sui ministeri. Iniziata già con Paolo VI, l’inquietudine di certe religiose e laiche si era meritata l’attenzione di Giovanni Paolo II. Su un articolo di Avvenire del 1993 leggiamo: “Il Papa riceveva ieri in visita ad limina i vescovi americani delle province ecclesiastiche di Baltimora, Washington, Miami e Atlanta. Ancora una volta Giovanni Paolo II ha ripetuto il suo fermo no ad ogni ipotesi di aprire alle donne le porte del sacerdozio, come continuano a reclamare molte femministe degli Stati Uniti. Nello stesso tempo, e per la prima volta in modo così esplicito, ha accusato certe religiose di alimentare un femminismo esasperato e dannoso, in un momento in cui in altri Paesi occidentali le donne cattoliche e le stesse suore impegnate vanno ricercando la via di “rivendicazioni” più realistiche. In un discorso, il pontefice ha affrontato due temi particolarmente delicati: il ruolo della donna nella Chiesa e la corretta concezione del rapporto fra sacerdozio ordinato e sacerdozio comune, quello cioè dei fedeli. La Chiesa – ha affermato – considera i diritti della donna un passo essenziale verso una più giusta e matura società ed essa non può non far proprio questo giusto obiettivo. Ma ha voluto puntualizzare che nella Chiesa vi sono dei limiti. E per indicarli, ha preferito lamentarsi del clima di insoddisfazione che alcuni circoli cercano di rafforzare contro la posizione della Chiesa sul problema femminile ed in particolare sul sacerdozio delle donne, ormai accettato nel mondo anglicano e da altre Chiese cristiane negli Stati Uniti. Giovanni Paolo II ha invitato a ben distinguere fra i diritti civili e umani di una persona e i diritti, i doveri, il ministero e le funzioni che gli individui hanno o godono all’interno della Chiesa. Una ecclesiologia manchevole, ha affermato, può facilmente condurre a presentare false questioni o a sollevare false speranze. Ciò che è certo è che la questione non può essere facilmente risolta attraverso un compromesso con un femminismo che si polarizza lungo linee aspre e ideologiche. Non è solo il fatto che alcune persone reclamano un diritto per le donne di essere ammesse al sacerdozio nella sua forma estrema. È la stessa fede cristiana che rischia di essere compromessa – ha sottolineato Papa Wojtyla, concludendo – Sfortunatamente questo tipo di femminismo è incoraggiato da alcune persone nella Chiesa, comprese alcune religiose i cui atteggiamenti, convinzioni e comportamenti non corrispondono a ciò che il Vangelo e la Chiesa insegnano. Spetta ai vescovi affrontare la sfida che persone con queste convinzioni rappresentano ed invitarle ad un sincero e onesto dialogo sulle aspettative delle donne nella Chiesa“.
LE MANIE ECCLESIALI ANNI ’70 E LE PESANTI RICADUTE DI UN CERTO ECUMENISMO

Margaret Farley
Non c’è dubbio che, come l’amico Mastino sottolineava parlandomi di Suor Furst, assistiamo ad un “terribile, risibile anacronismo clericale di questa fraseologia usata oggi con 40 anni di ritardo e creduta avvenieristica, ma in realtà è solo una riproposizione delle frasi fatte delle veterofemministe anni ’70″. Del resto, come abbiamo appena visto, il beato Giovanni Paolo II denunciava “un femminismo” strisciante, incoraggiato da “alcune persone nella Chiesa”, che inesorabilmente giunge a compromettere la fede della Chiesa e che avanza con comportamenti che non sono in linea né con l’insegnamento del Vangelo, né con l’insegnamento della Chiesa stessa nel suo Magistero. Questa mania anni ‘70 della discussione su tutto, sullo stile delle manie assembleariste sterili post sessantottine nelle università, continua a produrre divisione ecclesiale. Mi si conceda però di fare un appunto che ci porta alla radice di certe contestazioni, nelle quali non c’entra solo il femminismo. A causa di una falsa ermeneutica sull’ecumenismo, che è meglio chiamare “ecu-mania” e che ha imperversato fino a qualche anno fa, siamo stati spettatori impotenti di fronte a certe immagini davvero catastrofiche come quelle in cui Giovanni Paolo II celebrava i solenni Vespri ecumenici anche alla presenza di vescovi donne. Questo ora con Benedetto XVI non avviene più, ma non c’è dubbio che la fascinazione di certe adunanze ecumeniche abbia dato forza e linfa alle rivendicazioni di queste suore già ammalate di femminismo. Tuttavia è bene ricordare che laddove Giovanni Paolo II ha dato delle testimonianze dubbie e persino fuorvianti (non dimentichiamo che spesso il Papa è messo davanti al fatto compiuto specialmente in questi incontri), non si può criticare il suo ricco Magistero dentro il quale, e senza mezze misure, si condanna ogni lettura femminista della dottrina cattolica e dove si ribadisce la condanna all’Ordinazione femminile.
LA SUORA: ESPRESSIONE VISIBILE DEL “Si’” DI MARIA. NESSUNA RIBELLIONE E DISOBBEDIENZA PREVISTE
Vi è da aggiungere una certa inadeguatezza e sguaiatezza intellettuale di certe religiose che vorrebbero fare la voce grossa da “affrancate”. Sono stata cresciuta dalle suore e confesso che oggi, certe pretese e certa disinvoltura intellettuale da parte di queste religiose moderniste-femministe davvero non le comprendo! C’è stato in molte di loro un grave cambiamento che sta pregiudicando il carisma dei fondatori o fondatrici degli ordini religiosi a cui appartengono. Io mi ritengo ancora fortunata per la testimonianza di santità di ieri e di oggi che ho potuto cogliere in molti membri della mia amata congregazione domenicana e che si riscontra in altri ordini religiosi, ma è proprio per questo che non si può tacere il danno di una sr. Furst o quello che sta provocando l’Associazione delle religiose ribelli in America e che provocano quanti, nella Chiesa, la sostengono! Dice il Papa: “La Chiesa è stata sempre riformata dalla santità, non dalla ribellione”. La suora, proprio perché ha come modello principale ed assoluto la Beata Vergine Maria, non ha alcun diritto di ribellarsi alla Chiesa: non essendo affatto obbligata ad essere una religiosa ed una cattolica, meglio ancora che se ne vada via se non si trova più a suo agio nella vocazione che liberamente ha scelto. Del resto, cosa è la vocazione religiosa? Di solito si risponde che è una chiamata di Dio e in parte è vero, ma c’è di più: alla radice, c’è un rapporto materno particolare ed unico con il Signore. Papa Paolo VI a chi gli chiese “perché farsi suora di clausura?”, rispose: “È necessario che ci siano al mondo persone che trattino il Signore da Signore”. La monaca di clausura (queste si svilupparono quasi contemporaneamente ai monaci per dedicarsi esclusivamente alla vita contemplativa) è colei che ha avuto la chiamata di vivere alla lettera il messaggio evangelico. Essa ha Maria quale modello di vita silenziosa e nascosta, tuttavia mai oziosa e mai distaccata dalla missione terrena del Figlio. La monaca di clausura è presente nella vita di ogni uomo perché il suo umile “SI” si è fuso nel “SI” di Maria: se Maria è in attesa del Figlio di Dio per la salvezza dell’umanità, la monaca di clausura è in “attesa” della rinascita spirituale d’ogni uomo vivendo attraverso e mediante il sacrificio di Gesù sulla Croce. Ecco perché il silenzio, la dura disciplina, l’Eucarestia sono il fulcro della vita claustrale, così come lo sono per tutta la Chiesa, così come dovrebbe esserlo per noi seppur nei modi che ci sono propri. Pochi forse sanno che prima delle suore di vita attiva, furono fondate e presenti nella Chiesa le monache. Lo stesso san Domenico di Guzman, nel lontano 1217, prima di fondare l’Ordine dei Predicatori (i Frati), si prodigò perché fossero presenti le monache di clausura alle quali affidare una interrotta lode a Dio affinché l’opera della predicazione dei frati portasse frutto. Le suore di clausura sono, perciò, “separate” tuttavia mai divise dal resto del mondo, nel silenzio delle loro mura, sono il battito del cuore orante perpetuo della Chiesa; sono la sua linfa, attaccata ai tralci i quali, a loro volta e come ci dice il Cristo, sono attaccati all’intera Vite, cioè Lui stesso, “pietra angolare” della Chiesa e su cui poggiano le sue fondamenta. Famosa e profondamente vera la frase di santa Teresina del Bambin Gesù: “Nel cuore della Chiesa mia Madre, io sarò l’amore”. Altro che contestazione, ribellione, disobbedienza! Le suore (termine latino che significa “sorelle”) di “vita attiva” si svilupparono nel XVI sec. quando l’attività evangelizzatrice della Chiesa cominciò ad espandersi anche nelle terre d’oltre Oceano. Molti fondatori e fondatrici di queste congregazioni femminili provenivano dai monasteri o dalle comunità Terziarie degli ordini religiosi, dopo aver ottenuto dal Pontefice la dispensa e la benedizione di prodigarsi in una forma, allora nuova per la Chiesa, più impegnativa perché riguardava le attività caritative e l’insegnamento. Fino ad allora erano i laici aggregati alle Confraternite o agli Ordini Terziari ad occuparsi delle attività caritative affiancandosi, appunto, ai sacerdoti spesso diventati poi fondatori e santi.
DOMESTICHE DEL CLERO? TUTTI SIAMO CHIAMATI AL SERVIZIO
Ma c’è un’altra frase di Sr. Furst, già riportata, che va spiegata. Dice la suora: “Le religiose sono sempre state viste come domestiche del clero. Ma noi non ci consideriamo più domestiche del clero, e lo diciamo anche”. Non conosco la fondatrice o il fondatore della Congregazione a cui appartiene, ma so per certo che questo termine “domestiche” non corrisponde al vero. O c’è mala fede o c’è ignoranza. Semmai è il presbitero che si fa servo delle comunità recandosi dalle monache per confessare, celebrare la Santa Messa, amministrare loro i Divini Sacramenti: senza tale servizio come si alimenterebbero le monache? A cosa servirebbero? Certo, nei monasteri si preparano le ostie che poi serviranno per la Messa; loro stesse per mantenersi lavorano preparando le casule e altri accessori per la liturgia: per fare questo, però, ricevono un compenso (non lavorano mica gratis) e molti conoscono l’opera delle loro mani attraverso la preparazione di liquori, miele, unguenti e creme salutari, ecc.. Io sono casalinga da 28 anni e il mio lavoro non è riconosciuto dallo Stato, ma da Dio, da mio marito e dai miei figli sì; la Chiesa stessa parla della famiglia come di una “chiesa domestica”: eppure, anche in questo caso, esiste oggi una ribellione che potremmo definire domestica. Di questi tempi, le donne si offendono se si sentono dire che sono “a servizio del focolare domestico”; si indignano se si sentono dire che “servire” è proprio delle donne; si arrabbiano se si dice loro che è bello e dignitoso “servire il marito e i figli”. Senza dubbio c’è un esasperato femminismo alla radice di tutto questo. Sarebbe interessante approfondire la tematica in un’altro articolo e parlare così anche dei maschietti, ma qui è indispensabile ribattere a questa frase in modo categorico e senza tentennamenti. Gesù venne “per servire” e il presbitero lo fa attraverso il ruolo che gli è proprio, dando i Sacramenti; la monaca di clausura serve il Signore attraverso atti che le sono propri quali la preghiera, la donazione della propria vita come disse appunto santa Teresa del Bambin Gesù: “Nel cuore della Chiesa mia Madre, io sarò l’amore”; la suora serve il Signore attraverso una maternità che è propria di questo servire i figli rigenerati dalla Chiesa mediante il Battesimo, e lo fa attraverso l’insegnamento, la catechesi, il servizio nelle Case Famiglia – che si occupano di bambini abbandonati, ragazze madri, ecc – e in tutti gli altri compiti in cui sono chiamate secondo la volontà di Dio. Nella consacrazione di ognuna di loro (come anche per noi spose e madri, così come di donne impegnate anche se non sposate) c’è alla base l’essere “servi” proprio sul modello della Beata Vergine Maria che disse: “L’anima mia magnifica il Signore (…) perché ha guardato l’umiltà della sua ancella, d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata…”. Come fa Sr. Furst cantando il Magnificat ogni sera ai Vespri, a pronunciare quella parola “ancella” e poi affermare una balordaggine simile: “…ma noi non ci consideriamo più domestiche del clero”?
SAN FILIPPO NERI SCOPRE LA SUPERBIA IN UNA SUORA

Nella vita di san Filippo Neri si racconta questo fatto che sembra proprio condurci alla superbia di questa monaca: a Roma girava voce di una monaca che faceva miracoli, che era buona, brava, e che guariva i poveri pellegrini che andavano da lei a mendicare una grazia. La voce giunse al Papa il quale volle vederci chiaro e per questo affidò l’incarico a Filippo di recarsi dalla monaca e verificare se ciò che si raccontava corrispondesse al vero. San Filippo vestiva in modo assai povero e giunse dalla monaca non certo in abiti di lusso: in più gli facevano male i piedi e, trovandosi davanti alla presunta miracolante, dopo essersi presentato come prete, le chiese umilmente di aiutarlo a togliersi le bende dai piedi e se poteva, così, dargli un qualche sollievo. La monaca appena vide i piedi del povero santo, sporchi e piagati, con tono superbo gli disse: “Ma cosa pretende da me, io sono la serva del Signore, non sono monaca per pulire i suoi piedi, come si permette?” San Filippo Neri sorrise mentre vedeva la monaca ritirarsi: l’aveva smascherata. Non era affatto una serva del Signore, ma di Satana, e i miracoli che compiva erano patacche. Questo episodio ci porta a dire con tutta onestà, quanta libertà ci sia, invece, nel consacrarsi e nel servire il Signore in tanti modi. Nel nostro caso le suore, le monache, sono per loro carisma, votate ad una autentica libertà che non è altro che un assaggio, ma anche una prova in questo mondo, di quella pienezza promessa da Nostro Signore a chi, lasciando tutto, ma proprio tutto, si fa servo dei servi di Cristo. Vi ricordate chi usava molto questa frase? Santa Caterina da Siena. La patrona d’Italia scriveva: “Io Catharina, serva dei servi (i Presbiteri, i Vescovi, il Papa) di Cristo, nel Suo preziosissimo Sangue, voglio!…”. Come fa una monaca, una suora oggi, a rigettare tale grande chiamata, rifiutare quel “fiat” con il quale la Beatissima Vergine Maria fu la prima serva, correndo dalla cugina Elisabetta per portarle il suo aiuto, per servirla?
È COLPA DEL CONCILIO? NO. ERA GIA’ IN ATTO UNA TRASFORMAZIONE…
Vi prego, non continuate con la solfa “è colpa del Concilio”. Qui il Concilio non c’entra nulla. Paolo VI, nell’omelia del 30 giugno 1967, per la chiusura dell’Anno della Fede e prima di pronunciare il solenne Atto di Fede della Chiesa, disse: “Nel far questo, Noi siamo coscienti dell’inquietudine, che agita alcuni ambienti moderni in relazione alla fede. Essi non si sottraggono all’influsso di un mondo in profonda trasformazione, nel quale un così gran numero di certezze sono messe in contestazione o in discussione. Vediamo anche dei cattolici che si lasciano prendere da una specie di passione per i cambiamenti e le novità. Senza dubbio la Chiesa ha costantemente il dovere di proseguire nello sforzo di approfondire e presentare, in modo sempre più confacente alle generazioni che si succedono, gli imperscrutabili misteri di Dio, fecondi per tutti di frutti di salvezza. Ma al tempo stesso, pur nell’adempimento dell’indispensabile dovere di indagine, è necessario avere la massima cura di non intaccare gli insegnamenti della dottrina cristiana. Perché ciò vorrebbe dire – come purtroppo oggi spesso avviene – un generale turbamento e perplessità in molte anime fedeli.” Scriveva Giovanni Paolo II: “Viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto. E’ per questo che, in un momento in cui l’umanità conosce una così profonda trasformazione, le donne illuminate dallo spirito evangelico possono tanto operare per aiutare l’umanità a non decadere. (…) il mio Predecessore Paolo VI ha esplicitato il significato di questo «segno dei tempi», attribuendo il titolo di Dottore della Chiesa a santa Teresa di Gesù e a santa Caterina da Siena, ed istituendo, altresì, su richiesta dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi nel 1971, un’apposita Commissione, il cui scopo era lo studio dei problemi contemporanei riguardanti la «promozione effettiva della dignità e della responsabilità delle donne». In uno dei suoi discorsi Paolo VI disse tra l’altro: “Nel cristianesimo, infatti, più che in ogni altra religione, la donna ha fin dalle origini uno speciale statuto di dignità, di cui il Nuovo Testamento ci attesta non pochi e non piccoli aspetti (…); appare all’evidenza che la donna è posta a far parte della struttura vivente ed operante del cristianesimo in modo così rilevante che non ne sono forse ancora state enucleate tutte le virtualità” (discorso citato nella lettera apostolica Mulieris Dignitatem di Giovanni Paolo II, n.1). Nella Lettera ai Vescovi dell’allora cardinale Ratzinger, Prefetto della CdF, sulla collaborazione fra l’uomo e la donna, così esordisce: ” Esperta in umanità, la Chiesa è sempre interessata a ciò che riguarda l’uomo e la donna. In questi ultimi tempi si è riflettuto molto sulla dignità della donna, sui suoi diritti e doveri nei diversi settori della comunità civile ed ecclesiale. Avendo contribuito all’approfondimento di questa fondamentale tematica, in particolare con l’insegnamento di Giovanni Paolo II, la Chiesa è oggi interpellata da alcune correnti di pensiero, le cui tesi spesso non coincidono con le finalità genuine della promozione della donna“. Quali sono queste “correnti di pensiero” che non coincidono con l’autentica promozione della donna? Riportiamo i passi salienti dal documento citato:
- ”Una prima tendenza sottolinea fortemente la condizione di subordinazione della donna, allo scopo di suscitare un atteggiamento di contestazione. La donna, per essere se stessa, si costituisce quale antagonista dell’uomo. Agli abusi di potere, essa risponde con una strategia di ricerca del potere. Questo processo porta ad una rivalità tra i sessi, in cui l’identità ed il ruolo dell’uno sono assunti a svantaggio dell’altro, con la conseguenza di introdurre nell’antropologia una confusione deleteria che ha il suo risvolto più immediato e nefasto nella struttura della famiglia.
- Una seconda tendenza emerge sulla scia della prima. Per evitare ogni supremazia dell’uno o dell’altro sesso, si tende a cancellare le loro differenze, considerate come semplici effetti di un condizionamento storico-culturale. In questo livellamento, la differenza corporea, chiamata sesso, viene minimizzata, mentre la dimensione strettamente culturale, chiamata genere, è sottolineata al massimo e ritenuta primaria. L’oscurarsi della differenza o dualità dei sessi produce conseguenze enormi a diversi livelli. Questa antropologia, che intendeva favorire prospettive egualitarie per la donna, liberandola da ogni determinismo biologico, di fatto ha ispirato ideologie che promuovono, ad esempio, la messa in questione della famiglia, per sua indole naturale bi-parentale, e cioè composta di padre e di madre, l’equiparazione dell’omosessualità all’eterosessualità, un modello nuovo di sessualità polimorfa”. Appare evidente che la crisi d’identità della donna e del suo ruolo, contribuisce inevitabilmente anche all’espandersi dell’omosessualità, alla crisi d’identità dell’uomo, ripercuotendosi inevitabilmente sulla Famiglia e sulla società. La chiave di comprensione per affrontare e tentare di risolvere il problema non può non tenere conto del fatto che i ruoli dell’Uomo e della Donna non sono assolutamente concorrenziali o competitivi, ma di collaborazione e completamento delle risorse intellettive ed affettive. La radice di questi problemi va ricercata in quel malsano tentativo della persona umana di “liberarsi” dai propri “condizionamenti biologici” , spiega infatti l’allora cardinale Ratzinger: “Secondo questa prospettiva antropologica la natura umana non avrebbe in se stessa caratteristiche che si imporrebbero in maniera assoluta: ogni persona potrebbe o dovrebbe modellarsi a suo piacimento, dal momento che sarebbe libera da ogni predeterminazione legata alla sua costituzione essenziale. Questa prospettiva ha molteplici conseguenze. Anzitutto si rafforza l’idea che la liberazione della donna comporti una critica alle Sacre Scritture che trasmetterebbero una concezione patriarcale di Dio, alimentata da una cultura essenzialmente maschilista. In secondo luogo tale tendenza considererebbe privo di importanza e ininfluente il fatto che il Figlio di Dio abbia assunto la natura umana nella sua forma maschile”. “L’utero è mio e lo gestisco io” di infelice memoria, nel cuore della protesta femminista degli anni ’60, non ha fatto altro che offuscare il ruolo della donna facendola precipitare in una pietosa solitudine sfociata in una ribellione contro l’uomo. La prima vittima di questa assurda ed incomprensibile rivendicazione è stata proprio la donna stessa, il suo ruolo, la famiglia, la vita umana, i figli concepiti che vengono uccisi (per legge) per rivendicare una libertà che è diventata una autentica schiavitù del nostro tempo. Vittima di se stessa anche la società che ha permesso la deriva dell’irragionevolezza, dell’irrazionalità sull’identità dell’essere maschio e dell’essere femmina. Se è vero che la donna ha dovuto combattere contro una certa misoginia dura a morire, è anche vero che nessuna suora o monaca (ma neppure laica) può accusare la Chiesa di essere misogina, rispondendo ad una sua inquietudine, sollevando la bandiera del femminismo più sfrenato dalla presunzione di azzerare o equiparare, al fine annullandole, l’identità delle persone e dei ruoli.
MA NON C’E’ SOLO KUNIGONDE: SUOR RITA GIARETTA, LA FEMMINISTA

Suor Rita Giaretta
A questo punto vorrei unire una breve riflessione che traggo da un articolo segnalatomi da Claudia Cirami. Si tratta di una “suora orsolina” (tra virgolette perché le orsoline furono tra le prime a togliersi l’abito negli anni ’70): suor Rita Giaretta e la sua (encomiabile per molti aspetti) battaglia in difesa delle donne sfruttate attraverso “Casa Rut”, centro di accoglienza per donne vittime di tratta, di abusi e di violenze. In un recente articolo, la suora rimprovera a don Piero Corsi di aver affisso alla bacheca della Chiesa un volantino, tratto dal sito Pontifex, che sostanzialmente dice: “Le donne e il femminicidio, facciano sana autocritica. Quante volte provocano!”. E’ vero che la questione non può essere affrontata in un modo simile, rischiando di diventare una nota stonata dal momento che la maggior parte delle donne vittime della violenza maschile non sono quelle che provocano o vanno in giro “svestite”. E’ vero, tuttavia, che suor Rita reagisce da femminista oscurando il fatto che questa frase, seppur infelice in un contesto in cui le donne subiscono e vengono uccise, porta con se un fondamento di verità. Come possiamo dimostrarlo? Lo abbiamo fatto con quanto è stato detto fin qui, ma possiamo aggiungere (e lo faccio da donna, sposa e madre di due figli, maschio e femmina) il famoso proverbio che “l’occasione fa l’uomo ladro”. Questo non giustifica la violenza e spesso la morte che le donne subiscono, ma nessuno con un po’ di onestà intellettuale può negare che oggi esista una grave provocazione al femminile che parte dal vestire (o forse meglio dire dallo svestirsi), fino a descrivere comportamenti provocatori da parte delle donne del nostro tempo. Porto un esempio pratico di cui sono stata testimone, in cui due donne sono al tempo stesso una la vittima, l’altra la colpevole quanto l’uomo (Adamo ed Eva peccarono insieme): marito e moglie felicemente sposati, con due figli, il più piccolo ha appena compiuto un anno. La mamma si occupa a tempo pieno dei due figli e il marito va a lavorare. Tutto bene, tutto normale, quando, di punto in bianco, il marito le annuncia di avere una amante e decide di andarsene. In breve la provocante donna (non italiana) fa girare la testa al maschio di turno padre di famiglia, noncurante del suo impegno e delle sue responsabilità familiari e spinge l’uomo a lasciare tutto quello che aveva costruito fino a quel momento. Certo, la colpa è dell’uomo che non ha saputo tenere le responsabilità assunte, ma come definire questa donna? E come non citare le affermazioni di una pornostar che dal pulpito di un altare ha osato dire che se i mariti vanno a prostitute o lasciano le mogli è perché queste donne (solitamente italiane) non sarebbero in grado di far “impazzire” i propri mariti? Perché scrive a Don Piero Corsi e non al parroco che ha fatto parlare delle pornostar dall’altare contro le mogli ree di non essere in casa delle prostitute per i propri mariti ed incapaci di numeri da pornostar? Ci sono persino affermazioni dalle lobby omosessualiste le quali sostengono che l’80% degli uomini sposati in verità sarebbero omosessuali nascosti, vittime delle donne megere e “cattive”…. o che le suore sarebbero lesbiche mancate o incapaci di vivere la propria omosessualità, e qui mi fermo per carità cristiana!
LA CHIESA MASCHILISTA? CRISTO HA SCELTO GLI UOMINI COME CAPI, CARA SUOR RITA…
Suor Rita denuncia: “Ma davanti a questo spettacolo una domanda mi rode dentro: dove sono gli uomini, dove sono i maschi? Poche sono le loro voci, anche dei credenti, che si alzano chiare e forti. Nei loro silenzi c’è ancora troppa omertà, nascosta compiacenza e forse sottile invidia. Credo che dentro questo mondo maschile, dove le relazioni e i rapporti sono spesso esercitati nel segno del potere, c’è un grande bisogno di liberazione”. La domanda è pertinente e la condividiamo, ma suor Rita non può chiudersi esclusivamente dal suo punto di vista elencando le donne solo come vittime. Senza togliere nulla alla sua comunità attraverso la quale ha salvato e salva centinaia di donne vittime però di situazioni ben diverse da quelle descritte nella frase incriminata, resta palese che sbaglia quando scrive: “Parole, queste (lettera sopra citata), che sento oggi con forza di rinnovare e di rivolgere non solo a don Piero Corsi, ma a tutto il mondo maschile, e soprattutto alla mia Chiesa, che purtroppo dal punto di vista istituzionale è ancora fortemente maschilista…”. Ci risiamo: il tarlo femminista colpisce ancora, alla suora “le rode”: la Chiesa – secondo lei – è maschilista dal punto di vista istituzionale! No, non ci siamo, cara suor Rita! Se “le rode”, non si scagli sulla Chiesa. La sua fondatrice – con la sua luminosa testimonianza – dovrebbe rammentarle che l’istituzione della Chiesa non è umana ma divina. Non è maschilista l’Istituzione, mentre lei ha assunto liberamente, in questa Chiesa, un atteggiamento femminista, pronta ad attaccare la Chiesa nella sua legittima gerarchia generata al maschile da Cristo in persona. Le rammento che la Chiesa ha anche una sua parte femminile, rappresentata benissimo e in primis da Maria, ma la Vergine Santa, Madre di Dio, non ha mai accusato il Figlio di aver dato alla Chiesa una gestione al maschile!
SUOR RITA “RAZZOLA” BENE, MA “PREDICA” MALE…
Suor Rita è una buona suora, intendiamoci, e fa questo “lavoro” da 16 anni a Caserta, in un centro di accoglienza chiamato Casa Ruth. Il giorno dell’inizio lo ricorda perfettamente. Era l’8 marzo 1997: «Con due volontarie andai sulla strada dove sapevo c’erano queste ragazze per portare loro un fiore. No, non era una mimosa, era una piccola piantina di primule, un messaggio vitale, con il quale volevamo segnalare la nostra vicinanza. Hanno capito e ci hanno chiesto di incontrarci. Abbiamo visto i segni della tortura, i tagli sul loro corpo e la paura. Ne avevano tanta. Erano schiave. Come donna e come consacrata non ho potuto tirarmi indietro. Abbiamo fatto spazio nella nostra comunità e abbiamo accolto la prima ragazza. Si chiamava Vera, era polacca. Aveva sul corpo e sulla testa le ferite e i segni della violenza. Poi ne sono venute altre e la nostra struttura è diventata più grande. Oggi abbiamo tre appartamenti nel centro di Caserta». Ma suor Rita va ben oltre il suo ruolo di buona samaritana verso le donne vere vittime, e attacca la Chiesa, e questo non possiamo accettarlo: “O ancora oggi i seminari sono prevalentemente luoghi chiusi, riservati ai soli maschi – docenti e animatori – mentre le figure femminili presenti sono unicamente di contorno, con servizi generici: cucina, lavanderia, pulizie? Quale idea di donna può elaborare e coltivare un futuro sacerdote che è formato a vivere e a sentire il ruolo sacerdotale come un ‘privilegio sacro’ riservato unicamente al genere maschile? Mi auguro che la mia chiesa, di cui mi sento parte viva, possa sempre più aprirsi alla luce di Cristo per vivere in novità di vita il Vangelo nel quale, come afferma S. Paolo nella lettera ai Galati: “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, perché tutti siete uno in Cristo”, che significa tutti uguali in dignità…”. Fa bene suor Rita a dire “la mia chiesa” perché di fatto sta descrivendo la sua immagine di Chiesa, come la vorrebbe: ai suoi piedi, ai piedi delle donne, femminista. Temo che questa suora non conosca assolutamente il mondo maschile, o sembra addirittura schifarlo, o assoggettarlo alla mentalità di questo tempo. Abbiamo già detto sopra che il sacerdote presta un servizio unico ed indispensabile per i monasteri: senza il sacerdote la donna, la suora consacrata, non riceverebbe alcun sacramento. Che male c’è dunque se delle donne prestano il proprio servizio ai futuri sacerdoti? Pensiamo alla Casa Pontificia, di Giovanni Paolo II prima e di Benedetto XVI oggi, è gestita dalle donne, religiose consacrate con l’altro Papa e consacrate laiche con Benedetto XVI: non c’è altro da aggiungere. Infine l’ interpretazione di Suor Rita riguardo alla frase paolina è davvero meschina. Tra uomo e donna, la dignità è uguale, non il ruolo! Non ci vuole una laurea per capire la differenza. Ma suor Rita fa finta di non scorgerla. Anche l’ultimo prete della più sperduta parrocchia ha pari dignità con il Pontefice e il loro sacerdozio è il medesimo: anzi, spesso, sono più santi certi parroci del Papa stesso, ma questo non li pone sullo stesso piano nel ruolo. Fare la donna delle pulizie è dignitoso quanto fare l’impiegato, ma non sono uguali. Ma questo vuol dire solo che c’è bisogno delle pulizie e c’è bisogno dell’impiegato: non è discriminazione, è costatazione.
UOMINI E DONNE IN TUTTE LE PARTI DEL MONDO SONO VITTIME DELLE TANTE SCHIAVITU’ NATE DAL PECCATO

Ricordiamo, inoltre, che esiste anche una schiavitù al maschile: specialmente bambini venduti come schiavi per la prostituzione e la vendita degli organi, o costretti a diventare soldati, imbracciare fucili, armi, e ad uccidere. Ricordiamo anche la schiavitù dei cristiani, quando le donne vengono violentate e gli uomini mutilati e torturati prima di essere uccisi. Un caso emblematico è quello di Giuseppe, cristiano sudanese la cui triste storia è stata denunciata due anni fa dalla Lega italiana dei diritti dell’uomo. Catturato dai predoni musulmani del Nord nel suo villaggio a sette anni, fu venduto come schiavo (come migliaia di donne e bambini cristiani) a un padrone musulmano, il quale un giorno, irritato, l’ha torturato e crocifisso a un tavolaccio di legno. Storie terribili come quelle di catechisti mutilati e sacerdoti ai quali vengono tagliate le mani perché non possano più celebrare l’Eucaristia. In questi casi è la schiavitù del mondo che li uccide nella loro scelta alla vera libertà, mentre i casi qui trattati nell’argomento, riguardano le donne schiave o del femminismo, e quindi di una ideologia, o rese schiave dall’erotismo del mondo.
GESU’ RISORTO APPARVE ALLE DONNE, MA NON NE FACCIAMO UNA BANDIERA PER RIVENDICARE
Quindi alla domanda di suor Rita: “Quale idea di donna può elaborare e coltivare un futuro sacerdote che è formato a vivere e a sentire il ruolo sacerdotale come un ‘privilegio sacro’ riservato unicamente al genere maschile?” basta rispondere: e quale idea di donna dovrebbe elaborare e coltivare un figlio maschio o una figlia femmina che vengono cresciuti in una casa dove la madre fa la casalinga e il padre magari è un militare? Ma che domande sono? Il “privilegio sacro” esiste e lo ha istituito Nostro Signore, per questo i sacerdoti rei di gravi peccati rischiano direttamente l’Inferno e sono giudicati con maggiore severità, proprio perché “hanno ricevuto di più“…. ma suor Rita lo legge tutto il Vangelo o solo quello che le fa comodo? Marta e Maria le dicono nulla? Infine, conclude suor Rita: “Anche oggi risuona il grande annuncio di vita e di speranza consegnato da Gesù alle donne: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ed esse, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri” (Lc 24,5-6)”. Si, è vero il messaggio fu consegnato alle donne, ma le chiavi per la gestione di questo annuncio che le donne dovevano portare agli Apostoli infatti, sono state consegnate a Pietro e al Collegio degli Apostoli, non alle donne! Perciò, cara suor Rita, si metta l’anima in pace: continui ad occuparsi delle donne bisognose – “i poveri li avrete sempre fra voi” – e lasci la gestione dottrinale a quel Collegio al maschile istituito da Nostro Signore Gesù Cristo, e prenda a modello la Madre di Dio! Come siamo ben lontani dall’insegnamento di santa Teresina del Bambin Gesù, Dottore della Chiesa, quando insegnava: “Nel cuore della Chiesa, mia Madre, io sarò l’Amore“, che non significa altro che mettersi a servizio dell’uomo, della Chiesa e della stessa società con quel ruolo materno che Dio ci ha dato. «Quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno» diceva la beata Madre Teresa di Calcutta. Ma vogliamo riportare almeno il nome di suor Miriam Stimson, domenicana, la biologa che individuò i meccanismi del Dna, sopranominata la suora della doppia elica. Una donna che ha speso la sua vita tra la clausura e il suo laboratorio di chimica, che, conciliando la creazione e le teorie sull’evoluzione di Darwin (non le strumentalizzazioni e speculazioni interpretative), ha saputo coniugare il difficile rapporto tra fede e scienza e soprattutto ha contributo alla scoperta del XX secolo: la doppia elica del Dna. E con essa ha individuato l’origine genetica del cancro, imponendosi magistralmente sull’ambiente scientifico maschile degli anni ’50.
DONNE MAI PROTAGONISTE DELLA VITA DELLA CHIESA. NO, CARE RIBELLI: NON E’ COSI’. DA ILDEGARDA…
Dal settembre 2010 al febbraio 2011 il santo Padre Benedetto XVI ha tenuto una serie di catechesi dedicate alle donne nel Medioevo, donne che hanno fatto grande la Chiesa e che hanno avuto un ruolo, a volte anche determinante, nella società del proprio tempo. Certo, il Papa parla di donne impegnate nella Chiesa, diventate sante, donne di preghiera e consacrate, ma non è da sottovalutare la loro biografia nel sociale. Nel presentare la figura di santa Ildegarda, che è diventata di recente Dottore della Chiesa, ebbe a dire: “Su questa grande donna profetessa, che parla con grande attualità anche oggi a noi, con la sua coraggiosa capacità di discernere i segni dei tempi, con il suo amore per il creato, la sua medicina, la sua poesia, la sua musica, che oggi viene ricostruita, il suo amore per Cristo e per la Sua Chiesa, sofferente anche in quel tempo, ferita anche in quel tempo dai peccati dei preti e dei laici, e tanto più amata come corpo di Cristo (…) Con l’autorità spirituale di cui era dotata, negli ultimi anni della sua vita Ildegarda si mise in viaggio, nonostante l’età avanzata e le condizioni disagevoli degli spostamenti, per parlare di Dio alla gente. Tutti l’ascoltavano volentieri, anche quando adoperava un tono severo: la consideravano una messaggera mandata da Dio. Richiamava soprattutto le comunità monastiche e il clero a una vita conforme alla loro vocazione. In modo particolare, Ildegarda contrastò il movimento dei cátari tedeschi. Già da questi brevi cenni vediamo come anche la teologia possa ricevere un contributo peculiare dalle donne, perché esse sono capaci di parlare di Dio e dei misteri della fede con la loro peculiare intelligenza e sensibilità, queste donne parlano anche a noi oggi“. Nella figura di queste e tante altre donne impegnate nella Chiesa, vediamo come la fede e l’amicizia con Cristo creino il senso della giustizia, dell’uguaglianza di tutti, dei diritti degli altri e aumentino l’amore e la vera carità.
…PASSANDO PER BRIGIDA DI SVEZIA…
Nel presentare l’opera di un’altra santa, Brigida di Svezia, il Papa scrive: “A Roma, in compagnia della figlia Karin, Brigida si dedicò a una vita di intenso apostolato e di orazione. E da Roma si mosse in pellegrinaggio in vari santuari italiani, in particolare ad Assisi, patria di san Francesco, verso il quale Brigida nutrì sempre grande devozione. Finalmente, nel 1371, coronò il suo più grande desiderio: il viaggio in Terra Santa, dove si recò in compagnia dei suoi figli spirituali, un gruppo che Brigida chiamava “gli amici di Dio”. Durante quegli anni, i pontefici si trovavano ad Avignone, lontano da Roma: Brigida si rivolse accoratamente a loro, affinché facessero ritorno alla sede di Pietro, nella Città Eterna…”
… A CATERINA DA SIENA, SOLO PER CITARNE ALCUNE
Supplica che, come sappiamo, si realizzò con l’operato di un’altra donna, santa Caterina da Siena, della quale scrive il Papa: “La dottrina di Caterina, che apprese a leggere con fatica e imparò a scrivere quando era già adulta, è contenuta ne Il Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina, un capolavoro della letteratura spirituale, nel suo Epistolario e nella raccolta delle Preghiere. Il suo insegnamento è dotato di una ricchezza tale che il Servo di Dio Paolo VI, nel 1970, la dichiarò Dottore della Chiesa, titolo che si aggiungeva a quello di Compatrona della città di Roma, per volere del Beato Pio IX, e di Patrona d’Italia, secondo la decisione del Venerabile Pio XII. (..) Molti si misero al suo servizio e soprattutto considerarono un privilegio essere guidati spiritualmente da Caterina. La chiamavano “mamma”, poiché come figli spirituali da lei attingevano il nutrimento dello spirito. Anche oggi la Chiesa riceve un grande beneficio dall’esercizio della maternità spirituale di tante donne, consacrate e laiche, che alimentano nelle anime il pensiero per Dio, rafforzano la fede della gente e orientano la vita cristiana verso vette sempre più elevate. (..) Viaggiò molto per sollecitare la riforma interiore della Chiesa e per favorire la pace tra gli Stati: anche per questo motivo il Venerabile Giovanni Paolo II la volle dichiarare Compatrona d’Europa: il Vecchio Continente non dimentichi mai le radici cristiane che sono alla base del suo cammino e continui ad attingere dal Vangelo i valori fondamentali che assicurano la giustizia e la concordia. “ La lista delle donne che resero grande la Chiesa e la società stessa, è lunga e vi invitiamo a scoprirla. Certo è che Sr. Furst e l’associazione delle religiose americane contestatrici, non faranno mai grande la Chiesa e neppure la società. Régine Pernoud, la storica francese già direttrice degli archivi nazionali di Parigi i cui libri hanno tirature da bestseller, sfata una leggenda, un mito sulle donne: altro che “secoli bui”, nel medioevo, ci sono donne a capo di conventi, maggior età a 14 anni, predicatrici di crociate che leggono il Corano, educatrici, severi moniti per la corruzione del proprio tempo, contro la corruzione del clero, contro la disobbedienza di preti e vescovi, richiami per il ruolo del Pontefice, amministratici sagge e prudenti. Quando parla del Medioevo si infervora e come darle torto!?
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Queste monache di oggi, queste suore, dovrebbero forse riscoprire non soltanto la vita dei propri fondatori, ma soprattutto il valore del silenzio, quello della preghiera, del senso del sacrificio, della virtù del pudore, della prudenza, dell’obbedienza; insomma riscoprire la propria vocazione. Se non vogliono questa vita, c’è sempre la zappa, ci sono tante imprese di pulizia… con tutto il rispetto per le donne delle pulizie delle quali ben conosco il duro lavoro e sacrificio! La vita monacale o religiosa, seppur pregna di sacrifici, austerità, disciplina, in fondo, è davvero una pacchia rispetto alla vita di tante donne costrette con la violenza alla strada, o costrette dalla sorte a dover faticare, a causa delle persecuzioni, persino per pregare. Certo, la vocazione è una chiamata – “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”, dice Gesù – ma a noi resta se accogliere questa chiamata o voltarle le spalle, se accettarla e poi tradirla oppure usarla per santificarci. Vero è che quando si smette di pregare e di predicare Cristo Crocefisso, ogni vocazione finisce nello slogan dell’ “utero è mio e lo gestisco io”! C’è solo un modo per raffreddare certi calori: pregare e tacere, faticare e accontentarsi, essere felici del ruolo che Dio ci ha dato. Chi accetta questa “chiamata” non ha alcun diritto di modificarla, e questo vale per la vita consacrata quanto per la vita coniugale. Mi piace concludere con quanto segue e che vuole essere un modesto consiglio per queste suore e per queste monache, e per quanti nella Chiesa, inconsciamente o spudoratamente le sostengono: “Abbiate memoria di Cristo crocifisso, Dio e Uomo (…) – conclude Benedetto XVI usando le parole di Santa Caterina da Siena – ponetevi per obietto Cristo Crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso” (Epistolario, Lettera n. 16: Ad uno il cui nome si tace).”