Tsunami spirituale: apostasia conclamata

di Giovanni Zenone (05/02/2013)

La Chiesa italiana si prostituisce a Monti. L’Osservatore Romano anche. Famiglia Cristiana fa pubblicità agli invertiti. La Cei fa grandi piani pastorali per offrire le chiese ai nemici  di sempre (nostri e della nostra fede), per trasformare le nostre parrocchie in moschee. Spende centinaia di milioni di euro in bubbole o per aiutare gli invasori mentre i suoi figli languiscono in difficoltà spaventose. Il mio Vescovo mi licenzia dall’insegnamento cattolico perché la fedeltà alla retta fede è incompatibile col “dialogo” e perché dirigo Fede & Cultura (hanno messo per iscritto che una delle mie colpe è proprio la mia attività “pubblicistica” sic), la nota casa editrice cattolica troppo “integralista” nella fedeltà ai principi non negoziabili e alla Fede Cattolica così com’è. La Cei spaccia una nuova traduzione della Bibbia e stampa nuovi testi liturgici – che tutte le parrocchie devono comperare a carissimo prezzo – con gravi errori di traduzione che, guarda caso, vanno nella direzione del politicamente e teologicamente corretto, cioè dell’eresia. (Avete visto come hanno ridotto il Padre Nostro? Con quel gravissimo errore “non ci abbandonare nella tentazione” che fa a pugni con la traduzione tradizionale rigorosamente conforme al greco e al latino. Persino le traduzioni protestanti non sono arrivate a tanto!). La Messa è diventata un cabaret di basso bordo. I preti e vescovi omosessuali si coprono e sostengono a vicenda emarginando il clero sano, e occupano quasi tutti i posti di potere nella Chiesa (Verona docet). Dal pulpito si sentono bestialità per le quali in tempi migliori si veniva arsi al rogo. I Vescovi “si arrangiano” calando le braghe davanti al mondo e alle sue ideologie, tranne 5 o 6 in tutta l’Italia. Come salvare la nostra fede? Come salvare quella dei miei figli? Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna, ma non le sentiamo più, perché chi ce le dovrebbe annunciare è figlio e padre di don Abbondio.

Andrea Gallo, “cane randagio con la rabbia”

di Piero Nicola

Don Andrea Gallo, Come un cane in chiesa – Il Vangelo respira solo nelle strade, Ed. Piemme. Me l’ha regalato un amico di famiglia, forse conoscendomi poco, forse per scherzo. L’avevo buttato là, in attesa di eliminarlo. Ma un altro amico che dovrebbe conoscermi meglio, e che ha ricevuto lo stesso dono nel medesimo scambio di regalucci natalizi, mi ha consigliato di leggere il libello del parroco genovese noto per le sue… stravaganze: ci avrei trovato delle proteste che mi appartenevano, che avrei condiviso.

Così l’interesse suscitato ha potuto più del criterio.

“Le parole di Gesù sono sovversive, indomabili, rivoluzionarie […] Mi ritengo un partigiano del Vangelo […] Proprio in virtù del Vangelo che amo, mi permetto talvolta di fare un po’ il ribelle […] per richiamare […] a un ascolto più attento del messaggio universale dell’uomo [u minuscola] di Nazareth”.

Fin da principio e senza volerlo, l’autore svela la sua parzialità, che porta all’omissione e diventa radice dell’errore: “Ho scelto […] le pagine più radicali e scandalose dei quattro Vangeli, quelle […] a cui mi aggrappo da sempre”.

Quindi ci informa che sta “portando in giro per i teatri d’Italia uno spettacolo su Girolamo Savonarola” intitolato Io non taccio. “Dopo tante repliche, il grande frate predicatore mi è entrato nella pelle e mi sento anch’io un po’ come lui: un ‘cane in chiesa’”.

Sorvolo sulla Chiesa intesa soprattutto come ecclesia “assemblea del popolo di Dio che dà voce a tutti i suoi componenti”, talché: nessuna “remissività di fronte al potere, compreso quello ecclesiastico”, se la coscienza comanda di opporsi ad esso.

Il libro è impostato su dodici citazioni di insegnamenti del Messia, posti in testa ad altrettanti capitoli. Il primo reca la dicitura Il giorno del giudizio.

Cristo discrimina le pecore dai capri, secondo che abbiano soccorso gli affamati, i forestieri, gli ignudi, gli infermi, i carcerati, oppure no. Tutto bene. È lo spunto per biasimare “una certa concezione edulcorata e buonista del cristianesimo”. D’accordo. Finché don Gallo lamenta che ci si ostini “a presentarci Gesù uomo bello, alto, biondo e con gli occhi azzurri”. Ma che c’è di male, dico io? Invece, a sentir lui, Egli poteva assomigliare a Gandhi, poteva essere uno zoppo.

Poche righe, e siamo al centro della morale cattolica. Una volta fustigata la “sorta di reverenza bigotta” non contemplata dal Vangelo, egli sostiene che “le parole di Gesù […] maledicono tutti coloro che non lavorano per la giustizia sociale e il bene comune […] Gesù si scaglia contro gli indifferenti, i menefreghisti, gli operatori di iniquità. Li chiama maledetti”.

Tutto abbastanza esatto. Ciononostante la confusione ha preso l’avvio. Per il fedele il dovere della carità è affatto diverso dal dovere, bensì caritatevole, di chi esercita una responsabilità inerente il “bene comune”. La Scrittura, con San Paolo, lo dice a chiare lettere: le potestà civili (ma anche quelle della Società gerarchica avente il vertice Pietro), disposte da Dio, hanno il compito di provvedere l’ordine sociale. Ne consegue che i reggitori, come tali, sono tenuti a una giustizia che tiene conto delle maggiori conseguenze, e non può perdonare e rimettere i debiti come spetterebbe al singolo devoto nei riguardi dei suoi fratelli. I reggitori saranno giusti davanti a Dio castigando e premiando così da beneficare l’intera comunità. Del resto, i detti e le parabole del Salvatore concordano. Il re, il padrone adottano debitamente un procedimento che non sarebbe misericordioso per l’individuo cristiano. Ed anche questi non sarà indulgente al di fuori della sfera privata. Quando la sua azione concerne la Chiesa e lo Stato, deve uniformarsi alle loro autorevoli ed eque disposizioni. Rammentiamo l’obbligo di non dar scandalo, di non prestare consenso agli eretici e a chi diffonde errori che corrompono i fratelli. Gesù crocifisso non perdona il ladrone che, a differenza dell’altro, evita di ricredersi dopo averlo oltraggiato (“Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo” Mt. 27, 44). Gli offesi, i diseredati, i sofferenti non sono per questo resi immuni o assolti dalle colpe.

Elencando le malefatte dei maledetti ipocriti, don Gallo accusa quelli che urlano contro i poveri immigrati che hanno invaso l’Italia. Eh, liquidare così questa faccenda manda fuori strada! Certo molti cattolici peccano verso di loro per mancanza di buon cuore. Ma, in generale, il fenomeno dell’immigrazione ha ben altro aspetto. Più volte, abbiamo considerato la Patria sacrosanta, sacra quasi come lo è la famiglia, e sempre riconosciuta tale dalla Chiesa; per non dire della nazione ebraica del Vecchio Testamento, dagli israeliti altrettanto difesa e conservata fino ai giorni nostri.

Di nuovo, abbiamo una priorità d’ordine civile che impone deduzioni: lo straniero venga ospitato ed, eventualmente, assimilato quale cittadino della Patria (di cui condivida storia, costumi, religione), dunque soltanto a giuste condizioni, che assicurano il rispetto di ospite o la sua sufficiente integrazione.

Questi presupposti oggi sono affatto postergati, e non ha torto l’italiano che intenda farli valere.

“Lavorare per una più equa distribuzione dei beni è una forma di culto e di rispetto nei confronti della Creazione”. “La terra avrebbe frutti in abbondanza per tutti”.

Il “culto” è dovuto a Dio e, come dulia, agli angeli e ai santi. L’osservanza morale è altra cosa. Detto questo, il necessario criterio da seguire don Gallo lo tralascia. Anzi, sottintende il socialismo condannato che distribuisce in base ai bisogni, invece del meritevole acquisto dei beni, del giusto profitto, della giusta mercede e delle provvidenze per i bisognosi: il tutto, all’occorrenza, garantito dallo Stato.

Conferma: “Questa straordinaria pagina evangelica [quella del giudizio divino che premia i caritatevoli] riafferma, fra l’altro, che siamo tutti discendenti della stessa stirpe umana, che siamo fratelli […] Quando restituiamo [sic] al prossimo il pane, la casa, la dignità, rendiamo culto e onore al genere umano, oltre che alla madre terra”.

“Chiunque compie il bene sarà salvo, anche se non ha mai sentito parlare di Dio o del Cristo”.

Siamo all’eresia (fortuna per lui che l’Autorità ecclesiastica non gli oppone formalmente la verità!). Questa proposizione ha una immediata conseguenza: si può fare il bene e salvarsi senza il Battesimo e la Grazia ricuperata con i Sacramenti. L’eccezione di chi riceve la Grazia e la conserva senza battesimo e osservanza cattolica, così che può compiere il bene salvifico, diventa la regola: quella dell’errore di Pelagio, ripetutamente condannato dalla Chiesa, e purtroppo oggi diffuso come credenza in voga.

“I cristiani si sono appropriati indebitamente di Gesù. Il suo messaggio etico di giustizia e di amore è per tutti, nessuno escluso, e ci fa crescere in umanità”.

In altri termini: i cristiani peccherebbero affermando che chi non entra nella Chiesa si perde. Inoltre, chi sta fuori potrebbe giovarsi del Vangelo ignorandovi il richiamo di Cristo a far parte del suo gregge.

“Mi rifiuto di credere che c’è un Dio-amore che manda suo figlio a salvare solo una ridotta parte dell’umanità”.

A questa asserzione e obiezione è stato risposto nei secoli dogmaticamente che si oltraggia il Signore pretendendo di dare legge alla sua infinita Sapienza e Provvidenza.

“Nessun gesto d’amore gratuito, per quanto nascosto o ignorato, andrà perduto o sarà dimenticato nell’eternità”.

Con questo boccone gettato agli ignoranti disposti ad abboccare, si getta a mare un tesoro di dottrina. Il succo sta nel catechismo: senza essere in Grazia di Dio l’uomo merita troppo poco per essere assolto e avere accesso al Purgatorio. Ma è implicito che don Gallo non vuol saperne di dogmi e di catechismo.

“Una storiellina sul mio ex cardinale di Genova, Giuseppe Siri”: Giovanni XXIII, il papa buono, va in cielo dove ci sono “buddisti, atei, musulmani, ebrei e popoli di ogni religione”, perché Dio “accoglie tutti indistintamente”. Il nuovo venuto chiede, a tale proposito, che cosa sia quella torre che si para davanti a loro. San Pietro risponde di lasciar perdere: si tratta d’una torre di avvistamento, e “tu non puoi visitarla, sei troppo vecchio, non c’è l’ascensore”. Ma il papa desidera vedere che cosa essa nasconda, e scopre “uno che gioca al pallone da solo”; riconosce in lui Giuseppe Siri, vuole salutarlo. “San Pietro gli dice: ‘Lascialo stare, è convinto di essere in Paradiso da solo’”.

A questo punto (pag. 17) chiudo il libro. Il mio tempo è contato, devo farne economia e non vado avanti.

Colombia, il gesuita abortista che cita anche (a sproposito) papa Pio XII

da Corrispondenza Romana (02/10/2012)

Manipolando le citazioni del Vangelo, gli insegnamenti conciliari e il magistero di Papa Pio XII, il sacerdote gesuita “reverendo padre” (vedi foto) Carlos Novoa ha espresso il suo personale appoggio alla proposta di depenalizzazione totale dell’aborto in Colombia e ha attaccato la posizione pro-life del Procuratore Generale della Nazione, Alejandro Ordóñez.

Durante una recente puntata del programma “Dos puntos” della rete televisiva colombiana RCN il Padre Novoa è stato presentato come professore titolare dell’Università Saveriana, diretta dalla Compagnia di Gesù (gesuiti) specializzato in Etica. Novoa ha condiviso il tavolo degli ospiti con la lider abortista colombiana Monica Roa, che già nell’ottobre dello scorso anno lo aveva elogiato per il suo appoggio all’aborto.

Nel programma, che è stato ampiamente dedicato alla critica delle azioni di Alejandro Ordóñez e alla possibile depenalizzazione totale dell’aborto in Colombia, sulla quale il dibattimento è già in corso, Novoa ha ripetuto più volte che “il Procuratore travalica l’esercizio della sue funzioni”, poiché esse (le sue funzioni) “non sono di provocare discussioni etiche della più alta complessità. Non spetta a lui, ma alla società civile.”

Per mettere in discussione il lavoro del Procuratore Ordóñez – che ha obbedito all’ordine della Corte Costituzionale di rettificare alcune sue recenti attuazioni e che lo scorso 19 settembre aveva ribadito la sua scelta di difendere la vita dal concepimento alla morte naturale – il Padre Novoa è arrivato a dichiarare che “la posizione ufficiale della Chiesa è chiara: negli affari pubblici, della società civile, non si possono imporre posizioni religiose. Non si può imporre posizioni religiose in alcun ambito della vita”.

Il Padre Novoa non si è fermato a questo ma è andato oltre criticando una proposta di Ordóñez: “il signor Procuratore sta proponendo di indire un referendum per proibire l’aborto in qualsiasi circostanza. Ciò – prosegue il P. Novoa – è assolutamente inadeguato. Molti settori della Chiesa Cattolica non sono d’accordo con questo”.

Senza menzionare a chi fa rifermento si è spinto ad affermare che ci sono anche vescovi contrari a questa iniziativa, perché un referendum per proibire l’aborto totalmente “l’unica cosa che otterrebbe sarebbe di esacerbare gli animi. E già c’è tanta esacerbazione degli animi nel paese”. Il Padre Novoa ha poi aggiunto che “con buona pace del signor Procuratore, giacché egli si professa così cristiano, vorrei ricordarle che l’affermazione della Corte Costituzionale che l’aborto sia legittimo quando la salute della madre sta in grave pericolo, è accettata anche dalla Chiesa Cattolica fin dal 1950 in una lettera alle famiglie di Pio XII”.

Anticipando le possibili critiche alla sua posizione, il sacerdote ha affermato che “per non essere colto in fallo, sia chiaro che io non sono d’accordo con l’aborto. Sto solo citando Pio XII”.

Alla domanda se sia giusto l’aborto quando la madre sia in pericolo di vita, il papa Pio XII, di cui è in corso la causa di beatificazione, aveva risposto che “è un errore formulare la domanda con questa alternativa: o la vita del bambino o quella della madre. No, ne la vita della madre, ne quella del bambino possono essere sottomesse ad un atto di soppressione diretta. Sia per l’uno che per l’altra l’esigenza può essere solo questa, fare ogni sforzo per salvare la vita di entrambi, sia la madre sia il bambino”. Dovendo ammettere che i vescovi colombiani non sono affatto d’accordo con la depenalizzazione dell’aborto il padre Novoa ha affermato che “il Concilio Vaticano II invita tutti i credenti a cogliere quelli che chiama i segni dei tempi e il contributo della scienza. E questi segni dei tempi sono che vi è una sensibilità sociale, una scienza medica, una scienza sociale che chiamano alla depenalizzazione dell’aborto”.

 Dopo aver affermato che “ci sono settori che amano manipolare ciò che uno non ha mai detto”, il sacerdote gesuita ha risposto con una sonora risata alla domanda del conduttore se il Procuratore fosse “più papista del Papa” e ha ripetuto ancora che il funzionario “travalica i limiti delle sue funzioni”.

Parlando sulla posizione dell’abortista Roa che conduce il suo dibattito solo con argomentazioni di tipo costituzionale e giuridico, il padre Novoa ha affermato di essere completamente d’accordo con lei e che “questa è la posizione della Chiesa Cattolica”. Per il sacerdote il Procuratore Ordóñez “sta brigando per imporre una posizione etica. In una società multiculturale e multi religiosa l’etica si costruisce con il consenso etico che realizziamo tutti insieme”.

Quando il conduttore del programma ha ricordato che “la rielezione del procuratore è un fatto”, il padre Novoa ha commentato: “purtroppo”.

Alla domanda diretta se appoggia o no la proposta di depenalizzazione totale dell’aborto, il sacerdote ha risposto con due citazioni del Vangelo: “non voglio la morte del peccatore ma che si converta e viva” e ancora la risposta alla peccatrice adultera: “nessuno ti ha condannata? Neppure io ti condanno, va e non peccare più…” “Personalmente non sono d’accordo con l’aborto. È un problema molto complicato. L’origine della vita è molto complicata”, ha proseguito. “Ai miei cari pastori non è gradita la depenalizzazione dell’aborto, però come il Vaticano II ci invita a considerare la scienza, così io tengo a sottolineare che la soluzione all’aborto non sta nei castighi” ha concluso il sacerdote.

Il padre Novoa non è nuovo a posizioni contrarie alla dottrina cattolica. Lo scorso anno scrisse un articolo nel quale manipolava gli insegnamenti non solo del Concilio Vaticano II ma persino quelli di Giovanni Paolo II. Uno scritto che fu elogiato dalla Roa con una sintetica ma forte affermazione: “un toccasana per l’aborto”. Novoa fece anche scalpore nel 2007 quando difese la “crocifissione” della cantante Maria Veronica Ciccone (cosiddetta in arte “madonna”) e arrivò ad affermare che il suo show era un “modello di evangelizzazione” anziché un opera blasfema, rivendicando anche l’uso del nudismo.

In Colombia l’aborto in caso di stupro, malformazione del feto e pericolo di morte per la madre, è già depenalizzato dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 2006. Da allora la lobby abortista capeggiata da Monica Roa, ha ingaggiato una campagna per presentare all’opinione pubblica l’aborto come fosse un diritto. La decisione della Corte, insieme ad una serie di sentenze che minano anche il diritto all’obiezione di coscienza del personale medico, è stata presa senza tenere in alcuna considerazione il fatto che l’80 per cento dei colombiani si oppone all’aborto.
La Roa e la lobby abortista che continuano ad andare avanti nella loro critica al Procuratore Generale Ordóñez per la sue posizioni pro-life possono ora contare anche sulle affermazioni di padre Novoa…

Cristianesimo Cattolico: Diffazione e critica teologica

cristianesimocattolico:

di Padre Giovanni Cavalcoli, da Riscossa Cristiana (22/06/2012)

Uno dei mali del periodo postconciliare, denunciato molte volte da studiosi attenti alle vicende della Chiesa, è la debolezza delle autorità nel correggere gli errori dottrinali, oggi molto diffusi proprio a causa di…

Cristianesimo Cattolico: Diffazione e critica teologica