Aggiornamento: La situazione è inedita. È interessante osservare le reazioni interne ed esterne alla Chiesa passare dall’impatto traumatico e dai peana spesso di maniera ad oggi, col riposizionamento dei vaticanisti ognuno dal suo scranno mediatico e dalla rispettiva sfera di influenza curiale e non. Da qui prosegue la nostra navigazione a vista, decifrando e vivendo quel che ancora incontreremo. Quel che è importante è portare il nostro piccolo contributo perché la decisione di Papa Benedetto non venga strumentalizzata da chi in realtà vuole svuotare il Papato del suo potere e della sua valenza metafisica. E anche per discernere le osservazioni fondate da quelle che i tessitori di trame fanno circolare subdolamente per i loro intenti manipolatori.
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Su La Stampa è appena apparso un articolo di Andrea Tornielli, che sembra uscire dalla melassa sentimental-laudatoria per dare voce ad alcune inquietudini suscitate dalla rinuncia di Benedetto XVI. Esso esordisce col citare tra le poche – almeno finora a quanto ci risulta – voci fuori dal coro per «un atto grave e nuovo che alcuni non capiscono» (G.M.Vian su L’Osservatore). Si tratta delle dichiarazioni del Card. George Pell, ratzingeriano arcivescovo di Sidney [noi ne abbiamo parlato qui]: «Ci potrebbero essere persone che essendo in disaccordo con un futuro Papa potrebbero montare una campagna contro di lui per indurlo alle dimissioni». Pell ha detto che Ratzinger è un brillante teologo, ma anche di preferire qualcuno che sappia condurre la Chiesa. Il porporato australiano ha detto di non credere di essere «papabile», ma non ha escluso la possibilità di essere eletto: «Potrebbe accadere: io sono cattolico, sono un vescovo, sono un cardinale».
E di quelle dell’arcivescovo di Digione Roland Minnerath: «Che cosa è importante nel ministero di un sacerdote, di un vescovo o del Papa? I suoi doni intellettuali o il dono che egli fa di se stesso a Cristo? È non è forse questo il frutto più importante di ogni altra cosa?». Osservando inoltre che introdurre un «criterio di efficienza» è comprensibile e «valido nel governo delle questioni temporali di un capo di Stato. Ma l’esercizio del presbiterato e dell’episcopato è un’altra cosa». Minnerath si è anche chiesto quale sarà adesso lo «statuto» del Papa rinunciatario.
Ed è a questo punto che Tornielli, dopo aver dichiarato che
è fuori dubbio che un «Papa emerito» vestito di bianco, che porta ancora il nome papale, seppur «nascosto al mondo», in preghiera «nel recinto di Pietro», potrebbe risultare in qualche modo un «secondo» Pontefice.
afferma che Benedetto XVI ha cercato ieri di sgomberare il campo, facendo già un anticipato atto di totale e incondizionata obbedienza al successore, chiunque esso sia. Tuttavia questa affermazione è messa immediatamente in correlazione con questa:
Mercoledì scorso nella piazza San Pietro gremita di fedeli, c’erano gruppi di tradizionalisti che issavano cartelli con le scritte «Benedetto XVI di nuovo Papa», auspicando una sua rielezione, come pure «Benedetto XVI, noi saremo sempre con te».
correlandola col fatto che
«sui siti tradizionalisti circolano poi riferimenti apocalittici a rivelazioni e apparizioni».
Nel sottolineare che i siti tradizionalisti – a partire dal nostro – hanno riflettuto su ben altre implicazioni della rinuncia, non vorremmo che queste ‘fiorettate’ preludessero ad una impropria attribuzione, a chi ama la Tradizione, di etichette oscurantiste o di riserve nei confronti del nuovo Papa, che nessuno si è sognato di avanzare.
Fa eco anche il Giornale che oggi, 2 marzo, sull’onda delle stesse “voci autorevoli” citate da Tornielli, riporta:
Sarebbe un modo per garantire la libertà della Chiesa da condizionamenti e pressioni e preservare la sacralità della figura del vescovo di Roma, il vicario di Cristo in terra. Ma la mossa nasconde anche il rischio di ridurre la portata della decisione di Benedetto XVI, facendone un «caso personale» legato alle particolarissime condizioni di Joseph Ratzinger e non un gesto libero e consapevole che affida la Chiesa a chi la guida davvero, cioè Dio stesso. [Cosa che Benedetto XVI ha invece specificato]
In ogni caso, sulle possibili ripercussioni dell’evento e delle sue modalità, si alza un’altra voce autorevole riportata da Sandro Magister sulla problematicità della qualifica di “Papa emerito”, ritenendo più appropriata quella di vescovo, il relazione proprio alla rinuncia alla potestà primaziale. Si tratta de La Civiltà Cattolica, che pubblica un articolo del canonista Gianfranco Ghirlanda. Queste le affermazioni riportate da Magister:
“È evidente che il papa che si è dimesso non è più papa, quindi non ha più alcuna potestà nella Chiesa e non può intromettersi in alcun affare di governo. Ci si può chiedere che titolo conserverà Benedetto XVI. Pensiamo che gli dovrebbe essere attribuito il titolo di vescovo emerito di Roma, come ogni altro vescovo diocesano che cessa”.
E nel capoverso finale:
“L’esserci soffermati abbastanza a lungo sulla questione della relazione tra l’accettazione della legittima elezione e la consacrazione episcopale, quindi dell’origine della potestà del romano pontefice, è stato necessario proprio per comprendere più a fondo che colui che cessa dal ministero pontificio non a causa di morte, pur evidentemente rimanendo vescovo, non è più papa, in quanto perde tutta la potestà primaziale, perché essa non gli era venuta dalla consacrazione episcopale, ma direttamente da Cristo tramite l’accettazione della legittima elezione”.
E ancora, il 21 febbraio scorso, il professor Carlo Fantappiè, ordinario di diritto canonico all’Università Roma Tre, in un’intervista ad ‘Avvenire’, aveva auspicato che come si fece un tempo per “Pietro del Morrone, già Celestino V”, si optasse oggi per analogia con la dizione: “Joseph Ratzinger, già romano pontefice”, formulando alcune puntualizzazioni sull’uso del termine «emerito»:
Sappiamo come chiamare il vescovo che lascia a 75 anni: un tempo «iam episcopus», oggi «emerito», una formulazione né teologica né canonistica, ma mutuata dalla tradizione accademica.
Quindi, per l’eventuale qualifica «vescovo emerito di Roma» :
Se così si facesse, verrebbe accreditata in modo indiretto la teoria che anche il vescovo di Roma a 75 anni dovrebbe presentare le dimissioni. Attenzione, il titolo non è neutro! E sono convinto che non si dovrebbe smarrire la differenza sostanziale tra l’ufficio di un qualsiasi vescovo e quello del vescovo di Roma, dotato di un carisma proprio. Il pericolo è di svilire la funzione unica del ministero petrino. E di trasformare il papato in un ufficio funzionariale e burocratico.