Alla Conferenza stampa di presentazione dell’Incontro Mondiale delle Famiglie (Roma 22-26 giugno), è stato usato il concetto di “famiglia Amoris Laetitia” in opposizione a famiglia naturale, per aprire all’accoglienza di qualsiasi forma di unione, omosessuale in testa. È uno strappo deciso rispetto a quello che è sempre stato l’insegnamento della Chiesa.
Continua a leggere “Dal Vaticano l’apertura alle “famiglie Lgbt””Tag: clerical-pop
Laurent Ulrich, un moderato progressista a Parigi
Nominato da papa Francesco come nuovo arcivescovo di Parigi, mons. Ulrich proviene dall’arcidiocesi di Lilla dove ha individuato come priorità temi quali la sinodalità e i migranti. Si è schierato contro adozioni e unioni omosessuali. Nell’audizione con la Ciase ha individuato nel “clericalismo” una delle cause degli abusi.
Continua a leggere “Laurent Ulrich, un moderato progressista a Parigi”Nuovi preti: sinodali, “moderni”, tutto ma non santi
Ripensare il sacerdozio, questo l’obiettivo del Simposio teologico internazionale progettato dalla Congregazione dei Vescovi e presentato alla stampa dal cardinale Marc Ouellet nel segno dello stare al passo coi tempi e della sinodalità. Nessuno ha parlato della “santità” del sacerdote, la quale, in fondo, è l’unica cosa che conta e che sta alla base anche della soluzione dei cosiddetti problemi concreti.
Continua a leggere “Nuovi preti: sinodali, “moderni”, tutto ma non santi”Il demonio non è semplicemente l’accusatore: è il calunniatore
Sostenere che chi accusa il papa di deviazioni dalla retta dottrina, di ambiguità e di cedimenti al pensiero del mondo (preferisco dire così piuttosto che usare l’espressione generica, e ingannevole, “parlare male del papa”) si comporta come il demonio è inesatto e, diciamolo, pure scorretto.
Continua a leggere “Il demonio non è semplicemente l’accusatore: è il calunniatore”Perché la Gerarchia della Chiesa ormai fa politica diretta
Nel regime di Cristianità non era mai accaduto che il potere ecclesiastico si sovrapponesse a quello politico, se non per certe situazioni contingenti. I due poteri erano distinti e autonomi ma unificati dal rientrare ambedue nella società cristiana, che faceva da cornice e da alimento. Fa molto pensare che, una volta distrutto quel sistema nei secoli della modernità, si sia arrivati oggi ad una postmodernità forse più clericale di quella della vecchia societas christiana.
Continua a leggere “Perché la Gerarchia della Chiesa ormai fa politica diretta”I nuovi princìpi dei vescovi a cui non ci adegueremo
Costituzione, lavoro, democrazia. Dalle parole del presidente CEI, il card. Gualtiero Bassetti, si vede che la lotta dentro la Chiesa ai principi non negoziabili assume strane forme. Ma si dimentica il principio di Dio da cui tutto trae origine. Come non conformarsi a questi nuovi principi non negoziabili.
Continua a leggere “I nuovi princìpi dei vescovi a cui non ci adegueremo”
FFI, Kafka, Curia da’ i numeri…
di Marco Tosatti (03/02/214)
La strana, e per certi versi kafkiana vicenda dei Francescani dell’Immacolata ha vissuto nei giorni scorsi un altro capitolo, che ha messo in rilievo la difficoltà crescente di alcuni pezzi di Curia di chiarire e gestire l’operazione. Il 31 gennaio scorso il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per i religiosi, e il segretario della medesima Congregazione José Rodríguez Carballo hanno tenuto una conferenza stampa.
Alla fine della stessa il segretario Carballo, secondo le agenzie di stampa, dichiarava: “Il commissariamento dei Francescani dell’Immacolata è partito dopo una visita apostolica durante la quale il 74 per cento dei membri ha dichiarato, in forma scritta, un intervento urgente della Santa Sede per risolvere i problemi interni dell’istituto, proponendo o un capitolo generale straordinario, presieduto da un rappresentante del dicastero, o il commissariamento dell’istituto da parte della Santa Sede…”.
I dati che si ricavano dalle risposte a un questionario dato ai frati dal Visitatore Apostolico mons. Todisco danno cifre diverse. Vi rimandiamo a questo articolo per un esame completo, e ci limitiamo a dire che dal computo sarebbero stati favorevoli al commissariamento non il 74 per cento dei frati , ma al massimo il 45 per cento. Diciamo al massimo perché nella risposta il commissariamento era posto in alternativa a un capitolo generale straordinario.
Lasciamo agli amanti del clericalese il pieno godimento della frase finale, secondo cui un commissariamento, tuttavia, “non è mai una punizione per la Santa Sede” bensì una “benevola attenzione che esprime la maternità della Chiesa”.
Ma resta un grande mistero. E’ stato detto nella conferenza stampa che i problemi sulla Messa Antica, cioè la celebrazione secondo il “Vetus Ordo”, “non è assolutamente il motivo principale di tale intervento”. Sarà, ma intanto, per i frati, ci vuole il permesso per celebrare la Messa nel “Vetus Ordo”; ci vuole il permesso per usare il “Rituale Romanum” nella forma antica; ci vuole il permesso per celebrare la liturgia delle Ore nel “Vetus Ordo”. E nella sua lettera di risposta a un articolo, il commissario il cappuccino Fidenzio Volpi, parlava di “deriva cripto-lefebvriana”. Ma il motivo reale per cui un ordine religioso fiorente, fedele al Papa e alla Chiesa è stato ed è trattato con una durezza che ben altri meriterebbero è ancora un mistero. E la non trasparenza delle autorità su questo punto non rende certamente un buon servizio al Papa, e autorizza ogni ipotesi.
© LA STAMPA
Chiare fresche e torbide acque
Nel giorno del Protomartire Santo Stefano abbiamo avuto l’opportunità di leggere le parole del Cardinal Oullet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, in un’intervista riguardo la rinuncia di Benedetto XVI e la seguente elezione di Papa Francesco.
Il punto centrale è stato la positività attribuita dal porporato ai due eventi sopra menzionati, in particolar modo per l’apertura di una nuova strada, resa possibile dalla rinuncia, così come la “svolta pastorale” di Papa Francesco: praticamente una “grazia”, secondo l’intervistato.
Certamente non si può parlare di questi accadimenti, significativi per la Chiesa, in modo del tutto oggettivo, anche perché sono immersi in una coltra di fumo quasi impenetrabile e continuamente arricchita dai media e da diverse opinioni contrastanti.
In questi ultimi mesi se ne sono lette, viste e sentite davvero di tutti i colori in merito, da ambienti differenti quando non proprio opposti.
Il Cardinal Ouellet è dell’opinione che siano stati eventi positivi per la Chiesa, e le sue parole, comunque piuttosto moderate, si aggiungono al coro di voci incessanti che cantano le lodi della rinuncia del vecchio e della venuta del nuovo.
Più che polemizzare su queste posizioni, su queste vedute discordi, è opportuno notare che ben pochi si sono accorti, oggettivamente, del fatto che molti cambiamenti sono pura illusione.
I problemi che erano attribuiti alla Chiesa, problemi quasi del tutto illusori, come l’autoreferenzialità, lo sfarzo, il trionfalismo, le attitudini bigotta e retrograda, sono svaniti come un vago e triste ricordo del passato, eliminati dal vento fresco ed inarrestabile portato dal nuovo Pontefice, che ora fa navigare la Chiesa in acque limpide.
I veri problemi della Chiesa, alcuni di essi attribuiti solamente a scopo mediatico e, dunque, fortemente manipolati, come la pedofilia – punta dell’iceberg della deriva disciplinare e morale di sacerdoti e religiosi -, come la corruzione finanziaria, come il minimalismo riduttivo del messaggio di Cristo, come l’iconoclastia convertita in un nuovo barocco orrido-moderno, sono invece ancora lì, nonostante sitaccia la loro permanenza altamente dannosa.
I pochi che li combattono vengono visti come oppositori del “nuovo corso” di Papa Francesco, osteggiatori delle aperture antidiscriminatorie.
E questi pochi sono discriminati proprio da chi pensa di opporsi ad una presunta discriminazione, nel silenzio o nelle pubbliche piazze.
Non ci si capisce più niente a leggere le interviste ed a seguire le cronache mediatiche; per questo è importante rimanere attaccati a ciò che non può fallire: la preghiera e il retto agire, cristianamente dunque fermamente.
I fedeli non hanno bisogno di illudersi come immagini arcadiche di aria fresca e acqua limpida, soprattutto mentre la Chiesa naviga incerta nelle torbide correnti del mondo attuale.
I fedeli hanno bisogno di punti saldi, di una fede indiscutibile, di pastori chiari con se stessi e con il mondo, di combattere i veri problemi della Chiesa e del mondo.
© Exsurge Domine (27/12/2013)
Il gaudio della resa, ovvero quando i pastori giocano con i lupi
di Nicodemo Grabber (14/12/2013)
Papa Francesco, nella sua celebre intervista alla Civiltà Cattolica, ha dipinto “la Chiesa come un ospedale da campo dopo la battaglia”. Lo ha fatto per invitare i Pastori a “curare le ferite” dei fedeli, lo ha fatto con espressioni accorate: “Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite …”.
Tutti i media hanno sottolineato la volontà papale di deprecare quella che Francesco sembra giudicare una eccessiva attenzione ai precetti morali: “È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti!”. Molto probabilmente questa era l’intenzione soggettiva di papa Francesco nello svolgere l’immagine dell’ospedale da campo ma le parole fissate sulla carta dicono, nella loro oggettività, molto di più. Un di più tragico che interpella ogni cattolico!
Se la Chiesa può essere vista come “ospedale da campo dopo una battaglia”, ciò significa almeno una cosa certa, che siamo in guerra! E che la battaglia coinvolge i cattolici ferendoli gravemente (il fedele a cui la Chiesa deve prestare soccorso è visto come “ferito grave”).
La Chiesa da sempre è stata anche “ospedale” avendo i Pastori, tra i propri uffici, quello di curare le ferite spirituali dei fedeli. Perché allora Bergoglio dice che “oggi” la Chiesa deve essere “ospedale da campo”? Cosa rende così diverso l’oggi? Non la cura dei feriti, che ci fu sempre, ma il non pensare più la Chiesa come città santa fortificata in cui si dia anche l’ospedale, assieme al cattedra, dove si insegna la Dottrina, il Tempio, dove si rende culto a Dio, e le case sicure dove si distende ordinata la vita cristiana. E’ il pensare la Chiesa principalmente, se non esclusivamente, come ospedale, per di più “da campo dopo una battaglia” il proprio di “oggi”. Fuor di metafora, si dice una Chiesa tutta “cura” senza più difesa dell’ortodossia, insegnamento della Verità, centralità del Culto Divino, ortoprassi morale ordinaria. È ancora il Popolo di Dio una realtà così concepita? Un simile “ospedale da campo” sarebbe fedele alla volontà positiva di Cristo fondatore e Capo della Chiesa?
Anche prescindendo da così gravi interrogativi, ci si domanda: è possibile curare veramente lo spirito ferito d’una persona mettendo tra parentesi la Verità, le virtù e il Culto a Dio? Che cura sarà? Forse, piuttosto, non sarebbe proprio una ritrovata fedeltà alla Verità tutta intera creduta vissuta e pregata la migliore, anzi l’unica medicina?
Ma restiamo alla espressione usata da papa Francesco: se c’è guerra ci devono essere almeno due forze in campo nemiche e irriducibili. Nelle parole di papa Bergoglio non è, però, dato individuarle, tanto più che la Chiesa è presentata come “ospedale da campo”, quasi a indicarne il ruolo non belligerante. Allo stesso tempo, però, si parla di “fedeli” cui si devono “curare le ferite” perché feriti gravemente dalla battaglia che imperversa. Ma i fedeli sono Chiesa e quando vengono feriti è la Chiesa ad essere ferita. Dunque la Chiesa sarebbe contemporaneamente “ferito” e medico. Anche combattente? Sembrerebbe di no essendo i feriti, di cui parla Bergoglio, non i cristiani militanti aggrediti dal mondo, piuttosto quanti dal secolo si sono lasciati circuire vivendone le logiche devastanti sul piano individuale, familiare e sociale.
Proseguendo nella lettura dell’intervista si potrebbe ipotizzare che papa Francesco intenda i Pastori come medici dei fedeli feriti. I fedeli sarebbero le vittime della battaglia mentre i Pastori sarebbero chiamati ad essere medici di quelle gravi ferite.
Resta irrisolto il quesito circa l’identità dei combattenti e la natura della battaglia. Il che non è irrilevante.
La Scrittura e la Tradizione parlano della guerra tra Chiesa e mondo, vita di grazia e mortifero peccato, figli di Dio e figli del diavolo (principe di questo mondo), Luce e tenebre. Quel mondo di tenebre che non accolse il Verbo Incarnato rifiuta e combatte anche i rinati in Cristo, combatte la Chiesa e ne odia i figli. Ma…
Se la “battaglia” di cui parla papa Francesco è la battaglia di sempre tra Chiesa e mondo, perché solo “oggi” e non ieri “la capacità di curare le ferite” diviene “la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno”? E poi perché l’ospedale da campo sarebbe una immagine della Chiesa di “oggi” e non della Chiesa di sempre?
Forse perché la battaglia che si combatte oggi è d’una violenza inedita? Probabile ma non sufficiente a spiegare l’immagine.
E poi, perché la Chiesa, i fedeli non sono pensati militanti, combattenti? Se il fedele d’oggi è preso in considerazione in quanto “ferito grave” e non già in quanto miles Christi impegnato nella buona battaglia vuol dire che il mondo ferisce sempre di più mentre la Chiesa ha smesso di combattere!
La Chiesa, poi, è pensata come “ospedale da campo” e non, invece, come ovile sicuro capace di proteggere le proprie pecore, come fortezza inespugnabile dove vivono sicuri i suoi figli; un pensiero, allora, è inevitabile: la battaglia è data per persa, anzi non la si combatte neppure più! Non c’è più ovile, non c’è più la certezza di chi sia pecora e chi sia lupo, il lupo si è travestito da pecora ottenendo cittadinanza nel gregge e quelle pecore coraggiose che non si lasciano ingannare dai lupi sono spesso accusate di essere loro lupi.
Domina uno spirito di resa dove il massimo che la Chiesa può fare è curare i feriti, non certo impedire che i propri figli vengano feriti gravemente. Tanto più che la Chiesa sarebbe “un ospedale da campo dopo una battaglia” a dire che la battaglia c’è stata ed è stata persa, ciò che resta sono i feriti.
Questo è il quadro completo che apertis verbis papa Francesco tace ma le cui parole implicano. Un Popolo di Dio sconfitto che neppure combatte, che ha scelto la resa, ferito gravemente, un gregge malconcio e sbandato. Pastori incapaci di assicurare la pace dell’ovile e la protezione dai lupi, chiamati, ormai, solo a medicare le ferite che martoriano le povere pecore, a suturare le lacerazioni inferte agli agnelli dai morsi delle fiere o dagli spini dei rovi dove i più inquieti tra loro si sono avventurati senza guida, senza pastore.
Dietro l’euforia ottimistica che sembra dominare la comunicazione di papa Francesco si intravvede uno scenario di macerie e feriti, di guerra persa e dolore.
Sorge spontanea una domanda: perché la Chiesa non è più ovile sicuro? Perché i fedeli sono “feriti gravi”? Chi ha divelto la palizzata, chi ha abbattuto i bastioni di difesa? Chi ha permesso che lupi e rovi ferissero il gregge?
Si dirà: i tempi sono questi, tempi di secolarizzazione e di rivoluzione culturale, non era/è più possibile tenere il gregge al sicuro, i bastioni sarebbero ugualmente crollati …. Ma allora si dovrà dire che questi nostri tempi sono tempi di spine e lupi, “tristissima età” come ebbe a definirla il beato Pio IX. L’ottimismo che proclama le “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità deprecando come “profeti di sventura” quegli spiriti lungimiranti e veramente profetici (essi si veramente profetici!) che seppero vedere l’abisso verso cui si dirigeva la modernità, sarà da giudicarsi quanto meno cieco. Non sembra, però, essere la posizione di papa Francesco … e allora?
Se la difesa dei bastioni sociali, culturali e istituzionali non era più possibile, tatticamente si sarebbe potuto optare per la macchia come il clero refrattario nella Francia rivoluzionaria passando da una guerra regolare alla guerriglia, sempre però sapendo che il mondo è nemico e lo spirito della modernità è inconciliabile con la Verità di cui la Chiesa è custode. Clero e laici avrebbero dovuto essere formati per resistere. Non così è stato!
Si sono invece aperte porte e finestre da cui è entrato il fumo di Satana, si sono abbattuti i bastioni di difesa, si è svuotato l’ovile spingendo le pecore verso ignote boscaglie, si è chiesto ai valorosi che ancora erano pronti a combattere per difendere l’ovile di deporre il bastone e di lasciar scorazzare indisturbati i lupi. Tutto questo perché?
Nostro Signore definisce mercenari i pastori che, vedendo arrivare i lupi, abbandonano il gregge. Che definizione dare allora di quanti non si limitano a non difendere le pecore ma addirittura le spingono verso i lupi o conducono i lupi sin dentro l’ovile, magari in nome del dialogo e dopo averne camuffato la pelliccia con posticci velli di pecora? Già l’antico favolista avevano capito come finisce il dialogo tra un lupo ed un agnello! Forse anch’egli era “profeta di sventura” incapace di vedere la bellezza del dialogo?
Ritornando all’immagine dell’ospedale da campo: chi si farebbe curare da un medico che fosse complice di quanti lo hanno ferito? Se il mondo (moderno) ferisce gravemente i fedeli (così dice il Papa), come possono i fedeli feriti, una volta compresa la causa delle proprie piaghe, fidarsi di medici che non cessano di rincorrere quel mondo e di adeguarsi ad esso? Come possono essere medici gli stessi che, volontari o involontari, esercitano l’ufficio di untori dando continuo scandalo al popolo fedele tanto da aver, di fatto, fatto ammalare l’intero gregge? Come può essere curativa una parola se viene continuamente imbastardita con il veleno che produce il male?
La vera misericordia opera ammonendo i peccatori, correggendo gli erranti, istruendo gli ignoranti. La vera carità pastorale è difendere il gregge dai lupi a costo della propria vita. È ritrovare la pecorella smarrita ma solo per riportarla all’ovile, non certo per condurla in mezzo ai pericoli dopo aver scandalizzato il gregge e devastato l’ovile.
Chi chiamerebbe caritatevole o misericordioso quel tale che, dopo aver lasciato torturare un poveretto, magari anche fraternizzando con gli aguzzini, dicesse al ferito tutto il proprio desiderio di curarlo?
©conciliovaticanosencodo.it
Papa Francesco usato come testimonial in una “Lettera di Natale” post-sessantottina
di Mauro Faverzani (26/12/2013)
Sono 11 i preti del Triveneto, firmatari di una “Lettera di Natale 2013”, sorta di sperticato panegirico a Papa Francesco, cercando però nel contempo di dettargli anche l’agenda prossima ventura. Intendiamoci, nulla di nuovo sotto il sole: è una sorta di manifesto del cattoprogressismo spinto, farcito coi soliti luoghi comuni contro il celibato dei preti ed a favore del sacerdozio femminile.
Quel che stupisce non è il contenuto, quindi, quanto la fonte, ove i reverendi cercano legittimità per i propri mantra: per la prima volta la individuano nello stesso Pontefice. Lo citano, quando definisce «falso profeta» chi affermi di aver «incontrato Dio con certezza totale»; quando invita ad aprire i conventi vuoti ai «rifugiati, che sono la carne viva di Cristo nella storia»; quando si mostra insofferente verso chi parli «di verità assoluta» e verso chi ostenti «un Dio cattolico». Esaltano la sua esortazione apostolica, l’Evangelii Gaudium, quando spalanca a tutti la partecipazione alla vita ecclesiale e specifica come «nemmeno le porte dei sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi». Esultano quando giudica impossibile «l’ingerenza spirituale nella vita personale», quando dice ai fedeli «buonasera», quando si definisce «vescovo di Roma», quando vive a Santa Marta, si prepara da solo il pasto o va in refettorio tra gli altri, quando usa i mezzi pubblici, quando lascia il posto vuoto al concerto in Sala Nervi, quando parla di odor di pecore, di periferie esistenziali e della Chiesa come «ospedale da campo».
Certo, affermazioni che vanno contestualizzate. Ma che non tutti contestualizzano, anzi che molti strumentalizzano. Ciò era talmente evidente ai Pontefici precedenti, da evitare l’utilizzo di formule o atteggiamenti, che si prestassero all’equivoco. Di quanto importante fosse quella prudenza abbiamo indiretto riscontro oggi. Tanto da spingere i sacerdoti firmatari di questa lettera a individuare espressamente in Papa Francesco «un’evidente discontinuità» rispetto ai suoi predecessori. Gli 11 preti firmatari accarezzano il sogno di un nuovo umanesimo, fatto di «dignità» e «diritti», mai di doveri; vagheggiano un ambientalismo dove la «Terra» (con la maiuscola) è chiamata «madre» ed un femminismo d’antan, che reclama che le donne « vivano finalmente in pace» (non si capisce da cosa). Si presentano come “profeti” di una «teologia del popolo di Dio» contro ogni gerarchia e contro ogni autoritarismo, vanno pazzi per chi ami crogiuolarsi in un eterno dubbio metodico, più comodo dell’accoglier la risposta che è Cristo.
In questa fiera del “politicamente corretto”, non stupisce che chiamino il «papa» (con la p minuscola) confidenzialmente «fratello», esprimendogli «gratitudine» già per il nome, definito «una scelta programmatica e impegnativa», ma proponendo poi la parodia del vero San Francesco all’insegna del peggior pauperismo, del pacifismo spinto e di un acritico dialogo ad oltranza –interreligioso e non, anzi meglio ancora se con atei e mangiapreti-, come se Cristo non si fosse presentato in quanto «Via, Verità e Vita» (Gv 14,6), bensì come uno tra i tanti. Sono i rischi, che si corrono a legger troppo “certi” quotidiani e poco la Sacra Scrittura. Così questi nipotini del Sessantotto finiscono per sognare: la trasformazione dello Ior in una sorta di “banca etica”, la nomina degli otto Cardinali come primo passo verso la collegialità nella Chiesa, la riforma della Curia romana quale premessa d’un pluralismo delle teologie e delle liturgie, vagheggiando in un crescendo rossiniano i soliti spot catto-progressisti della «libertà del celibato, ordinazione di uomini sposati, ministero sacerdotale alle donne». Non mancano ovviamente, nella loro lettera, i “cattivi”, individuati altrettanto ovviamente in quei «membri e movimenti legati a una tradizione chiusa in sé stessa» ed in chi voglia «continuare ad utilizzare la religione come mezzo da affiancare ai vari poteri».
Tutte posizioni fortemente ideologiche, è chiaro. Posizioni, tuttavia (e questo fa indubbiamente riflettere), ch’essi proclamano per la prima volta legittimate proprio dalle parole e dai gesti compiuti da Papa Francesco. Persino un autore quale Georg Wilhelm Friedrich Hegel – che col suo storicismo e col suo idealismo generò correnti di pensiero, come il marxismo, che tanto male fecero alla Chiesa ed all’umanità – si rese conto di come nulla vi sia «di più profondo, di ciò che appare in superficie». Del resto, già per Aristotele la forma era sostanza. Tenendo conto dei primi frutti visibili del presunto “nuovo corso” d’Oltretevere, appare chiara allora l’urgenza di un ripensamento.
© CORRISPONDENZA ROMANA