E chi è Galantino per giudicare i cattolici?

In un’intervista il segretario della Cei prende di mira quanti pregano davanti alle cliniche dove si praticano aborti, ma auspica anche un libero dibattito su gay e preti sposati, senza tabù. E allora noi diciamo la nostra. Senza tabù.

di Riccardo Cascioli (14 maggio 2014)

«Io non mi identifico con i visi inespressivi di chi recita il rosario fuori dalle cliniche, che praticano l’interruzione della gravidanza». Da non credere che a pronunciare queste parole sia stato il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, monsignor Nunzio Galantino, in una intervista pubblicata dal Quotidiano Nazionale lunedì 12 maggio (clicca qui).

Abbiamo aspettato 24 ore speranzosi in una smentita, in una dichiarazione che spiegasse magari di essere stato frainteso. Invece niente, bisogna rassegnarsi. Questo giudizio, che denota una mancanza di umanità che ti aspetti solo dal peggiore laicista, è proprio di monsignor Galantino. La lettera della donna che pubblichiamo in Primo Piano (clicca qui) è la migliore risposta: la forza della testimonianza e della preghiera davanti all’arroganza clericale, che parla di misericordia (per i lontani) e dispensa disprezzo (per i vicini).

Ma l’enormità della frase citata in apertura rischia di nascondere una serie di affermazioni di monsignor Galantino che meritano invece di essere messe in evidenza. Intanto, il giudizio tagliente su quanti pregano per la vita fa parte di un discorso in cui il segretario della Cei afferma che a proposito della vita, «ci siamo concentrati esclusivamente sul no all’aborto e all’eutanasia» dimenticando che «in mezzo c’è l’esistenza che si sviluppa». Quindi basta rosari davanti alle cliniche e più impegno «per la qualità delle persone, per il loro diritto alla salute, al lavoro». A parte il fatto che non esiste alcun “diritto alla salute” – casomai c’è un diritto a essere curati, ma è un’altra cosa – bisognerebbe aver chiaro che il diritto all’assistenza e al lavoro sono successivi e conseguenti al diritto alla vita, perché solo chi è in vita ha bisogno di un’occupazione e di medici. Senza considerare che i soldi pubblici spesi per finanziare l’aborto all’interno del sistema sanitario nazionale tolgono risorse per assistere i malati veri.

Solo una astratta visione ideologica può far diluire il diritto alla vita nel diritto al lavoro o nel diritto all’assistenza. La verità è che si preferisce non parlare più di quella cosa politicamente scomoda che è l’aborto. Non a caso monsignor Galantino nell’intervista sembra aver anche timore di pronunciare quella parola: così dice “interruzione della gravidanza” e “quella pratica”, per indicare l’aborto.

Peraltro ci piacerebbe sapere chi sono e dove sono tutti questi vescovi e parroci che in questi anni hanno continuamente parlato di aborto, eutanasia, dottrina morale. Probabilmente ci siamo distratti, ma a noi non vengono in mente. Se Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ne hanno parlato – e non certo esclusivamente – è perché si scontravano con una Chiesa che aveva completamente perso il senso del “Vangelo della Vita”, come del resto l’intervento di Galantino conferma.

Sarebbe bello che il segretario della Cei provasse almeno a riflettere su queste parole della Beata Madre Teresa di Calcutta: «Sento che oggigiorno il più grande distruttore di pace è l’aborto, perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa. […] Perché se una madre può uccidere il suo proprio figlio, non c’è più niente che impedisce a me di uccidere te, e a te di uccidere me».

Ma non finisce qui. Il giornalista domanda qual è il suo augurio per la Chiesa italiana, ed ecco la risposta di Galantino: «Che si possa parlare di qualsiasi argomento, di preti sposati, di eucarestia ai divorziati, di omosessualità, senza tabù, partendo dal Vangelo e dando ragioni delle proprie posizioni».

Non sarebbe meglio invece parlare, senza tabù, di Cristo – come tra l’altro suggerisce papa Francesco – visto che da quarant’anni si sta sempre lì a parlare di preti sposati, comunione ai divorziati risposati e omosessualità?

Visto che anche monsignor Galantino è uno di quelli che ci tiene a recuperare il Cristianesimo delle origini, prendere a modello la Chiesa delle origini, capita a proposito la liturgia di questi giorni che ripropone la lettura degli Atti degli Apostoli. In particolare abbiamo ascoltato il martirio di Stefano e le persecuzioni che ne sono seguite. Ebbene, portato davanti al Sinedrio che già non nutriva particolari sentimenti di simpatia nei suoi confronti, sentiamo come Stefano cerca un dialogo con i lontani, ascolta le loro ragioni non presumendo di avere la verità: «Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, così siete anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete diventati traditori e uccisori, voi che avete ricevuto la Legge mediante ordini dati dagli angeli e non l’avete osservata».

Ci dice san Luca che «all’udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano», dopodiché lo afferrano, lo trascinano fuori città e lo lapidano, mentre Stefano chiede per loro il perdono di Dio. Se oggi celebriamo Stefano come martire è perché né lui né gli apostoli si vergognavano allora di Cristo, andavano all’essenziale non ponendosi troppi problemi sul come farsi accettare dal mondo; davanti alle persecuzioni scatenate come conseguenza dell’atteggiamento di Stefano, non c’è stato un solo apostolo che abbia recriminato sull’atteggiamento inutilmente provocatorio del primo martire, o che abbia detto che in fondo se l’era cercata. E da allora l’esempio di Stefano è stato seguito da tante altre migliaia e migliaia di cristiani, possiamo dire milioni, fino ai giorni nostri.

Ma in Italia, in Occidente, oggi non ci si preoccupa più di giudicare il mondo e la sua resistenza allo Spirito Santo, anzi chi lo fa – magari pregando davanti a un ospedale dove si consumano «delitti abominevoli» – viene sbertucciato dai propri vescovi. Vescovi che invece mettono in cattedra i “gentili” per fare lezione ai cristiani, che imparino dal mondo invece di giudicarlo. Gli unici ad essere giudicati (male) sono i cattolici.

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Tutti a Roma col papa per la scuola. Ma Galantino non ci sta

di Sandro Magister (02/05/2014)

“Tutti a Roma con papa Francesco!”. È questa la parola d’ordine dell’adunata di massa “per la scuola” che la Chiesa italiana ha in programma per il 10 maggio in piazza San Pietro, con la partecipazione dello stesso papa.

Eppure, incredibilmente, quasi alla vigilia dell’evento, il segretario della conferenza episcopale italiana Nunzio Galantino è parso prendersela proprio contro iniziative come questa.

Il 1 maggio, nel discorso con cui ha aperto a Roma la XV assemblea nazionale dell’Azione Cattolica, Galantino ha detto:

“Ma cosa volete che se ne faccia oggi il nostro mondo di una Chiesa che non trova di meglio, in alcune circostanze, che investire energie (troppe energie) per mettere su adunate che hanno ripetutamente mostrato il fiato corto e che alla lunga si sono mostrate assolutamente inconcludenti?”.

E ancora:

“Ma cosa volete che se ne faccia oggi il nostro mondo di una Chiesa impegnata a difendere le proprie posizioni (qualche volta dei veri e propri privilegi) in un mondo che pullula di gente che già fa questo in nome della politica e che, per fortuna, qualche volta viene smascherata ed esposta al ridicolo?”.

È risaputo che proprio la scuola è uno dei cavalli di battaglia della polemica corrente contro i “privilegi” imputati alla Chiesa cattolica italiana.

Ma più verosimilmente Galantino non aveva in mente la scuola, in questo suo squalificare le adunate della Chiesa, ma la famiglia, con primo imputato il “Family Day” del 2007, ultimo atto della presidenza di Camillo Ruini nella CEI e primo atto del suo successore Angelo Bagnasco.

C’è un antefatto che lo prova. Lo scorso marzo, nell’ultimo consiglio permanente della CEI, dopo che il cardinale Bagnasco aveva pronunciato parole fortissime contro “la dittatura dell’ideologia del gender”, dopo che vari membri del consiglio erano intervenuti in suo appoggio, e dopo che lo stesso Bagnasco, nella replica, aveva affacciato l’idea di impegnare allo scopo la Chiesa italiana in un secondo “Family Day”, Galantino, appena all’udire una simile proposta e mentre ancora Bagnasco stava parlando, si agitò dando segni visibili di rifiuto.

Nel successivo discorso all’Azione Cattolica ha come messo per iscritto questo suo dissenso. Senza avvedersi però di travolgere nella squalifica anche l’imminente adunata con papa Francesco per la scuola.

E senza temere di contraddirsi con quanto aveva detto poco prima nello stesso discorso:

“Oggi più che mai, come credenti, veniamo chiamati a dare sempre di più carattere pubblico e testimoniale alla nostra esperienza di fede”.

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Nuovo Centrodestra contraddittorio sui temi etici

Su educazione di genere, omofobia e unioni civili, il Nuovo Centrodestra dice poco o nulla. Non pone quei punti come prioritari nella sua trattativa con il nuovo governo Renzi di cui fa parte. Anzi li considera temi “non conflittuali”.

di Vincenzo Luna (05-03-2014)

Sul cammino del governo appena costituito incombono problemi reali e complessi – dalla crisi politica ucraina alla crisi economica interna – e problemi un po’ più distanti dalla realtà e di peso minimo, come il pedigrée di alcuni sottosegretari. Restano sullo sfondo le questioni eticamente sensibili, per lo meno quanto a lavori parlamentari; invece a livello di azione di governo l’attuazione della “strategia Fornero-Unar”, soprattutto nelle scuole, è pienamente operativa, e sta provocando in tutta Italia disagi fra docenti, genitori e alunni.

In una intervista di qualche giorno fa al Corriere della sera il sen. Gaetano Quagliariello, appena nominato segretario del Ncd, ha spiegato che l’accordo fra Renzi e Ncd “sulle unioni civili sarà un po’ più difficile, ma potrebbe non essere un terreno di rottura”. La frase è breve, fa coincidere i temi etici esclusivamente con la disciplina delle convivenze, e già così non tranquillizza: da un lato non fa neanche lontanamente presagire che i provvedimenti assunti dai governi precedenti, tesi a imporre l’ideologia del gender nelle scuole attraverso la rete LGBT, conoscano ripensamenti. Dall’altro non menzionare nemmeno da lontano il disegno di legge omofobia, approvato alla Camera a settembre e da allora all’esame del Senato: si dà per scontato che debba passare? E perché mai non considerare quel testo problematico quanto e più delle unioni civili? In fondo, le perplessità su di esso sono attestate dal gran numero di emendamenti di merito presentati dai senatori, in primis proprio da coloro che appartengono al Ncd…

Proviamo allora a riassumere i termini della questione, e focalizziamo l’attenzione su Ncd non perché sia il solo a interessarsi in modo positivo di certe tematiche, ma perché, avendo al proprio interno persone sinceramente impegnate nella tutela della vita e della famiglia, oggi garantisce l’esistenza in vita del governo Renzi. Ci si attenderebbe che il presidio di questi fronti mostrasse da parte dell’intero Ncd coerenza e decisione, e invece è accaduto che esso non ha inserito tali questioni fra le priorità nell’accordo che è alla base della costituzione del nuovo governo: avrebbe potuto subordinare l’appoggio a Renzi a una moratoria riguardante questi temi, ma ha preferito puntare sul mantenimento dei ministeri con portafoglio che già aveva. Parlare, a proposito delle unioni civili – che, è bene ricordarlo, nella discussione al Senato viaggiano sul medesimo binario di discussione del matrimonio fra persone dello stesso sesso – di accordo da trovare, senza necessariamente pensare a una rottura, equivale a riconoscere che quella è invece materia di trattativa. Dunque, l’educazione all’affettività con targa LGBT prosegue indisturbata nelle scuole, la legge omofobia va verso il traguardo, e si punta alla mediazione sulle convivenze: è un bilancio soddisfacente?

Venendo a ciò che è oggetto di trattativa, le ipotesi possono essere o un accordo su una via intermedia, ovvero la decisione di non accordarsi, lasciando per intero la parola al Parlamento: in fondo, le iniziative di legge in materia sono tutte di origine parlamentare. Questo vuol dire vittoria a mani basse di Pd e Sel, con possibili voti aggiunti da M5S e da settori di Forza Italia, senza che – per lo meno per queste ragioni – il governo corra rischi: tenendo distinti Esecutivo da un lato e Camera e Senato dall’altra, la ragione starà con i numeri, oggi preponderanti a favore delle leggi più ostili alla famiglia.

In questo quadro la nomina dell’on. Scalfarotto a sottosegretario ha certamente un valore simbolico, che è stato rivendicato dal diretto interessato (cf. l’intervista a Repubblica di sabato scorso: “Sono il primo gay dichiarato ad avere un incarico di governo”). Ma è un valore simbolico non nuovo né originale: da 9 anni una persona che inserisce l’omosessualità nel proprio profilo politico è presidente della regione Puglia; poi è venuto Crocetta in Sicilia, e così via. Probabilmente resterà simbolico: i disegni di legge su omofobia e unioni civili finora sono stati seguiti in Parlamento, per conto del governo, da sottosegretari alla Giustizia, e se l’omofobia tornasse alla Camera Scalfarotto non potrebbe esserne nuovamente il relatore, avendo acquisito un differente ruolo istituzionale, che peraltro lo impegna su altri fronti.

Come è stato per la legge omofobia, che ha rallentato la sua corsa rapida solo quando qualcuno è sceso in piazza per protestare e ha riempito le sale dei convegni per illustrarne il carattere liberticida, così oggi per l’intero “pacchetto” la sola possibilità di indurre a ragionevolezza sta nella mobilitazione diffusa: il che vale in assoluto, e vale in particolare a comunicare a un partito che si dice di centrodestra e sostiene un governo molto a sinistra, che per il suo potenziale elettorato vita e famiglia hanno ancora peso.

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Cattolici e politica, Civiltà cattolica è fuori tempo

Secondo la rivista dei gesuiti priorità dei cattolici in politica è salvaguardare la democrazia. Ma non è per questo che c’è la dottrina sociale. Civiltà Cattolica vuole essere democratica quando gli altri la democrazia l’hanno già mangiata con la dittatura del relativismo.

di Stefano Fontana (11/02/2014)

“Umano, troppo umano”, vien da pensare leggendo come La Civiltà Cattolica intende la presenza politica dei cattolici. Francesco Occhetta S.I. scrive infatti sulla rivista dei Gesuiti del 4 gennaio scorso: «La priorità per il mondo cattolico oggi non può che essere la cura della democrazia in tutte le sue forme; una cura da nutrire con i principi della dottrina sociale della Chiesa e con i principi costituzionali». Beh, devo dire che se essere cattolici nella società e in politica volesse dire questo chiederei subito di essere cancellato dalla lista.

Che la dottrina sociale della Chiesa serva a nutrire la democrazia e non a rendere gloria a Dio ordinando a Lui le cose temporali, riconoscendo che non c’è nessun ambito del Creato sottratto al dominio del Creatore; e, per di più, che la Costituzione della Repubblica italiana debba essere oggetto di fedeltà da parte dei cattolici così come la Dottrina sociale o il Vangelo, mi risulta ripugnante. Potrebbe andar bene per qualche “cattolico democratico” ma la prestigiosa rivista dei Gesuiti non dovrebbe appiattirsi su una sola letteratura cattolica. Anche perché, dopo l’attivismo del suo direttore, padre Antonio Spadaro, il quindicinale di Porta Pinciana ostenta una particolare sintonia con Papa Francesco, complicando non poco le cose.

In ossequio alla democrazia, o per prendersene cura, i deputati cattolici al Parlamento europeo hanno votato per la mozione Lunacek. In ossequio della Costituzione i vari “documenti di Portogruaro” aprono alle unioni civili sulla base non dell’omosessualità dei componenti la coppia, ma dei loro diritti individuali sanciti dalla Costituzione. Nel frattempo, però, gli altri usano la democrazia come arma per demolire l’identità umana e mentre i cattolici si sforzano di essere sempre più democratici, la democrazia sparisce sotto i colpi dell’ideologia gender, che impedisce la democraticissima libertà di parola, la soggettività educativa delle famiglie imponendo alle scuole i nuovi manuali di regime redatti dall’UNAR, e la stessa libertà delle nazioni, ossessionate dalla pressione degli Organismi internazionali. I cattolici arrivano così in ritardo: vogliono essere democratici quando gli altri la democrazia se la sono già mangiata.

E’ una vecchia storia. Dopo la “svolta antropologica” i cattolici hanno deciso che non dovevano più parlare di Dio ma dell’uomo. Nel frattempo, però, l’uomo non c’era più perché gli altri lo avevano distrutto, non per distruggere l’uomo ma per distruggere Dio. La secolarizzazione è un fatto cristiano – si diceva – e quindi i cattolici devono collocarsi sul piano della natura e della ragione, come tutti gli altri, e non della grazia e della fede, altrimenti sarebbero stati integralisti. Poi, però, la secolarizzazione ha distrutto non solo Dio ma anche la natura e la ragione e i cattolici, che nel frattempo avevano fatto un lungo percorso per arrivare proprio lì, non hanno trovato più niente, come Napoleone giunto a Mosca.

Si erano dati lo scopo di proporre non la religiosa centralità di Dio, ma la più democratica “antropologia cristiana”. Solo che spesso dimenticano di proporre l’antropologia dell’uomo redento e propongono invece l’antropologia dell’uomo così come è. Questa antropologia è incapace di salvarsi. Anche l’antropologia, come la democrazia, ha bisogno di redenzione. E come si può proporre l’uomo redento se non proponendo anche Dio e la religione?

Davanti ai nostri occhi si gioca una partita molto grossa: una partita non etica, o legislativa o politica, ma religiosa. Il mondo – sia esso il Comitato dei Diritti del Fanciullo dell’Onu o il Parlamento europeo, qualche Corte internazionale di giustizia oppure qualche singolo giudice – pretende di imporre i suoi dogmi religiosi. Parla dell’uomo, ma per parlare di Dio. Combatte la natura ma per combattere la sopranatura. Lotta per i diritti dell’uomo ma per negare quelli di Dio. Gli interessa demolire la famiglia ma per distruggere la Sacra Famiglia. Queste forze hanno in mente Dio, non l’uomo. La Civiltà Cattolica propone di affrontarle avendo in mente l’uomo e non Dio. Non capire questo punto significa non comprendere il livello dello scontro in atto e archiviare come privi di senso gli insegnamenti di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.

La cultura oggi dominante è debole e relativista. Dice che non si può sostenere nessuna verità Però affida alle Corti di Giustizia, ai Comitati ONU e ai Tribunali ordinari di stabilire, tramite sentenze metafisiche, cosa significhi essere persona, da quando si è persona, cosa sia la vita umana, quando cominci ad esserci, come debba essere la famiglia, cosa sia la morte, cosa significhi educare. Altro che pensiero debole! E’ un pensiero fortissimo, con la stessa valenza assoluta di una religione. E a questi nuovi dèi si vuole che i cattolici reagiscano con un loro pensiero debole? Un pensiero “umano, troppo umano”? Arriviamo in ritardo: abbandoniamo i dogmi per scegliere il dialogo democratico e costituzionale quando gli altri hanno imposto i loro dogmi alla democrazie e alle costituzioni.

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Un tempo si sceglieva il martirio. Oggi il tradimento… però con tanto “dialogo”

Ora che il Moloch omosessualista, in un grandioso disegno egemonico (omosex über alles) mette le mani anche sui bambini, con la complicità degli imbelli governi occidentali, i rappresentanti della nuova civiltà cattolica in liquidazione fallimentare si adeguano, appesi come amebe ai propri filamenti lattiginosi.

di Patrizia Fermani (06/02/2014)

Quando ai cristiani veniva chiesto di adorare l’imperatore, pena la morte, essi scelsero la morte.

Non dissero “questa è una pratica inopportuna, che può turbare un corretto sviluppo delle nostre relazioni pubbliche e non dà spazio ad un confronto costruttivo in una società plurale; non risponde pienamente ai vantaggi offerti dal meticciato, non risponde alle esigenze educative di maturazione di generazioni adulte e consapevoli della ricchezza del dialogo tra diverse realtà esperienziali; bisognerebbe parlarne, magari confrontarsi nel pieno rispetto di tutte le idee, e soprattutto nel rispetto delle persone….”

No. Si fecero sbranare, crocifiggere.

Certo, adorare l’imperatore significava la negazione del primo comandamento. E a prima vista non sembrerebbe congruo paragonarla alle tergiversazioni, ai distinguo, alla esibizione di prudenza e tolleranza (la fortezza non va più di moda dai tempi del Papa buono) con cui da tanto tempo vengono affrontati dentro e fuori la Chiesa, ma sempre sotto il vessillo cattolico, tutti i pericoli che assediano la vita della società e ne minacciano ormai da vicino la stessa sopravvivenza. Pericoli e minacce che hanno a che fare con la violazione di altri comandamenti.

Tuttavia, se si pensa che il primo comandamento riassume in sé tutti gli altri perché questi manifestano quale sia la volontà di quell’unico Dio per l’uomo, ecco che l’accostamento non risulta affatto peregrino. Tanto più che per il momento non si tratterebbe di rimetterci la pelle, ma soltanto una poltrona, un arcivescovado, un posto in qualche congregazione vaticana, uno stipendio di vaticanista al passo coi tempi, o guadagnare l’inimicizia grave di quelle donne colte e illuminate che sputano addosso ad un raro prelato coraggioso, o delle parlamentari dedite a cattolicissime convivenze saffiche.

Ora che il Moloch omosessualista, in un grandioso disegno egemonico (omosex über alles) mette le mani anche sui bambini, con la complicità degli imbelli governi occidentali, i rappresentanti della nuova civiltà cattolica in liquidazione fallimentare si adeguano, appesi come amebe ai propri filamenti lattiginosi.

Senza neppure mostrare la grandezza diabolica del male che si manifesta come tale.

Essi rimangono infatti acquattati dietro alle parole magiche: diritto, libertà, uguaglianza, dignità, e giù a pioggia, che servono a nascondere impudentemente ogni nefandezza sull’esempio ben riuscito del vecchio e beffardo “Arbeit macht frei” che riempiva di comprensibile orgoglio gli ospiti involontari di Auschwitz.

Così approvano il demenziale rapporto Lunacek. I loro nomi sono: Prodi, Toia, Costa, Pirillo e Frigo; Zanicchi, Matera, Patriciello, Ronzulli.

Certo una sedia a Strasburgo, a Bruxelles o a Roma val bene di più di tutto il Decalogo, per non dire degli allegati paolini.

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Diritti gay, gli eurodeputati tradiscono il popolo

A grande maggioranza è stata approvata dall’Europarlamento la Relazione Lunacek, una forma di pressione sui singoli stati per promuovere misure a favore dei gay, inclusi matrimonio e adozione. Arcigay chiede subito all’Italia di approvare la legge sull’omofobia e facilitare i cambi di sesso. Sul voto spaccatura nel Partito Popolare, vota compatto il Partito socialista, compresi gli eurodeputati cattolici del Pd.

di Nicolò Fede (05/02/2014)

394 a favore, 176 contro e 72 astensioni. Questi i risultati del voto del Parlamento europeo che ha approvato la cosiddetta Relazione Lunacek, dal titolo dal titolo «Tabella di marcia dell’UE contro l’omofobia e la discriminazione legata all’orientamento sessuale e all’identità di genere» (clicca qui per i dettagli). Si tratta di un giorno di disonore per l’istituzione che dovrebbe rappresentare gli interessi dei cittadini. Al contrario, ieri è stata approvata una risoluzione progettata dalla lobby gay, inesistente tra i cittadini europei, ma molto potente nei palazzi di Bruxelles e Strasburgo.

Anna Záborská, eurodeputata slovacca del Partito Popolare europeo (PPE), ha parlato di sconfitta dell’assemblea di Strasburgo: «Nel momento in cui i movimenti e le associazioni per la famiglia stanno facendo un eccellente lavoro in Francia e in Europa, il Parlamento europeo fa un passo contro la famiglia». L’amarezza di queste considerazioni aumenta ancor più, se si pensa che lo stesso PPE ha formalmente sostenuto tale progetto di risoluzione, grazie all’attivismo della giovane ed inesperta eurodeputata maltese, Roberta Metsola (in realtà al momento del voto il partito si è spaccato).

Questo sito è stato il primo ad annunciare tale progetto di risoluzione nel novembre scorso (clicca qui). L’iter parlamentare, contrariamente ai tempi biblici della burocrazia europea, è stato sorprendentemente rapido. Come per la relazione Estrela, le lobby sono state ben attive nello spingere l’amministrazione per garantire una procedura snella e senza intoppi. Ma a differenza di Estrela, la signora Lunacek é stata molto abile nel coinvolgere i colleghi degli altri gruppi politici. Inoltre, se la prima aveva inserito il suo preteso diritto all’aborto nell’ambito delle politiche sanitarie (di sola competenza nazionale), la Lunacek ha avuto la scaltrezza di indorare il tutto sotto l’aura della lotta alla discriminazione, di chiara competenza europea e di grande attrattività un po’ per tutti gli appetiti politici.

In questi mesi una mobilitazione senza precedenti si è registrata in tutta Europa, con manifestazioni nelle maggiori città del continente e con una raccolta di firme che ha superato le 210mila adesioni. Il voto di ieri ha riconfermato la distanza esistente tra gli eletti a Strasburgo e i cittadini. Allo stesso tempo, l’alta percentuale di voti contrari e di astensioni conferma che mobilitarsi non è affatto inutile. Ciò è meno evidente che al momento della bocciatura della relazione Estrela. Tuttavia alcuni osservatori hanno già fatto notare che in precedenza questo tipo di risoluzioni passavano inosservate, lasciando le istituzioni comunitarie in balia dei desideri delle lobby anti-vita ed anti-famiglia. Adesso non e più cosi.

Ieri i deputati liberali e delle sinistre che hanno sostenuto la loro collega dei Verdi Lunacek, insieme a tanti loro colleghi conservatori, hanno dichiarato il loro sostegno ad un progetto che fa di private scelte sessuali di alcuni cittadini delle linee guida per le politiche dell’UE. È ciò che ha sottolineato la Federazione delle Associazioni familiari cattoliche (FAFCE) nel suo comunicato stampa: «Qualunque siano le scelte private nell’ambito della sessualità, i diritti fondamentali sono gli stessi per tutti. Non ci dovrebbe essere una categorizzazione dei diritti fondamentali in funzione delle tendenze sessuali». E invece la relazione Lunacek esorta la Commissione europea a realizzare una protezione legislativa speciale per i cittadini con le più svariate differenze sessuali, in nome della non discriminazione, proprio come già avviene per i rom o per i disabili.

E qui sta tutta la pericolosità della relazione Lunacek. Nonostante essa resti giuridicamente non vincolante per gli stati membri (non bisogna smettere di ricordarlo), essa rischia di rappresentare una scusa per la prossima Commissione europea di aprire una discussione su una direttiva in questo ambito, realizzando una “legge Scalfarotto” comunitaria. La principale lobby gay, ILGA Europe, ha già esultato rivendicando la trasversalità politica del voto di ieri.

Ma possiamo aspettarci anche conseguenze immediate a livello nazionale. Per capirlo basta leggere il comunicato dell’Arcigay, il cui titolo non lascia dubbi di sorta: “L’Europa ci dà una road map, l’Italia risponda con provvedimenti concreti”. Flavio Romani, presidente nazionale di Arcigay, così commenta soddisfatto: «Non solo una legge penale contro i crimini d’odio e norme per il riconoscimento delle coppie omosessuali: la gamma di azioni che l’Europa, attraverso il rapporto Lunacek, ci chiede di mettere in campo in tema di diritti lgbti è vasta e spazia negli ambiti più diversi, dal lavoro, alla scuola, ai servizi, al diritto d’asilo. Un sì ad amplissima maggioranza che incassa il sostegno, oltre che del fronte progressista, anche di parte dei popolari. Insomma i diritti delle persone LGBTI in Europa non sono un tema di parte né tantomeno una guerra di bandiera o di religione. Sono piuttosto, e questo il rapporto Lunacek lo spiega perfettamente, la risposta urgente e inderogabile a quel dato registrato dalla stessa Agenzia europea e che misura nel 47% la quantità di persone lgbti in Europa che almeno una volta sono state vittime di discriminazione. Il problema è serio e la risposta che ci viene indicata attraverso la road map è giustamente complessa ed articolata. Di questa risposta fa parte anche l’importante sottolineatura al rispetto della dignità e dell’integrità delle persone transessuali: in particolare, si chiede agli Stati membri in cui ai transessuali è richiesta la sterilizzazione (e l’Italia è fra questi) di rimuovere tale obbligo. La sollecitazione è affinché si riprenda in mano quanto prima la legge 164 per il cambio di sesso e si eliminino i vincoli odiosi che esprime, così come è previsto da diversi progetti di legge già depositati in Parlamento. La politica italiana da sempre fanalino di coda su questi temi, da oggi non ha più alibi: la direzione dell’Europa è tracciata, ora spetta all’Italia rivendicare il proprio ruolo corrispondendo presto e concretamente agli auspici del rapporto Lunacek».

La strada tracciata è chiara, non c’è sicuramente spazio per equivoci. E quindi, con le elezioni europee alle porte è importante tenere presente come si sono comportati quegli eurodeputati italiani che chiederanno il voto ai cattolici. Voto contrario alla Relazione Lunacek è stato espresso da tutti i rappresentanti della Lega Nord e dalla maggioranza di quelli del PPE, con però alcune eccezioni: Iva Zanicchi, Barbara Matera, Aldo Patriciello, Licia Ronzulli. Ma a fare più rumore è senz’altro il voto favorevole di tutti i cattolici eletti nelle liste del PD e presenti ieri a Strasburgo, a cominciare da Patrizia Toia, per poi proseguire con Silvia Costa, Vittorio Prodi, Mario Pirillo e Franco Frigo (era assente David Sassoli). A dire il vero, il voto di questi ultimi non dovrebbe costituire una vera sorpresa vista l’attività pregressa, ma siccome negli ultimi tempi anche il quotidiano della Cei si è dato da fare per valorizzare il loro impegno in chiave di difesa della vita e della famiglia, è bene ricordare da che parte stanno.

© LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA

Corruzione profonda

di Giovanni Zenone

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[Enzo Bianchi è il prototipo del falso cattolico di successo. Onnipresente.]

È doloroso constatare la corruzione profonda e apparentemente irredimibile di certi cattolici del dialogo, di sinistra, della misericordia, democratici e via discorrendo. Gente ormai incapace di verità, rotta ad ogni compromesso con la coscienza retta che hanno ormai silenziato in nome del politicamente e teologicamente o ecclesialmente corretto. Gente incapace di dire apertamente quello che pensa, crede, spera. È il difetto e la colpa che si nota in particolare nei giornalisti di area cattolica e nei preti. In modo sovraeminente nei vescovi. Parlano e scrivono con l’unico fine primario di non urtare chi li potrebbe danneggiare, e come secondo fine hanno di divulgare la sordida ideologia modernista della falsa misericordia che cancella il peccato (proprio) e la necessità del pentimento in favore di un’accoglienza senza condizioni di qualunque comportamento, ideologia, cultura, religione, fuorché quella cattolica autentica. Che è – a differenza del satanico buonismo suddetto – durissima con se stessi e misericordiosa con gli altri. Che mette in primis sì la carità, ma una carità che scaturisce dalla verità, e non dall’accettazione della menzogna. Con persone di questo genere non è possibile alcun dialogo, perché sono corrotti nell’intimo della mente e della volontà, sono incapaci di permanere nella ricerca verità, che è l’unica condizione per poter fare un autentico dialogo. Allo stesso modo che non si può giocare a poker con i bari, e chi lo fa è un cretino destinato a perdere, così non si deve dialogare con chi è intrinsecamente disonesto. Come Giacobbe si separò da Esaù, e andarono uno da una parte e l’altro dall’altra, perché altrimenti si sarebbero ammazzati, così dobbiamo fare con i cattolici di sinistra. Non abbiamo né dobbiamo avere nulla a che spartire con loro. Credo che si possa dire che non adoriamo nemmeno lo stesso Dio e che non partecipiamo agli stessi Sacramenti, perché l’eresia modernista che li avvolge nelle sue spire fa sì che essi non intendano più in essi ciò che la Chiesa intende e vuole. La cosa che mi dà un dolore immenso e mette nella tentazione della disperazione è che i vertici della Chiesa stessa, l’apparato e la gerarchia hanno fatto ormai in gran parte questa opzione ereticale o don abbondiesca. Per conservare la fede si deve ormai vivere di sola fede – a prescindere dai funzionari ecclesiastici – e afferrare la stola del primo prete buono che troviamo per non lasciarla più.

© LA VOCE DI DON CAMILLO BLOG

JFK, il primo “cattolico adulto”

Cinquant’anni fa moriva assassinato a Dallas John Fitzgerald Kennedy, il primo presidente cattolico nella storia degli Stati Uniti. Ma stiamo parlando di un cattolico che predicava la separazione “assoluta” fra Stato e Chiesa e che relegava gli insegnamenti del Magistero alla sola sfera privata.

di Marco Respinti (22/11/2013)

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Il 22 novembre di 50 anni fa moriva, a 46 anni, il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy (1917-1963), vittima, a Dallas, in Texas, di un attentato ancora avvolto nel mistero. La sua giovane età, la sua fine scioccante e l’aura quasi mistica che ne aveva accompagnato l’ascesa alla presidenza ne hanno da subito fatto una sorta di divinità laica: un novello re Artù – come si continua ancora a ripetere – che, dalla Camelot eretta sulle rive de Potomac (la Casa Bianca), inaugurava un’era di pace e di prosperità per le nazioni, continuando tutt’ora a ispirarle.

Criticare uno come Kennedy equivale dunque ad attraversare un campo minato. Ma l’inibizione più grande resta quella riguardante il mito intoccabile del “primo presidente cattolico degli Stati Uniti”, di cui resta comunque innocente il beato Giovanni XXIII (1881-1963), sempre sconsideratamente raffigurato a fianco del presidente americano nell’Olimpo trasognato e irenista di quei “formidabili” anni 1960 che invece (come ha acutamente osservato l’opinionista cattolico George Weigel scatenarono una guerra senza precedenti alla morale e al costume con la diffusione della contraccezione prêt-à-porter, della contestazione alla famiglia “borghese”, della “Nuova Sinistra” nelle università e della grande spinta culturale che nel decennio successivo otterrà la legalizzazione dell’aborto.

La chiave di volta del cattolicesimo kennedyano rimane il discorso programmatico tenuto il 12 settembre 1960 alla Greater Houston Ministerial Association, famoso e controverso. Famoso perché in quell’occasione Kennedy, che oramai era il candidato presidenziale del Partito Democratico alle imminenti elezioni dell’8 novembre, cercò di rassicurare tutti, ma in specie i protestanti sospettosi, del fatto che anche un cattolico (era la prima volta) avrebbe potuto governare da buon presidente imparziale degli Stati Uniti. Controverso perché, mentre da un lato sembrò onorare i princìpi costituzionali su cui si regge il Paese, e in specifico il diritto di ogni cittadino alla libertà religiosa, Kennedy auspicò invece una clamorosa separazione assoluta fra Stato e Chiesa che anzitutto non esiste nella Costituzione federale americana e che soprattutto suona identica all’idea, tanto cara ai laicisti sino a oggi, di “proteggere” lo Stato dall’ingerenza delle Chiese quando invece i Padri fondatori, con il famoso Primo Emendamento alla Costituzione (lo stesso che tutela la libertà religiosa), vollero esattamente il contrario: difendere le Chiese dallo Stato. Laicismo, insomma, piuttosto che sana laicità.

Di tutto quel celebre discorso, costruito per paradossi e iperboli, più colmo di non detti che di detti, il punto cruciale è l’unica frase assertiva: «Sulle questioni d’interesse pubblico, io non parlo a nome della mia Chiesa – e la mia Chiesa non parla a nome mio». Vale a dire che per un cattolico kennedyano ciò che la Chiesa dice importa solo nella sfera privata. Non volendo evidentemente entrare nella sfera privata dell’uomo Kennedy, resta il fatto che pubblicamente la mentalità del presidente Kennedy costituisce il contrario esatto di un sano antidoto all’ingerenza indebita della Chiesa Cattolica, o altra, nella politica di un Paese e alla prevaricazione della giusta autonomia dei laici: è l’impedimento alla libertà della Chiesa di svolgere la propria missione evangelizzatrice nel mondo, anche politico. Il cattolicesimo kennedyano implica cioè una Chiesa relegata in sacrestia: irrilevante e ininfluente sulle grandi questioni pubbliche; impedita di farsi ascoltare dai cattolici impegnati in politica; impossibilitata a proporre a tutti quel suo giudizio con cui poi ovviamente si deve confrontare la libertà responsabile di ogni uomo. E, per converso, al cattolico impegnato in politica il kennedysmo pure prescrive come un dovere civile e democratico la pratica del cristianesimo più anonimo.

La breve presidenza di Kennedy è stata la messa in pratica di quell’impegnativo manifesto. Nel cataclisma degli anni 1960 – il “Sessantotto americano” –, per Kennedy l’aborto rimaneva quindi solo una scelta personale, le grandi questioni etiche legate ai “princìpi non negoziabili” sbiadivano sullo sfondo e la cultura anche politica che deriva da una fede davvero vissuta scivolava lieve sulla superficie della vita pubblica del Paese. Del resto, la voglia di Kennedy di sceverare radicalmente lo Stato e la Chiesa l’una dall’altro aveva allarmato anche più di un protestante, pure fra quelli che, temendo seriamente l’avvento di un presidente cattolico, avrebbero in teoria dovuto sentirsi invece confortati dalle sue parole.

Il giornalista Thomas Maier ha pubblicato un libro, The Kennedys: America’s Emerald Kings: A Five-Generation History of the Ultimate Irish-Catholic Family (n. ed., Basic Books, New York 2004), per affermare e documentare che sul piano personale il presidente tragicamente assassinato mezzo secolo fa era un cattolico fedele e devoto, non mancava mai a una Messa e rispettava le tradizioni; ma è più una conferma del suo anonimo cristianesimo pubblico che una smentita. Il maggior biografo nonché consigliere del presidente, Arthur M. Schlesinger Jr., ha ricordato che JFK detestava, percependola come intrinsecamente anticattolica, l’etichetta di liberal. Evidentemente si accontentava di essere un cattolico “adulto”.

© LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA

Cattolici «autocertificati»?

di Don Gabriele Mangiarotti (19/07/2013)

C’è una domanda che in questi tempi frulla nella mente, e che recenti fatti sollecitano. «Se interrogassimo un fedele qualunque, saprebbe indicarci con chiarezza e semplicità che cosa significa propriamente essere cattolico?»

Certo, se l’avessi chiesto a mio padre me lo avrebbe saputo spiegare. Anche mia mamma, che pure non era così ferrata. Ma oggi? Forse dei semplici. Forse persone che hanno ritrovato la fede, magari per l’incontro con qualche movimento, o per qualche pellegrinaggio a Medjugorie. Certo è estremamente difficile trovare delle chiare esposizioni sui giornali, presso tanti «cattolici adulti», a volte anche ascoltando certi preti o visitando certi siti internet.

Pensavo a queste cose leggendo l’intervista a Matteo Renzi su Famiglia Cristiana (in internet, non la compro e non la distribuisco in parrocchia, per ragioni che ho già esposto). 

Ecco alcune «chicche» del suo definirsi cattolico.

Da cattolico impegnato in politica non mi vergogno della mia appartenenza religiosa. Al contempo, non rispondo al mio vescovo o alla gerarchia religiosa ma ai cittadini che mi hanno eletto… Quando dico che una certa politica all’interno delle gerarchie non ha fatto il bene della politica italiana mi riferisco all’atteggiamento avuto da una parte della Conferenza episcopale italiana che ha ridotto tutto il dibattito all’interno del mondo politico cattolico alle sole questioni etiche… Non credo che il politico cattolico, in quanto cattolico, debba dire “sì, sì” e “no, no” ma su questi temi così complessi occorre fare lo sforzo del dialogo. C’è il rischio che i cristiani si “specializzino” in ciò che c’è all’inizio e ciò che c’è alla fine della vita e trascurino quello che c’è in mezzo, cioè la vita… Ben vengano le discussioni dei politici cattolici sui temi etici ma non richiudiamo i politici cattolici soltanto nella riserva indiana dei temi etici altrimenti finiamo come i moralisti senza morale…

E poi ho ripensato ad un incontro che ho fatto con più di duecento ragazzi in vacanza con la comunità cristiana. Era venuta a trovarci la mamma di Lorenzo, un ragazzo diciottenne ucciso da un compagno per una banale lite. Piangeva, raccontando, ma con chiarezza e fermezza diceva che per lei era stato naturale perdonare quell’assassino. «Ma Gesù sulla croce non ha dato il perdono a chi lo crocifiggeva? E poi non ho mai avuto bisogno di perdonarlo, perché non l’ho mai odiato». Era andata a Lourdes con sua figlia, tempo prima. Ascoltava Radio Mater, una emittente cattolica della Brianza. Andava spesso in parrocchia. Per lei, Carolina Porcaro, essere cattolico non è una ideologia di contrabbando. Non è una abitudine stanca e staccata dalla vita. Non sono idee. È un popolo a cui appartenere. È un parroco da seguire. È il Papa, vicario di Cristo in terra. Ma soprattutto sono i sacramenti della confessione e della eucaristia da vivere fedelmente. E questo ha cambiato la sua vita. E ha reso il suo racconto – drammatico – una proposta per quei duecentoventi ragazzi che l’hanno ascoltata in silenzio, attenti alle risposte che dava nella semplicità e concretezza del suo parlare e ricordare.

Papa Francesco, nella Lumen fidei, ci ha ricordato che avere fede significa avere lo stesso sguardo di Gesù sulla realtà, sulla vita, sulle persone, sulle circostanze. Se posso ritrovare questo sguardo in Carolina, la mamma di Lorenzo, non riesco proprio a ritrovarlo nelle parole della intervista di Renzi.

N.B.: ho appreso anche le disgustose notizie a proposito delle losche manovre all’interno del Vaticano [IOR e lobby gay]. E sono fiero di un Papa che ci fa continuamente capire che persone che usano della Chiesa per i loro scopi non sono degne del nome cristiano. Non si trovano a casa loro nella Chiesa, finché non imparano a chiedere perdono e cambiano vita. Chissà che questo scandalo abbia a finire, e che risuonino tra noi le voci di chi testimonia Cristo nella quotidianità delle scelte!

L’ipocrisia dei “cattolici adulti” e delle comunità di base

La fede cattolica fai-da-te porta alla militanza anticlericale.

10/06/2013

Chi pensa che la forza anticlericale italiana attinga da fantomatiche associazioni laiciste si sbaglia di grosso. Il vero cuore dell’antipapismo è da cercarsi nei cosiddetti “cattolici adulti”, «nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi pastori» (Benedetto XVI, 28/06/09).

La Chiesa abbraccia tutti, amici e nemici, e ognuno è libero di vivere la sua fede o non fede come vuole. Però per essere cattolici occorre comportarsi come tali e non soltanto “sentirsi”, non si può infatti essere cattolici e prescindere dalla Chiesa, così come d’altra parte è una contraddizione dirsi vegetariani, muratori o genitori se si mangia carne, se si lavora il legno e se non si hanno figli. Lo stesso vale per chi vuole essere cattolico (dev’essere una scelta consapevole e non solo una fedeltà alla tradizione!).

Come dicevamo, i “cattolici adulti” sono il vero motore dell’anticlericalismo tant’è che coscientemente o no vengono usati come burattini dal mondo anticattolico vero e proprio, felice di poter approfittare di queste posizioni esasperatamente dissidenti per creare il “fuoco amico” contro la Chiesa, portando così acqua al suo mulino. In campo bioetico il gioco riesce perfettamente: è noto il tentativo dei media di contrapporre continuamente le indicazioni della Chiesa-istituzione (copyright Marco Politi de “Il Fatto Quotidiano”) sui “valori non negoziabili”, alle obiezioni delle cosiddette “comunità di base” (cioè i “cattolici adulti”, appunto) indicate come il vero popolo cattolico, relegando chi invece è d’accordo con la Chiesa a pochi fanatici, fondamentalisti, ultracattolici e così via. Peccato che queste fantomatiche “comunità di base” non esistano (al massimo esistono le comunità parrocchiali) e siano un’invenzione post-sessantottina per indicare appunto coloro che pensano di essere i tutori della Chiesa, piuttosto che i figli (da qui l’idea di “adulti”).

Se ci si reca sul sito web di una di queste comunità di base, l’agenzia Adista si legge il desiderio di offrire “fatti, notizie e avvenimenti sul mondo cattolico e sulle realtà religiose”. Eppure se si osservano gli articoli pubblicati si nota una curiosa situazione: si riporta l’esultanza del “Manifesto” per la lieve diminuzione dell’8×1000 alla Chiesa, ci si schiera dalla parte delle scuole non paritarie (e dunque in larga parte contro quelle cattoliche), si rende noto un buco di bilancio nella diocesi di Terni sottolineando come sia coinvolto mons. Paglia, si festeggiano i teologi che si sono portati fuori dell’organizzazione ecclesiastica per i loro comportamenti e i preti omosessuali, si denigra il movimento ecclesiale di “Comunione e Liberazione” e così via attraverso un linguaggio caro alla scandalistica anticattolica (come ad esempio: “In un libro tutto quello che avreste voluto sapere sullo Ior ma che il Vaticano non vi ha mai detto”). Queste sono le tematiche a cui si dedicano le comunità di base cattoliche? Guarda caso le stesse a cui si interessano anche le agenzie laiciste e anticlericali…forse perché l’obiettivo in fondo è identico?

“Adista” e altre organizzazioni (il mensile Confronti, la “Comunità di base di San Paolo”, “Noi Siamo Chiesa”, gli omosessuali credenti di “Nuova proposta”, il “Cipax” ecc.) si sono fatte recentemente notare per aver pubblicamente criticato il quotidiano “Avvenire”, il quale ha dato notizia dell’ottima iniziativa di alcune associazioni romane e nazionali (come Forum Famiglie, Scienza e Vita, Retinopera, Rinnovamento nello Spirito, Mcl ecc.) di inviare delle domande ai candidati sindaci di Roma, Gianni Alemanno (PDL) e Ignazio Marino (PD), su alcune tematiche care ai cattolici (vita, famiglia e scuola): Alemanno ha risposto prontamente mentre Marino ha snobbato l’iniziativa, come riportato da “Avvenire”. Le sedicenti Comunità di base si sono svegliate e hanno attaccato Alemanno per “l’opportunismo elettorale” e l’Avvenire per “invadenza”. Hanno dunque ribadito il rispetto della “laicità delle istituzioni” citando a sproposito papa Francesco, il quale in realtà ha espressamente chiesto da arcivescovo e cardinale di difendere i valori non negoziabili come ha fatto notare il vaticanista Sandro Magister.

In ogni caso inviare delle domande su temi specifici ai candidati sindaci per aiutare i cittadini a scegliere in modo più informato è una cosa molto utile e realizzata da moltissime organizzazioni e aree culturali (lo fanno gli imprenditori, le associazioni familiari, gli enti di omosessuali e perfino gli atei). Appare dunque una protesta davvero ipocrita, come fortemente ipocrita è inneggiare alla laicità e contemporaneamente pubblicare un elogio a don Andrea Gallo, il sacerdote che più di tutti ha violato costantemente la laicità delle istituzioni mischiandosi con il potere politico genovese. Lui stesso, come abbiamo fatto notare, si definiva “consigliere del sindaco”…eppure mai nessun richiamo dalle sedicenti comunità di base e dai cavalieri non autorizzati della laicità.

Ricordiamo che Benedetto XVI ha bacchettato più volte i cosiddetti cattolici adulti, spiegando: «La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Ma lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi. E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il magistero della Chiesa. In realtà non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo”». Il Pontefice riteneva «infantile il correre dietro ai venti e alle correnti del tempo», una fede veramente adulta (cioè matura), invece deve «impegnarsi per l’inviolabilità della vita umana fin dal primo momento, opponendosi con ciò radicalmente al principio della violenza, proprio anche nella difesa delle creature umane più inermi. Fa parte della fede adulta riconoscere il matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita come ordinamento del Creatore, ristabilito nuovamente da Cristo. La fede adulta non si lascia trasportare qua e là da qualsiasi corrente. Essa s’oppone ai venti della moda. Sa che questi venti non sono il soffio dello Spirito Santo; sa che lo Spirito di Dio s’esprime e si manifesta nella comunione con Gesù Cristo».

Probabilmente sarà un grosso dispiacere per le fantomatiche comunità di base sapere che secondo un’indagine di Demos-Coop per la Repubblica delle Idee, al primo posto nel dizionario del nostro tempo c’è Papa Francesco. Vettore del consenso e del cambiamento, riferimento condiviso da tutti, a destra ma anche a sinistra, soprattutto fra le donne. Il Pontefice della Chiesa-istituzione è apprezzato da tutti, un altro dono dei signori cardinali e dello Spirito santo per la nostra conversione (e questo non significa affatto criticare Benedetto XVI). Nostra e degli amici cattolici che si sentono così tanto “adulti” da non aver più bisogno della Chiesa e poter tradire Gesù Cristo e i suoi insegnamenti: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,2-3)