La fine della monarchia papale

di Patrizia Fermani (14/12/2013)

Il 4 dicembre, nell’Aula Magna dell’abbazia di S.Giustina a Padova, Andrea Riccardi ha proclamato davanti ad un vasto uditorio la fine della monarchia papale.

Il suo ruolo di fondatore di un grande movimento “ecclesiale” nonché una intensa attività di mediatore in terra africana sarebbero bastati a dare autorevolezza al discorso, se lo stesso eletto al soglio pontificio non si fosse prodigato fin dal primo momento, come è noto, per soddisfare tante aspettative in materia. Aspettative coltivate e propagandate, oltrechè naturalmente dai maitres à penser del progressismo “cattolico”, specialmente negli istituti di cultura religiosa.

Per questo, l’ambiente in cui la proclamazione ufficiale è avvenuta era sicuramente il più adatto alla definitiva liquidazione di quel modello di ministero petrino, che pure è stato costituito da Gesù Cristo con la consegna delle chiavi del Regno e la potestà di sciogliere e legare, senza obbligo di pareri preventivi o giri di consultazioni.

Ma la lettera evangelica, come è noto, è una fonte a cui attingere a piacimento e da interpretare come serve.

Pochi anni orsono, quando ancora non era stato riscoperto il vincolo dell’obbedienza, in una affollata conferenza organizzata ad hoc proprio a S.Giustina, il Summorum Pontificum venne presentato da un lato come la patetica espressione di una ubbia senile, dall’altro come il possibile allarmante segno di un possibile ritorno del sacro, capace di mettere in pericolo la secolarizzazione in via di compimento. Il tutto tra l’elegiaco rimpianto per Don Balducci e le beffarde esecrazioni della antica estetica liturgica (che a Santa Giustina è stata sostituita dalla estetica sterilizzata della filologia protocristiana).

Quando c’è da parlare di svolte storiche, bene o male a S.Giustina ci si avvale sempre di voci autorevoli: allora, per il commento al motu proprio, era stato chiamato Umberto Galimberti di Repubblica; ora, per la fine della monarchia, l’onnipresente rappresentante laico della chiesa universale.

Ha fatto da spalla al professor Riccardi l’alacre Andrea Tornielli, autore di approfondite (auto)biografie papali, che anni fa denunciava con oculatezza l’eccessiva attenzione concessa dalle gerarchie ecclesiastiche ai temi della bioetica. Preoccupazione che oggi, evidentemente, non ha più tanto ragion d’essere.

Ad una monarchia liquidata a forza succede, per antitesi, la democrazia, secondo quel modello originale greco di governo del popolo che prevede, sulle indicazioni di Erodoto, l’uguaglianza dei diritti, l’alternanza e la responsabilità delle cariche, la sottomissione al pubblico di tutte le deliberazioni che interessano la polis; ma che pone anche il problema della sapienza e della capacità di chi agisce quando ci sia un esercizio diffuso del potere, nonché quello dei limiti di tale potere. Dopo le tirannie del novecento che per ironia della sorte erano nate con la pretesa mai sconfessata di essere la più diretta espressione della volontà popolare, l’Europa ha potuto coniugare il principio democratico dei liberatori con quello autoctono dell’89 e lo ha assunto a proprio mito fondativo non più rivedibile.

La moderna teologia filoprotestante, ossessionata da decenni da quel mito, ne ha fatto un valore assoluto applicabile a qualunque realtà sociale, e quindi anche alla Chiesa, senza curarsi della istituzione divina di questa e del fatto che la democrazia nella Chiesa è anzitutto una aporia teologica perchè presuppone la opinabilità e la mutevolezza dei contenuti di fede, come ha sempre insistito Ratzinger in innumerevoli scritti.

Inoltre, quando si pretende di applicare il sistema “democratico” alle cose della fede, mentre viene messa in pericolo la sua essenza veritativa si va a spogliare autoritativamente anche il fedele di tutta una esperienza spirituale, morale ed intellettiva. Lo si va a spogliare, con arbitraria superbia, di una intera esperienza di vita.

Infatti una vera e propria spoliazione è stata quella realizzata a sorpresa già da mezzo secolo con una rivoluzione liturgica che, mentre cambiava d’autorità il rapporto con un Dio al quale non ci si doveva più inginocchiare, e che si poteva finalmente tenere in mano, sottraeva al quivis de populo anche la sua storia. Ma di questo aspetto i novatori non si diedero affatto pena, come tutti quelli che nuocciono al prossimo per il bene e senza il parere del beneficato. E quella che ne uscì spogliata fu la stessa vita cristiana.

Infatti, per descrivere lo stesso cristianesimo si poteva persino prescindere dal suo inarrivabile patrimonio di pensiero. In qualche modo a renderne l’essenza bastava quella esperienza famigliare di cui J. Ratzinger ha disegnato ne “La mia vita” un quadro esemplare. Una esperienza che si dipanava tra il dover essere della vita cristiana quotidiana, e la bellezza del sacro: questa ti veniva incontro e abbracciava il tuo piccolo essere nel raccoglimento della antica pieve come nello spazio magnifico della grande chiesa. Il bambino veniva protetto nel buio dall’angelo custode, e le campane di Pasqua sollevavano l’anima ad una altezza indicibile. Dopo la tensione sospesa del Venerdì Santo.

Dalle mie parti, terra di colline, in città come nei paesi di campagna, c’era uno spazio erboso in posizione elevata, un luogo deputato in cui, per tradizione, allo scioglimento delle campane di Pasqua, che avveniva a mezzogiorno del Sabato Santo, bambini e adulti andavano a rotolarsi in segno di gioia. Un gesto antico che faceva sorridere i colti, ma mostrava in sé tutto il senso vissuto del mistero pasquale. Una gioia lontana da quella che ogni giorno viene con insistenza proclamata e assicurata a chi non sa più bene in cosa deve credere e confidare.

C’era una dote che ciascuno aveva ricevuto e poteva trasmettere magari inconsapevolmente, magari fra la tentazione della ribellione e il disconoscimento di quei legami antichi. C’erano gli infiniti spazi e la profondissima quiete della cattedrale eterna che ti rapiva, ti ammaliava, ti commuoveva.

Quel patrimonio di fede non veniva intaccato dalla cattiva professione dei suoi uomini, consacrati o meno che fossero, perché li sovrastava. Il cristianesimo ti sosteneva anche quando, per una qualche vicenda interiore, credevi di averlo abbandonato. Esso era pronto a riceverti di nuovo, e lo ritrovavi senza averlo ricercato tra i muri secolari di quella antica abbazia, intrisi di rispetto, di speranza dolente e di silenzio, o nelle altezze vertiginose delle cattedrali erette da tante mani d’uomini. In quella storia eterna che ti aveva preceduto e che sarebbe continuata dopo di te, perché, come diceva Ratzinger, eterno non è ciò che non ha limiti di tempo, ma ciò che è fuori del tempo.

Eppure di questa storia eterna alcuni uomini, come cavalieri dell’apocalisse, ci hanno spogliati. Non hanno usato il linguaggio forte e arrogante del nemico, contro il quale puoi prendere le armi per difenderti mantenendo così anche la dignità della sconfitta. Sono venuti armati di parole senza contenuto, e il povero cristiano è stato immerso da allora in un mare di parole la cui insignificanza doveva essere appagante perchè intelligibile da tutti. Hanno spogliato gli altari e trasformato le chiese in sale da concerto. Che hanno spezzato il mio legame di fede con quelli che mi hanno preceduto e mi hanno sottratto la loro eredità e hanno consegnato la mia storia alla macina del nulla. Il tutto per il mio bene e per il bene del popolo.

Volenti o nolenti tutti, fedeli e sacerdoti, siamo stati deportati in un altra religione dove, tutto potendo essere messo in discussione, comandamenti, dogmi e morale, piano piano si è cominciato ad onorare la tirannia della libertà in nome della carità.

In nome della democrazia e della libertà si è annullata d’autorità l’esperienza individuale e la storia comune, in nome della povertà è stata abrogata la bellezza, in nome di una gioia senza oggetto ci si è privati della speranza dell’eternità, in nome dell’esistere è stato appannato il dover essere.

E’ stata spezzata la catena che legava ogni esistenza alle generazioni passate e la saldava a quelle successive.

Ecco perchè è necessario chiudere la parabola con la trasformazione ufficiale della monarchia papale in democrazia rappresentativa. Un processo iniziato quarant’anni fa con qualche esitazione, interrotto dalle velleità assolutistiche di due pontefici ancien régime, e finalmente rimesso in moto energicamente da un nuovo e sincero rappresentante del popolo tout court.

Ora, sempre per amore del popolo, il pastore si è già messo dietro al gregge perchè le pecore sanno andare da sole verso lupi indisturbati. E non possono neppure cantare come i cristiani nell’arena, che guardavano in alto, confortati perchè si sentivano guidati e custoditi in eterno.

Chiunque abbia lavorato ottusamente alla distruzione della monarchia papale e pensa oggi di poter portare a compimento un buon lavoro, con singolare orgoglio pretende anche di assolvere un compito evangelico. E lo fa anzitutto in nome del popolo sovrano e della sua nuova Chiesa. Che democraticamente si è investita del potere di mangiare, come Crono, i propri figli.

© RISCOSSA CRISTIANA

Se Radio Vaticana stravolge le parole del Papa

L’esperto interpellato dall’emittente vaticana rovescia quanto detto da Papa Francesco il 5 giugno in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente a proposito di ecologia umana e ambientale. E non è la prima volta…

di Fabio Spina (09-06-2013)

“Ma il “coltivare e custodire” non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani. I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in pericolo: questo è certo, la persona umana oggi è in pericolo, ecco l’urgenza dell’ecologia umana![…] Ecologia umana ed ecologia ambientale camminano insieme”. Queste le parole estratte dal testo dell’udienza generale  del 5 giugno 2013 di Papa Francesco, dedicata a una riflessione sulla Giornata Mondiale dell’Ambiente.

Ma ascoltando Radio Vaticana il concetto diventa, nel commento dell’esperto Andrea Masullo : ”Come dice Papa Francesco, c’è veramente bisogno di riscoprire un’ecologia della natura accanto ad un’ecologia umana” (clicca qui). Vale a dire che le parole del Papa sono stravolte, sembra che sia l’ecologia umana ad avere il sopravvento sui mass-media e nelle scuole,  perciò l’ecologia ambientale tipica delle associazioni ecologiste va riscoperta. Probabilmente ci sarà stato un errore perché certo non possiamo pensare che un esperto di Radio Vaticana, e talvolta in passato chiamato dalla CEI, non conosca esattamente il concetto di “ecologia umana” sul quale gli ultimi tre Pontefici sono tornati numerose volte.

Il Prof. Andrea Masullo è responsabile scientifico dell’associazione d’ispirazione cattolica GreenAccord, esperto per il WWF del clima energia e rifiuti, docente di fondamenti di economia sostenibile all’Università di Urbino. E’ stato anche ospite di Radio Vaticana il 22 aprile in occasione dell’”Earth day”:  quella è stata l’occasione per pubblicizzare il nuovo rapporto del “malthusiano” Club di Roma prodotto dal membro WWF Jorgen Randers (di cui abbiamo già scritto su NBQ), che vede come soluzione al problema ambientale il governo tecnocratico ed uno “scientifico” controllo delle nascite. E’ questa l’ecologia ambientale che abbiamo bisogno di riscoprire? 

Il prof. Masullo non è esperto solo di Radio Vaticana ma fa apostolato anche su Radio Radicale, come accaduto il 19 dicembre 2012 sul tema: ”La Chiesa cattolica e la questione ambientale”. Molto interessante l’ascolto integrale, se non avete tempo ascoltate dal minuto 9:40 quando il professore afferma che la Chiesa Cattolica è divergente con la scienza, mentre esemplare è il rapporto tra scienza ed islam (consiglierei all’esperto la lettura ad esempio del libro: “Scienziati, dunque credenti. Come la Bibbia e la Chiesa hanno creato la scienza sperimentale” di Francesco Agnoli – Cantagalli).

In un testo del Prof. Masullo, del 2008 e con la prefazione di Serge Latouche (padre della teoria della decrescita felice), possiamo leggere:”Il pianeta non è in grado di fornire tutte le risorse richieste da una popolazione che continua a crescere e che entro questo secolo potrà raggiungere i 14 miliardi d’individui. Gli ecosistemi già oggi non riescono ad assorbire le crescenti quantità di rifiuti senza subire danni irreversibili. Entro pochi decenni esauriremo il petrolio, poi l’uranio ed il metano, ed entro 150-200 anni avremo esaurito anche il carbone.[…] Occorre cioè creare la prospettiva di una economia stazionaria, che nei paesi industrializzati, dove il limite è già stato ampiamente superato, si declini in economia della descrescita”.

Poi la descrescita economica è arrivata e si è scoperto che non è tanto felice, forse per questo  li Prof. Masullo ha pubblicato un nuovo testo  in cui l a soluzione proposta è di non subire la decrescita  ma di governarla reinventando l’economia su basi qualitative e non quantitative per continuare a far crescere quel benessere che una decrescita subita come fallimento sta mettendo seriamente in discussione.  Su tali temi andrebbe ricordato che l’insegnamento del Papa Emerito Benedetto XVI è: ”L’idea di un mondo senza sviluppo esprime sfiducia nell’uomo e in Dio. È, quindi, un grave errore disprezzare le capacità umane di controllare le distorsioni dello sviluppo o addirittura ignorare che l’uomo è costitutivamente proteso verso l’« essere di più ». Assolutizzare ideologicamente il progresso tecnico oppure vagheggiare l’utopia di un’umanità tornata all’originario stato di natura sono due modi opposti per separare il progresso dalla sua valutazione morale e, quindi, dalla nostra responsabilità.” 

Nessuno nega l’importanza d’interrogarsi sul rapporto Dio-uomo-natura, però su tutti gli altri mass media parlano dell’ecologia della natura, su Radio Vaticana ci si aspetterebbe di sentire parlare dell’ecologia umana ricordando ad esempio che Papa Giovanni Paolo II, nella Centesimus Annus, afferma che “la prima e fondamentale struttura dell’ecologia umana è la famiglia, nella quale l’uomo riceve la prima formazione di idee riguardanti la verità e la bontà, e impara cosa significa amare ed essere amati, e quindi che cosa significa essere persona”.  

Ricordiamo ai tanti fedeli che: “Per salvaguardare la natura non è sufficiente intervenire con incentivi o disincentivi economici e nemmeno basta un’istruzione adeguata. Sono, questi, strumenti importanti, ma il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società. Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale. È una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell’ambiente naturale, quando l’educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse. Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale. I doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e conculcare gli altri. Questa è una grave antinomia della mentalità e della prassi odierna, che avvilisce la persona, sconvolge l’ambiente e danneggia la società” (Caritas in Veritate). 

Se a Radio Vaticana non piace cercare esperti ambientali che, parlando di Creato, spieghino perché l’ecologia umana è fondamentale anche per l’ambiente, si astengano almeno dal diffondere tesi legate all’“Ecologia disumana” come già accade sulla maggioranza delle altre fonti d’informazione.

Piero Marini apre alle coppie gay e conferma i nostri sospetti: il grande problema della Chiesa era solo uno, Benedetto XVI!

Non è per farci del male: si tratta della dose giornaliera di modernismo propinataci dai media. Questa, nell’originale, viene dal Costa Rica. Incredibile che Andrea Tornielli riporti senza commenti, limitandosi a ricordare l’assonanza con l’analoga dichiarazione di Mons. Paglia.
Nel frattempo, Galeazzi su La Stampa di oggi scrive: “Si pensa ad una ricollocazione dell’ex maestro di cerimonie, Piero Marini come arciprete di San Pietro con il conseguente spostamento di Comastri al dicastero dei Santi”. Ricordiamo tutti con raccapriccio i ‘gusti’ iconoclasti espressi nelle liturgie curate dall’ex cerimoniere di Giovanni Paolo II. Figure che tornano a galla… Ho ripreso la notizia dal Blog di Raffaella. I Papi il Vaticano e la Chiesa cattolica. Oltre a quello che scrive Raffaella e che riporto di seguito, mi colpisce la frase: di risposta alla domanda: “Cos’ha significato per lei il cambio del Papa?”. “Si respira un’aria fresca, è una finestra alla primavera e alla speranza. Finora abbiamo respirato acque putride, che mandano cattivo odore. Stavamo in una Chiesa che ha paura di tutto e problematica con la situazione dei VatiLeaks (filtraggio dei documenti della città del Vaticano) e la pedofilia. Con Francesco si parla solo di cose positive; egli mette avanti il positivo e parla di mantenere la speranza”. Resta da chiedersi su cosa si fonda la speranza, così generica e sbandierata, se non si fa pulizia. Inoltre, quelle acque putride non create da chi le denunciava e voleva bonificarle, e sulle quali gli stessi media ora sorvolano, che fine hanno fatto?

A parte la frase sul riconoscimento delle unioni omosessuali su cui non mi pronuncio perché è un problema che riguarda la coerenza della chiesa (e non certo la mia), mi permetto di insistere sul fatto che è un tantino “indelicato” parlare di nuova primavera dopo anni di paura.
Come se le nefandezze che abbiamo scoperto negli anni scorsi fossero colpa di Benedetto XVI.
Mi dispiace tanto per i vescovi, i cardinali ed i preti ma solo chi non usa il cervello può credere ad una cosa del genere.
Prima di tutto Benedetto XVI si è trovato a gestire ed a risolvere problemi non creati da lui e non nati sotto il suo Pontificato. I crimini commessi dai pedofili affondano le radici nei decenni precedenti al 19 aprile 2005 ma tutti (dai prelati ai mass media) se ne sono accordi solo dopo l’elezione di Ratzinger. Comodo!
E lo Ior? Ci siamo dimenticati di Marcinkus?
E Vatileaks? Quando Gabriele ha iniziato a trafugare le carte ed a passarle a qualche amico giornalista? Nel 2011? Ennò…per sua stessa ammissione ha messo le mani nella marmellata a partire dal 2006.
Chi ha consigliato la sua assunzione? Perché?
Forse per controllare che cosa Benedetto stava facendo? Forse per influenzare le sue scelte dopo che esse finivano sui giornali? Chissà…
Suvvia…non abbiamo tutti l’anello al naso, il prosciutto sugli occhi ed il salame negli orecchi.
Una cosa è certa: il mondo non ha meritato Benedetto XVI ma nemmeno la Chiesa…anzi! Meno che meno questa “chiesa”!
R.

Se il papa regni o no

di Marco Burini su “Il Foglio” del 04/04/2013

Tutte le volte che Roberto de Mattei scrive sul Foglio, gli storici e i teologi italiani un po’ si irritano e un po’ si agitano. Perché l’ex vicepresidente del Cnr è abile a pungere sul vivo la koinè religiosa post conciliare in nome della tradizione, alla quale ormai resterebbero fedeli soltanto lui e la piccola ma agguerrita pattuglia di cattolici di cui è il portavoce di fatto. Il teologo Andrea Grillo, docente al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo (l’università romana dei benedettini), riconosce che De Mattei centra il discorso quando dice che occorre “riflettere sul papato come istituzione, più che sul Papa come personaggio”, ma poi De Mattei aggiunge subito che “tra l’11 febbraio e il 13 marzo del 2013, sembra essere stata profondamente ferita la stessa costituzione del papato”. E questo, ci dice Grillo, è “un pregiudizio ideologico, una lettura del tutto unilaterale che si fa ancora più evidente quando De Mattei prova ad argomentare: da un lato le dimissioni di Papa Benedetto sarebbero state ‘un evento canonicamente legittimo, ma dall’impatto storico devastante’, dall’altro la decisione di Ratzinger di autodefinirsi ‘Papa emerito’ sarebbe percepita come una sorta di vulnus alla immediata comprensione della unicità della guida della chiesa cattolica”. E guai se il Papa emerito dovesse pubblicare qualcosa, avverte De Mattei: “Si dissolverebbe la percezione di ciò che è atto magisteriale e ciò che non lo è, frantumando quel concetto di infallibilità, di cui tanto a sproposito spesso si parla”. Nel suo articolo De Mattei prende di mira anche Severino Dianich, il decano degli ecclesiologi italiani, per la sua tesi del “passaggio da una visione giuridica della chiesa, basata sul criterio di giurisdizione, a una concezione sacramentale, basata sull’idea di comunione… Il Papa non governa ‘dall’alto’ la chiesa, ma la guida nell’ordine della comunione… Queste tesi sono storicamente false – sostiene De Mattei – La storia del papato non è infatti la storia di forme storiche diverse e tra loro confliggenti, ma l’evoluzione omogenea di un principio di suprema giurisdizione”. “Mi sorprende che sia uno storico ad accusare uno dei migliori teologi italiani – replica Grillo – riproponendo una teoria del papato che non ha più alcun fondamento né sul piano storico né in dottrina. Qui lo storico, arrogandosi il ruolo di teologo, finisce in un mare di contraddizioni. Anzitutto perché pretende di derivare direttamente dalle parole di Gesù di Nazareth l’istituzione del principio di suprema giurisdizione, traendolo da Matteo 16,14-18. Bisognerebbe ricordare a De Mattei ciò che diceva Chesterton, ossia che i cattolici, quando entrano in chiesa si levano il cappello, non la testa. Da almeno settant’anni una lettura così apertamente ingenua del testo evangelico non ha alcuna autorevolezza né scientifica né spirituale”, conclude Grillo. De Mattei ha riassunto così la sua tesi: “Il papato è una monarchia assoluta in cui il Sommo Pontefice regna e governa e non può essere trasformato in una monarchia costituzionale, in cui il sovrano regna ma non governa. Un cambiamento di tale governo non toccherebbe la forma storica, ma l’essenza divina del papato”. Una tesi “totalmente ideologica e che legge la tradizione in modo tradizionalistico – ribatte Grillo – De Mattei legge la storia con strumenti teologici rudimentali, perseverando in una contrapposizione tra sacramento e giurisdizione che gli garantisce un fraintendimento di tutta la tradizione, letta secondo una contrapposizione del tutto antistorica tra modernità dissolutrice e chiesa monarchica antimoderna” (senza contare che l’esercizio della giurisdizione si è sempre evoluto con la società, come ha dimostrato in pagine fondamentali Paolo Prodi, un altro storico tirato in ballo da De Mattei). Ma in questo modo di ragionare è presupposta un’altra contrapposizione: il Papa dei mass media da un parte e il Papa della teologia e del diritto canonico dall’altra. “E’ la stessa cosa che hanno cercato di fare con il concilio – osserva Grillo – Il rischio altissimo di queste letture consiste nell’usare la teologia come alibi, per garantirsi di non essere qui, in questa storia, in questi mutamenti, in queste benedette aperture. Ma non si può usare la teologia e il diritto canonico come armi per difendersi dalla realtà, è solo una forma di relativismo capovolto. Noi restiamo cattolici perché non accettiamo che l’infallibilità sia semplicemente liquidata, ma nemmeno che sia inopportunamente enfatizzata. Dobbiamo superare questa apologetica di sapore ottocentesco per difendere la tradizione in tutta la sua ricchezza, in tutta la sua complessità e in tutta la sua inesauribile capacità di sorprenderci. Vogliamo fare gli storici e i teologi accettando la storia nella sua irriducibile effettività. Se De Mattei continua a difendere il papato identificandolo con questo concetto di infallibilità, e in questo modo teologicamente rozzo, finirà per convincere i lettori che un tale fenomeno, così sfigurato, non abbia più alcun margine di plausibilità storica”. Grillo, che di mestiere studia ciò che è più vivo del mistero cristiano, la liturgia, sostiene che “quello che cambia oggi con Papa Francesco non è il personaggio ma l’istituzione”. Proprio questo spaventa De Mattei e i suoi amici che, dopo l’ipoteca lanciata sul pontificato di Ratzinger (il quale peraltro li ha spiazzati con la sua rinuncia), temono il peggio. “Invece questo è ciò che dobbiamo accogliere docilmente come novità dello Spirito, non irrigidendoci su modelli che nel passato hanno giocato un ruolo importante ma che da almeno un secolo meritano di essere adeguatamente e pacatamente riformati”, conclude Grillo.

Minimalismo papale

La sofferta decisione di Benedetto XVI di lasciare il pontificato è stata fin da subito interpretata in molti modi diversi. Tra questi anche la versione de-sacralizzante: il papato sarebbe diventata una carica come tutte le altre, laicizzata.

di Stefano Fontana (11-03-2013)

La sofferta decisione di Benedetto XVI di lasciare il pontificato è stata fin da subito interpretata in molti modi diversi. Tra questi anche la versione de-sacralizzante: il papato sarebbe diventata una carica come tutte le altre, laicizzata, a tempo e per uno scopo funzionale. Il Papa “uno di noi”.

La Nuova BQ ha subito messo in guardia da queste interpretazioni, che sono però molto diffuse, anche dentro la Chiesa e, soprattutto alla base, tramite i settimanali diocesani. 

In questi giorni un teologo ha scritto: «In fondo il cristianesimo ha desacralizzato la religione: Gesù facendosi carne ha colmato le distanze con gli uomini. Per noi cristiani la grandezza è nella santità, non nella sacralità: la sacralità indica distanza, a differenza della santità”.

Il gesto del Papa viene visto, allora, come l’abbandono della sacralità per passare alla santità. A mio modo di vedere nella vita della Chiesa c’è sia il santo che il sacro. Certo, le persone non sono sacre, ma semmai sante. Ogni fedele è chiamato non a sacralizzare se stesso, ma a santificarsi. Questo però non vuol dire che non esista anche il sacro, come deposito oggettivo della Grazia a cui attingere per essere santi. 

La Sacra Scrittura è sacra. I sacramenti sono sacri. L’Eucarestia è sacra. Il Tabernacolo, e la chiesa anche come luogo, sono sacri. Maria è senz’altro Santissima, ma è anche sacra, perché Tabernacolo vivente. La Chiesa è santa, ma anche sacra in quanto Mistero. Il sacerdote può essere più o meno santo, ma è senz’altro sacro, come sacra è la consacrazione che egli fa sull’altare.

Il nostro corpo ha una sua sacralità perché è tempio dello Spirito Santo. Il Papa e i Vescovi possono essere più o meno santi come fedeli, ma sono anche sacri, come successori di Pietro e degli Apostoli. Cristo ha desacralizzato la religione pagana, in quanto si è opposto al sacro come mito e ha insegnato ad adorare il Padre “in spirito e verità”. Egli si è sì fatto carne, ma non si è ridotto a carne. Si è fatto uno di noi, ma non si è ridotto a uno di noi. Ha presentato sé stesso come il Tempio e ha detto che può essere adorato anche al di fuori di luoghi a ciò deputati. Egli però non ha cessato di farsi trovare nella sacralità della Grazia divina e in tutte le occasioni sacre in cui la Chiesa lo celebra e lo annuncia.

Parlare di santità tagliando i ponti con il sacro, anzi presentando la santità come l’anti-sacro, come il congedo dal sacro, contiene a mio parere molti equivoci. Significa consegnarsi con le manzi alzate alla secolarizzazione, che è spesso una de-sacralizzazione senza per ciò portare ad alcuna santificazione. 

Tornando a Benedetto XVI, egli ha voluto continuare a vivere nel “recinto di San Pietro” considerandolo, evidentemente, un luogo sacro. Ha detto, usando una immagine evangelica, di volersi ritirare “sul monte”, biblicamente luogo sacro per eccellenza. Ha detto di rimanere unito alla Chiesa nella sacralità della preghiera.

Non è diventato “uno di noi”, non ha smesso la veste bianca e non si è ritirato a vita privata. Non è più Papa, ma non è andato in pensione. 

Dopo queste dimissioni, il Papa non diventa un impiegato dello Stato del Vaticano, santo, magari, ma non più sacro. 

Papato forte perché umano, come titolava qualche giornale? No, grazie! Papato forte perché divino.

“Non c’è posto per un papa emerito”

di Francesco Colafemmina (26/02/2013)

“Professore, io e lei abbiamo un’unica scelta: lei mi deve curare e io devo guarire, perché non c’è posto per un Papa emerito”. Così parlò il Beato Giovanni Paolo II al chirurgo Giovanni Fineschi nel 1994. Oggi le parole di Papa Wojtyla vengono smentite non semplicemente dall’abdicazione di Benedetto XVI, ma dalla sorprendente pianificazione del post-abdicazione. Stando infatti a quanto affermato da Padre Federico Lombardi il Papa abdicante assumerà per sua espressa scelta il titolo-carica di “Papa emerito”, abbassando così di fatto il Papato al rango di un episcopato fra i tanti. Ma non basta!

Egli continuerà ad esser chiamato Benedetto XVI e ci si rivolgerà a lui usando l’appellativo di “Sua Santità”, vestirà di bianco – ma senza la mantellina – e cambierà il colore delle scarpe (da rosse a marroni). Non so se si tratti di un film di fantascienza, di un romanzo semiserio o non piuttosto di una strana allucinazione. Certo, mi colpisce l’assoluto silenzio di commentatori, vaticanisti, canonisti, uomini di Chiesa e affini (sempre pronti peraltro a criticare o a riprendere Papa Benedetto per ogni suo gesto in linea con la tradizione) dinanzi a questo eclatante “unicum” nella storia della Chiesa. 

Non solo dal 28 alle 20.00 avremo due “Papi”, ma abbiamo a partire da oggi l’introduzione della carica/titolo onorifico di “Papa emerito”. Che ciò lasci indifferenti i più è forse un ulteriore segno dell’appiattimento noetico dei cattolici? Un tempo non solo avremmo avuto una maggiore resistenza da parte del Collegio Cardinalizio e dei Vescovi di tutto il mondo all’abdicazione di un Papa per la “diminuzione del vigore fisico e dell’animo”, ma anche un fiorire di pareri teologici critici rispetto all’ipotesi dell’introduzione del titolo di “Papa emerito”. E invece temo che la stessa incapacità di governo della Curia romana, lo stesso pressappochismo e la medesima faciloneria che hanno contraddistinto gli ultimi anni del Papato attuale, ne stiano segnando indelebilmente la fine. Il tutto a scapito dell’alto insegnamento di Ratzinger, insegnamento al quale – per inciso – si sono interessati negli anni solo i famigerati quattro gatti, fra cui il sottoscritto, nella pressoché totale indifferenza del Clero. Perciò – piccola noticina finale – per favore, evitate di farmi la morale perché “critico il Papa”. 

A me il Papa sta a cuore perché è anzitutto il Papa e poi perché è Benedetto XVI e personalmente l’avrei voluto sempre lì, forte e coraggioso, diciamo pure col coraggio di prendere a calci qualche Cardinale cialtrone (non ora, ma già da qualche anno). Quando però il Papa abdica e si verificano strane prospettive per il futuro della Chiesa, ambiguità e confusioni inedite, non credo serva a molto ribadire tutti in coro “tutto va bene, madama la marchesa”. Specie se degli scienziati vaticani pensano di poter distinguere il Papa emerito da quello regnante grazie all’assenza di una mantellina bianca, o in base al colore delle scarpe. Storie che non meriterebbero commenti se non fossero tuttavia drammaticamente e banalmente… assurde. 

Cristianesimo Cattolico: Grammatica delle dimissioni: è iniziata la manipolazione mediatica?

cristianesimocattolico:

Già, le dimissioni di Benedetto XVI. In questi giorni si sprecano ovunque commenti da fonti e persone più o meno autorizzate a farlo. Dal canto nostro, come linea editoriale, abbiamo scelto di non aggiungere ulteriori considerazioni, ma di analizzare invece la progressione dei commenti stessi….

Cristianesimo Cattolico: Grammatica delle dimissioni: è iniziata la manipolazione mediatica?

Cristianesimo Cattolico: La Curia apre all’ipotesi di un papato a termine

cristianesimocattolico:

La “rivoluzione” innescata da Benedetto XVI potrebbe avere come conseguenza il papato a termine. In pratica un limite di età superato il quale il Pontefice va in pensione. Si sta discutendo anche di questo in questi giorni in Curia. E sono molti gli alti prelati che si dicono favorevoli. Anche…

Cristianesimo Cattolico: La Curia apre all’ipotesi di un papato a termine

Cristianesimo Cattolico: Quelli che scommettono sulla fine della Chiesa

cristianesimocattolico:

BY ROBERTO MANFREDINI – 14 FEBBRAIO 2013

I boomakers inglesi hanno già preparato le scommesse: il prossimo Papa sarà nero e si chiamerà Pietro (“Toto-Vaticano, i bookmaker scommettono sul Papa nero”, Panorama, 12/2/2013). Chi è l’idiota che ha stabilito le quote? Si può pagare così basso un…

Cristianesimo Cattolico: Quelli che scommettono sulla fine della Chiesa