Proprio ora che ha perso in pochi decenni una buona metà dei suoi effettivi, la Compagnia di Gesù è assurta ai vertici di comando della Chiesa cattolica come mai in passato.
di Sandro Magister (31-10-2022)
Incredibile ma vero. Proprio ora che ha perso in pochi decenni una buona metà dei suoi effettivi, la Compagnia di Gesù è assurta ai vertici di comando della Chiesa cattolica come mai in passato.
Di Francesco si sa. È il primo papa gesuita della storia: lui che pure aveva più avversari che amici dentro la Compagnia e si guardava bene dal mettere piede nella sua curia generalizia, tutte le volte che da cardinale veniva a Roma.
Ma la novità è che in quest’ultima fase del suo pontificato – declinante per età ma non per ambizioni – Francesco si è dotato di una agguerrita squadra d’attacco, tutta sua e tutta fatta di gesuiti.

Il numero uno di questa squadra è indiscutibilmente il cardinale Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo. Numero uno, nei piani di Jorge Mario Bergoglio, sia per l’oggi che per il domani.
Per l’oggi il compito assegnatogli da Francesco è di pilotare, come relatore generale, il sinodo mondiale che ha preso il via nel 2021 e che durerà almeno fino al 2024 ma nella mente del papa anche oltre, con il compito di rimodellare la Chiesa all’insegna, appunto, di una “sinodalità” permanente.
Mentre per il domani non è un mistero che Hollerich sia anche il candidato “in pectore” di Francesco per la sua successione, sulla quale il sinodo in corso avrà un peso determinante, obbligando di fatto il futuro papa – chiunque sarà – a prenderlo in consegna e a continuarne il “processo”, un po’ come toccò a Paolo VI con il Concilio Vaticano II ereditato da Giovanni XXIII.
Di questo sinodo mondiale la prova generale è quella in corso in Germania, che sta già contagiando altre Chiese nazionali senza che Francesco vi opponga alcun freno efficace, con l’immancabile litania di riforme alla moda, che vanno dai preti sposati alle donne prete, dalla nuova morale sessuale ed omosessuale alla democratizzazione del governo della Chiesa.
Impossibile non ricordare che alcune di queste erano le riforme che un altro grande gesuita, il cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012), aveva incluso nell’agenda della Chiesa futura, in un suo memorabile intervento del 1999. Di Martini si sa che aveva un giudizio negativo di Bergoglio, ma i sostenitori dell’attuale pontificato hanno buon gioco a fare di lui il “profeta” delle riforme a cui Francesco starebbe finalmente aprendo la strada e delle quali Hollerich si è già dichiarato più volte a favore.
“L’Osservatore Romano” ha pubblicato lo scorso 24 ottobre un’intervista programmatica a tutto campo con questo colto cardinale gesuita con alle spalle ventisette anni di missione in Giappone. E in essa egli ha ancora una volta auspicato “un cambiamento di paradigma” nella pastorale e nella dottrina della Chiesa in materia di omosessualità, perché anche gli omosessuali “sono frutto della creazione” e quindi non sono “mele guaste” ma “cosa buona”. Certo, non c’è spazio – ha aggiunto il cardinale – per un matrimonio sacramentale tra persone dello stesso sesso, perché lì manca il fine procreativo che caratterizza un matrimonio, “ma questo non vuol dire che la loro unione affettiva non abbia nessun valore”.
E al direttore de “L’Osservatore Romano” che gli faceva notare che i vescovi del Belgio si sono pronunciati a favore della benedizione delle unioni omosessuali, Hollerich ha risposto: “Francamente la questione non mi sembra decisiva. Se rimaniamo all’etimologia di ‘bene-dire’, pensate che Dio possa mai ‘dire-male’ di due persone che si vogliono bene?”.
Queste parole di Hollerich fanno scattare spontanea la domanda: ma non era stato un altro gesuita d’alto grado in Vaticano, il cardinale Luis F. Ladaria, nella sua veste di prefetto della congregazione per la dottrina della fede, a proibire la benedizione delle unioni omosessuali, in un “Responsum” reso pubblico il 15 marzo 2021?
E non era stato Francesco in persona ad aver “dato il suo assenso” alla pubblicazione di questo “Responsum”, dopo esserne stato “informato”, com’era scritto in calce al documento?
Proprio così. Salvo però prendere atto che la domenica successiva, all’Angelus, il papa aveva fatto capire di non gradire affatto “condanne teoriche” né “pretese di legalismi o moralismi clericali” dove invece ci vorrebbero ”gesti di amore”. E “autorevoli fonti vaticane” avevano anonimamente fatto sapere che egli squalificava con ciò proprio il “Responsum” che proibiva la benedizione della unioni omosessuali, da lui approvato a parole.
Insomma, umiliato dal confratello papa, il malcapitato cardinale Ladaria è l’eccezione che conferma la regola. È il gesuita d’antica scuola che Bergoglio tiene in panchina in attesa di mandarlo in pensione, fuori dalla sua squadra. Obbligandolo, intanto, a rispondere “no” a quei cardinali – e ve ne sono stati – che gli hanno chiesto di richiamare Hollerich al rispetto della retta dottrina.
Ma oltre a Hollerich, vi sono altri due gesuiti che Francesco ha fatto recentemente cardinali e ha messo in squadra in ruoli importanti.
Il primo è il canadese Michael Czerny, per molti anni più concorrente che collaboratore del cardinale ghanese Peter K. A. Turkson prima nel pontificio consiglio della giustizia e della pace e poi nel dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, di cui ora è diventato prefetto. Czerny è stato anche segretario speciale del sinodo per l’Amazzonia. Dalla difesa della natura ai migranti, ai “movimenti popolari”, è il cardinale di cui Bergoglio si avvale in questi campi da lui prediletti.
Il secondo è l’italiano Gianfranco Ghirlanda, già rettore della Pontificia Università Gregoriana e navigato esperto in diritto canonico. Tra i suoi compiti c’è quello di tradurre in disposizioni giuridiche gli atti d’imperio che Francesco compie col piglio d’un monarca assoluto. È di Ghirlanda, ad esempio, la sbrigativa chiusura dell’annosa disputa teologica tra poteri di ordine, cioè derivanti dall’ordinazione episcopale, e poteri di giurisdizione, cioè conferiti da un’autorità superiore, optando per i secondi al fine di collocare anche dei laici, uomini o donne, a capo della curia vaticana, col semplice mandato del papa. E sono sempre di Ghirlanda, nel suo ruolo di “factotum” giuridico al servizio di Francesco, l’azzeramento e la rifondazione imposti dal papa all’Ordine di Malta.
Ma non è tutto. Anche tra i gesuiti non cardinali ve ne sono alcuni che il papa ha collocato in ruoli chiave, a suo servizio.
Nella segreteria generale del sinodo dei vescovi c’è un consultore che di fatto è il collaboratore più stretto del cardinale Hollerich. È padre Giacomo Costa, già direttore della rivista “Aggiornamenti Sociali” dei gesuiti di Milano e vicepresidente della Fondazione Carlo Maria Martini.
Per non dire di padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica” e vicinissimo a Francesco fin dalla sua elezione a papa, anche lui molto attivo e pressante nel promuovere il sinodo mondiale sulla sinodalità e in particolare nel coinvolgere nell’avventura – con l’aiuto importante del suo predecessore a “La Civiltà Cattolica” Bartolomeo Sorge (1929-2020) – la conferenza episcopale italiana, inizialmente molto diffidente.
E poi c’è il capitolo delle finanze vaticane, dove Francesco ha nominato il gesuita spagnolo Juan Antonio Guerrero Alves prefetto della segreteria per l’economia, l’ufficio che sovrintende all’intero settore.
Inoltre, da un paio d’anni c’è un gesuita anche alla Basilica di San Pietro, a fianco del cardinale arciprete Mauro Gambetti, vicario generale del papa per la Città del Vaticano. È Francesco Occhetta, segretario generale della Fondazione “Fratelli tutti” e fino al 2020 notista politico per “La Civiltà Cattolica”.
E c’è un gesuita anche tra i vescovi ausiliari della diocesi di Roma di cui è vescovo il papa: Daniele Libanori, al quale è affidata la cura pastorale del centro della città.
Col papa i nomi elencati fanno nove. E con Sorge e il “profeta” Martini undici, naturalmente senza mettere nel conto il cardinale Ladaria. Una squadra così, tutta di gesuiti, mai s’era vista al comando della Chiesa.
(Fonte: Settimo Cielo)
C’è anche un altro gesuita nella squadra di Francesco. All’Accademia per la Vita lo conoscono bene
di Sandro Magister (04-11-2022)
Allo squadrone di gesuiti, tra cui ben tre cardinali, che papa Francesco ha insediato al comando della Chiesa, va aggiunto almeno un nome, che Settimo Cielo ha colpevolmente omesso nel precedente post.
È un nome che circola poco. E che nessuno ha fatto, nei giorni scorsi, nel vivo delle critiche che hanno colpito la Pontificia Accademia per la Vita, quando invece proprio chi porta quel nome ne era all’origine.
La polemica è scoppiata in seguito alla nomina, fatta dal papa il 15 ottobre, di nuovi membri dell’Accademia, alcuni dei quali dal profilo poco o per nulla collimante con la finalità “pro vita” dell’Accademia stessa.
La nomina più contestata è stata quella della economista americana Mariana Mazzucato, dichiaratamente “pro choice” in materia di aborto. Ma poi anche quelle dell’altro americano Alberto Dell’Oro, di Sheila Dinotshe Tlou del Botswana e del gesuita argentino Humberto Miguel Yáñez, professore alla Pontificia Università Gregoriana. A quest’ultimo, che è specialista in pastorale della famiglia, si è rimproverata in particolare la disubbidienza all’enciclica di Paolo VI “Humanae vitae” che vieta il ricorso ai contraccettivi artificiali.
Alle critiche, la Pontificia Accademia per la Vita, che ha come presidente l’arcivescovo Vincenzo Paglia, membro storico della Comunità di Sant’Egidio, ha reagito il 19 ottobre con un comunicato autogiustificativo, all’insegna del “dialogo” e del “confronto” tra tesi diverse, e poi ancora il 22 ottobre con un altro comunicato nel quale si rendeva noto che Paglia, ricevuto in udienza da papa Francesco il giorno stesso, aveva avuto da lui “un pieno apprezzamento”.
Nessun dubbio, infatti, che all’origine di quelle nomine vi fossero Paglia e il papa. Tra l’altro, era risaputa l’approvazione di Jorge Mario Bergoglio delle posizioni della Mazzucato in economia.

Ma pochi sanno che alla Pontificia Accademia per la Vita c’è un gesuita che per papa Francesco vale e pesa molto più di Paglia. Si chiama Carlo Casalone. Ha 66 anni. È stato dal 1995 al 2008 redattore della rivista dei gesuiti di Milano “Aggiornamenti Sociali” e dal 2008 al 2014 superiore della Provincia d’Italia della Compagnia di Gesù. Oggi insegna teologia morale e bioetica alla Pontificia Università Gregoriana ed è dal 2013 presidente della Fondazione Carlo Maria Martini, il celebre gesuita e cardinale che nel suo ultimo libro non esitò ad accusare la “Humanae vitae”, col suo divieto della contraccezione artificiale, d’aver arrecato “un grave danno” alla Chiesa, quando invece ci sarebbero voluti “una nuova cultura della tenerezza e un approccio alla sessualità più libero da pregiudizi”.
Nella Pontificia Accademia per la Vita, Casalone ha la carica apparentemente marginale di “collaboratore” per la sezione scientifica. Ma di fatto è molto, molto di più. È l’uomo di Francesco nell’Accademia, è colui che per conto del papa controlla e indirizza tutto e tutti, Paglia compreso.
Tra Casalone e Bergoglio il gioco di squadra dura da anni. Il 14 dicembre 2017, ad esempio, il giorno stesso in cui il parlamento italiano approvò una legge sul biotestamento che da tutti fu interpretata come un passo verso l’eutanasia, uscì su “La Civiltà Cattolica” – la rivista dei gesuiti di Roma le cui bozze passano al vaglio del papa prima che siano stampate – un articolo dedicato proprio alle “novità” introdotte da Francesco su come ”vivere il morire con umanità e solidarietà”, novità salutate anch’esse favorevolmente dall’opinione pubblica laica come una svolta pro-eutanasia della Chiesa.
E chi era l’autore di quell’articolo? Carlo Casalone.
Tornando alle nomine del 15 ottobre alla Pontificia Accademia per la Vita, va riconosciuto che l’idea di proporre al papa quella di Mariana Mazzucato è stata una mossa geniale, alla quale egli non poteva resistere.
Perché per Bergoglio le posizioni anticapitaliste di questa docente d’economia all’University College London sono quanto di più entusiasmante ci sia. E l’ha detto anche in pubblico, in un suo discorso del 25 maggio 2022 a una delegazione del Global Solidarity Fund.
Accantonato il breve discorso ufficiale, Francesco si espresse a braccio così:
“L’economia va convertita, si deve convertire adesso. Dobbiamo passare dall’economia liberale all’economia condivisa dalla gente, all’economia ‘comunitaria’. E su questo si lavora abbastanza con i giovani economisti, anche le donne. Per esempio, in America, c’è la Mazzucato che ha fatto proprio un passo avanti nel pensare l’economia, e altre donne bravissime. Non possiamo vivere con un pattern di economia che viene dai liberali e dall’illuminismo. Nemmeno possiamo vivere con un pattern di economia che viene dal comunismo. Serve… un’economia cristiana, diciamo così. Cercate le nuove espressioni dell’economia di questo tempo: ho menzionato la Mazzucato che è figlia di migranti negli Stati Uniti, ma ci sono altre”.
E a proposito di “migranti”, in quello stesso discorso il papa disse anche alcune cose parecchio spericolate, sempre parlando a braccio:
“Per capire i migranti, dobbiamo vedere noi stessi: la maggioranza di noi siamo figli o nipoti di migranti. Tanti! Io sono figlio di migranti. Una volta, uno degli Stati Uniti mi diceva: ‘Ma no, noi non siamo migranti, siamo già radicati qui!’. [Gli risposi:] ‘Non perdere la memoria: voi siete un popolo di migranti, di migranti irlandesi e di migranti italiani. Gli irlandesi vi hanno portato il whiskey e gli italiani vi hanno portato la mafia’. Sempre guardare le radici…”.
Bergoglio gesuita e papa. E anche questo sarebbe il suo magistero, assecondato e ossequiato dal suo squadrone di confratelli?
(Fonte: Settimo Cielo)