L’enciclica Fratelli Tutti di Francesco pone un dilemma per i cattolici, perché la difesa della proprietà privata fa parte della Dottrina sociale della Chiesa.
di John Horvat II (12-10-2020)
L’enciclica di Papa Francesco Fratelli Tutti pone un dilemma per tutti coloro che difendono il diritto alla proprietà privata.
Da un lato, il documento magisteriale firmato da Papa Francesco il 3 ottobre mette in discussione questo diritto. Dall’altro, papi, teologi e canonisti del passato hanno sempre insegnato che la proprietà privata, per come è largamente praticata, è giusta e necessaria per il corretto funzionamento della società. Questo scontro di opinioni lascia molti cattolici perplessi.
Questo non è un dibattito da poco. La posta in gioco non potrebbe essere più alta, poiché l’Occidente dipende da un sistema basato sulla proprietà, lo stato di diritto e il libero mercato. Il pontefice dice ai suoi lettori di “riproporre la funzione sociale della proprietà”. Vorrebbe vedere grandi cambiamenti sociali in America e in Occidente. Crede che i beni del mondo appartengano a tutti e debbano essere condivisi per garantire la giusta dignità di tutti. Tutto ciò sembra qualcosa di vagamente simile al comunismo. Le sue bordate contro il mercato e i modelli economici “consumistici” lasciano pochi dubbi sul fatto che non stia chiedendo qualche modifica al sistema bensì un massiccio cambiamento di paradigma.
I cattolici hanno bisogno di sapere come rispondere a questa proposta pontificia per evitare che affondi l’Occidente in una tirannia marxista che neghi il diritto di proprietà.
La destinazione universale dei beni creati
L’argomento centrale di questa “riproposta” è il principio della “destinazione universale dei beni creati”. Francesco dichiara che “Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il «primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale», è un diritto naturale, originario e prioritario”.
Difatti, la Chiesa insegna che Dio ha fatto i beni del mondo per tutti. Nessuno contesta questa verità. I moralisti cattolici accettano universalmente il classico esempio del diritto alla vita come un ordine superiore alla proprietà privata. Tutti riconoscono inoltre alla proprietà quella che viene chiamata una funzione sociale per cui i proprietari devono andare oltre l’interesse personale e usare la loro proprietà per servire anche il bene comune.
Tuttavia, la Chiesa definisce i limiti di questa funzione sociale. Queste limitazioni possono essere discusse senza che i diritti di proprietà debbano essere “riproposti”.
Una corretta comprensione del ruolo sociale della proprietà
Se, nella discussione, i cattolici venissero ben istruiti sull’insegnamento tradizionale della Chiesa, imparerebbero che “la destinazione universale dei beni creati” non significa che i proprietari sono un po’ migliori dei ladri che privano i bisognosi di beni di cui hanno diritto. Né che i poveri hanno il diritto di prendere arbitrariamente con la forza ciò che ritengono di aver bisogno da coloro che hanno proprietà.
Al contrario, la posizione corretta presuppone che il possesso della proprietà privata sia buono e desiderato da Dio perché favorisce il buon ordine della società. Nella sua enciclica Rerum Novarum del 1891, Leone XIII afferma che “L’aver Iddio dato la terra a uso e godimento di tutto il genere umano, non si oppone per nulla al diritto della privata proprietà; poiché quel dono Egli lo fece a tutti, non perché ognuno ne avesse un comune e promiscuo dominio, bensì in quanto non assegnò nessuna parte del suolo determinatamente ad alcuno, lasciando ciò all’industria degli uomini e al diritto speciale dei popoli. (…) Ed è questa un’altra prova che la proprietà privata è conforme alla natura”.
Pertanto, la proprietà privata è un mezzo attraverso il quale il bene comune è ben servito. Non perché una proprietà è posseduta privatamente significa che cessi di servire il bene comune. Tutta la società beneficia di ciò che produce la proprietà privata. Infatti, coloro che invadono e occupano le proprietà fanno un disservizio al bene comune danneggiando il buon ordine della società e vanificando gli scopi della proprietà.
Pio XI, nella sua enciclica Quadragesimo anno del 1931, riconosce “la doppia specie di proprietà, detta individuale e sociale, secondo che riguarda gli individui o spetta al bene comune; ma (i teologi) hanno sempre unanimemente affermato che il diritto del dominio privato viene largito agli uomini dalla natura, cioè dal Creatore stesso, sia perché gli individui possano provvedere a sé e alla famiglia, sia perché, grazie a tale istituto, i beni del Creatore, essendo destinati a tutta l’umana famiglia, servano veramente a questo fine; il che in nessun modo si potrebbe ottenere senza l’osservanza di un ordine certo e determinato”.
Infatti, i poveri soffrono quando viene negata la proprietà privata. Le devastazioni del comunismo dimostrano che quando la proprietà viene confiscata in nome del popolo, si distrugge l’economia e la cultura, riducendo tutto alla miseria più abietta.
Una visione divisiva della proprietà
Il problema che presenta la visione della proprietà di Papa Francesco sta nel non definire i limiti della funzione sociale della proprietà, presumendo che la destinazione universale dei beni creati e l’uso privato della proprietà siano in costante tensione. “La priorità della destinazione universale dei beni creati” non impedisce una pacifica convivenza con le proprietà private di ogni dimensione. Questa priorità non diminuisce in alcun modo la necessità di rispettare la proprietà privata.
Inoltre, il suo urgente appello a “riproporre il ruolo sociale della proprietà” ommette di riconoscere i progressi economici di cui, grazie alla proprietà privata, la società ha beneficiato nel suo insieme, e finisce per mettere forzosamente tutti i proprietari in una categoria di oppressori a cui non appartengono.
Soprattutto, Francesco espande gli obblighi dei proprietari di immobili nei confronti dei bisognosi. Essi non includono più solo il minimo indispensabile per sostenere il loro diritto alla vita. Per Papa Francesco, i proprietari di immobili devono fornire agli indigenti una serie di coperture indefinite e illimitate per cui “ogni persona viva con dignità e abbia opportunità adeguate al suo sviluppo integrale.”
Un fondamento sbagliato per il giudizio
Assente da questa visione è una corretta comprensione della funzione sociale della proprietà privata, che Pio XII afferma “dovrebbe beneficiare tutti allo stesso modo, secondo i principi di giustizia e carità”. Invece ora i bisognosi, con l’aiuto dei media di sinistra e degli attivisti sociali, diventano i giudici di ciò che è necessario per il loro “sviluppo integrale”.
La Chiesa incoraggia i benefattori a ottenere meriti con atti volontari di carità, donando ai bisognosi attingendo dalle loro ricchezze. Non forza la carità. Allo stesso modo, la Chiesa insegna che i bisognosi devono praticare la virtù della giustizia rendendo gratitudine, rispetto e assistenza ai loro benefattori. Quando entrambe le parti ascoltano il consiglio della Chiesa, nasce l’armonia sociale. Tuttavia, in Fratelli Tutti, non si parla degli obblighi di giustizia che i bisognosi hanno nei confronti dei loro benefattori.
L’enciclica sostituisce questi comportamenti virtuosi di carità e giustizia con lo spirito di “libertà, uguaglianza e fraternità”, la trilogia anticristiana della sanguinaria Rivoluzione francese. Così, la carità cristiana viene sostituita con quella della “fraternità” anticristiana. Una tale concezione deterministica della società finisce per sostenere che le strutture sociali ed economiche sono responsabili della povertà. Il grido marxista che vuole la fine di ogni proprietà privata trova un’eco lontana nell’appello del documento “per il prioritario e precedente diritto della subordinazione di ogni proprietà privata alla destinazione universale dei beni”.
Un superficiale appello a tutti
Rivolgendosi al mondo intero, Francesco lancia un invito al “dialogo con tutte le persone di buona volontà” come “un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!”. Pertanto, l’appello riduce tutto al minimo comune denominatore in modo che nessuno possa essere lasciato fuori o sentirsi offeso. Non c’è niente di specificamente cattolico in questo messaggio che cerca di essere tutto per tutte le persone. Il risultato è una “fraternità” superficiale che non giudica tra verità ed errore, bene e male, virtù e peccato e che invece strombetta una carità vuota non basata sull’amore di Dio ma su uno sviluppo integrale scollegato dalla salvezza.
La parte più sconcertante dell’appello dell’enciclica a “riproporre il ruolo sociale della proprietà” è che non spiega perché la Chiesa debba riproporlo. Il tesoro dell’insegnamento della Chiesa sulla funzione sociale della proprietà è ricco, anche se in gran parte inapplicato nel mondo secolarizzato e scristianizzato di oggi. Perché non cercare di implementare le verità dimenticate della Chiesa, che porterebbero bellezza, chiarezza e armonia sociale alla società? Questa strana enciclica, che si rivolge a tutti in generale e a nessuno in particolare, omette l’unica vera soluzione ai problemi del nostro mondo: il ritorno dei figli prodighi all’unico vero Dio e all’unica vera Chiesa.
In effetti, si può essere perdonati se ci facciamo la domanda “sono cattolico: posso non essere d’accordo con Papa Francesco sulla proprietà?”.
(Fonte: FatimaOggi)