Fratelli tutti, ma senza più Dio. Un filosofo giudica l’ultima enciclica di Francesco

Se questa diluviale predicazione di Papa Francesco della “fraternità” desse vita a un “cristianesimo diverso”, nel quale “Gesù null’altro fosse che un uomo”? È questo il serissimo “dilemma” nel quale il filosofo Salvatore Natoli vede caduta oggi la Chiesa, con il pontificato di Jorge Mario Bergoglio.

di Sandro Magister (12-10-2020)

Pochi giorni dopo la sua pubblicazione, l’enciclica Fratelli tutti è già passata in archivio, vista l’assenza in essa del minimo spunto di novità rispetto alle precedenti e arcinote allocuzioni di papa Francesco sugli stessi temi. Ma se proprio questa diluviale predicazione francescana della “fraternità” desse vita a un “cristianesimo diverso”, nel quale “Gesù null’altro fosse che un uomo”? È questo il serissimo “dilemma” nel quale il filosofo Salvatore Natoli vede caduta oggi la Chiesa, con il pontificato di Jorge Mario Bergoglio.


E SE GESÙ NULL’ALTRO FOSSE CHE UN UOMO?

di Salvatore Natali

La modernità ha dibattuto strenuamente sull’esistenza di Dio; basti pensare alla valutazione delle prove dell’esistenza di Dio da Cartesio a Kant: si può dimostrare, non si può dimostrare? Ebbene, il conflitto sull’esistenza di Dio dimostrava chiaramente che Dio era la questione centrale di quella cultura, sia per i negatori, sia per quelli che la sostenevano. Era il tema dominante, non si poteva tacere di quello.

Ma ad un certo punto Dio è svanito, non ha costituito più problema perché non lo si sentiva più necessario. Oggi, argomentare sull’esistenza di Dio è un problema che non ha nessuno, neppure i cristiani. A caratterizzare il cristianesimo è sempre di più la dimensione della “caritas” e sempre meno quella della Trascendenza. Fratelli tutti mi pare lo testimoni con coerenza. E questo è un grande dilemma dentro il cristianesimo, del quale si fa carico “in actu exercito” papa Francesco. La Trascendenza non è negata, ma sempre meno nominata. Ma non c’è bisogno di una negazione esplicita se la cosa diventa irrilevante.

“Et exspecto resurrectionem mortuorum” è un’affermazione – tratta dal Messale romano – sempre più marginale nel vocabolario cristiano. Il camminare in compagnia degli uomini – espressione che ricapitola “Fratelli tutti” (cfr. n. 113) – è sempre stato presente, ma era semplicemente il transito verso un esito ben più radicale: la redenzione definitiva dal dolore e dalla morte. L’una dimensione sosteneva l’altra.

Ma oggi possiamo constatare un singolare slittamento: il cristianesimo si risolve sempre di più e semplicemente nel “Christus caritas”. Non è questo il Cristo di Fratelli tutti? Un Cristo che non a caso – si vedano i paragrafi nn. 1-2 e 286 – ha il volto di Francesco d’Assisi, il santo cristiano che più parla ai credenti di altre religioni e ai non credenti.

Questo passaggio – lo domando ai cristiani – è reversibile o irreversibile? E se Francesco – mi permetto di osare – fosse l’ultimo papa della tradizione cattolico-romana, e stesse nascendo un cristianesimo diverso? Un cristianesimo che ha al centro la giustizia e la misericordia e sempre meno la resurrezione della carne. La condivisione del dolore non è la stessa cosa della definitiva liberazione dal male. La promessa cristiana era: “non ci saranno più né dolore né morte, non ci sarà più il male”; mentre adesso pare che il cristianesimo dia per scontato che il dolore accompagnerà sempre gli uomini ed in questo stato essere cristiani vuol dire sostenersi reciprocamente. Sottolineo quest’aspetto dell’enciclica perché mi pare si trovi ad essere del tutto convergente con quanto la parte migliore della modernità laica ha sostenuto, seppure in termini di altruismo e solidarietà e senza alcun riferimento ad una redenzione definitiva altrimenti chiamata “salvezza”. […]

Non so quanto per i cristiani sia ancora rilevante la fede nell’avvento di un mondo senza più dolore e morte e per di più – questo mi pareva fosse decisivo – in un finale di partita in cui gli uomini saranno risarciti da tutto il dolore patito. Ma dico di più: quanto credono ancora in un’eternità beata, in un eterno presente dove non vi sarà più nulla da attendere, ma sarà redento per intero il passato? […]

In ogni caso a chi è cristiano importa comunque e tanto il “Christus caritas”. “Ubi caritas et amor, ibi Deus est. Congregavit nos in unum Christi amor” (sempre dal Messale romano): questo è perfettamente conveniente agli uomini. E se Cristo non fosse affatto il Dio incarnato, ma al contrario fosse proprio l’incarnazione a rappresentare davvero l’inizio della morte di Dio? E se Gesù null’altro fosse che un uomo che, però, ha mostrato agli uomini che solo nel loro reciproco donarsi hanno la possibilità di divenire “dèi” seppure al modo di Spinoza: “homo homini Deus”? Non più, dunque, “tu scendi dalle stelle”, ma piuttosto “il darsi sostegno gli uni degli altri” per dimorare felici sulla terra.

La promessa d’una liberazione definitiva dal dolore e dalla morte forse è solo mito, ma in ogni caso non è nelle disponibilità di coloro che i greci chiamavano appunto i “mortali”. Il reciproco aiuto, al contrario, è nella disponibilità degli uomini e il cristianesimo, riconosciuto e assunto nella forma del buon Samaritano, ci può rendere davvero pienamente umani. Se così è, come direbbe Benedetto Croce, non possiamo non dirci cristiani. È questo un dilemma che da non credente pongo ai credenti, ai cattolici.

Infatti, da non credente, sono perfettamente d’accordo, parola per parola, su quanto dice l’enciclica nel capitolo secondo, commentando la parabola del buon Samaritano. Questo è da fare! Da questo punto di vista, Gesù esprime una possibilità degli uomini. Ma il Dio che risorge dai morti è solo una possibilità di Dio, ammesso che ci sia.

(Fonte: SettimoCielo)

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