Col sinodo dell’Amazzonia, l’apostasia è arrivata ad un punto di non ritorno? Ma come siamo arrivati da una tale apostasia così sfacciata? Provano a dare una risposta il teologo americano P. Thomas Berg e il filosofo tedesco Martin Hähnel.
La teoria morale che fallì è tornata di moda
Una vecchia versione della teologia morale, il proporzionalismo — una versione che è stata ed è perdente perché succube della posizione del mondo, tenuta a bada dai pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI — è prepotentemente di moda.
di P. Thomas Berg* (17-10-2019)
Non c’è bisogno che un cattolico sia un teologo, un giornalista o addirittura un osservatore di affari ecclesiali per comprendere che c’è stata una battaglia in corso durante il pontificato di Francesco. È una lotta per l’egemonia tra due contrapposte teorie morali. Quel conflitto è stato notevolmente più pronunciato nei passati 3 anni spesso con manifestazioni pubbliche.
Dalla promulgazione dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia e la conseguente tempesta infuocata su cosa esattamente è implicato riguardo la Santa Comunione, il divorzio e il risposarsi; alla ricostituzione dell’Istituto Giovanni Paolo II di Roma, il licenziamento senza precedenti di due importanti membri di facoltà e l’assunzione di due teologi morali noti per sfidare l’insegnamento della Chiesa su contraccezione e omosessualità; e i vescovi tedeschi, guidati dal cardinale Reinhard Marx, che si imbarcano su un “processo sinodale” apparentemente contrario ai desideri di papa Francesco, e indubbiamente indirizzati al ripensamento del celibato sacerdotale e certamente dell’insegnamento della Chiesa sulla morale sessuale. È tutto connesso.
È uno sforzo finale di un blocco di grigi e vecchi teologi morali e vescovi che la pensano allo stesso modo al fine di ottenere l’egemonia per il loro marchio di teologia morale, ossia, il proporzionalismo.
Proporzionalismo è una parola ombrello che raccoglie un insieme di diversi approcci alla teologia morale che condividono largamente certe credenze sulla natura umana e la vita morale.
Ognuno è una versione dell’approccio “il fine giustifica i mezzi” [applicato] alla risoluzione di problemi morali.
Il proporzionalismo offre la possibilità di coinvolgersi in un calcolo di valore morale il quale, presupponendo una buona intenzione o una ragione sufficientemente ponderata nell’attore morale, potrebbe potenzialmente validare ogni azione – anche quelle che le Sacre Scritture e il magistero perenne della Chiesa hanno dichiarato essere intrinsecamente malvagie.
Il proporzionalismo fiorisce in tre decadi dagli anni ’60 agli anni ’80 e domina i seminari cattolici e i dipartimenti di teologia morale su entrambi i lati dell’Atlantico, particolarmente in Germania e notabilmente negli Stati Uniti. Era il veicolo teoretico per giustificare il dissenso teologico dall’insegnamento di san Paolo VI sulla contraccezione in Humanae Vitae. E ben presto divenne chiaro che il proporzionalismo potrebbe giustificare molto di più.
Molti dei vescovi di oggi sono stati istruiti come seminaristi nel proporzionalismo. Non tutti l’hanno abbracciato, ma molti indubbiamente lo hanno fatto, e la loro comprensione della vita morale cristiana è stata profondamente segnata dalla loro esposizione ad esso.
In aggiunta al suo concetto di coscienza morale radicalmente autonoma (io – e solo io – decido cos’è bene e male), il proporzionalismo segue molti degli altri percorsi del moderno spirito dei tempi: il soggettivo vince l’oggettivo, la coscienza vince la norma, una buona intenzione vince il male intrinseco. La teoria presume che virtualmente ogni esperienza morale umana è talmente irriducibilmente complessa che nessuna norma morale potrebbe potenzialmente venir generata nel tempo per rispondere ad ogni situazione, e nessun comportamento in sé stesso potrebbe essere compreso come sempre immorale in ogni circostanza.
Papa san Giovanni Paolo II sentì l’urgenza di rispondere ai principi fondamentali del proporzionalismo, affrontandoli 26 anni fa nell’enciclica Veritatis splendor. Nei paragrafi 54-64, ha rifiutato la nozione della coscienza come decisione autonoma, e nei paragrafi 74-83 ha rifiutato la negazione da parte del proporzionalismo degli atti intrinsecamente malvagi.
Da parte sua, il papa emerito Benedetto XVI è stato inesorabile nella sua critica al proporzionalismo, descrivendolo come una teoria morale staccata da fondamenta metafisiche, “sordo e cieco alla parola divina sull’essere” e una teoria morale “che contraddice le basi fondamentali della visione cristiana”. È andato addirittura così avanti – in più di un’occasione – fino a suggerire che le idee proporzionaliste sono almeno in parte da incolpare per la crisi degli abusi nel clero.
Ciononostante, il proporzionalismo ha avuto un largo appeal tra i progressisti cattolici. La sua apparenza esterna di eminente ragionevolezza, risultante primariamente dalla sua sottomissione allo spirito dei tempi della morale secolare, è stata anche aumentata dalle circostanze storiche.
Il proporzionalismo è stato una reazione teologica ad un più vecchio metodo di fare e insegnare teologia morale che aveva dominato nei seminari cattolici dal tardo XVI alla metà del XX secolo. Quel metodo – casuistica, certe volte chiamato da manuale – mentre dava alla Chiesa una morale teologica solida, aveva anche un approccio legalistico alla vita morale che toglieva alla verità morale la sua ricchezza e la vitalità centrata in Cristo.
Con buone ragioni il Vaticano II ha chiamato ad un rinnovamento nell’insegnamento della morale teologica: un insegnamento morale profondamente centrato sulle sacre scritture e una nuova enfasi nella virtù, sulle beatitudini e sul discepolato incentrato su Cristo.
E ci sono stati alcuni buoni passi presi in quella direzione. Eppure, nel complesso, molto della teologia morale cattolica corrente è collassata sotto il furioso assalto culturale degli anni ’60. E in quel milieu, le prima teorie proporzionaliste sono proliferate.
Possiamo solo essere grati che molti tra coloro della nuova generazione di studenti tra l’inizio e la metà degli anni ’90 iniziarono a prendere le distanze dal proporzionalismo che continuava ad essere insegnato nei loro corsi di teologia morale. Se la teoria continua ad esercitare un’influenza ancora oggi, lo fa principalmente attraverso una vecchia generazione di preti e vescovi che cocciutamente la sostengono, mentre rigetta l’insegnamento di Veritatis Splendor.
Non sorprende dunque che attraverso le decadi una certa narrazione è sorta sul proporzionalismo, difendendo i suoi aderenti con una caricatura dei loro oppositori. Gli aderenti sono ragionevoli e bilanciati; gli oppositori sono rigidi ed estremi. I proponenti usano un “discernimento” morale in modo da comprendere la specifiche situazioni dell’individuo; gli oppositori no. I proponenti sono pastoralmente realisti e sensibili; gli oppositori non tanto.
Papa Francesco, da parte sua, ha mostrato simpatia per quella narrazione. Uno può solo assumere che ciò sia dovuto al suo essere stato esposto al proporzionalismo per molta parte della sua vita. Quando papa Francesco parla di preti che trasformano il confessionale in una “camera di tortura”, o che farisaicamente “indottrinano il Vangelo”, trasformando il suo messaggio di vita in “pietre morte che vengono gettate sugli altri”, può semplicemente riferirsi al vecchio approccio manualistico alla vita morale. Ma serve anche a rinforzare la narrazione proporzionalista.
L’ultima versione della narrazione afferma che una cabala di cattolici americani conservatori sta minacciando Francesco con lo scisma o almeno stanno provando a minare il suo pontificato. Se i seguaci del proporzionalismo hanno scelto di armare la nozione di scisma, forse è perché sono disperati.
Ciononostante, il “processo sinodale” della Chiesa tedesca, insieme al Sinodo amazzonico a Roma, mostra un insieme di vescovi progressisti, teologi e giornalisti con una fresca opportunità per continuare a premere sul Papa per una chiara affermazione del rifacimento della teologia morale cattolica ispirata al proporzionalismo – al di là del tacito sostegno qualcuno ipotizza che sia già accordata.
*Vicerettore e professore di teologia morale al seminario San Giuseppe (Dunwoodie) a Yonkers, New York. È autore di ‘Hurting in the Church: A Way Forward for Wounded Catholics’ (Our Sunday Visitor, 2017)
Tradotto da Riccardo Zenobi
(fonte: catholicherald.co.uk; traduzione: sabinopaciolla.com)
Una (falsa) Chiesa che non è più segno di contraddizione
Quanto è grave l’attuale situazione della Chiesa? Se lo è chiesto Martin Hähnel dell’Università Cattolica di Eichstätt-Ingolstadt. E ha individuato cinque punti: l’idea di progresso che ha sostituito la Provvidenza, una morale senza più il paradigma della verità e della ragione, la mondanizzazione della Chiesa, l’abbandono del sensus fidei e infine ragioni economiche. Un’agenda di cui il Papa rischia di farsi complice.
di Luisella Scrosati (27-10-2019)
Martin Hähnel, collaboratore scientifico della cattedra di Bioetica dell’Università Cattolica di Eichstätt-Ingolstadt, ha offerto una riflessione ed un appello, che meritano di essere presi seriamente in considerazione. Noi tutti siamo cresciuti e ci siamo in qualche modo affezionati a quei centri di vita cristiana, che sono le parrocchie: Messe, sacramenti, associazioni caritative fanno parte del nostro modo di vivere concretamente la vita cristiana. Hähnel pone però una domanda: siamo consapevoli che questo Sinodo potrebbe provocare dei cambiamenti capaci di stravolgere drasticamente queste nostre consuetudini e di far sparire molte cose alle quali siamo legati? Siamo consapevoli che anche il volto del sacerdozio, così come lo conosciamo, potrebbe cambiare radicalmente?
Checché ne dicano i media vaticani, è evidente che in questo Sinodo si è spinto moltissimo sulla questione del celibato. Per quale ragione? Spaemann aveva colto che «il celibato è provocazione per il mondo moderno». Di conseguenza, chi non vuole più provocare il mondo moderno, finisce per indebolire o togliere il celibato e per colpire al cuore lo specifico valore del sacerdozio ordinato, in un tempo in cui, anche in ragione degli scandali recenti, il sacerdozio necessiterebbe invece di essere riscoperto in tutto il suo valore. Anche la reiterata accusa di “clericalismo” ha contribuito a creare nella testa della gente un’idea di sacerdozio privato del suo valore.
Hähnel individua cinque motivi per spiegare quanto sia grave l’attuale situazione della Chiesa.
Anzitutto, il Sinodo sembra essere il punto focale di un’“agenda ecclesiale”. La Chiesa moderna, soprattutto dal XIX sec., ha sostituito l’idea della Divina Provvidenza con il progresso, sostituzione che è stata accompagnata dalla liquefazione della dogmatica e dalla relativizzazione delle norme morali. Questo processo sta raggiungendo il suo vertice proprio nel Sinodo e ne è segno il fatto che l’assise sinodale si mostra priva della forza di forgiare una cultura ed una mentalità. Non è più il cristianesimo che ha la forza di “incorporare” il mondo, come, per esempio, San Tommaso seppe “battezzare” Aristotele, ma il contrario. Questo adeguamento della Chiesa allo spirito del mondo è la ragione per cui il mondo riesce ad imporre le sue esigenze, alle quali la Chiesa sta cedendo sempre di più. Hähnel ricorda che nel 2011 a Friburgo, in occasione del suo viaggio apostolico in Germania, Benedetto XVI aveva cercato di fermare questo processo, chiedendo alla Chiesa di “de-mondanizzarsi”.
Il Sinodo appare come l’esito obbligato di questo cambiamento di paradigma, dopo il quale nulla sarà più come prima. Hähnel afferma a chiare lettere che «la scenografia esotica dell’Amazzonia viene usata per particolari intenzioni di riforma della Chiesa universale e le popolazioni indigene vengono abusate spudoratamente per un programma che alla fine non tiene conto delle necessità e della realtà dell’Amazzonia».
La seconda considerazione è di ordine filosofico. Il Sinodo «è un buon esempio del fatto che verità e ragione non rappresentano dei parametri oggettivi per il comportamento morale». Al loro posto sono invece subentrati «l’astuzia diplomatica ed il calcolo strategico»: non ci si attiene più a criteri oggettivi, a verità sempre valide, ma a fattori contingenti di natura sociale o politico-ecclesiale. Nel Sinodo, questo fatto è testimoniato soprattutto dalle prese di posizione sul tema del clima.
Il terzo aspetto è di natura sociologica. Nel suo libro Mass Exodus, il sociologo britannico Stephen Bullivant descrive come la Chiesa cattolica sia divenuta oggetto passivo della pressione sociale di adattamento, che non ha più un proprio potere d’azione, finendo per perdere la propria forza d’attrazione. Molti cattolici si sono allontanati dalla vita della Chiesa e si autodefiniscono belonging without believing o addirittura se ne sono andati del tutto. «E’ piuttosto sorprendente – dice Hähnel – che la Chiesa non riesca a realizzare questo fatto o lo relativizzi»; secondo il sociologo della religione Peter Berger, i circoli religiosi progressisti, in prima linea nel Sinodo dell’Amazzonia, hanno «un pessimo istinto sociologico, nonostante amino richiamarsi alla sociologia». Se infatti il “sistema-chiesa” cerca di adattarsi al sistema della società secolarizzata, allora vengono ridestate nuove aspettative, soprattutto di ruolo, come per esempio l’aspettativa di come debba essere il sacerdote; e la Chiesa a sua volta pensa di dover esaudire questa attesa. Si tratta del principio di desiderabilità sociale, che porta a dare risposte che rendano più accettabili; praticamente la fine del Vangelo. In questo contesto, si fa strada un rischio particolarmente elevato, quello del “ressentiment”: «quando chierici e laici si confrontano con la società secolarizzata e con i suoi ambivalenti successi, notano che ci sono cose che nella Chiesa non trovano e così vorrebbero averle nella propria Chiesa; allora si crea il terreno fertile per la crescita di un istinto di autopunizione e di svalutazione sistematica di tutte le cose più alte», conclude Hähnel.
In pratica, la Chiesa viene additata come la responsabile delle proprie frustrazioni, motivo per cui si sente la necessità di formare una nuova chiesa, che attacca i valori della “vecchia” Chiesa, e li sostituisce. Una chiesa dal volto amazzonico pianificata in Germania costituirebbe il risultato perfetto di questo ressentiment; sarebbe infatti una chiesa che, anziché affermare quanto la Chiesa ha ricevuto una volta per tutte da Cristo, viene forgiata da gruppi di persone che pensano allo stesso modo e ritengono di dover introdurre nella Chiesa delle novità; costoro, resi ciechi dal proprio attivismo, disprezzano i buoni frutti della tradizione.
La quarta cornice è collegata alla precedente ed è di natura psicologica. Secondo Hähnel, «molte guide della Chiesa dei nostri giorni ignorano sempre più il sensus fidei dei fedeli. Altrimenti non si spiega come una minoranza di vescovi, sacerdoti e laici creda di poter parlare a nome di tutta la Chiesa e addirittura si crede la punta di un’avanguardia che ha il potere di mettere in atto riforme radicali». Per contrastare questa presunzione, deve formarsi una resistenza profondamente radicata in quel sensus fidei che ha il potere di rimettere le cose alla luce della verità. E’ questo sensus fidei che fa rimanere perplessi di fronte ad alcune proposte di soluzione ai problemi, che provengono da Roma. Tale sensus fidei è particolarmente marcato in quei laici che mantengono una salutare distanza dal “sistema chiesa” (che non dev’essere confusa con la Chiesa). Esso conosce il mondo moderno meglio di tanti padri sinodali, per il fatto che nel mondo ci vive; ed ha anche la consapevolezza che l’attuale processo di riforma non è una modernizzazione positiva, ma è solo l’imitazione di una prospettiva esterna secolare. Secondo questa prospettiva, la Chiesa non sta facendo altro che quanto avrebbe dovuto fare da tempo, come abolire del celibato.
Infine, un’annotazione di natura economica: «Tutti sappiamo che la Chiesa tedesca, che partecipa in modo rilevante al finanziamento del Sinodo e a numerosi progetti socio-caritativi nell’America Latina, è abbastanza ricca a causa della Kirchensteuer». Con un certo senso dell’umorismo, Hähnel dice che secondo alcuni, la ragione per cui la Chiesa tedesca non è ancora protestante è per non dover dividere i suoi beni con i fratelli evangelici… A buon intenditor, poche parole.
Di fronte a questo scenario, bisogna resistere alla tentazione di cedere ad una Chiesa sempre meno esigente e sempre più frutto di gruppi, conventicole, mafie che architettano in segreto per “riformare” la Chiesa, aggrappandosi sempre ad una lettura ideologica del Vaticano II o violentando il pensiero di alcuni teologi, come ad esempio Newman […], per realizzare la propria agenda ultra-progressista. Interpretazioni e distorsioni che sono frutti del ressentiment.
Hähnel conclude facendo notare che molti sono i segnali che fanno pensare che quanto uscirà da questo Sinodo si spargerà nella Chiesa universale, così come è avvenuto per il Sinodo sulla famiglia: la logica di Amoris Laetitia del caso per caso e delle situazioni particolari ha già aperto il varco. E’ perciò fondamentale, secondo Hähnel, seguire questo Sinodo, metterlo in discussione e, se necessario, opporre resistenza. E occorre pregare per il Papa, perché non diventi in qualche misura complice di questa agenda.
Articolo realizzato con la collaborazione di Maria Stolz
(fonte: lanuovabq.it)