Autorevoli personalità americane credono a mons. Carlo Maria Viganò non solo perché ne conoscono la forza morale e spirituale, ma anche perché nessuno fin ora è riuscito a provare l’infondatezza della sue accuse.
di Aldo Maria Valli (30-01-2018)
L’arcivescovo Carlo Maria Viganò è un uomo integro che nutre un «sincero amore per la Chiesa», da lui servita con «dedizione disinteressata». Parola dell’arcivescovo di San Francisco, Salvatore Cordileone, che così scrive in una lettera ai fedeli della sua diocesi dopo la pubblicazione del memoriale di monsignor Viganò.
«Ho conosciuto bene l’arcivescovo Viganò durante gli anni in cui ha prestato servizio come nunzio apostolico qui negli Stati Uniti», scrive Cordileone. «Posso attestare che ha svolto la sua missione con dedizione altruistica, che ha realizzato bene il mandato petrino affidatogli dal Santo Padre per confermare i fratelli nella fede e che lo ha fatto con grande sacrificio personale, senza alcuna considerazione motivata dal promuovere la sua carriera. Tutto ciò parla della sua integrità e dl suo sincero amore per la Chiesa».
«Inoltre – continua Cordileone –, pur non avendo informazioni privilegiate sulla situazione dell’arcivescovo McCarrick, dalle informazioni che ho in merito a pochissime altre dichiarazioni rilasciate dall’arcivescovo Viganò posso confermare che sono vere. Le sue dichiarazioni, quindi, devono essere prese sul serio. Lasciarle perdere con leggerezza darebbe continuità a una cultura di negazione e offuscamento. Ovviamente, per convalidare le sue dichiarazioni nel dettaglio dovrà essere condotta un’indagine formale, completa e obiettiva».
Ma Cordileone non è l’unico vescovo statunitense a prendere posizione a favore di Viganò e del suo memoriale. C’è infatti da registrare anche una dichiarazione del vescovo di Phoenix, in Arizona, Thomas J. Olmsted che definisce Viganò «un uomo sincero».
«Sebbene non abbia conoscenza delle informazioni che rivela nella sua testimonianza scritta del 22 agosto 2018, e quindi non mi sia possibile verificarne personalmente la veridicità, l’ho sempre conosciuto e rispettato come un uomo di verità, fede e integrità», scrive il vescovo. Questo il motivo per cui Olmsted ritiene che la recente testimonianza di Viganò debba essere presa sul serio.
«Molte persone innocenti sono state seriamente danneggiate da religiosi come l’arcivescovo McCarrick», conclude Olmsted. «Chiunque abbia nascosto questi atti vergognosi deve essere portato alla luce del giorno».
La dichiarazione di Olmsted è significativa anche perché l’attuale vescovo di Phoenix conosce Viganò da molti anni, fin dal 1979, ai tempi in cui Olmsted entrò al servizio della Segreteria di Stato della Santa Sede.
Di accuse «credibili» contenute nel memoriale di Viganò parla anche il vescovo Joseph Edward Strickland, vescovo di Tyler nel Texas, mentre il vescovo di Tusla, David Austin Konderla, in un tweet dice: «Le accuse da lui [Viganò, ndr] dettagliate costituiscono un buon punto di partenza per le indagini, che devono svolgersi in modo da poter ripristinare la santità e la responsabilità nella gerarchia della Chiesa».
Importante poi il sostegno espresso a monsignor Viganò dall’ex primo consigliere della nunziatura apostolica a Washington, Jean-François Lantheaume, secondo il quale «Viganò ha detto la verità. Questo è tutto».
Anche l’arcivescovo di Filadelfia, Charles J. Chaput, pur dichiarando di «non essere a conoscenza» di elementi che gli permettano di giudicare il grado di veridicità delle dichiarazioni di Viganò, ha tenuto a far conoscere il suo giudizio positivo sul lavoro dell’ex nunzio, «caratterizzato da integrità nei confronti della Chiesa».
Come abbiamo già riferito, stima per Viganò è stata espressa senza mezzi termini dal vescovo di Madison, Robert Morlino, che ha definito «reali e concrete» le affermazioni dell’arcivescovo italiano.
Da non dimenticare poi il sostegno subito espresso a Viganò dal cardinale Raymond Burke e dal vescovo Athanasius Schneider di Astana.
Ed ora il giudizio di George Weigel, docente all’Ethics and Public Policy Center di Washington, nonché celebre biografo di san Giovanni Paolo II (suo è il best seller mondiale Testimone della speranza), secondo il quale Viganò ha dimostrato coraggio, onestà e lealtà verso la Chiesa e il papato.
Scrive Weigel su First Things: «Subito dopo la pubblicazione del memoriale, le polemiche all’interno della Chiesa si sono immediatamente intensificate, rimbalzando attraverso i media. In questa atmosfera febbrile è praticamente impossibile per chiunque dire qualcosa senza destare sospetti e accuse. Ma poiché ho conosciuto bene l’arcivescovo Viganò durante il suo servizio come rappresentante diplomatico pontificio a Washington, mi sento obbligato a parlare di lui, in modo tale, spero, da poter aiutare gli altri a riflettere attentamente sulle sue affermazioni molto, molto serie».
«In primo luogo, l’arcivescovo Viganò è un coraggioso riformatore, che fu allontanato dal Vaticano dai suoi diretti superiori perché si dimostrò deciso a fronteggiare la corruzione finanziaria nel Governatorato, l’amministrazione dello Stato della Città del Vaticano».
In secondo luogo, continua Weigel, «l’arcivescovo Viganò è, in base alla mia esperienza, un uomo onesto». Infatti «abbiamo parlato spesso di molte cose, grandi e piccole, e non ho mai avuto l’impressione che mi dicesse qualcosa di diverso da quello che in coscienza riteneva essere la verità».
«Ciò non significa – continua il professor Weigel – che egli abbia fatto tutto bene; uomo di umiltà e di preghiera, sarebbe il primo ad ammetterlo. Ma lascia pensare che i tentativi di ritrarlo come qualcuno che fa deliberatamente false accuse, qualcuno che non è onesto testimone di ciò che egli crede essere la verità, non sono convincenti. Quando nella sua testimonianza dice che è “pronto a sostenere [queste accuse] sotto giuramento chiamando Dio come testimone”, parla sul serio. L’arcivescovo Viganò sa che, prestando un tale giuramento, se dicesse il falso perderebbe la sua anima».
Non bisogna infine dimenticare, scrive Weigel, che l’arcivescovo Viganò è un leale ecclesiastico che appartiene a una generazione cresciuta per mettersi al servizio del papa. «La sua formazione nel servizio diplomatico pontificio lo porta istintivamente a fare della difesa del papa la sua prima, seconda, terza e centesima priorità». Dunque se egli adesso crede che dare questa testimonianza sia il modo migliore di difendere la Chiesa e il papa, significa che ha motivi davvero molto seri per comportarsi così.
«Ciò che l’arcivescovo Viganò testimonia di conoscere sulla base di esperienze dirette, personali e in molti casi documentabili, a Roma e Washington, merita di essere preso sul serio, non perentoriamente respinto o ignorato. Evidentemente il cardinale Daniel DiNardo, presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, è d’accordo, come chiarisce la sua dichiarazione del 27 agosto. Questo è un altro passo verso la purificazione e la riforma di cui abbiamo bisogno».
Da George Weigel, in un articolo per il Wall Street Journal (A Crisis, but not of Faith, Una crisi, ma non di fede) arriva anche un’analisi a più vasto raggio sul momento attraversato dalla Chiesa cattolica. Durante la messa, dice Weigel, i cattolici affermano di credere alla Chiesa «una, santa, cattolica e apostolica», ma certamente da alcuni mesi un bel po’ di fedeli, specie negli Stati Uniti, si interrogano su quell’aggettivo «santa». Ciò che abbiamo visto in Cile, Honduras, Irlanda, Gran Bretagna, Australia e Usa, senza contare le polemiche a Roma, ci fa porre una domanda: dov’è la santità in tutto questo?
Non c’è da stupirsi, dunque, se in qualcuno c’è una crisi di rigetto. Tuttavia, annota Weigel, sbaglieremmo se parlassimo di crisi di fede. «La Chiesa cattolica è un’istituzione così grande, affascinante, complessa e leggendaria, e la vita cattolica è così focalizzata su istituzioni come parrocchie, scuole e ospedali, che è facile per i cattolici seri perdere di vista qualcosa di piuttosto semplice: i cattolici non vanno, e non dovrebbero andare, alla messa domenicale perché ammirano il papa del momento, o il loro vescovo locale, o il loro pastore. I cattolici vanno a messa la domenica per ascoltare ciò che crediamo essere la Parola di Dio nella Scrittura e per entrare in ciò che crediamo essere la comunione con Dio mediante Gesù Cristo».
Insomma, per quanto si possano condividere «rabbia e disgusto per ciò che è emerso in questi ultimi mesi», Weigel suggerisce a coloro che presuppongono una crisi di fede di pensare che siamo di fronte a qualcosa di diverso: «Una sfida per capire che cosa è davvero la Chiesa».
La Chiesa è fondata su Gesù Cristo, e da questo fondamento deriva la fiducia nei suoi confronti e nelle sue istituzioni. Quando questa fiducia si spezza, come è avvenuto tante volte nel corso di due millenni, «è importante rifocalizzarsi su quella che è la base della fede cattolica, la fede in Gesù Cristo».
Ecco il motivo, scrive Weigel, che sta alla radice dell’essere cattolici nella Chiesa. Il motivo che porta «a fare ogni sforzo perché la Chiesa possa essere una testimonianza credibile del Signore che offre la comunione con Dio e le parole di vita eterna».
Weigel ricorda che quindici anni fu molto colpito da una coppia di giovani contadini che, mentre lui firmava copie del suo libro, gli dissero che la lettura della sua descrizione della corruzione ecclesiastica, anche allora era al centro dell’attenzione, li aveva spinti a entrare, dopo due anni di indecisione, nella Chiesa cattolica. Ma come, replicò lo scrittore, proprio ora? E quelli risposero: una Chiesa che riesce a essere onesta, ammettendo ciò che è sbagliato al suo interno, dev’essere certamente fondata sulla verità e su Gesù Cristo.
Dunque, non crisi di fede, ma occasione per riflettere su che cosa è veramente la Chiesa. Ed ecco perché chi crede nella guida provvidenziale di Dio deve chiedersi seriamente: perché avvengono queste cose orribili e che cosa dovremmo fare al riguardo?
«La mia risposta, ispirata in parte da quegli agricoltori dell’Indiana nel 2003, è che la Chiesa è chiamata a una grande purificazione attraverso una fedeltà molto più radicale a Cristo, all’insegnamento cattolico e alla missione cattolica. I vescovi che hanno fallito nelle loro responsabilità di insegnanti, pastori e amministratori in genere lo hanno fatto perché hanno messo il mantenimento istituzionale davanti alla missione evangelica. Lasciare che il meccanismo istituzionale cattolico filasse nel modo più liscio possibile, se necessario giungendo a compromessi con la verità e la disciplina, è stato ritenuto più importante dell’offrire agli altri il dono ricevuto: l’amicizia con Gesù Cristo».
Tutto questo cattolicesimo che vive all’insegna del «mantenimento istituzionale», sostiene Weigel, «ora deve finire». Perché «lì c’è poca santità».
La riforma di cui la Chiesa ha bisogno sarà dunque attuata dai veri fedeli, da coloro che, pur stimolati a protestare per la situazione della Chiesa, «non sono stati scossi nella loro fede». Di questa schiera fanno parte vescovi, sacerdoti, laici, uomini, donne, tutti accomunati dal fatto che non si accontentano di quella forma di manutenzione istituzionale chiamata stonewalling [ostruzionismo, tergiversare], sia che provenga dal loro vescovo locale negli Stati Uniti o da Roma».
«Fortunatamente – conclude Weigel – questi cattolici esistono e sono tanti. E questo è il loro momento».
(fonte: aldomariavalli.it)
Quelle “prove” contro Viganò che non provano nulla
di Aldo Maria Valli (30-08-2018)
Recenti commenti giornalistici sulla vicenda dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò tendono a screditare l’ex nunzio negli Stati Uniti dopo la pubblicazione del suo memoriale.
In particolare si osserva che in una cerimonia di gala negli USA, del maggio 2012 (foto a lato), Viganò ebbe parole di simpatia e di stima per il cardinale McCarrick, sebbene sapesse che il porporato era stato già sanzionato da Benedetto XVI, che gli aveva chiesto di non presenziare a cerimonie pubbliche e non viaggiare.
Un video mostra che il nunzio Viganò, nell’aprire il suo discorso alla World Mission Dinner delle Pontifical Mission Societies, in un hotel di Manhattan, saluta prima di tutti proprio il cardinale McCarrick dicendo: «Distinti ospiti, vescovi qui presenti, e ospiti onorati questa sera come “Ambasciatori Pontifici delle Missioniˮ, che è un bel titolo. Prima di tutti, sua eminenza il cardinale McCarrick, ambasciatore già da diverso tempo, come prete, vescovo, arcivescovo, cardinale e a cui tutti noi vogliamo molto bene…».
Secondo alcuni, questa sarebbe la prova che Viganò mente. Nel memoriale accusa McCarrick di non aver rispettato gli ordini imposti da Benedetto XVI, ma all’epoca lo elogiava.
A mio avviso il video non prova nulla di simile. Proviamo a pensare alle circostanze. Viganò all’epoca è nunzio negli Stati Uniti da pochi mesi (dal novembre 2011). Si trova a una delle sue prime uscite pubbliche come ambasciatore della Santa Sede. L’occasione è molto prestigiosa. Quando c’è la presenza di un cardinale, dal punto di vista gerarchico, il nunzio viene dopo di lui ed è tenuto a salutarlo per primo e a rendergli onore in qualche forma. Ora, che cosa avrebbe dovuto fare il nunzio Viganò? Ignorare McCarrick? Oppure dire pubblicamente: «Eminenza, dovrei salutarla ma non lo faccio, perché lei è un mascalzone»? Oppure indicarlo al pubblico ludibrio e dichiarare: «Ecco qui il cardinale McCarrick, che si porta a letto i seminaristi e che è stato sanzionato dal papa. Lo salutiamo!».
È chiaro che in un’occasione simile il nunzio, il rappresentante del papa, fa il nunzio: cioè non mette in piazza ciò che sa e ciò che sente dentro di sé. Tocca spesso agli ambasciatori nascondere le proprie emozioni e salvare le apparenze. Fa parte del loro lavoro, spesso ingrato.
Dunque Viganò usa quell’espressione. Lo fa a braccio, senza particolare enfasi, e Dio solo può sapere che cosa ci fosse nell’animo del nunzio in quel momento. Ma poi che “elogio” sarebbe? Viganò dice a proposito di McCarrick che «tutti noi gli vogliamo bene». E non è proprio questo che fa il cristiano? Voler bene al peccatore, nonostante il peccato? A me sembra che con quell’espressione Viganò se la sia cavata piuttosto bene. Pur essendo all’inizio del suo mandato e quindi ancora non molto esperto come nunzio, ha tenuto a bada i suoi sentimenti ed ha salvato le esigenze del protocollo. In questi casi, ripeto, un ambasciatore è tenuto ad agire proprio così: fare come se non sapesse nulla, senza lasciar trapelare nulla. Se Viganò non avesse agito così avrebbe dato scandalo e tradito la fiducia del papa.
Direte: ma perché McCarrick non rispettava gli ordini di Benedetto XVI e se ne andava in giro indisturbato? Giusta domanda. La stessa che si fece Viganò e che lo portò a concludere che McCarrick era protetto da qualcuno molto in alto, così da potersi fare beffe dello stesso papa Benedetto.

Ma veniamo ora a un secondo video che sta circolando e che, secondo alcuni commenti, mostrerebbe di nuovo che Viganò è un mentitore. Si tratta del video relativo al primo, breve incontro tra lo stesso Viganò e Francesco, al termine della riunione dei nunzi nel 2013. Viganò nel memoriale ricorda che il papa, senza preamboli, lo investì con tono di rimprovero dicendogli che «i vescovi negli Stati Uniti non devono essere ideologizzati! Devono essere dei pastori!». Ora, dicono coloro che contestano la versione di Viganò dandogli di nuovo del mentitore, il video mostrerebbe invece un papa inizialmente sorridente, per niente aggressivo, il quale, saputo di aver di fronte il nunzio negli Usa, incomincerebbe poi un discorso. Ebbene, di quel discorso non sappiamo nulla, perché il video, come succede in questi casi, è stato tagliato, in modo da non rivelare il contenuto privato della conversazione. Mi sembra comunque del tutto comprensibile che Viganò, nel ricordare quel momento, abbia conservato dentro di sé non tanto il sorriso iniziale del papa (il quale in queste circostanze sorride a tutti, nello stesso modo), ma il contenuto del breve colloquio successivo. Ecco perché Viganò nel memoriale dice che il papa, senza troppi preamboli, lo investì in tono di rimprovero. In effetti è probabile che sia andata proprio così. Dopo il sorriso iniziale, il papa si mette a parlare subito con Viganò, ma noi non sappiamo che cosa seguì perché il video non ce lo mostra.
A questo punto vorrei sottolineare che se ribatto alle osservazioni critiche e alle accuse contro Viganò non lo faccio per salvare monsignor Viganò, ma per il rispetto della verità, e perché mi sembra ingiusto che accuse anche pesanti, come quella di essere un mentitore, abbiano libera circolazione.
Infine una risposta a chi sostiene che Viganò sarebbe anche spergiuro, perché, pubblicando il memoriale, ha violato il segreto pontificio al quale era tenuto come nunzio.
A questo proposito c’è da osservare che il segreto di cui stiamo parlando non è di natura sacramentale. Non è, tanto per intenderci, come il segreto al quale è tenuto il confessore. Il segreto al quale è tenuto un nunzio è funzionale alle esigenze della Chiesa e alla sua libertà di azione nel mondo. Ma se questo segreto viene usato non per il bene della Chiesa bensì contro di essa, se diventa cioè omertà per coprire una lobby, chi si accorge di questa perversione non solo può ma deve violare il segreto. È un suo dovere per il bene della Chiesa, nel nome della verità.
Ripeto ancora una volta che se ho voluto rispondere ad alcune accuse contro Viganò non è per entrare in conflitto con altri osservatori e commentatori. Credo anzi che in tutta questa vicenda si debba accuratamente evitare di scendere sul terreno della guerra personale. Ciò che occorre è invece tenere fisso lo sguardo sulla questione in sé: la corruzione morale denunciata da Viganò. Una corruzione che, secondo l’ex nunzio, ha raggiunto ormai i vertici della Chiesa, tanto da rendere necessaria un’azione di forza, come la pubblicazione del suo memoriale, per consentire l’inizio di una purificazione.
(fonte: aldomariavalli.it)
Tutti questa congrega di prelati, faccendieri vaticani, giornalisti-giornalai a libro-paga dell’Equivoco e quant’altri, tutti trasformatisi per magia in picciotti per difendere il male e occultare la verità – spacciando aria fritta e falsità fresche di giornata – ripugnano davvero dal profondo e riceveranno la mercede che gli compete.
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Finito di leggere il j’accuse, e mi pongo alcune domande.
Come Viganò sapeva delle restrizioni di Benedetto XVI a McCarrick? Si presume in quanto Nunzio pontificio a Washington. Ma se così, o ha avuto la comunicazione orale diretta da Benedetto (che però non riporta direttamente) o attraverso una comunicazione scritta di cui in quanto Nunzio aveva copia.
Questo perchè spettava a lui e a nessun altro, come Nunzio a Washington, far applicare la ”clausura” a MCarrick. Che invece riverisce nella festa al Marriott. E Mc Carrick d’altronde si muove liberamente, è infatti a Roma nel 2013, addirittura è nella sala in cui Benedetto xvi proclama le dimmissioni. Clausura a geometria variabile? Viganò può dimostrare con suoi atti scritti del 2013-2015 di aver quantomeno avvisato le gerarchie competenti di questo mancato rispetto della ”clausura” imposta? In quanto nunzio non è tenuto magari a trattenere la corrispondenza in arrivo, ma copia della corrispondenza in uscita sì. Altrimenti è soltanto un verba volant.
Nulla toglie sulla veridicità delle accuse a Mc Carrick, dell’omosessualismo imperante nelle gerarchie di Santa Romana Chiesa e delle copertura fino alla figura del Papa, ma si fa presto a cavalcare la verità per sentito dire.
Non basta, mi spiace, per chiedere dimmissioni a nessuno.
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