Il “pancristismo” materialistico di Teilhard de Chardin

L’evoluzionismo teologico del gesuita Teilhard De Chardin può essere riabilitato dalla Chiesa cattolica? Ovviamente no, ma molti se ne infischiano.

di mons. Antonio Livi (09-12-2017)

Il padre Pierre Teilhard de Chardin (1881 – 1955), oltre a numerosi lavori nel campo della paleontologia, ha scritto dei saggi filosofico-teologici che hanno avuto ben presto una vasta eco tra i cattolici: Christologie et Évolution (1933), Christianisme et Évolution (1935), Quelques réflexions sur la conversion du monde (1936) e Le Phénomène Humain (1955). Altri saggi sono stati pubblicati postumi: L’Apparition de l’Homme (1956), Le Milieu Divin (1957), L’Avenir de l’Homme (1959), L’Énergie Humaine (1962), La Place de l’Homme dans la Nature (1965), Science et Christ (1965), Comment je crois (1969), Les Directions de l’Avenir (1973).

Teilhard de Chardin, SJ

In tutte queste Teilhard parla di Cristo, non considerandolo più come il Verbo Incarnato, ossia il Figlio di Dio che nel tempo ha assunto la natura umana (questa è la verità rivelata, che la Chiesa ha definito in termini validi per ogni tempo e per ogni cultura), bensì come qualcosa di astratto e di impersonale nel quale confluiscono tutte le imprese umane che portano al progresso materiale: «Il Cristo è universale […]; l’azione umana può riferirsi al Cristo, concorrere al compimento del Cristo. Ogni progresso, sia nella vita organica, sia nella conoscenza scientifica, sia nelle facoltà estetiche, sia nella coscienza sociale, è dunque cristianizzabile fin nel suo oggetto [perché ogni progresso, in sé, si integra organicamente nello spirito che è sospeso al Cristo]. Questa semplicissima prospettiva fa cadere la barriera funesta che sussiste nonostante tutto, nelle nostre attuali teorie, tra lo Sforzo cristiano e lo Sforzo umano. Se lo Sforzo umano diventa divinizzabile in opere […], il Mondo, per il cristiano, diventa interamente divino» (Science et Christ, Seuil, Paris 1965, p. 19). Più tardi Teilhard dirà che questo «Christ Universel», che è il «punto Omega dell’evoluzione cosmica», si configurerà alla fine come un «Super-Christ».

Va detto subito che le categorie dell’evoluzione cosmica delle quali Teilhard fa uso per interpretare a modo suo il dogma dell’Incarnazione del Verbo non sono quelle categorie razionali (di autentica metafisica) che il magistero ecclesiastico ritiene idonee al lavoro propriamente teologico: sono piuttosto categorie ideologiche, dove ipotesi cosmologiche tratte dalle scienze della natura fisica sono arbitrariamente mescolate con il linguaggio della dialettica idealistica, dando luogo a un mostruoso «pancristismo materialistico» che interpreta il dogma cristologico – incentrato sugli eventi salvifici dell’Incarnazione e della Redenzione – in termini assolutamente incompatibili con i dati essenziali della rivelazione divina.

De Lubac, SJ (1896-1991)

Questa fu la critica rigorosamente filosofica di Etienne Gilson, prima, fin dagli anni Cinquanta, nella fitta corrispondenza con l’amico Henri de Lubac (cfr. Lettres de M. Etienne Gilson adressés au P. Henri de Lubac, Cerf, Paris, 1986, p. 49), poi in un intervento negli anni immediatamente successivi alla conclusione dei lavori del Vaticano II (1965), con una saggio del 1966 intitolato Les Tribulations de Sophie [1].

In precedenza, altri filosofi cattolici erano entrati in questa discussione, come testimoniano le lettere che Maurice Blondel e Teilhard de Chardin si scambiarono nel dicembre del 1919, e poi le lettere che Étienne Gilson e che quest’ultimo pubblicò nel 1986. Blondel ebbe l’occasione di esaminare alcuni scritti di Teilhard, e il suo primo commento è che in quegli scritti si possono ritrovare «alcuni dei temi più antichi, più esoterici del mio pensiero personale, e di quello che Lei chiama il mio “pancristismo”». Ma, consapevole dei limiti di quella prospettiva ormai lontana, Blondel volle mettere in guardia Teilhard da proseguire su questa strada: «Mi sembra infatti che le tentazioni dalle quali ho dovuto e devo difendermi siano analoghe a quelle dalle quali padre T. deve a sua volta guardarsi». Il pericolo più grave è «che l’ordine naturale abbia, in quanto tale, una stabilità divina, che il Cristo svolga fisicamente la funzione che il Panteismo o il Monismo attribuiscono al Dio vago e diffuso del quale si accontentano. Vi è in questo un fondo di naturismo, di ilozoismo, o per dir meglio di iloteismo, che apparirà inaccettabile proprio per la formula che ne rivela l’esito logico: bisognerebbe ammettere che il Cristo si sia potuto incarnare per uno scopo diverso da quello della soprannaturalizzazione, e che il mondo, anche fisicamente, sia stato divinizzato, senza essere soprannaturalizzato. […] Padre T. sembra supporre che possiamo comunicare con il Tutto (Cristo compreso) senza prima ed esclusivamente comunicare con l’Uno, con il Trascendente, con il Verbo incarnato, nella sua concreta e singola natura di uomo». In tal modo il suo pancristismo rischia di risolversi in un naturalismo divinizzato, in un vero e proprio panteismo. Per questo, «per non cadere nel più piccolo rischio di immanentismo, è indispensabile […] sottolineare con sempre maggior chiarezza e forza la trascendenza assoluta del dono divino, il carattere inevitabilmente soprannaturale del disegno deificante, e di conseguenza la trasformazione morale e la dilatazione spirituale che la grazia permette ed esige. Benché in un senso vi sia continuità nell’ordine universale, in un altro senso vi è incommensurabilità, capovolgimento dell’uomo vecchio e della vecchia natura, per la nascita del “novum coelum” e della “nova terra”».

Nella sua risposta, del 12 dicembre, Teilhard, lungi dal raccogliere le puntualizzazioni di Blondel ribadiva con decisione il suo punto di vista: «Il Cristo è centro dell’Universo, anche nelle zone dette “naturali”». Di fronte all’instabilità dell’ordine naturale, «il Cristo ha qualche cosa di un demiurgo». Ciò significa che «il nostro Universo attuale è soprannaturalizzato in tutto ciò che è (cioè non ha più senso né centro che in Cristo)».

Blondel replica a sua volta osservando come Teilhard, «a forza di voler infondere il Cristo nel nostro sforzo e nel mondo trasfigurato agli occhi della sua fede, mi sembra che […] attualizzi in una sorta di ontologia millenaristica la divinizzazione filogenetica dell’Universo, come se essendo naturalmente instabile, questo Universo trovasse naturalmente nel Cristo il suo appoggio e la sua solidità, che contribuirebbe naturalmente a consolidare noi stessi; e così il Soprannaturale diventerebbe come un elemento costitutivo ― proprio come tutti gli altri elementi ― che certamente li illumina, magari li trasfigura, ma non li consuma né li transustanzia. […] La soprannaturalizzazione, se si riflette a ciò che è l’incommensurabilità divina, non può operarsi senza un salto. Rifiuto il giansenismo tanto quanto mi sembrano deludenti l’umanesimo devoto e lo scientismo cristiano. È ugualmente importante non soprannaturalizzare il naturale e non naturalizzare il soprannaturale».

Nella sua lettera del 29 dicembre, Teilhard, nonostante riconosca il rischio che la sua teoria rappresenti una specie di un «emersonismo cristiano», non deflette dalla sua posizione: «Ho pensato talora di attenuare quanto questa concezione ha di assoluto (e di inverosimile a prima vista), immaginando che il Mondo, extra Christum, possegga una prima esistenza che basti a se stessa (ordine naturale, sfera del progresso umano). Solo coloro la cui vita aderisce a G. [esù] C. [risto] con la fede e la buona intenzione potrebbero oltrepassare questo primo cerchio ed entrare (essi e il loro Mondo) nel campo della divinizzazione del Cristo. Ci sarebbero così, a parte rei, due parti distinte dell’Universo: il Mondo creato e il Mondo del Cristo (il secondo dei quali assorbirebbe gradualmente il primo…). Mi è parso che questa attenuazione fosse illogica, – in disaccordo con l’identità del Dio Creatore e Redentore – incompatibile con l’elevazione dell’ordine naturale nella sua interezza» (Blondel et Teilhard. Correspondance commentée par Henri de Lubac s.j., Beauchesne, Paris 1965).

Come si vede, il linguaggio è quello della teologia cattolica pre-conciliare – con la distinzione tra l’ordine della creazione e quello della redenzione operata da Cristo dopo il peccato originale – ma la sostanza del discorso è chiaramente pantestica ed evoluzionistica, come conseguenza dell’abbandono della metafisica realistica, che è l’unica con la quale il dogma cristiano può essere rettamente interpretato. Se ne rendeva conto chiaramente Blondel, il quale osservava come l’errore del metodo teilhardiano consistesse nel fatto che esso «riduce a un piano scientifico, fenomenista, naturista, come se questo piano contenesse la verità essenziale, ciò che è anche e soprattutto d’ordine metafisico, religioso, e addirittura propriamente soprannaturale» (Lettera a Bruno de Solages, 16 febbraio 1947). L’Universo “divino” non aveva più bisogno di Cristo, lo conteneva già in sé. Il “pancristismo” aveva dissolto nel divenire cosmico la personalità del Verbo Incarnato e il carattere rigorosamente storico della sua vita, morte e resurrezione. Blondel, per l’itinerario stesso del suo pensiero, improntato al «metodo dell’immanenza», era in grado di cogliere meglio di qualunque altro le possibili illusioni di tale prospettiva.

Il gesuita Henri de Lubac, che considerò «troppo severe» le critiche dei due filosofi laici Blondel e Gilson, ha sempre impostato la sua appassionata difesa del confratello paleontologo tentando di dimostrare che il discorso di Teilhard non andava preso per un teorema propriamente teologico ma costituiva soltanto un ardito sistema di filosofia religiosa. (cfr. La Pensée religieuse du Père Teilhard de Chardin, Aubier Montaigne, Paris, 1962). La cristologia cosmica di Teilhard, criticata da tutti quegli studiosi cattolici che interpretano il dogma cristiano secondo i retti criteri epistemologici della teologia, ha riscontrato invece grande favore presso tutti coloro che hanno condiviso il progetto di una nuova teologia che sapesse re-interpretare il cristianesimo con il metodo della filosofia religiosa di stampo dialettico, unendo lo storicismo hegeliano all’evoluzionismo darwiniano e trovando un punto d’incontro tra la “scienza” e la “fede”.

Xavier Tilliette, SJ

Convinto della fecondità del metodo teilhardiano è un altro gesuita francese, Xavier Tilliette, il quale sostiene che nel “pancristismo” del confratello scienza e fede convergono su un oggetto comune grazie alla categoria di «Cristo universale», e in questo orizzonte si trova «l’aspetto forte del misticismo di Teilhard, che è una mistica cristiana del mondo e non un panteismo ― il fatto del Cristo come il rivelatore dello splendore cosmico. E l’evoluzione permette a Teilhard di sfuggire, normalmente, al pancosmismo e alle sue torbide seduzioni, conferendo alla rappresentazione una direzione, una chiave, un fine» (Le Christ de la philosophie. Prolégomènes à une christologie philosophique, Les Èditions du Cerf Paris, 1989, p. 3265). Da allora non si è mai più sopita del tutto tra gli studiosi cattolici la discussione sulla consistenza teologica delle teorie del gesuita francese. Peraltro, proprio sulla scia dell’impersonalismo teilhardiano si colloca la riformulazione del dogma del peccato originale proposta dal teologo domenicano statunitense Matthew Fox nel 1983 con il saggio intitolato Original Blessing.

Gli interventi della Santa Sede

Nel 1958 il Generale della Compagnia di Gesù, padre Jean-Baptiste Janssens, dovette comunicare che un decreto del Sant’Uffizio imponeva alle congregazioni religiose di ritirare le opere di Teilhard de Chardin da tutte le biblioteche. Nel documento si diceva che i testi del gesuita «racchiudono tali ambiguità ed anche errori tanto gravi che offendono la dottrina cattolica», per cui si imponeva al clero di allertarsi per «difendere gli spiriti, particolarmente dei giovani, dai pericoli delle opere di P. Teilhard de Chardin e dei suoi discepoli».

Non sorprende allora che il discorso cristologico di Teilhard sia stato visto con simpatia anche dai fautori della dottrina para-religiosa denominata “New Age”, a proposito dei quali la Santa Sede ha opportunamente precisato: «Il Cristo cosmico è [per la “New Age”] un modello che può ripetersi in molte persone, luoghi e tempi; è il portatore di un enorme mutamento di paradigmi; è, in definitiva, un potenziale dentro di noi. Per la fede cristiana, invece, Gesù Cristo non è un modello ma una persona divina la cui figura umano-divina rivela il mistero dell’amore del Padre per ogni essere umano attraverso la storia» (Pontifico consiglio per la cultura – Pontificio consiglio per il dialogo inter-religioso, Gesù Cristo, portatore dell’Acqua viva. Una riflessione cristiana sul “New Age”, 3 febbraio 2003, § 3.3).

Rahner, SJ (1904-1984)

Ma, ai nostri giorni, il pontificato del primo papa gesuita nella storia della Chies moderna sta favorendo sempre di più l’influenza che fin dagli anni Cinquanta del Novecento esercitano le opere di alcuni teologi gesuiti, tra i quali appunto il francese Pierre Teilhard de Chardin e poi soprattutto il tedesco Karl Rahner. Entrambi hanno concorso ad eliminare dalla teologia – e in parte anche dal magistero – la nozione di «soprannaturale», collegata alla fede nella trascendenza di Dio creatore e santificatore: Teilhard, come abbiamo visto, con il suo panteismo evoluzionistico e Rahner con la sua «svolta antropologica» [2]. A entrambi si deve che l’interpretazione oggi dominante del dogma e della morale cattolica sia quella improntata allo storicismo dialettico e abbia determinato quella «dittatura del relativismo» a suo tempo denunciata da Joseph Ratzinger alla vigilia della sua elezione al soglio pontificio [3].

E così si comprende come l’enciclica di papa Francesco sulla concezione cristiana della natura fisica, da custodire perché è la «casa comune» dell’umanità, contenga in nota un esplicito riferimento positivo a Teilhard de Chardin, lì dove afferma: «Il traguardo del cammino dell’universo è nella pienezza di Dio, che è stata già raggiunta da Cristo risorto, fulcro della maturazione universale. […] Lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto» (Francesco, enciclica Laudato si’, 24 maggio 2015, § 83).

Ciò è bastato al gesuita italiano Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, per affermare perentoriamente che ormai il Magistero ha tolto ogni riserva sull’evoluzionismo teologico del gesuita francese. Accodandosi a questa rinuncia alla difesa dell’ortodossia, anche il Pontificio consiglio per la cultura, presieduto dal cardinale Gianfranco Ravasi, ha chiesto a papa Francesco la revoca della censura inflitta a Teilhard dal Sant’Ufficio, adducendo come motivazioni proprio gli argomenti di Henri de Lubac e della “New Age”: «Tale atto non solo riabiliterebbe lo sforzo genuino del pio gesuita nel tentativo di riconciliare la visione scientifica dell’universo con l’escatologia cristiana, ma rappresenterebbe anche un formidabile stimolo per tutti i teologi e scienziati di buona volontà a collaborare nella costruzione di un modello antropologico cristiano che, seguendo le indicazioni dell’Enciclica Laudato Si’, si collochi naturalmente nella meravigliosa trama del cosmo».

NOTE

[1] Etienne Gilson, Problemi d’oggi: il tomismo e la sua situazione attuale. Il caso Teilhard de Chardin. Il dialogo difficile, trad. it., Borla, Torino, 1968.

[2] Jaime Mercant Simò, Los fundamentos filosoficos de la teologia trascendental de Karl Rahner, Leonardo da Vinci, Roma, 2017.

[3] Antonio Livi, Vera e falsa teologia, III edizione, Leonardo da Vinci, Roma, 2017.

(fonte: fidesetratio.it)


APPROFONDIMENTI: Dossier sulla caduta dei gesuiti del sito Cooperatores Veritatis.

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