“Prudente audacia”, l’ultima trovata pro-gay di Avvenire

Il quotidiano dei vescovi torna sul caso del capo scout gay di Staranzano per indicare nuovi paradigmi con i quali leggere il rapporto tra Chiesa e omosessualità: assenti il peccato e il disordine morale, adesso c’è un discernimento indefinito. La Nuova BQ ne ha parlato con il parroco che, da solo e abbandonato dai suoi confratelli, ha denunciato il caso: «Provo dolore, si vuole far passare Gesù e la Scrittura come non più a passo coi tempi».

di Andrea Zambrano (12-11-2017)

“Prudente audacia”. Ecco il nuovo paradigma confezionato da Avvenire per dare una spallata inavvertita all’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità. Un neologismo ossimorico che deve riassumere il nuovo approccio della Chiesa italiana dove le parole peccato e disordine morale non esistono più e dove l’accompagnamento, da sempre indicato dalla Dottrina come cammino indispensabile verso la castità, diventa di fatto uno sdoganamento dello stile di vita gay. A farsene portavoce è il quotidiano dei vescovi che ieri ha alzato il tiro con due pagine fitte fitte confezionate da Luciano Moia e il vescovo di Parma Enrico Solmi in qualità di ex presidente della Commissione episcopale per la pastorale familiare e coordinatore nella sua diocesi di alcune esperienze sul tema. A far da contorno numerose lettere pubblicate dal quotidiano dei vescovi in cui, con toni e accenti spesso opposti Avvenire dà spazio alle opinioni dei lettori sul caso di Staranzano.

Le “nozze civile” di Marco Di Just.

Riassumiamo le precedenti puntate. A Staranzano, in provincia di Gorizia, il locale capo scout è convolato a unione civile con il suo compagno. Il parroco, don Francesco Maria Fragiacomo si è chiesto se non fosse il caso per lui di lasciare l’incarico educativo vista la scandalosa condotta di vita e il fatto che continuasse a fare la comunione indisturbato. Ne seguì un duro dibattito, culminato con un intervento del vescovo Carlo Roberto Maria Redaelli, riassumibile così: «Ascoltare lo Spirito, senza pretendere di trovare ricette preconfezionate nelle Scritture o nella tradizione canonica». Risultato: il parroco è stato silenziato e il capo scout, Marco Di Just, non solo può continuare a fare come se nulla fosse successo, ma a settembre è stato anche riconfermato nello staff delle guide.

L’operazione di Avvenire è portata avanti partendo proprio dal caso di Staranzano, che viene soltanto accennato, senza ovviamente dire nulla sulla “battaglia in solitaria” del parroco. Si pubblicano diverse lettere sugli interventi precedenti di Avvenire culminati con l’intervento del vescovo: il lettore confuso, quello critico e quello entusiasta. Ma anche il genitore di un omosessuale; c’è chi ricorda che il Catechismo invita, correttamente, i gay alla castità, e chi giudica gli atti, ma non le persone e chi, omosessuale, si augura che la “Chiesa saprà valorizzare anche la mia scelta”.

Ma il cuore dell’operazione editoriale del giornale dei vescovi sono i due articoli di Moia e di Solmi. Nel primo il giornalista indica come punto di partenza il paragrafo 250 di Amoris Laetitia per arrivare a dire: «Occorre tenere presente quello che il Papa dice, ma ancor di più quello che non dice». Che cosa vuol dire? Semplice: secondo un’ermeneutica del tutto arbitraria Moia si rallegra del fatto che l’esortazione post sinodale non citi più la Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, nella quale il cardinal Ratzinger apriva ad un percorso di castità per gli omosessuali e il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1997, dove nell’affrontare il problema dell’omosessualità, le relazioni e gli atti non si risparmia nel definirle oggettivamente disordinate o peccati. Secondo Moia, il fatto che al paragrafo 250 Papa Francesco pur avendo citato parti di questi documenti, non abbia fatto riferimento al disordine morale non può essere considerato certo un vita libera, ma nemmeno una dimenticanza. E allora? Allora entra in campo il discernimento, parola passe-partout dei tempi moderni che sembra aver preso il sopravvento su tutto.

Ed è infatti sull’onda del discernimento e della riflessione che il vescovo Solmi racconta le esperienze portare avanti nella sua diocesi, dove, a proposito del rapporto con le famiglie, con “l’onestà si verifica e con prudente audacia la comunità cerca e prova nuove vie”. Inutile spiegare che il 250 di AL è rivolto soprattutto alle famiglie di persone con figli omosessuali, il tono del prelato è sempre il solito dell’accoglienza, non per “riscrivere la dottrina”, però tenendo presente che “a volte i preti hanno ferito” o che “a volte la comunità cristiana non è stata esente da pregiudizi e giudizi superficiale”. Si fa strada così un senso di colpa collettivo nel quale la pratica omosessuale viene svuotata del suo portato disordinato, per diventare un qualche cosa di indefinito, senza mai essere proposta come variante naturale della sessualità, ma nemmeno come peccato. La parola d’ordine per i vescovi è ora discernere e riflettere, non più insegnare e guidare.

Completamente assente l’aspetto educativo della faccenda di Staranzano: non c’è nessuna valutazione sul fatto che il messaggio educativo di un capo scout che vive con un compagno sia deleterio per i giovani che in questo modo percepiscono una equiparazione tra la condotta di vita naturale e quella in unione civile, snaturando di fatto il matrimonio tra uomo e donna, come dettato da legge naturale ancora oggi.

Ma nemmeno c’è spazio per il sacerdote che, da solo, ha “sfidato” i luoghi comuni delle tendenze ideologiche e omoeretiche presenti nella Chiesa per annunciare ancora una volta la verità sull’uomo della dottrina cristiana.

Don Francesco Fragiacomo

Don Francesco Fragiacomo ha letto la pagina di Avvenire con un misto di soddisfazione e dolore: «Soddisfazione — spiega alla Nuova BQ–perché finalmente Avvenire fa parlare anche i lettori, cosa che in precedenza non aveva voluto fare, ma dolore perché non si continua ad affrontare correttamente il problema: per fare un buon discernimento devi capire prima qual è il bene e qual è il male, devi avere una chiarezza di qual è l’ideale di bene, invece da questi articoli si allude al fatto che va bene un unione tra uomo e un uomo».

Per provare a farsi intendere il sacerdote fa un esempio mutuato dal campo medico: «Per fare una buona cura devi fare una buona diagnosi e per fare una buona diagnosi devi sapere dov’è la parte sana e dov’è quella da curare». Aggiunge «che qui non c’è stato nessun accompagnamento e nessun discernimento tanto è vero che il capo scout è ancora al suo posto indisturbato, anzi: l’unico discernimento che hanno fatto quelli dell’Agesci è stato con la locale sezione dell’Arcigay!».

Don Francesco ha raccontato alla Nuova BQ delle sue difficoltà persino a farsi accettare dai suoi confratelli, come aveva già fatto pubblicando sulla sua pagina Facebook la lettera che scrisse al decanato di Gorizia stupendosi della mancata solidarietà da parte dei confratelli. «Il fatto che la Chiesa abbia sempre proposto la via della castità c’entra ancora? Alla fine con questo parlare noi non conosciamo l’omosessualità, ad esempio crediamo che sia di nascita invece è un disturbo dello sviluppo affettivo e questo è dimostrato».

Senza solidarietà, senza possibilità di farsi ascoltare, don Fragiacomo considera ora la naturale conclusione del caso Staranzano come prodromica ad uno sdoganamento tout court della pratica omoerotica per via pastorale: «Siccome nella Scrittura c’è la condanna dell’omosessualità, se adesso non dici più che è peccato, la conclusione è che il Vangelo è vecchio e non è adatto ai tempi di oggi. Quindi bisogna farsi un Vangelo plasmato sull’uomo. Mi chiedo soltanto questo: se si “ricaccia” Gesù in un tempo passato, come appunto un uomo del suo tempo, tutto diventa relativo, perché verranno meno i criteri oggettivi».

Ma ormai è tempo della prudente audacia.

(fonte: lanuovabq.it)


Ecco come Avvenire ha manipolato la lettera di don Fragiacomo 

di Andrea Zambrano (12-11-2017)

Si fa presto a dire Lettere al direttore. Ad Avvenire infatti sembrano esistere lettere e lettere. Ad esempio quelle “poco gradite” vengono pubblicate sì, ma addomesticate per fini editoriali. E’ quanto è successo al parroco di Staranzano don Francesco Maria Fragiacomo, il parroco che ha sollevato il caso del capo scout unito civilmente con il suo compagno. Don Francesco ha provato più volte a entrare in contatto con la redazione di Avvenire per spiegare le sue ragioni. E finalmente, dopo un po’ di anticamera anche lui ha potuto vedere pubblicata la sua missiva. Ma con alcuni aggiustamenti alla bisogna e alcuni tagli, ovviamente sempre giustificati per ragioni di spazio. Il tutto ovviamente studiato per far fare a don Francesco la figura del cane sciolto, dell’ultimo giapponese in lotta contro un nemico che non esiste più.

Marco Tarquinio, direttore di Avvenire.

E’ il 7 di settembre e Avvenire pubblica la sua lettera. Ma nel leggerla il parroco si accorge che è successo qualcosa. Ad esempio laddove il parroco si riferisce all’unione civile e parla dei baci tra gli “sposi”. Evidentemente al giornale dei vescovi deve essere andato qualche cosa di traverso, chissà se le virgolette o proprio la parola sposi. Fatto sta che nel testo pubblicato sul giornale il capo scout e il suo compagno vengono chiamati con una perifrasi più politicamente corretta “i due protagonisti dell’unione”. Oppure quando il don dice che “il messaggio ormai è già passato: il matrimonio tra un uomo e una donna o l’unione civile tra due persone dello stesso sesso, agli occhi degli uomini e di Dio, sono la stessa cosa”. Ad Avvenire basta anteporre un “la mia idea è che” a il “il messaggio è già passato” per rafforzare il concetto che questa sia proprio soltanto l’opinione di un parroco di provincia e nulla più.

Più avanti don Francesco dice: “Scusate, ma qui o si tratta di convertirsi o di cambiare fede”. Ma in pagina ci finisce un più enigmatico “insomma, qui non si tratta più di discernimento, ma di fede” dove alla parola convertirsi viene sostituito il discernimento, non si sa se come sinonimo o succedaneo.

Ma è con il passaggio successivo che si raggiungono vette altissime di maquillage editoriale. Don Francesco dice: “Riguardo la situazione concreta poi, se il discernimento dell’AGESCI sulla valutazione e il percorso da farsi, non coincide con il discernimento del parroco, come si procede?”. Avvenire non fa altro che inserire prima di Agesci un “nella Chiesa locale” per stravolgere completamente il senso delle sue parole. In questo caso, come si può verificare confrontando le due versioni, il parroco sembra restare col cerino in mano. Ed è questo il passaggio che più ha amareggiato don Francesco: «L’aggiunta di Chiesa locale, che nel mio testo non c’era, travisa completamente le mie parole: perché Chiesa locale vuol dire vescovo, così sembra che io non accetti il discernimento del vescovo, invece io volevo solo dire che se il discernimento del capo scout è diverso da quello del vescovo, è compito del vescovo dal canone 305 (“tutte le associazioni dei fedeli sono soggette alla vigilanza dell’autorità competente e vigilare che non ci siano abusi nella disciplina ecclesiastica”) intervenire. Invece aggiungendo in maniera scorretta quella parola si è fatta un’operazione vigliacca, come se io fossi una testa calda, isolata da tutti», ha detto alla Nuova BQ.

A conferma di questo c’è la chicca finale: l’ultima parte della lettera, un breve paragrafo in cui il sacerdote invitava il vescovo, tutti i vescovi ad esercitare il loro ruolo di guida, è stata completamente cancellata. Ovviamente per le solite ragioni di spazio. Confrontare per credere. Ecco di seguito la lettera originale del parroco e subito dopo la versione “addomesticata” di Avvenire. Buna lettura.

VERSIONE ORIGINALE

Caro direttore,

è la seconda volta che il suo giornale (Avvenire di domenica 20 agosto), tratta ampiamente del caso dell’unione civile celebrata nel nostro paese, tra il capo gruppo scout AGESCI, operante nella nostra parrocchia e il suo compagno omosessuale, avvenuta il 3 giugno scorso.  Certamente il caso riguarda ormai la comunità ecclesiale più ampia e implica una riflessione generale sul tema educativo nel campo affettivo, ma nel frattempo?  Qui vi è stata una celebrazione pubblica, con la partecipazione di gran parte del gruppo di educatori, di famiglie, di giovani, con tanto di musica, “predica” del presbitero assistente, festa collettiva, scambio di anelli e di baci tra gli “sposi”. Il capo scout (capo gruppo e capo clan) sta continuando ad esercitare il suo servizio e ricevere pubblicamente la comunione nelle S. Messe quando vi partecipa.  Il messaggio ormai è già passato: il matrimonio tra un uomo e una donna o l’unione civile tra due persone dello stesso sesso, agli occhi degli uomini e di Dio, sono la stessa cosa. Scusate, ma qui o si tratta di convertirsi o di cambiare fede. Il “discernimento pastorale” richiede anzitutto la conoscenza e valutazione della situazione concreta in oggetto. Per fare una analogia nel campo medico: una buona cura inizia da una buona diagnosi. Maggiore è la conoscenza della malattia, le sue cause, gli effetti, l’origine, più efficace sarà la scelta della medicina giusta e del percorso di guarigione. Così, nella vita di fede, dobbiamo avere la chiarezza del peccato se vogliamo salvare il peccatore. Ma il bene e il male non lo decidono gli uomini a maggioranza o a son di discussioni, ma Dio, e sul tema in questione c’è la Scrittura, la Tradizione, il Magistero, il buon senso cristiano e direi “naturale”, che ci illuminano. Nel nostro caso, finché non chiameremo le cose con il loro nome sarà difficile ogni percorso di bene affidato alla grazia di Dio. Riguardo la situazione concreta poi, se il discernimento dell’AGESCI sulla valutazione e il percorso da farsi, non coincide con il discernimento del parroco, come si procede? Non crede che finalmente l’autorità ecclesiastica competente sia chiamata in causa non solo per indicare una teoria, ma per esercitare il suo dovere di guida, insegnante e padre? Nella Scrittura vediamo continuamente Gesù insegnare e i primi discepoli “assidui nell’insegnamento degli Apostoli”. Oggi abbiamo tutti, soprattutto i giovani, tanta nostalgia di maestri illuminati e veritieri, di padri autorevoli e vicini che ci indichino ideali alti e belli, più grandi della nostre umanità ferite. Caro direttore, sono sicuro mi darà l’opportunità di fare sentire la mia voce, di un pastore in sofferenza per la sua comunità.

Don Francesco Maria Fragiacomo

VERSIONE DI AVVENIRE

Caro direttore,

“Avvenire” ha trattato ampiamente e per due volte (il 12 luglio e il 20 agosto scorsi) il caso suscitato dall’unione civile celebrata nel nostro Paese, tra il capo gruppo scout Agesci, operante nella nostra parrocchia e il suo compagno omosessuale, avvenuta il 3 giugno scorso.  Certamente il caso riguarda, come scritto, la comunità ecclesiale più ampia e implica una riflessione generale sul tema educativo nel campo affettivo, ma nel frattempo? Qui vi è stata una celebrazione pubblica, con la partecipazione di gran parte del gruppo di educatori, di famiglie, di giovani, con tanto di musica, “predica” del presbitero assistente, festa collettiva, scambio di anelli e di baci tra i due protagonisti dell’unione. Il capo scout (capo gruppo e capo clan) sta continuando a esercitare il suo servizio e a ricevere pubblicamente la Comunione nelle sante Messe quando vi partecipa. La mia idea è che il messaggio ormai sia già passato: il matrimonio tra un uomo e una donna o l’unione civile tra due persone dello stesso sesso, agli occhi degli uomini e di Dio, sono più o meno la stessa cosa. Insomma, qui non si tratta più di discernimento, ma di fede. Il “discernimento pastorale”, infatti, richiede anzitutto la conoscenza e valutazione della situazione concreta in oggetto. Per fare un’analogia nel campo medico: una buona cura inizia da una buona diagnosi. Maggiore è la conoscenza della malattia, le sue cause, gli effetti, l’origine, più efficace sarà la scelta della medicina giusta e del percorso di guarigione. Così, nella vita di fede, dobbiamo avere la chiarezza del peccato se vogliamo salvare il peccatore. Ma il bene e il male non lo decidono gli uomini a maggioranza o a suon di discussioni, ma Dio, e sul tema in questione c’è la Scrittura, la Tradizione, il Magistero, il buon senso cristiano e direi “naturale”, che ci illuminano. Nel nostro caso, finché non chiameremo le cose con il loro nome sarà difficile ogni percorso di bene affidato alla grazia di Dio. Riguardo la situazione concreta poi, se il discernimento nella Chiesa locale e nell’Agesci sulla valutazione e il percorso da farsi, non coincide con il discernimento del parroco, che facciamo? (…Omissis…) La mia, caro direttore, è la voce di un pastore in sofferenza per la sua comunità.

Don Francesco Maria Fragiacomo

(fonte: lanuovabq.it)


Il prete coraggio e un Avvenire senza pudore

di Riccardo Cascioli (12-11-2017)

C’è molto di simbolico nella vicenda di Staranzano, dove il parroco si preoccupa dell’educazione cristiana dei suoi giovani, e si trova costretto ad affrontare da solo una grande macchina propagandistica che vede alleati un’associazione cattolica come l’Agesci, il suo vice-parroco, il quotidiano ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana e l’ignavia del suo vescovo, che rinuncia ad esercitare il proprio magistero.

È il ripetersi della lotta di Davide contro Golia. Un parroco, don Francesco Maria Fragiacomo, che malgrado le forti pressioni e la solitudine in cui è stato lasciato da superiori e confratelli, non rinuncia a dire la verità e a richiamare il vescovo alla propria responsabilità. Ha a cuore anzitutto il bene dei propri ragazzi, aggrediti dall’ideologia gay fin dentro la chiesa, con un “educatore” che si pone come modello di vita facendosi beffe del catechismo e accostandosi alla comunione malgrado ostenti uno stile di vita contrario alla legge naturale. È un parroco che non ha paura di rimetterci la “carriera”, che sa di dover pagare di persona questa sua ostinazione alla verità.

È un parroco che dovrebbe essere di esempio a tanti suoi confratelli, ma anche a vescovi e cardinali, che in questi tempi ecclesiali di sprezzo della verità e di regime repressivo, evitano di inimicarsi i potenti per non compromettere le loro miserabili carriere. Sono tanti, più di quel che si pensi, vescovi e cardinali che sono consapevoli della confusione e del rovesciamento dell’insegnamento della Chiesa che si sta perpetrando; ma tacciono, hanno paura di rimetterci la faccia, l’onore (già diversi sono stati sepolti da false accuse), la possibilità di restare nella propria posizione o la possibilità di aspirare a qualche promozione. Dovrebbero prendere esempio da questo povero parroco, che da mesi è sulla graticola anche per la loro ignavia che alimenta la menzogna di Golia.

Già, perché come dimostriamo in queste colonne, Golia – nella fattispecie il quotidiano Avvenire – per portare avanti la sua agenda non si fa scrupoli di usare la menzogna. Dopo un lungo tira e molla, pubblica infine la lettera del parroco ma manipolandola in modo da offrire l’immagine di un poveretto ormai fuori dal tempo e dal sentire cum Ecclesia, e gli taglia ovviamente le domande più scomode. Copre le vere intenzioni nascondendole dietro una cortina fumogena di parole d’ordine (discernimento, accompagnamento, accoglienza, inclusione) e frasi pompose quanto vuote. Ma ormai solo chi non vuol vedere non capisce che l’obiettivo di Avvenire e di chi lo sostiene è quello di stravolgere la dottrina, e perciò la natura, della Chiesa, facendo accettare le unioni gay (ma non chiamiamolo matrimonio, per carità), la contraccezione (vedi campagna sull’Humanae Vitae), le seconde nozze e ogni altra rivendicazione di stampo progressista.

È la stessa menzogna usata nei giorni scorsi nei confronti del cardinale Gerhard Müller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, di cui è stato stravolto ad arte il senso del saggio scritto a introduzione di un libro di Rocco Buttiglione che risponde ai critici dell’Amoris Laetitia. La solita firma di Avvenire, sulla scia di altri “grandi” esempi di giornalismo, ha pensato bene di arruolare Müller fra i sostenitori della comunione ai divorziati risposati, quando l’ex prefetto – vedi intervista alla NBQ e le ampie citazioni del suo scritto – dice tutt’altro.

È ormai una crescente, sistematica, martellante manipolazione della realtà, un uso costante della menzogna e dell’ipocrisia per accelerare l’avvento della “nuova Chiesa”. Che questo avvenga dalle colonne del quotidiano ufficiale della CEI, senza che si alzino voci di vescovi (non i soliti due o tre) che chiedano conto di quel che sta avvenendo, è sconcertante.

Eppure basta un povero prete di periferia con le sue ostinate domande a svelare la grande menzogna. Così come le domande, i Dubia, di quattro cardinali da un anno continuano ad essere una spina nel fianco di turiferari e guardiani della rivoluzione. Permanere e perseverare nella verità, questa è la strada di coloro che sono coscienti che in ballo non c’è il prevalere di una fazione sull’altra, o un progetto di Chiesa, ma la fede del popolo cristiano. Non ci si sta giocando il potere terreno, ma la salvezza eterna. Continuino pure a mentire quanti tengono stretto il potere nella Chiesa, continuino pure a tacere e tremare di paura quanti tengono alle proprie carriere ecclesiastiche. Ci sarà sempre qualcuno – e anche oggi sono più di quel che si creda – che amerà la Verità sopra ogni altra cosa, che perseguirà la santità e non il successo, che amerà il popolo che gli è affidato e non lo tradirà. Gesù lo ha promesso: Non praevalebunt.

(fonte: lanuovabq.it)

Un pensiero riguardo ““Prudente audacia”, l’ultima trovata pro-gay di Avvenire

  1. A quelli di Avvenire non basta più di essere diventati un foglio di partito (da quel rispettabile quotidiano cattolico che fu). Ora ambiscono anche alla nomea di pornogiornale …
    Che meraviglia.
    Mi chiedo: ma il signor Tarquinio e il signor Moia, quando si guardano alla mattina allo specchio, cosa vedono? e cosa pensano? e – se hanno figli – cosa pensano che questi figli pensino di loro?

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