Gli inganni del Vaticano II: “aggiornamento” e “pastoralità”

di Giacomo card. Biffi, Memorie e digressioni di un italiano cardinale, Cantagalli, 2007, pagg. 183-184.

Papa Roncalli aveva assegnato al Concilio, come compito e come traguardo, il “rinnovamento interno della Chiesa”; espressione più pertinente del vocabolo “aggiornamento” (esso pure giovanneo), che però ebbe un’immeritata fortuna.

JOHN XXIII AND THE SECOND VATICAN COUNCILNon era certo l’intenzione del sommo pontefice, ma “aggiornamento” includeva l’idea che la “nazione santa” si proponesse di ricercare la sua miglior conformità non al disegno eterno del Padre e alla sua volontà di salvezza (come aveva sempre creduto di dover fare nei suoi tentativi di giusta “riforma”), ma alla “giornata” (alla storia temporale e mondana); e così si dava l’impressione di indulgere alla “cronolatrìa”, per usare il termine di biasimo coniato poi da Maritain.

Giovanni XXIII vagheggiava un Concilio che ottenesse il rinnovamento della Chiesa non con le condanne, ma con la “medicina della misericordia”. Astenendosi dal riprovare gli errori, il Concilio per ciò stesso avrebbe evitato di formulare insegnamenti definitivi, vincolanti per tutti. E di fatto ci si attenne sempre a questa indicazione di partenza.

La ragione sorgiva e sintetica di questi indirizzi era il proposito dichiarato di mirare a un “Concilio pastorale”. Tutti, dentro e fuori l’aula vaticana, si mostravano contenti e compiaciuti di tale qualifica.

Io però, nel mio angolino periferico, sentivo nascere in me, mio malgrado, qualche difficoltà. Il concetto mi pareva ambiguo, e un po’ sospetta l’enfasi con cui la “pastoralità” era attribuita al Concilio in atto: si voleva forse dire implicitamente che i precedenti Concili non intendevano essere “pastorali” o non lo erano stati abbastanza?

Michelangelo [Misc.];Pope John XXIII [Misc.]Non aveva rilevanza pastorale il mettere in chiaro che Gesù di Nazaret era Dio e consostanziale al Padre, come si era definito a Nicea? Non aveva rilevanza pastorale precisare il realismo della presenza eucaristica e la natura sacrificale della messa, come era avvenuto a Trento? Non aveva rilevanza pastorale presentare in tutto il suo valore e in tutte le sue implicanze il primato di Pietro, come aveva insegnato il Concilio Vaticano I?

Si capisce che l’intenzione dichiarata era quella di mettere a tema particolarmente lo studio dei modi migliori e dei mezzi più efficaci di raggiungere il cuore dell’uomo, senza per questo sminuire la positiva considerazione per il tradizionale magistero della Chiesa.

Ma c’era il pericolo di non ricordare più che la prima e insostituibile “misericordia” per l’umanità smarrita è, secondo l’insegnamento chiaro della Rivelazione, la “misericordia della verità”; misericordia che non può essere esercitata senza la condanna esplicita, ferma, costante di ogni travisamento e di ogni alterazione del “deposito” della fede che va custodito.

Qualcuno poteva addirittura incautamente pensare che il riscatto dei figli di Adamo dipendesse più dalle nostre arti di lusinga e di persuasione, che non dalla strategia soteriologica preordinata dal Padre prima di tutti i secoli, tutta incentrata nell’evento pasquale e nel suo annuncio; un annuncio “senza discorsi persuasivi di sapienza umana” (cfr. 1Cor 2,4). Nel post-concilio non è stato soltanto un pericolo.

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