Non esiste un’altra pastorale per i divorziati-risposati

La via del discernimento su cui i preti accompagnano il penitente che vive in una unione irregolare, è l’assistenza del penitente, affinché possa conformare ancora la sua coscienza alla verità. Il documento finale del Sinodo dà invece adito a equivoci gravi che è meglio chiarire. Una risposta del cardinal Burke a padre Spadaro.

di Raymond Leo card. Burke* (03-12-2015)

Il 28 novembre 2015, nel nuovo numero de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, direttore della rivista e padre sinodale, ha presentato un riassunto dei lavori del 14mo Sinodo Ordinario dei vescovi, dedicato alla vocazione e alla missione della famiglia (pagg. 372-391).

Antonio Spadaro con papa Francesco durante il sinodo del 2015.
Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, con papa Francesco durante il sinodo ordinario del 2015.

Benché l’autore faccia varie affermazioni sulla natura e il lavoro del Sinodo dei vescovi, che richiederebbero un più ampio commento critico in altra sede, una sua affermazione in particolare necessita di essere commentata immediatamente: “Il Sinodo ha pure volute toccare le persone e le coppie ferite per accompagnarle e sanarle in un processo di integrazione e di riconciliazione senza barriere. Circa l’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati civilmente, il Sinodo ha formulato la via del discernimento e del «foro interno», ponendone le basi e aprendo una porta che invece nel Sinodo precedente era rimasta chiusa.”

A prescindere dal fatto che le dichiarazioni pubbliche rilasciate da diversi padre sinodali affermino l’esatto contrario, cioè: il Sinodo conserva la pratica costante della Chiesa riguardanti coloro che vivono in un’unione irregolare. Dato che il testo dei paragrafi dall’84 all’86 del Rapporto Finale del Sinodo non è molto chiaro sulle verità fondamentali della fede, la Santa Eucarestia e il Santo Matrimonio, la stessa scarsa chiarezza emerge ora nelle dichiarazioni pubbliche dei padre sinodali. Il fatto è che il Sinodo non può spalancare una porta che non esiste e non può esistere, specificamente un discernimento in coscienza che contraddice la verità sulla assoluta santità della Santa Eucarestia e l’indissolubilità del vincolo matrimoniale. Il Sinodo, come la Chiesa, d’altra parte, ha sempre predicato e praticato, ha sempre voluto mostrare amore verso coloro che si trovano in una situazione in cui non sono coerenti con gli insegnamenti di Cristo e della Sua Chiesa. L’amore cristiano per le persone, comunque, non significa “integrazione e riconciliazione senza barriere”, perché si fonda sulle insostituibili verità di natura e di grazia e sono ordinate per il bene della persona e dell’intera comunità. L’amore cristiano accompagna la persona sulla via della penitenza e della riparazione, così che possa incontrare ancora Cristo nei Sacramenti.

Il card. Burke durante il sinodo straordinario del 2014.
Il card. Burke durante il sinodo straordinario del 2014.

La via del discernimento su cui i preti accompagnano il penitente che vive in una unione irregolare, è l’assistenza del penitente, affinché possa conformare ancora la sua coscienza alla verità della Santa Comunione e alla verità del matrimonio a cui è vincolato. Come la Chiesa ha sempre coerentemente predicato e praticato, il penitente è accompagnato nel suo “foro interno” a vivere nella castità, nella fede nel vincolo matrimoniale esistente anche se apparentemente c’è un’altra vita matrimoniale, in modo da metterlo in grado di accedere di nuovo ai sacramenti senza dar scandalo. Papa Giovanni Paolo II descrisse la pratica della Chiesa nel “foro interno” nell’enciclica Familiaris Consortio (n. 84). La Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi del 24 giugno 2000 illustra gli insegnamenti del paragrafo 84 della Familiaris Consortio. Entrambi i documenti sono citati nel Rapporto Finale del Sinodo, ma purtroppo in modo ambiguo.

Dare l’impressione che ci sia un’altra pastorale nel “foro interno”, una che possa permettere a una persona impegnata in una unione irregolare di avere accesso ai Sacramenti, è come suggerire che la coscienza possa essere in conflitto con la verità della fede. Un suggerimento di questo tipo pone chiaramente i sacerdoti in una situazione insostenibile, l’aspettativa che possano “spalancare una porta” al penitente che, di fatto, non esiste.

Infine, con il più grave danno inflitto all’universalità della Chiesa, crea l’aspettativa che il Romano Pontefice possa approvare una pratica che è in conflitto con le verità della fede. Il Sinodo dei vescovi, coerentemente con la sua natura e il suo scopo, non può farsi strumento di simili aspettative.

*Cardinale e arcivescovo cattolico statunitense, dall’8 novembre 2014 patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta.

Questo commento è apparso originalmente sul National Catholic Register (traduzione di Stefano Magni).

FONTE: lanuovabq.it

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