Argentina, quella legge sull’aborto è davvero diabolica

Abolita di fatto l’obiezione di coscienza: nessun medico potrà rifiutarsi di uccidere un nascituro.

Pessime notizie sul fronte della Vita: non solo il ministero della Salute argentino ha pubblicato sul proprio sito web il Protocollo per la cura globale delle persone aventi diritto all’interruzione legale della gravidanza», garantendo «risorse umane e materiali adeguate», nonché rendendone obbligatoria l’applicazione su tutto il territorio nazionale ed in tutte le strutture sanitarie, «tanto pubbliche quanto private» [quindi comprese quelle cattoliche, esercitando così un’evidente forma di violenza sui loro principi religiosi, sulle loro convinzioni morali e sulla coscienza dei loro operatori-NdR], poiché «non esiste un’obiezione di coscienza istituzionale». La propaganda dev’essere massiccia e diffusa, anche in forma preventiva, insegnando ad evitare «gravidanze indesiderate», utilizzando i «metodi contraccettivi».

La Kirchner con papa Francesco nel marzo del 2013.
La Kirchner con papa Francesco nel marzo del 2013.

A darne notizia, è stata l’agenzia InfoCatolica. E’ un documento drastico ed orribilmente impietoso, quello che porta la firma del presidente argentino, Cristina Fernández de Kirchner, di Sinistra, e del ministro competente, Daniel Gollan. La normativa definisce la «decisione della donna» [come se la nascita di un bimbo fosse soltanto affar suo, il che già è discriminante-NdR], già a partire dai 14 anni, «indiscutibile», anche «senza il consenso dei suoi genitori o dei tutori legali», e viene fatto pertanto esplicito divieto al personale sanitario di sottoporla a «giudizi di valore derivanti da proprie convinzioni personali o religiose», rendendo così i medici meri esecutori di morte, senza neppur conceder loro facoltà di parola, men che meno di consiglio.

Anche qui si è attinto purtroppo a piene mani al vocabolario dell’antilingua. Il testo, infatti, si ispira con tutta evidenza alla «Guida tecnica per la cura globale degli aborti non punibili», pur trasformando tale dizione, «aborti non punibili», nella formula più soft e “politicamente corretta” di «interruzione legale della gravidanza», inquadrando questa addirittura, già nel prologo, tra i «diritti umani», da consentirsi in caso di «stupro» oppure di «minaccia», anche solo «potenziale», per la «salute fisica, psichica o sociale della donna», quand’anche si trattasse di una semplice, banalissima «perdita di autostima». In pratica, l’aborto viene totalmente, vergognosamente liberalizzato, senza tenere in alcun conto i diritti dell’essere umano custodito in grembo, tanto meno i diritti dell’altro genitore, il padre, privo di qualsiasi voce in capitolo.

Basta che le richiedenti si presentino presso la struttura sanitaria con una propria dichiarazione firmata in carta semplice e, senza alcuna «formalità legale» – com’è tristemente definita nel Protocollo –, s’innesta la macchina abortiva, senza che nemmeno venga loro chiesto di spiegare, dar conto o «approfondire le circostanze» determinanti la propria scelta. Se la donna fosse dichiarata «incapace di intendere e di volere», non vi sarebbe problema: a decidere per suo conto sarebbe il suo rappresentante legale o il suo tutore, chiamato ad una decisione tanto tragica a nome e per conto della propria assistita.

Ma la crudeltà continua. Sotto i 14 anni, i genitori “potranno” – quasi si trattasse di una “graziosa” concessione – partecipare alla decisione, tuttavia, qualora il loro rifiuto venisse ritenuto «ingiustificato», verrebbero immediatamente esclusi, esautorati dei loro diritti e rimpiazzati da «curatori speciali» incaricati di agire in loro vece. Follia pura.

Non solo. Nessun sanitario può opporre «ostacoli di natura medico-burocratica o giuridica», che impediscano il libero accesso all’aborto, da eseguirsi e senza fiatare. Non possono essere fornite informazioni di merito «a terzi, compresi marito, compagno/a [definizione già comprensiva di partner dello stesso sesso, in ossequio all’ideologia Lgbt-NdR], padre o madre». Basta che l’interessata acconsenta ed il figlio viene inevitabilmente condannato a morte, ammazzato senza un se, senza un ma e senza un perché.

L’obiezione di coscienza viene ammessa solo, quando preventivamente dichiarata per iscritto, comunicata alla donna e «sempre a patto che non si traduca in una dilazione, in un ritardo o in un ostacolo per l’accesso a tale prestazione medica (sic!)», poiché in caso contrario il medico sarebbe sanzionabile «per via amministrativa, civile e/o penale». Stessa sorte nel caso venissero fornite «informazioni false» o ci si rifiutasse «di eseguire il trattamento». La donna deve essere indirizzata, in tali casi, dal medico obiettore ad un collega disposto invece a praticarle l’aborto. Qualora non ve ne fossero, non v’è coscienza che tenga: per legge il sanitario è costretto a calpestare i propri principi, ciò in cui crede e ad eseguire comunque «l’interruzione di gravidanza», non potendo «eludere l’obbligo di eseguirla». Si tratta di una gravissima forma di violenza e di un attentato evidente ai diritti fondamentali dell’uomo.

Ma non è finita qui. Dev’essere lo stesso medico a promuovere la pratica abortiva, di fronte ad una qualsiasi gravidanza. La prima, disumana domanda, infatti, che la normativa prevede di rivolgere alla donna giunta nel suo ambulatorio è: «Sussistono motivi per l’interruzione legale della gravidanza?», il che dà subito il polso della situazione. Qualora disgraziatamente sussistesse anche un piccolo cavillo, si dispone che la si informi della procedura, suggerendole di compierla «al più presto possibile». Essere «imparziale, paziente e rispettoso», dunque, per il sanitario, significa solo astenersi assolutamente, durante il consulto, dall’esprimere le proprie «opinioni personali contro l’aborto» o dal suggerire condotte, che possano determinarne il rinvio, evitando anche, se possibile, di mostrare alla donna l’immagine del bimbo che porta in grembo o di farle sentire il suo battito cardiaco. In caso di violazione, deve guardarsi dal «determinare situazioni di violenza, che possano generar dubbi nella volontà della donna». Evidente il rischio giuridico d’esser accusato di pressioni indebite con conseguente processo.

La percezione evidente è che a questa legge del miracolo della maternità, delle condizioni della madre e della vita di suo figlio non importi alcunché: vengono tutti visti come carne, come materiale biologico di cui disporre a piacimento. Ma nemmeno le convinzioni, la coscienza ed il parere del medico contano: lui dev’essere un mero esecutore senza cervello, senza cuore, senz’anima.

Le violazioni sulle libertà personali – religiose, morali e civili -, sui diritti fondamentali dell’uomo e sulla professione medica sono tali e tante da far assumere all’intero Protocollo tinte non solo perverse, ma esplicitamente demoniache.

Fonte: nocristianofobia.org

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