di Matteo Matzuzzi
In tutta la Francia, nel 2014, sono stati ordinati ottantadue nuovi preti. Mai la cifra era stata così bassa. Mancano le vocazioni, la crisi è spaventosa, dice il portavoce della conferenza episcopale nazionale, mons. Bernard Podvin, a cavallo delle festività natalizie in un messaggio che di gioioso ha ben poco: “Quando si ordinano cento preti l’anno e ne muoiono ottocento, è chiaro dove sia il problema”, dice.

Nella Francia un tempo “figlia prediletta” della chiesa, oggi ci sono solo tredicimila sacerdoti – cinquemila in meno rispetto a dodici anni fa – vale a dire più o meno uno ogni cinquemila abitanti. E la maggior parte è in là con gli anni, al punto che in un decennio il bilancio sarà ancora più drammatico e non basteranno accorpamenti di parrocchie sulla scia di quanto, tra non poche polemiche, sta facendo da qualche mese il cardinale Timothy Dolan a New York. Si andrà avanti con il programma di chiusure delle chiese “a scarsa frequentazione”. Qualcuna, anche se dal passato illustre e magari impreziosita da opere d’arte di un certo livello, sarà demolita: troppo oneroso mantenerle per i pochi, per lo più anziani, che vi entrano per assistere alle messe domenicali. Il riscaldamento costa, le tasse sono alte, e di trasformare centinaia di edifici di culto cattolici in musei alla mercé di turisti di passaggio non se ne parla.
Forse, si adotterà il modello da tempo sperimentato a Vienna dall’arcivescovo Christoph Schönborn: vendita delle chiese a chi può permetterselo e a chi, soprattutto, ha fedeli con cui riempirle. Nella capitale austriaca, ad esempio, tra i più attivi acquirenti si annoverano le comunità ortodosse, in netta espansione a scapito proprio dei cattolici, ormai divenuti una stabile minoranza. Tanto non si sarebbero potute garantire le messe, visto che preti non ce ne sono più, aveva detto Schönborn rispondendo a quei pochi che avevano mostrato qualche perplessità sul metodo scelto per far fronte alla progressiva estinzione. A poco sembra servire anche “l’importazione” di preti stranieri, specie dall’Africa, in pieno fermento vocazionale: tappano la falla, ma non risolvono il problema. Negli ultimi tempi, da Parigi a Lione, sono state lanciate diverse iniziative per invertire la tendenza, da ultimo il tentativo di rievangelizzare la Ville Lumière attraverso gruppi di giovani mandati a testimoniare la fede cattolica nei boulevard e nelle piazze dove, intanto, si vietava però l’allestimento dei presepi in nome del rispetto della sacra laïcité bastione fondamentale della République.

Il punto è che, metteva nero su bianco la Conferenza episcopale francese già in un rapporto pubblicato meno di due anni fa e quanto mai attuale, il declino affonda le radici nel passato: se nel 1972 si definiva cattolico l’87 per cento della popolazione, oggi lo fa il 64. Di questi, solo il 4,5 per cento dichiara di essere “praticante”, cioè di recarsi a messa ogni domenica. Era il 20 per cento quarant’anni fa. Una crisi ancora più evidente se si prendono in esame i numeri dei sacramenti celebrati: in dieci anni, il numero dei matrimoni cattolici è calato del 10 per cento (ora è al 29,5), mentre i battesimi sono passati dai 385 mila del 2002 ai 300 mila di oggi. Di questo passo, entro meno di mezzo secolo, i battezzati in Francia saranno l’eccezione, una minoranza esigua. Non basta, riconoscono i vescovi locali, inserire il caso francese dentro la più ampia crisi dell’Europa secolarizzata e progressivamente sempre più decristianizzata. Altrove nel mondo, infatti, i cristiani crescono. Di poco, ma lo fanno: un punto e mezzo percentuale in più rispetto al 2012, con l’exploit in Africa e – in parte – in America meridionale.
© FOGLIO QUOTIDIANO (30/12/2014)