Il discorso di Napolitano conferma alcuni messaggi controversi del papa divenuti vulgata corrente

cristianesimocattolico:

Il testo del Presidente Napolitano è tratto dal sito ufficiale del Palazzo del Quirinale. Ne ho stralciato alcuni punti nevralgici inserendovi delle chiose. Dal discorso emergono affermazioni che risultano gravi, se si pensa che normalmente in occasioni del genere si tratta di testi ufficiali resi noti prima dell’evento. Dunque il papa – o anche i suoi più vicini collaboratori – hanno avuto occasione di leggere in anticipo certe conclusioni, che confermano la vulgata corrente da noi più volte stigmatizzata. Tuttavia non hanno colto l’opportunità, – o meglio la necessità – di rettificarle, attraverso una congrua dialettica, nel discorso del papa. Pressappochismo o connivenza?

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Prima dell’analisi che segue, ritengo importante inserire qui la riflessione di un lettore, Franco, che condivido. E, mi vien da pensare che potrei interrompere le analisi e intensificare le preghiere; ma ci son cose che non possono essere taciute e che limito all’essenziale.

“…ho letto parecchi scritti e biografie di santi. per cui penso di avere qualche termine di paragone. Tra i santi, il vescovo-gentiluomo san Francesco di Sales, quello che affermava “Attira più mosche un cucchiaino di miele che un barile di aceto” e a una dama, che gli poneva il problema della scollatura negli abiti di gala, inevitabili nella vita di società, consigliava di infilare una rosa nel punto strategico. Inoltre san Filippo Neri (inventore degli “oratori” per l’infanzia), il quale a un signore che si era accusato di aver mormorato e sparlato diede la penitenza di girare per Roma spennando un pollo; a seguire, gli chiese di raccogliere le penne (ormai impossibile): operazione pedagogica per fargli capire quanto sia difficile ricostruire la buona fama altrui che si è intaccata. Nella stessa linea, il raccontino che penso ricorderà de “il miracolo delle noci” fatto da Fra Galdino ne “I Promessi Sposi”. Ebbene, credo che Jorge Mario Bergoglio appartenga a questa categoria di predicatori coloriti-pittoreschi (il che non esclude sincerità e intensità di sentimento); d’altra parte temo anche che non sia un teologo ferrato (non risulta una laurea in teologia dogmatica), per cui si è lasciato andare ad approssimazioni “pastorali” oggettivamente inquietanti. Questo anche per il suo carattere tendente all’effervescenza comunicativa (credo di capirlo perché anch’io sono fatto così). L’auspicio migliore, come detto sopra da altri, è che il suo entourage riesca a tirarlo per la talare e a raccomandargli prudenza e aplomb, visto che “voce dal sen fuggita più richiamar non vale”. Come già detto, non sono un “normalista”, ma un “attendista”: vorrei capire dove si sta andando a parare, dopo il disorientamento di questi mesi. Aggiungo che il “pubblico” da coltivare non è soltanto quello popolare, sempre di bocca buona; esiste quello degli acculturati di un certo livello (per motivi professionali, il che non attribuisce loro alcun merito speciale rispetto alla massa) a cui bisogna fare discorsi rigorosi e critici, oltre il “volemose bene”. L’estensore dell’enciclica “Pascendi” fu il gesuita padre Enrico Rosa. Mi sembra che papa Bergoglio come predicatore faccia quello che dovrebbe fare qualsiasi buon parroco, svolgendo una funzione di “supplenza”; tuttavia il suo ruolo, con relativo stile, dovrebbe ormai essere un altro.

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Napolitano: ” […] E abbiamo pensato a queste nuove presenze in occasione della Sua visita per raccogliere l’ispirazione che La muove, l’intento di non lasciar racchiuso il Suo impegno, lo stesso Suo discorso pastorale entro l’orizzonte di un rapporto tra istituzioni. Ella ha trasmesso nel modo più diretto a ciascuno di noi motivi di riflessione e di grande suggestione per il nostro agire individuale e collettivo. E lo ha fatto in questi mesi raccontando Sé stesso, dicendoci – con sorprendente generosità e schiettezza – molto della Sua formazione, della Sua evoluzione, della Sua visione. E a tutti – credenti e non credenti – è giunta attraverso semplici e forti parole, la Sua concezione della Chiesa e della fede. Ci ha colpito l’assenza di ogni dogmatismo, la presa di distanze da “posizioni non sfiorate da un margine di incertezza”, il richiamo a quel “lasciare spazio al dubbio” proprio delle “grandi guide del popolo di Dio”.

[Ricordiamo che la Chiesa ha sempre insegnato che, per la virtù teologale della fede, noi abbiamo una conoscenza certa della verità rivelata, non soggetta a dubbi, basata sulla parola di Nostro Signore, che viene dal Verbo della Vita che non si inganna né può ingannare. E l’affermazione più allarmante è proprio quell’ “assenza di dogmatismo”, inquinamento della fede e abbraccio mortale con l’ateismo, purtroppo emersa da parole e gesti dell’attuale papa che hanno posto in essere, finora, diversi elementi di ‘rottura’ e un magistero liquido e foriero di elementi disorientanti e dirompenti. Resta poi da vedere quali sarebbero queste “grandi guide” del popolo di Dio che hanno messo in dubbio la Verità. Sta forse pensando a Lutero? Il problema sta nel fatto che si riferisce al dubbio strutturale, che scaturisce dall’assolutizzazione della coscienza e conseguente relativizzazione della Verità, e non a quello occasionale che aiuta ad approfondire.].

Abbiamo sentito, nelle Sue parole, vibrare lo spirito del Concilio Vaticano II, come “rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea”. E vediamo così profilarsi nuove prospettive di quel “dialogo con tutti, anche i più lontani e gli avversari”, che Ella, Santità, ha sollecitato e che costituisce appunto l’orizzonte più vasto – oltre il contesto dei rapporti tra Chiesa e Stato – a cui oggi si deve necessariamente tendere.

[Premesso che avremmo preferito sapere che la cultura contemporanea è stata letta alla luce del Vangelo piuttosto che l’opposto. Infatti, se il Vangelo è riletto alla luce di una situazione storica concreta, significa che la situazione storica ha cambiato il Vangelo e, insieme ad esso, è in evoluzione anche la Verità eterna ed immutabile?]

Necessariamente, dico, dinanzi alle inaudite sfide dell’oggi, da superare – guardando al futuro – attraverso la più larga mobilitazione delle coscienze e delle energie – innanzitutto morali – di un popolo come il nostro, e di ogni popolo.

[Nessuna sfida può essere affrontata e superata se il Signore non viene fatto entrare nella storia attraverso i “Suoi” nella Sua Chiesa. Questa verità non è più così chiara e affermata urbi et orbi da quando, attraverso la libertà di religione, si tende a dare pari dignità agli errori delle altre fedi, i cui aderenti sono da rispettare ma anche da evangelizzare senza confusioni né omologazioni].

[…] Ma le sfide da affrontare nel mondo d’oggi sono anche di natura “antropologica”. “L’uomo col tempo cambia il modo di percepire se stesso”, “l’uomo è alla ricerca di se stesso” – Ella ha detto, e ci ha messo in guardia da un pensiero che “perda di vista l’umano”.

[In Cristo l’umano non può mai esser perso di vista ma, collocato al suo giusto posto, viene portato alla sua pienezza. Inoltre il cambiamento del modo di percepire, che può trarre in inganno se esce dall’alveo della legge naturale prim’ancora che dalla Rivelazione, non può cambiare la Verità di cui la Chiesa è portatrice, custode e dispensatrice].

[…] E’, in effetti, sollecitando un nuovo spirito di solidale e responsabile comunanza che bisogna dedicarsi – guidati dalla speranza – al superamento dei mali più gravi che affliggono oggi il mondo. A cominciare dai mali provocati o esasperati dalla crisi di questi anni sia nelle “periferie” di diversi continenti, in luoghi rimasti ancora ai margini di un moderno sviluppo economico e benessere sociale, sia nei paesi della travagliata Europa : mali estremi, quali – Ella ha detto – da un lato la disperante condizione dei giovani privi di lavoro, che vengono come “schiacciati sul presente”, e dall’altro la solitudine in cui vengono lasciati i vecchi. Ne scaturiscono, come non mai, responsabilità comuni. Responsabilità che la Chiesa si assume “esprimendo e diffondendo i suoi valori”, liberandosi da ogni residuo “temporalismo”, e dispiegando l’iniziativa delle istituzioni che ad essa si richiamano sul terreno solidaristico ed educativo che è loro proprio.

[Un quadro di Chiesa-SpA, ridotta ad una ONG come tante, da cui è stato espunto l’orizzonte della fede, della Rivelazione, delle domande fondamentali, della ragione Sacramentale del suo esserci, come portatrice e dispensatrice dell’Unico, in grado di rimuovere le cause prossime e remote di quei mali, per i quali è evidenziato un approccio prettamente solidaristico. Inoltre c’è da chiedersi se quel “liberandosi da ogni residuo temporalismo” alluda a tutto ciò che risulta spazzato via dalle dimissioni di Benedetto XVI anche perché oltrepassato dal papa attuale. E i valori di questa neo-chiesa sarebbero quelli raffigurati dalle due fusioni in bronzo regalate da Bergoglio a Napolitano: la prima, icona dell’impegno verso i bisognosi e la seconda, emblema di ‘un mondo di solidarietà e di pace fondato sulla giustizia’? Dov’è la predicazione di Gesù Via, Verità e Vita?]

[…] E credo che in questo senso la politica possa, Santità, trarre uno stimolo nuovo dal Suo messaggio e dalle Sue parole. Un messaggio che, come Ella stesso ha detto, “si rivolge non soltanto ai cattolici ma a tutti gli uomini di buona volontà”, e che fa dunque pensare a un dialogo senza precedenti per ampiezza e profondità tra credenti e non credenti, a una sorta di simbolico, sconfinato “Cortile dei Gentili”. […] “

[Riprendo, a questo proposito una precedente riflessione, che si innesta anche nel precedente discorso sul “dubbio”: «… ad Assisi è stata messa in scena una nuova versione riveduta e aggiornata di quella teologia del dubbio che tanto aveva avuto fortuna grazie al cardinale Martini con la Cattedra dei non credenti. E non è un caso che, alla regia, ora vi sia un cardinale cresciuto alla scuola del martinismo come Gianfranco Ravasi. La matrice è evidentissima sin dalla pagina del sito del Cortile dei Gentili in cui si presenta l’iniziativa: “In occasione dell’Anno della Fede, indetto da Papa Benedetto XVI, il Cortile dei Gentili vuole raccogliere e dare forma al grido spesso silenzioso e spezzato dell’uomo contemporaneo verso un Dio che per un numero crescente di persone rimane un ‘Dio sconosciuto’…”. Una sublime versione 2.0 dell’invenzione martiniana che, una volta innescata, porta il cattolicesimo all’autodissoluzione»].

© Chiesa e post-concilio

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