di Sandro Magister (19/02/2013)
L’operazione capeggiata da Mario Monti è stata una delle nuove offerte politiche di questa campagna elettorale. Ma nuovo è stato anche il modo con cui il premier uscente si è collegato con la Chiesa. Nuovo e strano.
La novità sta nel fatto che proprio mentre la gerarchia della Chiesa si ritraeva dalla mischia politica e rinunciava a scommettere sull’uno o sull’altro dei partiti in lizza, lui, Monti, si è mosso nella direzione contraria. Non solo in poco più di un anno è riuscito a incontrare il papa ben otto volte, l’ultima sabato scorso, polverizzando ogni record. Soprattutto ha voluto accanto a sé come ispiratore, stratega e selezionatore di candidati il fondatore e leader di un’associazione religiosa di primissimo piano, Andrea Riccardi della Comunità di Sant’Egidio, con i suoi fedelissimi in Vaticano e fuori. “È il mio polo magnetico”, ha detto di lui qualche giorno fa a Napoli, mentre si faceva accompagnare in visita pastorale nella “Casa di Tonia” e in altre opere assistenziali promosse dalla Comunità.
La stranezza sta nel fatto che se il calcolo di Monti era di attrarre la Chiesa dalla sua parte e con la Chiesa i grandi numeri del voto cattolico, l’effetto è parso essere opposto. Il momento magico di fine dicembre, quando “L’Osservatore Romano” uscì con un articolo del suo notista politico Marco Bellizi inneggiante a Monti, alla sua “politica alta” e al “successo” che gli si prevedeva, ha lasciato rapidamente il passo al ritiro di qualsiasi benedizione vera o immaginaria alla sua lista, da parte della gerarchia.
In Vaticano, quell’articolo scatenò le ire del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, che né l’aveva visto in anticipo né tanto meno autorizzato. Fu un’idea solitaria del direttore del giornale, Giovanni Maria Vian, che in un’intervista a formiche.net non ha nascosto la sua prossimità a Riccardi: “Per me è un amico da oltre un quarantennio, oltre a essere uno studioso che stimo”. Sta di fatto che da quel giorno, per ordine superiore, “L’Osservatore Romano” non ha più dedicato una riga agli sviluppi della campagna elettorale in Italia. E un parallelo richiamo all’ordine c’è stato per l’altro giornale cattolico, “Avvenire”, di proprietà della conferenza episcopale italiana. Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della CEI, ha ingiunto al direttore del giornale Marco Tarquinio di raffreddare i suoi bollori a favore di Monti e del suo alleato Pierferdinando Casini.
Ai vertici della CEI l’accoppiata elettorale tra Monti e Casini ricorda un’altra accoppiata dall’esito più che infausto: quella del 1994 tra Mario Segni, presunto “uomo nuovo” dell’epoca, e Mino Martinazzoli, ultimo erede di quello che era stato il grande partito della Democrazia cristiana. Allora la sconfitta fu su tutta la linea, anche per i vescovi che vi avevano tutto puntato. E oggi la CEI non vuole certo infilarsi in un altro fallimento, tanto più architettato da un leader cattolico come Riccardi, del quale diffida.
Il fondatore di Sant’Egidio entrò in politica nell’autunno del 2011 come ministro del neonato governo “tecnico” di Monti non perché raccomandato dai cardinali Bagnasco o Bertone, ma solo perché chiamato dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano, al quale era legatissimo. Anche Napolitano ha avuto frequenti e felici incontri con Benedetto XVI, ma alla CEI non gli perdonano la firma che egli negò nel 2009 al decreto del governo di Silvio Berlusconi che avrebbe impedito di infliggere la morte a Eluana Englaro. Su eutanasia, aborto, matrimoni omosessuali e altre questioni “non negoziabili” ieri il cardinale Camillo Ruini e oggi il cardinale Bagnasco hanno impegnato una vera e propria battaglia di civiltà. Ma queste sono anche le questioni sulle quali Monti ha idee piuttosto distanti da quelle della Chiesa, e lascia ai suoi libertà di coscienza. Cioè se ne lava le mani. Esattamente come il suo consigliere Riccardi, che dai principi “non negoziabili” si è sempre tenuto alla larga, ritenendoli un ostacolo al pieno di consensi a cui ambisce, non per la Chiesa ma per sé, per il suo futuro di ministro o di sindaco di Roma.