La rivista teologica internazionale “Concilium” ha recentemente dedicato un intero numero al tema “Il genere nella teologia, nella spiritualità, nella prassi”. Il Magistero della Chiesa Cattolica però è molto chiaro sul tema e non lascia spazio a fraintendimenti.
di Roberto Marchesini (25-01-2013)
Il Magistero della Chiesa sull’ideologia di genere è chiaro e definito: «In questo processo che potremmo denominare di graduale destrutturazione culturale e umana dell’istituzione matrimoniale, non deve essere sottovalutata la diffusione di una certa ideologia di “gender”. L’essere uomo o donna non sarebbe determinato fondamentalmente dal sesso, bensì dalla cultura. Tale ideologia attacca le fondamenta della famiglia e delle relazioni interpersonali». (PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, Famiglia, Matrimonio e «unione di fatto», 26 luglio 2000, § 8; cfr. l’Appendice).
Può capitare che il semplice fedele, la vecchietta che macina rosari da mane a sera, non ne sia edotta; e probabilmente non ha nemmeno bisogno che qualche Pontificio Consiglio le spieghi certe cose: le basta il suo sano senso comune. Non potrebbe darsi, invece, che il fiore della teologia cattolica mondiale abbracci in maniera acritica tale teoria. Non potrebbe darsi, ma accade; e, purtroppo, non ne siamo stupiti.
La rivista teologica internazionale Concilium ha recentemente dedicato un intero numero (il numero 4 del 2012) al tema «Il genere nella teologia, nella spiritualità, nella prassi». Concilium non è un bollettino parrocchiale: è stata fondata nel 1965 da teologi del calibro di Karl Rahner, Yves Congar, Edward Schillebeeckx, Hans Küng, ed è pubblicata in sette lingue e undici edizioni nazionali; si presenta come «espressione del pensiero teologico cattolico ed ecumenico, a dimensione internazionale» e si autodefinisce «[…] la rivista teologica più letta e più citata nel mondo».
La presentazione del fascicolo dedicato al genere afferma: «Praticamente tutti coloro che leggeranno questo fascicolo di Concilium troveranno qualcosa di provocatorio e capace di spingere oltre i limiti»: non si può dire che gli autori non abbiano mantenuto le promesse. Si passa infatti dall’outing del personaggio biblico di Rut, che scopriamo essere lesbica (p. 91); a Dio descritto come una drag-queen (p. 32); a vertiginose questioni teologiche («Come può Cristo, un maschio, salvare le donne?», pp. 113-114); alla scoperta (vagamente blasfema, francamente eretica) che Gesù avrebbe potuto salvarci anche morendo scivolando nella vasca da bagno («La violenza non è necessaria per la redenzione; anzi, l’opera redentrice richiede che i credenti si impegnino a resistere alla violenza», p. 117); al rifiuto della legge naturale (p. 70); al revival anni Settanta, con la celebrazione di Leonardo Boff e della Teologia della Liberazione (p. 143).
Ovviamente (tralasciando lo stupefacente «ecofemminismo», p. 77 e ss.), la parte del leone lo fa l’ideologia del genere.
Gli autori ne ripercorrono la genesi a partire dal femminismo liberale per giungere, attraverso il femminismo radicale, alla dialettica marxista della lotta di classe applicata ai sessi: lo stadio finale sarà la società senza sessi. Viene riconosciuto il ruolo fondamentale, nella diffusione di questa ideologia, alle conferenze del Cairo del 1994 e di Pechino del 1995, organizzate dalle Nazioni Unite; l’Unione Europea ha seguito a ruota.
Viene ricordata la posizione della Chiesa, ma solo per essere criticata e ridicolizzata: «Soprattutto in contesti ecclesiali si registra una notevole resistenza contro le questioni relative al genere. Sono considerate ideologiche e perciò pericolose. E lo sono davvero! […] il fatto di mettere in questione certezze ovvie e verità naturali è un’impresa rischiosa: lo si sa, più che mai, a partire da Giordano Bruno» (p. 25).
Peccato che i novelli Giordano Bruno non riescano, in quasi duecento pagine, a fornire uno straccio di prova convincente che metta in questione «certezze ovvie e verità naturali» del tipo «ci sono gli uomini e ci sono le donne, ognuno con organi sessuali differenti per la procreazione» (p. 26). Ci provano, certo: bisognerebbe buttare a mare più di duemila anni di antropologia filosofica e praticamente tutta la biologia umana perché nelle isole Samoa esistono alcuni uomini che si vestono da donne (pp. 26-27); o perché (argomento scientificamente inoppugnabile!) da Ermes ed Afrodite nacque Ermafrodito dall’identità doppia e non univoca (p. 29); o perché l’atleta sudafricana Caster Semenya avrebbe una malformazione agli organi genitali (p. 29). Oltre a non avere degli assiomi decenti, la teoria del genere non ha nemmeno una conferma sperimentale.
In che modo, dunque, si potrebbe obiettare a una teoria come questa, che se ne frega dei dati di fatto, del metodo scientifico e della logica aristotelica?