Il vescovo di Molfetta tra eresie e idoli.
Non dimenticherò mai la prima volta in cui sentii parlare del vescovo Tonino Bello. Avvenne nel 2003. Stavo facendo il Servizio Civile Volontario presso una comunità di recupero per tossicodipendenti fondata da un prete non catto-progressista, ma ultra catto-progressista. Una mattina stavo spolverando un mobile che su cui c’erano alcuni ritratti di santi, di beati e di altre personalità religiose (progressiste) e civili (laiciste). La fotografia più in evidenza era quella di un vescovo che non avevo mai visto prima. Mentre la spolveravo, passò il prete-fondatore della comunità e mi domandò se sapevo chi fosse quel vescovo. Alla mia risposta negativa, egli disse: “È il grande vescovo di Molfetta, don Tonino Bello. Purtroppo è morto qualche anno fa. Ti consiglio di leggere i suoi libri. Altro che il tuo amato cardinal Ratzinger!…”. Lasciai cadere nel nulla l’infantile provocazione e osservai più attentamente la foto di Tonino Bello. Ebbene, non mi piacque già dalla foto. Perché in quella foto – così come in tantissime altre che ebbi modo di vedere in seguito – aveva una “faccia da santino”. Una delle cose che mi colpiscono delle immagine fotografiche dei santi e dei beati è che non hanno quelle espressioni che si trovano nelle immaginette. Prendiamo, per esempio, la prima santa fotografata nella storia: Santa Bernadette Soubirous, la veggente di Lourdes. In molte immagini è imbronciata, brusca. Ciò che colpisce è l’intensità e la profondità dello sguardo. Una caratteristica che ho riscontrato in altre fotografie di santi: San Pio da Pietrelcina, San Massimiliano Maria Kolbe, la Beata Madre Teresa di Calcutta, il papa San Pio X, Santa Teresa di Lisieux, etc… Naturalmente, trattandosi di un criterio di giudizio squisitamente personale e soggettivo, decisi di non fermarmi alle apparenze e di fare qualche ricerca su questo don Tonino Bello.

BRUTTA COSA LA FACCIA DA “SANTINO”
Senza voler esprimere pareri, né tanto meno giudizi, sulla persona – sulla quale, tra l’altro, ho letto belle testimonianze – ci sono alcune sue decisioni che non condivido affatto, tra cui la scelta di scrivere il suo motto episcopale in italiano e non in latino (“Ascoltino gli umili e si rallegrino”, Sal 33, 3). Ritengo, inoltre, sbagliato che abbia scritto articoli, dal 1990 al 1992, per il quotidiano comunista “Il Manifesto”. Giornale non solo dichiaratamente anticattolico, ma che non perdeva occasione per criticare irrispettosamente il pontefice all’epoca regnante, Giovanni Paolo II, ogni volta che egli ribadiva il Magistero della Chiesa sulla regolazione delle nascite. Trovo anche errato che si sia spogliato delle insegne episcopali, perché simboli – secondo lui – di potere e non di servizio. Evidentemente il vescovo Bello non si era reso conto che, nella Chiesa, regnare è servire e servire è regnare. Per coerenza avrebbe dovuto rifiutare la consacrazione episcopale.
Non riesco neppure a concepire che un pastore dalla Chiesa faccia coincidere la pastorale con l’attivismo sociale. Il primo dovere di un vescovo è confermare nella fede il proprio gregge. San Pietro e gli Apostoli nominarono sette diaconi perché si rifiutarono di sottrarre tempo prezioso all’evangelizzazione per occuparsi delle – se pur giuste e indispensabili – varie attività nel sociale (cfr. At 6, 1-7).
Se fosse sulla terra oggi, sicuramente don Tonino Bello difenderebbe l’ermeneutica della discontinuità e della rottura sul Concilio Vaticano II, definita errata da Benedetto XVI nel suo discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005. Ne sono convinta perché la visione che il nostro aveva del Cristianesimo – il “toninobellismo”, come lo chiama il Mastino – fosse impregnata di modernismo e neomodernismo (o “nouvelle théologie”).
Sia il modernismo che la “nouvelle théologie” sono state condannati dal Magistero pontificio. Il modernismo fu condannato dal papa San Pio X nel 1907 con l’enciclica Pascendi Dominici Gregis. La “nouvelle théologie” fu condannata dal venerabile Papa Pio XII nel 1950, anno santo, con l’enciclica Humani Generis. Nonostante tali condanne, purtroppo, i modernisti e i neomodernisti sono riusciti a seminare nella Chiesa i loro errori teologici e dottrinali, generando addirittura delle specie di nuove e variopinte “dottrine”. Non a caso molti esponenti del neomodernismo sono fra i più importanti “maestri” di Bello: Helder Câmara, Karl Rahner, Luigi Bettazzi, Ernesto Balducci, Carlo M. Martini, David M. Turoldo, ecc… dei quali don Tonino condivide l’iper-conciliarismo (il Vaticano II come super-dogma) e il progressismo teologico e pastorale (l’ortoprassi sopra o, addirittura, senza l’ortodossia).
GLI IDOLI (NON TANTO) NASCOSTI DI TONINO BELLO
Il “toninobellismo” nasconde degli idoli nel suo interno, come Rachele nascose gli idoli pagani sotto la sella del cammello (cfr. Genesi 39, 34).
Due di questi idoli sono strettamente collegati: il pacifismo e l’antimilitarismo. Era più usuale vedere Tonino Bello con la bandiera arcobaleno della pace – o meglio, del pacifismo – in mano, anziché col rosario. Nel 1985 divenne la guida di Pax Christi, il movimento (sedicente) cattolico che si prodiga per la pace internazionale, succedendo al vescovo di Ivrea, il già menzionato Luigi Bettazzi. In questa veste si ricordano diversi duri interventi: tra i più significativi quelli contro il potenziamento dei poli militari di Crotone e Gioia del Colle, nonché contro la Guerra nel Golfo del 1990-1991, quando manifestò un’opposizione così dura da essere accusato di istigare alla diserzione. Lui ribatté dicendo che nessuno che si professi cristiano può guadagnarsi il pane usando le armi. Per chi, come me, viene da una famiglia di militari, queste accuse sono vergognose. I militari proteggono i propri popoli – talvolta anche quegli altrui – rischiando la vita per uno stipendio da fame e non meritano di essere insultati, né disprezzati. I vangeli raccontano di un centurione romano che pregò, con molta umiltà, Gesù di guarire uno dei suoi servi. Il Signore non lo scacciò con disprezzo, né lo etichettò come pagano, mercenario, conquistatore, guerrafondaio, ma lo ascoltò ed esaudì la sua preghiera. Non solo. Lo lodò affermando che non aveva incontrato in Israele qualcuno con una fede così grande (cfr. Lc 7, 1-10). Pochissime persone, nei vangeli, hanno avuto una tale lode da Nostro Signore.
Un altro idolo è il dialogo. Per Tonino Bello è fondamentale andare d’accordo con tutti, con qualsiasi mezzo, ad ogni costo, persino rinunciando alla pienezza della Verità. Quello che divide deve sparire dalla circolazione. Ciò che conta è quello che unisce. Il dialogo diventa il fine e non più un mezzo. A Tonino Bello il documento dottrinale “Dominus Iesus” sull’unicità salvifica di Gesù Cristo e della sua Chiesa non sarebbe piaciuto affatto, perché porta divisioni. Ma Gesù stesso ha detto che non è venuto a portare la pace, ma la divisione; per causa sua persino membri di una stessa famiglia si sarebbero separati (cfr. Mt 10, 34). Per seguire Cristo bisognare fare scelte radicali, rinunciare a tutto ciò che ci può allontanare da Lui. Senza contare che molto spesso si tratta di un monologo, perché i nemici della Chiesa non vogliono andarci d’accordo: vogliono dominarla e distruggerla.
Non può mancare l’idolo del sincretismo religioso, nascosto sotto il manto dell’ecumenismo. Ci sono moltissimo cattolici, tra cui gli adepti di Tonino Bello, che affermano che c’è del buono e del vero e in tutti le religioni e, dunque, tutte possono portare alla salvezza. Poc’anzi ho citato la “Dominus Iesus”. Quel meraviglioso documento dottrinale ci rammenta che l’unico mediatore tra Dio e gli uomini è Gesù Cristo; nessuno si salva senza di Lui. Il cattolico, non può semplicemente invitare i seguaci delle altre religioni – neppure delle altre confessioni cristiane – a viverle in pienezza, così giungeranno comunque alla salvezza; il cristiano-cattolico deve condurre l’umanità intera all’unica Via, all’unica Verità e all’unica Vita: Cristo Gesù (cfr. Gv 14, 6).
Ovviamente c’è anche l’idolo del “male minore” o di “riduzione del danno”. Esempio pratico. Dal momento che gli aborti ci sono sempre stati e sempre ci saranno, non lasciamoli “clandestini” ma legalizziamoli, così potremo regolamentarli ed evitarli con la prevenzione (contraccezione) e, soprattutto, le donne gravide, poverette, non rischieranno la vita. L’olocausto di milioni di vite innocenti è un “male minore” o un “male maggiore”?
Passiamo all’idolo dell’antropocentrismo liturgico. Non si va più alla Santa Messa per adorare Dio come lo adorano gli angeli, ma per fare festa, per star bene tra di noi e, se il Signore vuole essere presente, è il ben venuto. Dio non è più la fonte, il centro e il culmine della liturgia, ma l’uomo stesso.
Non dimentichiamoci dell’idolo della solidarietà sociale. Sin dagli esordi, il ministero episcopale di don Tonino Bello fu caratterizzato e da un’attenzione agli “ultimi”: nelle visite pastorali promosse la costituzione di gruppi Caritas in tutte le parrocchie della diocesi, fondò una comunità per la cura delle tossicodipendenze, lasciò sempre aperti gli uffici dell’episcopio per chiunque volesse parlargli e spesso anche per i bisognosi che chiedevano di passarvi la notte. È celeberrima la sua definizione di “Chiesa del grembiule” per indicare l’urgenza di farsi servi e contemporaneamente agire sulle cause dell’emarginazione. È giusto lottare contro l’emarginazione, l’oppressione e la miseria, ma è anche più giusto e più santo lottare contro il divorzio e l’aborto. Meglio andare in paradiso a stomaco vuoto che all’inferno con la pancia piena. Ma i “toninobellisti” non considerano i «principi non negoziabili» del cristiano la vita, la famiglia e l’educazione; per loro contano la solidarietà, la giustizia sociale e la fraternità.
TONINO BELLO SANTO? NÉ SUBITO NÉ MAI!
«Nell’ottica di mons. Bello», scrive padre Paolo M. Siano, FI, in un articolo in cui manifesta le sue obiezioni circa la beatificazione di Bello, «tutti Misteri della Fede (Dio Uno e Trino, Cristo, l’Eucaristia, la Vergine SS.ma, la Chiesa…) divengono un pretesto per parlare dell’Uomo e del Mondo, per osannare e glorificare l’Uomo…».
Posizione condivisa da monsignor Odo Fusi Pecci, vescovo emerito di Senigallia: «Ho conosciuto Tonino Bello e non ne conservo buona idea. Persona degna sul piano personale, ma io sono contrario alla sua beatificazione. Dottrinalmente e teologicamente era molto arruffone, confuso, specie in tema mariano; poi svolgeva il compito di pastore e di vescovo con approssimazione e confusione, con populismo e demagogia, sposando modi contrari alla Chiesa, modi che ingeneravano false idee nei fedeli. Quando parlava non si sapeva se parlava il vescovo o la persona e questo danneggiava la Chiesa. Fu un demagogo, amante troppo della pubblicità e della gloria personale».
La meta, per Antonio Bello, non era il Cielo, l’incontro faccia a faccia con Dio, ma un mondo giusto ed equo in cui tutti sono “felici” perché a nessuno manca nulla. A parte Gesù Cristo.
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Perché non riesco a scaricare alcuni articoli che mi interessano ? Non è possibile ? O se è possibile ditemi come fare Don Paolo
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“Si riconosce l’albero dai suoi frutti”. Purtroppo don Tonino bello era un massone! Se analizzare attentamente la simbologia esoterica del suo linguaggio corporeo, soprattutto nella veste di vescovo, in particolar modo, non tanto la posizione dell’avambraccio destro vicino al petto, quanto più la sua mano, vedrete che le sue dita (il medio e l’anulare) sono “volontariamente” unite, da formare la lettera “M”, simbologia usata dagli adepti della massoneria, da altrettanti papi già a partire dal 1400 d.C, falsi santi “san Francesco di sales”, statua di san pio V sopra la sua salma, il dipinto sulla volta della cappella sistina di Michelangelo de: “la creazione di Adamo” che vede 2 mani a formare la lettera “M”, la statua della Madonna ausiliatrice e altro ancora, tutta simbologia esoterica satanica per corrompere i fedeli di Cristo. Molti dicono che con la sua 500 faceva molta carità, anche il napoletano gran maestro massone Antonio de Curtis, faceva tanta ” carità “.
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