Azione filantropica o carità?

Meglio un incredulo altruista che un credente egoista. Diciamo subito che questo è un luogo comune di chiaro effetto propagandistico, di non dubbia provenienza. L’affermazione non è esatta, perché tutti e due i casi sono due grandi disgrazie. Sarebbe come dire: meglio un cieco che un mutilato. Qui non si tratta di meglio, l’una e l’altra sono sventure che provocano pietà, non preferenza. Il meglio sta nell’essere completo: credente e caritatevole. Il fondo della questione è nella svalutazione della fede a vantaggio delle opere, nella svalutazione della preghiera a vantaggio dell’azione. Infatti si aggiunge che è più cristiano chi si occupa del prossimo, anche a scapito della pratica religiosa, anziché colui il quale riduce il suo cristianesimo alle formalità del culto, trascurando la fraternità, che è il più grande precetto di Cristo.

Chi parla così ha evidentemente dimenticato che il primo comandamento di Cristo è di amare Dio sopra tutte le cose e con tutte le forze. L’amore del prossimo è il secondo. La fraternità senza la fede non fa il cristiano. Il cristianesimo prima di essere una morale, è una religione. Anzi l’amore di Dio è la radice da cui germina un sano e autentico amore del prossimo. Senza Dio si diventa o succubi del prossimo o tutt’al più umanitari romantici. Vi potrà essere qualche raro caso di sensibilità sociale o istintiva generosità, ma non un amore consapevole e soprattutto imparziale. Una fraternità esclusivamente umana risulta in ultima analisi inumana. Perché si ridurrà a portare il soccorso ai corpi sofferenti e bisognosi, rimanendo sorda ai più angosciosi appelli dello spirito, alle più imperiose esigenze dell’anima. Un uomo senza fede non potrà nè confortare ma neppure comprendere il prossimo afflitto nello spirito; chiuso com’è nelle realtà terrestri e nella sua limitata concezione della natura umana.

La filantropia non ha mai potuto sostituire la carità perché, anche se può dare un tozzo di pane a un affamato, una casa a un senza tetto, un impiego a un disoccupato, non saprà dare mai nulla a un disperato, nulla a uno smarrito, nulla a un peccatore, nulla a chi è tormentato dalla delusione, dal lutto, o dalla solitudine. La miseria morale e spirituale è molto più diffusa che non quella materiale. Si crede che la fraternità consista solo nello sfamare, nel vestire e nell’alloggiare la gente; invece l’uomo ha bisogno di mille altre cose che non si possono procurare con il lavoro, né con la tecnica, né col commercio, né con le invenzioni. L’uomo ha bisogno di verità per la sua mente, di giustizia per la sua coscienza, di un amore infinito ed eterno per il suo cuore, di una speranza per il suo dolore, di uno scopo per la sua esistenza. Tutto ciò un uomo senza fede, non solo non può darlo, ma non può nemmeno indicarlo. E questo non è certamente umano. Non è più importante occuparsi degli altri che andare a Messa? Il che si traduce in parole più chiare: non è più importante il servizio dell’uomo del servizio di Dio? Qui è la vera radice dell’obiezione di spirito di marcatamente laicista. Spirito che forma il sottosuolo della mentalità moderna, anche di molti cattolici, che vogliono sostituire il primato di Dio col primato dell’uomo. Questo non è Cristianesimo ma idolatria.

Il Cristianesimo ci insegna a prostrarci solo davanti a Dio: Adorerai il Signore Iddio tuo e a Lui solo servirai. L’umanesimo laicista invece ha voluto fare dell’uomo un idolo, ma col risultato di creare la mistica della razza, la mistica del regime, la mistica del denaro, la mistica del piacere e la mistica della tecnica.

Ma quando si assolutizza l’uomo, se ne fa un mostro come la storia insegna. Non si può assolutizzare ciò che di sua natura è relativo e limitato. È errato limitare la religione agli atti più importanti della vita o ad alcune tradizionali solennità religiose dell’anno liturgico.

È certo ben poca cosa. Non si può approvare una condotta del genere. Ma sarebbe anche da disapprovare ugualmente chi, in nome di un massimalismo cristiano male inteso, volesse troncare anche quest’ultimo legame con la salvezza. È sbagliato spegnere il lucignolo che fumiga e spezzare la canna piegata. Attraverso le povere pratiche religiose fatte con frequenza tradizionale, si insinua l’ossigeno della grazia che può da un momento all’altro riattizzare quella fiamma moribonda. Certo è doloroso vedere il Cristianesimo ridotto in alcuni casi a un rudere; ma se abbattessimo tutti i resti antichi, nessun contatto rimarrebbe più col passato. La fede senza le opere è morta, ma le opere senza la fede non salvano. La fede e la carità sono inseparabili nel cristiano autentico. Trovare l’una senza l’altra è un caso patologico. Facciamo dunque leva sulla fede per provocare la carità, e facciamo leva sull’altruismo per disporre alla fede.

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